Si avvisa la gentile clientela che lo Studio Fiscale, Tributario e Legale del Dott. Antonio Valentini rimarrà chiuso per le festività natalizie dal 23/12/2020 al 06/01/2021 compresi.

23 Dicembre 2020

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Decreto Legge nr 221 del 22 Dicembre 2020 – Ulteriori disposizioni per il potenziamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da Covid-19

23 Dicembre 2020

In allegato il Decreto Legge nr 221 del 22 dicembre 2020 che potenzia le misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19 allineando le normative sammarinesi a quelle della vicina Italia per il periodo che va  dal 24 dicembre al 6 gennaio 2021. Se ne consiglia un’attenta lettura  per non incorrere nelle sanzioni di cui all’art.6.

DL 221-2020

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Pagamento imposte e tributi dell’Ufficio Tributario aventi scadenza 31 12 2020 – Nuove modalità di pagamento online di tributi ed imposte per gli operatori economici

15 Dicembre 2020

In riferimento alle imposte e tributi aventi scadenza al 31 Dicembre 2020, quali ad esempio il II ACCONTO IGR, si inoltra a tutta la clientela la Comunicazione dell’Ufficio Tributario dove si evidenzia che gli Istituti bancari  in tale data potrebbero non essere aperti al pubblico e non essere operativi anche per le modalità di pagamento online.

Al fine di non incorrere in sanzioni per ritardato pagamento si raccomanda di tener ben presente tale possibilità e provvedere ai pagamenti con congruo anticipo.

Circolare UT_ATTENZIONE_SCADENZE

Si ricorda inoltre a tutti gli operatori economici che già a partire dal 9 dicembre u.s. è possibile utilizzare quali metodi di pagamento on line per i tributi e le imposte dell’Ufficio Tributario la carta di credito, il bonifico bancario a mezzo home banking e il sistema di sepa direct debit.

Si allega di seguito la comunicazione dell’Ufficio Tributario con relativo manuale tecnico.

CIRCOLARE_UT_nuovi_sistemi_di_pagamento

Manuale_Pagamenti_Online

 

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Esterovestizione accertata con controllo indiretto dall’Italia

2 Dicembre 2020

Il Sole 24 Ore 14 novembre 2020 di Enrico Holzmiller

CTR LOMBARDIA

La Commissione ha deciso il caso considerando l’influenza dominante

Il tema dell’esterovestizione tocca da sempre un equilibrio delicato, tra la legittima libertà di stabilimento al di fuori dello Stato di residenza, e la necessità, da parte degli Stati, di evitare delocalizzazioni all’estero, strumentali al solo abbattimento della materia imponibile.

Il tema è stato oggetto della sentenza dalla Ctr Lombarda-Brescia n. 7078/16 (depositata lo scorso 12 giugno).

I giudici affrontano il caso di una società considerata esterovestita, con sede legale in Lussemburgo ma ritenuta soggetto di imposta italiana fittiziamente collocato all’estero.

La Ctr introduce il tema, richiamando gli elementi essenziali alla base della disposizione contenuta nell’articolo 73 Tuir, commi 3 e 5 bis. Il comma 5 bis prevede una presunzione relativa (superabile con elementi probanti di segno opposto) dell’esistenza di una localizzazione estera fittizia laddove «società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2559, comma 1, del Codice civile» in società italiane (ex articolo 73, comma 1, lettere a e b) alternativamente:

siano controllate, anche indirettamente, da residenti in Italia;

siano amministrate da un board composto in prevalenza da consiglieri residenti in Italia.

Partendo da questi presupposti, la Ctr rileva che la società lussemburghese (Alfa) rientra appieno in tale fattispecie, difatti:

la compagine sociale della stessa risulta posseduta da due holding (Beta e Gamma) di diritto olandese, a loro volta facenti capo ad una persona straniera ma residente stabilmente in Italia (Theta);

la società olandese ha il controllo di fatto di una srl italiana (Delta).

