Mese: Giugno 2022
Legge 30 maggio 2022 n. 82 – Disciplina del negozio a tempo
13 Giugno 2022
Il negozio a tempo mira ad aumentare l’attrattività del Centro Storico e dei Centri Commerciali allo scopo d’incentivare il commercio e il turismo in Repubblica. Gli operatori economici sammarinese ed esteri che ne fanno richiesta, a mezzo di apposita istanza presso l’Agenzia per lo Sviluppo Economico- Camera di Commercio e ottengo l’autorizzazione, possono operare temporaneamente in territorio (max 60gg Centro Storico – max 120gg Centri Commerciali) nelle modalità indicate.
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Legge 24 maggio n.80 – Norme per facilitare e semplificare l’avvio di attività economiche
13 Giugno 2022
La Legge nr 80, che ha lo scopo di semplificare le norme di avvio per le attività economiche modifica:
- la Legge sulle Società andando a variare e/o ad aggiornare diversi articoli circa il Registro delle Società c/o l’ UAE, i conferimenti, i trasferimenti delle quote e delle azioni, la tenuta delle assemblee…
- e, all’art.26, riepiloga i requisiti attualmente obbligatori per l’ottenimento della licenza individuale
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Decreto Delegato 18 maggio 2022 n.79 – Interventi per l’occupazione, la formazione e le politiche attive del mondo del lavoro
13 Giugno 2022
Si evidenziano i punti principali del Decreto Delegato nr 79 di cui se ne raccomanda un’attenta lettura in quanto riordina il sistema d’incentivi all’occupazione e degli interventi per la riqualificazione professionale.
– Art. 2: Misure per l’inserimento lavorativo – il presente articolo va a sostituire l’attuale addestramento professionale
Sono previsti abbattimenti retributivi e contributivi per l’assunzione di soggetti iscritti e/o iscrivibili alle liste di avviamento al lavoro, e non occupati, che nella loro vita professionale abbiano lavorato meno di 12 mesi continuativi, o comunque meno di 24 mesi se non continuativi.
– Art. 3: Incentivi per il reinserimento lavorativo e la riconversione professionale
Sono previsti incentivi (rimborso di parte della retribuzione) per l’assunzione di:
o non occupati continuativamente da almeno 2 mesi e non abbiano adeguata esperienza nell’area o profilo professionale di iscrizione richiesto dal datore di lavoro;
o soggetti che abbiano un’età pari o superiore ai 50 anni e risultino non occupati continuativamente da almeno 2 mesi;
o disoccupati che abbiano una riduzione della capacità lavorativa pari o maggiore del 40%;
o soggetti che abbiano sottoscritto il Patto di Servizio, che percepiscano l’Indennità economica speciale o l’Indennità di disoccupazione e non abbiano adeguata esperienza nell’area o profilo professionale di iscrizione richiesto dal datore di lavoro;
o disoccupati da almeno 12 mesi;
– Art. 4: Incentivi per il turnover pensionistico
Sono previsti incentivi (rimborso di parte della retribuzione) per l’assunzione di lavoratori in sostituzione di personale prossimo al pensionamento.
Il nuovo lavoratore deve essere iscritto alle liste di avviamento al lavoro e non occupato da almeno 2 mesi, oppure che abbiano sottoscritto il Patto di Servizio, ovvero che percepiscano l’Indennità economica speciale o l’Indennità di disoccupazione.
Sono esclusi coloro che abbiano adeguata esperienza nell’area o profilo professionale da ricoprire.
L’assunzione deve avvenire a pari livello o al massimo ad un livello inferiore della persona da sostituire e, in ogni caso, non inferiore al terzo.
– Art. 6: Incentivi per l’affiancamento della lavoratrice gestante
Sono previsti incentivi contributivi per l’assunzione di personale in affiancamento alla lavoratrice gestante. L’assunzione deve avvenire a pari livello (o al livello inferiore) e deve essere di donne iscritti alle liste di avviamento.