A sottolineare l’esistenza della presunzione circolare di cui al richiamato comma 5-bis, risulta che Beta abbia una sede secondaria in Italia, nello stesso domicilio della residente Delta. L’unico motivo di difesa da parte della società contribuente consiste nell’esistenza di una partecipazione diretta, di Alfa (Lux) in Delta (It) inferiore al 50%, con ciò non potendo sussistere – secondo la ricorrente – un controllo partecipativo che avalli la richiamata presunzione di esterovestizione.

La società ha fatto erroneamente affidamento sul tenore letterale della disposizione, ove il comma 5-bis, nel riferire in merito alla partecipazione detenuta dal soggetto estero (Alfa) nella società italiana (Delta), non esplicita che essa possa avvenire anche indirettamente, a differenza di quanto invece precisato alla successiva lettera “a” del medesimo comma, con riguardo alla compagine sociale (Theta) della società straniera (Alfa).

Va tuttavia considerato che il richiamo all’articolo 2359 del Codice civile, effettuato dall’articolo 73 Tuir, comma 5bis, ricomprende anche la cosiddetta influenza “dominante”, che non necessariamente deve evincersi in una partecipazione di controllo diretta. La Ctr, sulla base della ricostruzione ed in relazione all’esistenza di documenti extracontabili prodotti dall’Ufficio, arriva a definire l’esistenza di un controllo di fatto (di soggetti italiani nella società lussemburghese), confermando pertanto l’ipotesi di esterovestizione.

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Il marchio Ce significa China export: beni con segni mendaci in commercio

2 Dicembre 2020

Il Sole 24 Ore 19 novembre 2020 di Patrizia Maciocchi

CASSAZIONE

Non è ingannato solo il singolo ma è inquinato l’ordine economico

Il simbolo si differenzia solo nella distanza e grandezza delle due lettere

Per la vendita di prodotti con il marchio Ce, dove Ce sta in realtà per China export, scatta il reato di messa in commercio di beni con segni mendaci e non la frode in commercio. Il secondo reato riguarda, infatti, il singolo consumatore al quale viene venduto un oggetto al posto di un altro, nella prima ipotesi viene inquinato l’ordine economico, oltre all’inganno sugli standard di sicurezza rispettati. La Cassazione (sentenza 32388) dà un giro di vite sulla commercializzazione di oggetti con segni contraffatti. Alla base della decisione un sequestro di merce, per lo più giocattoli per bambini, con il noto marchio Ce, dove il “segno” era l’acronimo di China export. L’unica distinzione con il marchio comunitario sta nella proporzione dei caratteri e nella distanza tra le due lettere. Una differenza del tutto impercettibile alla vista dell’acquirente medio. I giudici di legittimità respingono la tesi della difesa, secondo la quale il reato da contestare era il semplice tentativo di frode in commercio, regolato dall’articolo 515 del codice penale e non l’immissione in commercio di prodotti con segni mendaci punito dall’articolo 517 del codice penale.

La Cassazione ammette che, secondo la casistica giudiziaria, il fatto integra l’ipotesi di frode in commercio (Cassazione 45916/2014). La qualificazione giuridica non esclude però – essendo possibile in astratto il concorso tra i due reati – la contestazione del reato disegnato dall’articolo 517.

Una via di maggior rigore che la Cassazione sceglie.

Nel caso di frode in commercio c’è la semplice consegna di un aliud pro alio con la conseguente violazione – che colpisce principalmente il singolo consumatore – del principio di leale esercizio dell’attività commerciale. Nella vendita di prodotti con segni mendaci è invece in gioco – al di là dell’ effettiva cessione – l’ordine economico, che deve essere garantito al di là dall’interesse del singolo. La Cassazione precisa che si tratta di prodotti ingannevoli in relazione alla loro «origine, provenienza e qualità, tali da costituire obiettivi fattori di inquinamento». Gli oggetti venduti erano tali da rassicurare sul rispetto degli standard di sicurezza in virtù del marchio. un “segno” che invece «non aveva alcuna effettività dimostrativa – in quanto solo callidamente similare al vero marchio Ce tanto da essere con esso facilmente confondibile».

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