– Art. 7: Misure per favorire il part time post partum
Sono previsti sgravi contributivi per la trasformazione a part-time del contratto di lavoro dopo il parto. Sono inoltre previsti sgravi per l’assunzione di personale a completamento dell’orario di lavoro.
– Art. 8: Incentivi per l’equilibrio dei tempi di vita e di lavoro
È previsto uno sgravio contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato part time, sino ad un massimo di 25 ore settimanali, di lavoratori iscritti alle liste di avviamento al lavoro part time e non occupati da almeno 2 mesi, che non abbiano un’altra occupazione part time e che abbiano nello stato di famiglia un figlio frequentante l’asilo nido, la scuola dell’infanzia o la scuola elementare, o persone non autosufficienti da assistere.
– Art. 9: Stage Aziendali
Vengono definite le modalità di attivazione di stage aziendali per diplomandi, laureandi, neodiplomati e neolaureati
– Art. 10: Formazione di secondo livello
– Art. 11: Accordi formativi in azienda
– Art. 12: Prestito d’onore per l’alta formazione all’estero
– Art. 15: Disposizioni generali
Nel caso il rapporto di lavoro si interrompa per causa non imputabile al lavoratore (es mobilità) durante la durata del percepimento degli incentivi e fino ai dodici mesi successivi dalla fine del percepimento degli stessi da parte dell’impresa quest’ultima è tenuta a restituire gli sgravi contributivi di cui abbia beneficiato.
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Sul monitoraggio nel quadro RW pesa il precedente spagnolo
13 Giugno 2022
Il Sole 24 Ore 9 maggio 2022 di Dario Deotto Luigi Lovecchio
La Corte Ue ha bocciato una normativa iberica simile a quella italiana
Il principio di proporzionalità non si “coniuga”, evidentemente, soltanto in termini sanzionatori: esso impone la congruità del mezzo al fine, cioè la realizzazione ai fini unionali e interni con il minor sacrificio degli interessi contrapposti. L’interesse finanziario dello Stato deve arrecare il minimo danno possibile agli interessi dei contribuenti. In quest’ottica occorre verificare se tutto ciò che ruota attorno all’adempimento del quadro RW italiano risulta conforme al principio di proporzionalità.
A tale riguardo, va ricordata la denuncia 14 del 2019 dell’Aidc che ha messo in luce come gli obblighi nazionali di monitoraggio delle attività detenute all’estero confliggono sia con il principio di libertà dei movimenti di capitale sia con quello di proporzionalità. Con riferimento a quest’ultimo, è stato rilevato come la normativa italiana imponga adempimenti e sanzioni che eccedono quanto indispensabile per garantire la tutela degli interessi erariali. In particolare, è stato osservato come l’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli fiscali non risulta giustificata quando esistono con l’altro Stato – specie quando si tratta di un Paese Ue – efficaci sistemi di scambio d’informazioni.
Sui termini della questione va segnalata anche la recente sentenza del 27 gennaio 2022, C-788/2019, con la quale la Corte di giustizia ha stabilito che la normativa nazionale spagnola che obbliga i soggetti fiscalmente residenti in Spagna a dichiarare i loro beni o i loro diritti situati all’estero è contraria al diritto dell’Unione in quanto non conforme al principio di proporzionalità e a quello della libera circolazione dei capitali.
Relativamente al principio di proporzionalità, la Corte di giustizia ha stabilito che la normativa spagnola non risulta conforme, considerato che eccede quanto necessario sia in relazione ai termini di prescrizione che alla misura della penalità proporzionale nonché con riguardo alle previste sanzioni forfettarie, il cui importo non è commisurato alle penalità previste per infrazioni simili. In particolare, la Corte ha evidenziato come non rispetti il principio di proporzionalità la presunzione spagnola che stabilisce che si considerano plusvalenze patrimoniali non dichiarate le somme corrispondenti al valore dei beni non indicate nel “modello 720” (dichiarazione spagnola che prevede la comunicazione dei conti ubicati all’estero nonché di immobili, titoli, beni, titoli o diritti rappresentativi del capitale sociale, fondi propri o beni di qualsiasi tipo di entità, assicurazioni, depositati o ubicati all’estero).
Parimenti non rispettosa del principio di proporzionalità è stata ritenuta la sanzione spagnola del 150% (determinata sull’imposta calcolata sulle somme detenute all’estero), considerata molto elevata, che sommandosi ad altra di carattere forfettario, viene ritenuta che arrechi un pregiudizio sproporzionato alla libera circolazione dei capitali. Lo stesso viene stabilito per le sanzioni formali di carattere forfettario, il cui importo non risulta commisurato alle penalità previste per infrazioni simili nel contesto nazionale spagnolo.
Va notato che la normativa spagnola risulta molto prossima a quella italiana del Dl 167/1990 e a quella prevista dall’articolo 12 del Dl 78/2009.
Sicché è da condividere la tesi che le disposizioni italiane sul monitoraggio fiscale, oltre che le conseguenze previste nel caso di violazione degli obblighi di monitoraggio in relazione alle attività detenute nei Paesi “black list”, risultino in contrasto con il principio di proporzionalità. Quanto alle attività detenute nei Paesi “black list”, occorre rilevare che, oltre alla sanzione dal 6 al 30% delle attività non dichiarate, la normativa dispone la presunzione (difficilmente contrastabile) in base alla quale tali attività si ritengono costituite con redditi sottratti a tassazione in Italia (articolo 12 del Dl 78/2009). Presunzione per la quale i termini decadenziali di accertamento vengono raddoppiati (per l’infedeltà dichiarativa si arriva dunque al 31 dicembre del decimo anno successivo); così come raddoppiate risultano le sanzioni ordinariamente applicabili dell’articolo 1 del Dlgs 471/1997 (sempre per l’infedeltà, la sanzione risulta quindi dal 180 al 360% della maggiore imposta).
Si tratta di misure che non appaiono giustificate, che sembrano eccedere quanto necessario per garantire l’efficacia dei controlli fiscali e per contrastare l’evasione e l’elusione fiscale.
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Esclusa l’esterovestizione se la società dimostra che l’attività è effettiva
13 Giugno 2022
Il Sole 24 Ore 9 maggio 2022 di Davide Settembre
Tra le prove il certificato dell’autorità tedesca e i viaggi in Germania
La presenza di un insediamento effettivo all’estero così come lo svolgimento in quel territorio di un’attività economica reale sono elementi idonei a escludere un fenomeno di esterovestizione. È quanto hanno stabilito i giudici della Ctp di Macerata con la sentenza 26/1/2022 (presidente e relatore Fazzini).
Nel caso esaminato la guardia di Finanza aveva emesso un Pvc a carico di una società, a seguito di una attività di indagine di polizia giudiziaria svolta nell’ambito di un procedimento penale a carico del rappresentante legale per il reato di omessa presentazione della dichiarazione (articolo 5, Dlgs 74/2000). In particolare, i verbalizzanti erano giunti alla conclusione che la società avesse una struttura e fosse operativa in Italia, ma che avesse dichiarato di avere la sede legale in Germania con il fine di sfruttare una legislazione fiscale più vantaggiosa rispetto a quella nazionale.
A seguito di tale verifica erano stati emessi tre atti di accertamento (in relazione a tre diverse annualità) che erano stati impugnati dalla società.
Il ricorso è stato accolto dai giudici marchigiani che hanno in primis ricordato che, per la Corte di cassazione con il termine esterovestizione «si intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare, in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale…» (sentenza 15424/21). In tali casi, pertanto, la residenza fiscale nello Stato estero sarebbe dichiarata solo per beneficiare di un regime fiscale più appetibile in assenza di «un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale».
Tuttavia, nel caso in esame i giudici hanno ritenuto che la scelta di costituire la società all’estero apparisse del tutto lontana dall’intento di usufruire di un regime fiscale più vantaggioso. Infatti, la ricorrente aveva prodotto in giudizio il certificato rilasciato dall’autorità fiscale tedesca dal quale si evinceva che la società era fiscalmente residente in Germania e che in tale Stato fosse presente anche la direzione dell’impresa. Secondo i giudici, la valenza probatoria di tale documentazione non poteva essere trascurata e ciò avrebbe dovuto almeno condurre l’ufficio ad approfondire la situazione esistente in Germania, verifica che però è stata omessa.
Nella sentenza si evidenzia che il rappresentante legale si recava in Germania per lunghi periodi, a dimostrazione del fatto che l’attività della società fosse essenzialmente svolta in tale territorio. In definitiva, per i giudici esistevano nel caso in esame sia un insediamento effettivo della società all’estero che lo svolgimento di un’attività economica reale, e pertanto non vi erano elementi per ritenere che la scelta di costituire la società in tale territorio fosse stata fatta per fruire di un regime fiscale più vantaggioso.
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Regolamento 30 maggio 2022 n.8 – Regolamento attuativo dell’art. 11 del D.D. 24/1/2022 n.10 – Disciplina della destination wedding organization per ampliare l’offerta legata al prodotto turistico wedding
13 Giugno 2022
Si allega il testo completo del Regolamento nr 8 che definisce le norme di coordinamento per realizzare, sviluppare e promuovere tutte quelle attività legate ai matrimoni dei cittadini stranieri in Repubblica.
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Decreto Delegato 17 maggio 2022 n.77 – Misure straordinarie per il contenimento dei costi delle utenze
13 Giugno 2022
L’intervento di sostegno previsto dal Decreto Delegato nr 77 è destinato agli operatori economici e ai nuclei familiari che si trovano in difficoltà economica. A seguito dei rincari delle utenze, in particolare di luce e gas, è possibile, se si rientra nei requisiti previsti dagli articoli 3 e 4, ottenere una dilazione delle bollette senza mora e per le famiglie anche una decurtazione del 25%.
Si allega per tutti gli interessati il testo completo.
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Contraffazione di alta moda Amazon non responsabile
13 Giugno 2022
Il Sole 24 Ore 3 giugno 2022 di Alessandro Galimberti
Le finte scarpe Loubutin «non associabili» al marchio della nota società americana
Ma la giurisprudenza Usa e i nuovi regolamenti Ue muovono in altra direzione
Suola rossa. Il «marchio» Louboutin ADOBESTOCK
L’intermediario digitale non deve essere considerato responsabile per la vendita di prodotti contraffatti nel proprio marketplace se non ha creato le condizioni perché il cliente creda di acquistare da lui e non invece dal contraffattore. Sono le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte di Giustizia Ue nella doppia causa intentata da Christian Louboutin – lo stilista francese delle note décolleté a suola rossa – ad Amazon, considerata (cor)responsabile della messa in commercio digitale e non autorizzata delle famose quanto ambìte scarpe.
Il tema affrontato dall’Avvocato generale Maciej Szpunar, per quanto non vincolante nella decisione futura della Corte, è particolare per il ruolo del convenuto (Amazon), non è nuovo per l’approccio scelto del magistrato e comunque è alla vigilia di due regolamenti europei che potrebbero cambiare sensibilmente le regole del gioco.
Amazon ha infatti varie nature, almeno due: è un marketplace – e quindi un luogo di intermediazione tra venditore e acquirente – ma è anche un venditore di prodotti a proprio marchio. E giusto in questo spiraglio di potenziale ambiguità, agli occhi del compratore, si è mossa l’analisi del magistrato europeo, le cui conclusioni – per il caso specifico – sono che un navigatore mediamente preparato capisce di stare acquistando un prodotto “non Amazon”, ma solo intermediato da Amazon. Da qui l’esenzione di responsabilità per un intermediario che – almeno fino a prova contraria – non aveva consapevolezza di quanto stava accadendo, e per legge non ha neppure un dovere di vigilanza attiva su tutto ciò che avviene nel suo spazio virtuale.
Tuttavia questa applicazione canonica delle regole sul commercio elettronico in vigore da 20 anni, cioè la generale «non responsabilità» del fornitore dei servizi di rete, in particolare per i marketplace, sta vedendo da tempo qualche incrinatura. Due anni fa un giudice della Corte d’appello della California (Cal. Ct. App., 4th Dist., D075738 – Bolger vs Amazon.com Inc.) aveva ritenuto Amazon responsabile per un prodotto difettoso comprato da un utente (una batteria per laptop esplosa per surriscaldamento, con danni immaginabili). Secondo il giudice se il gestore di una piattaforma diventa «parte» della attività ne assume oneri e onori. Amazon.com sarebbe così a tutti gli effetti un elemento (fondamentale) del processo di vendita produttore-utente finale, gestendo in via esclusiva la comunicazione con il cliente, la messa a disposizione del prodotto, la logistica della consegna, il pagamento e la “garanzia dalla A alla Z”. Dunque il suo ruolo «implica un’autonoma responsabilità».
E proprio in questo nuovo approccio continentale di rendere internet uno spazio «trasparente e sicuro» si sta muovendo il regolatore europeo con il Digital Service Act e con il Digital Market Act, due regolamenti ormai prossimi all’entrata in vigore, dopo aver recentemente visto raggiungere anche l’accordo politico tra i 27.
La “perdita d’innocenza” degli intermediari digitali è chiaramente espressa nella norma del Dsa secondo cui se una piattaforma online consente ai consumatori di concludere contratti a distanza con operatori commerciali, la stessa deve preventivamente e obbligatoriamente raccogliere una serie di dati anagrafici/commerciali dell’impresa , e poi anche verificarne la verità. Altrimenti rischia di essere considerata “complice”.
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La piena disponibilità del server configura la sede fissa
13 Giugno 2022
Il Sole 24 Ore 21 maggio 2022 di Marco Piazza
Abrogata la disciplina italiana, contestazioni con margini di opinabilità
Da quanto si desume dal comunicato diffuso dalla Procura di Milano (si veda l’articolo a lato), magistrati e contribuente hanno condiviso la conclusione che la disponibilità di una rete di server utilizzati in esclusiva nel territorio dello Stato per fornire un servizio di streaming alla clientela italiana costituisce una stabile organizzazione materiale idonea a produrre un reddito imponibile nel nostro Paese.
Non ci sono però ulteriori informazioni sulle caratteristiche dell’infrastruttura italiana e – considerato che le motivazioni dell’atto di adesione non sono pubbliche – è improbabile che dalla notizia di stampa possano trarsi elementi utili per migliorare le conoscenze sulla nozione di «stabile organizzazione materiale» se non quella, molto importante, che i rischi di subire un accertamento, con le relative conseguenze anche penali, sono molto alti.
L’accertamento, viene riferito, è relativo ai periodi d’imposta 2015-2019. Fino al 2017 l’articolo 162 del Testo unico conteneva una definizione di «stabile organizzazione» sostanzialmente conforme al modello Ocse con una particolarità: il comma 5 stabiliva che «non costituisce di per sé stabile organizzazione la disponibilità a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi».
Questo comma, introdotto con la riforma fiscale del 2003, pareva avere la portata di differenziare la definizione italiana di stabile organizzazione da quella del Commentario al Modello di convenzione Ocse. Il Commentario, infatti, nella parte relativa al commercio elettronico (paragrafi 122 e seguenti sub. articolo 5) afferma che è possibile ritenere che una impresa che opera nel territorio dello Stato per mezzo di apparecchiature elettroniche vi abbia una stabile organizzazione anche se non utilizza personale. Tuttavia, esclude che vi sia stabile organizzazione se le funzioni svolte dall’infrastruttura tecnologica nel territorio dello Stato sono solo preparatorie e ausiliarie. Ove, invece, tali funzioni costituiscano di per sé una parte essenziale e significativa dell’attività dell’impresa nel suo complesso, queste andrebbero al di là delle attività ausiliarie e costituirebbero «stabile organizzazione» (paragrafo 129).
L’agenzia delle Entrate, però, ha immediatamente ricondotto l’ambito applicativo del comma 5 dell’articolo 162 nell’alveo del Commentario. Già nella risoluzione 119/E del 2007 veniva, infatti, precisato che il comma 5 – recependo, sostanzialmente, l’orientamento dell’Ocse – ha lo scopo di precisare che, ai fini della configurazione della stabile organizzazione è necessaria la piena ed esclusiva disponibilità dell’apparecchiatura da parte del soggetto non residente per un periodo tale da configurare il presupposto della fissità e lo svolgimento attraverso di essa di attività ritenute principali nell’ambito dell’attività complessiva dell’impresa, restando esclusa la sussistenza della stabile organizzazione quando «l’attività della sede fissa nel suo insieme (…) abbia carattere preparatorio o ausiliare».
La mera disponibilità di apparecchiature elettroniche, quindi, non configura stabile organizzazione; ma la loro piena ed esclusiva disponibilità, la stabilità della presenza in Italia e lo svolgimento, in Italia, dell’attività tipica attraverso tali apparecchiature comporta l’insorgere della sede fissa, con le relative conseguenze.
Dal 2018 il comma 5 dell’articolo 162 è stato del tutto abrogato e la materia continua a essere molto scivolosa perché richiede accertamenti di fatto caratterizzati da forte opinabilità.
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Non scatta la ritenuta sul relatore dall’estero in modalità online
13 Giugno 2022
Il Sole 24 Ore 18 maggio 2022 di Marco Piazza
L’attività svolta configura una prestazione professionale
I compensi percepiti da un relatore non residente per essere intervenuto in videoconferenza dall’estero in un convegno organizzato in Italia e per la cessione all’organizzatore del materiale didattico prodotto nel corso del convegno non sono tassabili in Italia perché sono corrisposti a fronte di una prestazione professionale e non per la cessione di diritto di sfruttamento di know-how. Inoltre, l’attività del relatore non è svolta nel territorio italiano. Lo conferma la risposta a interpello 266/2022 delle Entrate.
Nel caso oggetto del quesito il relatore percepisce un compenso comprensivo anche del materiale didattico ceduto all’organizzatore affinché questi possa farne uso attraverso i social media e le piattaforme social in maniera separata o con altri lavori.
Nessun dubbio sul fatto che la prestazione del relatore non residente rientri fra le attività di lavoro autonomo tassabili in Italia solo se prestate nel territorio dello Stato ex articolo 23, comma 1, lettera d) del Tuir (come da tempo precisato, fra le altre, dalla risoluzione 12/1247 del 30 dicembre 1977).
Viene però confermato che il collegamento in video conferenza dall’estero non equivale a svolgimento dell’attività in Italia. Il compenso, quindi, resta escluso da tassazione in Italia.
Per completezza va ricordato che anche nel caso di presenza fisica in Italia, ove il professionista sia residente in un o Stato con il quale l’Italia ha una convenzione contro le doppie imposizioni, il compenso è di norma escluso da imposizione per effetto dell’articolo del trattato relativo alla tassazione delle attività professionali (di norma l’articolo 14) che tassa questi redditi nello Stato in cui è svolta la prestazione solo se il contribuente vi ha una base fissa (risoluzione III-5-225 dell’11 agosto 1994; risposta n. 352 del 2019); il provento, in questo caso, è soggetto a ritenuta d’acconto e concorre a formare l’imponibile complessivo, al netto dei costi imputabili alla base fissa tassabile in Italia (risoluzione 154/E dell’11 giugno 2009; risoluzione 512 del 2019).
Il quesito, in realtà, era incentrato sulla cessione del materiale didattico, essendo sorto il dubbio che il compenso erogato al relatore fosse in tutto o in parte attratto fra quelli per la concessione del diritto di utilizzare opere dell’ingegno o di informazioni scientifiche e quindi tassabile in Italia, in base all’articolo 23, comma 2, lettera c) del Testo unico, per il solo fatto di essere dovuto da un residente.
L’Agenzia lo esclude, perché la cessione del materiale non è suscettibile di uno sfruttamento economico da parte del cessionario che gli consenta di ricavare un beneficio, a fronte del quale corrisponde una royalty.