Mese: Novembre 2019
Augurando Buon Natale e Felice Anno Nuovo, lo Studio Valentini ricorda alla gentile clientela che rimarrà chiuso per le festività Natalizie dal 23 Dicembre 2019 al 6 Gennaio 2020 compresi
20 Novembre 2019
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Circolare nr 1/2019 Ufficio Attività di Controllo “Obbligo di comunicazione delle informazione sulla titolarità effettiva di persone giuridiche”
11 Novembre 2019
Si allega la Circolare nr 1/2019 Ufficio Attività di Controllo che rammenta l’obbligo di comunicazione del/i titolare/i effettivo/i delle persone giuridiche e di ogni variazione degli stessi entro 1 mese da ogni mutamento, pena una sanzione amministrativa da € 5.000,00 a € 10.000,00.
CIRC 1_2019 UFFICIO ATTIVITA’ DI CONTROLLO
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Circolare 12-2019 Ufficio Attività Economiche “Vendite promozionali Black Friday”
11 Novembre 2019
Le imprese titolari di licenza al dettaglio che volessero aderire alle vendite promozionali “Black Friday” (dal 25/11/2019 al 8/12/2019) devono comunicare all’Ufficio Attività Economiche:
- indicazione delle date di inizio e fine
- tipo di prodotti posti in promozione
- percentuale minima e massima di sconto che si intende applicare
Circolare n. 12-2019 Black Friday
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Con la stretta sulle false fatture rischiano contribuenti ignari
11 Novembre 2019
Il Sole 24 Ore 25 OTTOBRE 2019 di Antonio Iorio
LE NUOVE REGOLE
Spesso in casi di documenti soggettivamente inesistenti l’utente finale non sa del reato
L’aumento della reclusione per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di false fatture rischia di penalizzare in modo esagerato, e verosimilmente immotivato, i numerosi imprenditori che, spesso senza esserne consapevoli, vengono coinvolti in casi di fatturazioni soggettivamente inesistenti.
Secondo la normativa penale (articolo 1 del decreto legislativo 74/2000) il delitto citato, e quello simmetrico di emissione di falsi documenti, scatta in tre ipotesi: fatture oggettivamente inesistenti riferita ad operazioni del tutto fittizie; sovrafatturazione riferita ad operazioni in parte prive di riscontro nella realtà; fatture soggettivamente inesistenti riferite ad operazioni in cui l’emittente o il beneficiario dell’operazione risultante dal documento non è quello reale.
Mentre nei primi due casi sono attestati cessioni o prestazioni mai avvenute, o poste in essere solo parzialmente, implicando l’ovvia consapevolezza dell’illecito da parte del contribuente che contabilizza le fatture, nel terzo caso spesso l’utilizzatore è ignaro dell’illecito. Quest’ultima contestazione, normalmente rilevata in occasione di controlli fiscali, scatta in genere quando il cedente o il prestatore non ha struttura idonea per effettuare l’operazione o quando a seguito di alcune operazioni scompare e non adempie a obblighi fiscali come dichiarazione o versamento.
L’acquirente, non potendo conoscere la correttezza fiscale del suo fornitore, è spesso ignaro delle sue violazioni. Il fisco, però gli contesta l’indebita detrazione dell’Iva.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale per simili contestazioni l’amministrazione ha l’onere iniziale di provare, anche in via presuntiva, l’interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale commessa a monte da altri soggetti. Compete poi all’acquirente provare la propria buona fede. In caso contrario l’Iva è indetraibile.
In genere la buona fede non viene valutata dall’amministrazione che presume la responsabilità dell’acquirente. Il Pvc e l’avviso di accertamento sono così inviati in Procura perché la condotta ipotizzata integra anche il reato di dichiarazione fraudolenta.
Il contribuente, così, viene sottoposto ad un procedimento penale senza comprenderne le ragioni: ha contabilizzato la fattura, ha ricevuto i beni o i servizi, ha pagato regolarmente il documento, con l’unica “irregolarità” (peraltro non prevista da norme di legge ma dalla giurisprudenza) che avrebbe dovuto accorgersi della sospetta posizione del fornitore.
Con le nuove norme in questi casi rischierà addirittura la reclusione da 4 a 8 anni. Sarà sufficiente infatti ricevere fatture per imponibili superiori a 100mila euro (che in concreto equivalgono ad una detrazione Iva di poco più di 22mila euro) per non beneficiare della nuova attenuante (reclusione da 18 mesi a 6 anni).
A ciò va aggiunto che normalmente, almeno la GdF, per questi reati, chiede quasi automaticamente il sequestro dei beni. È evidente che si rischia di addossare un onere esagerato ad imprenditori (medio/piccoli) e artigiani. A nulla rilevando che l’iter processuale porterà verosimilmente a un’assoluzione in quanto sono comunque affrontati rischi e spese considerevoli. È auspicabile, allora, che termini l’automatismo dei verificatori di trasmettere sempre la notizia di reato in Procura in presenza di mere presunzioni tributarie o che comunque ne venga data ampia evidenza. Da parte di Pm e Gip, si spera che, una volta rilevata la base presuntiva della contestazione, non vi siano remore a chiedere l’archiviazione. Il rischio, altrimenti, è di colpire gli imprenditori poco avveduti e non i veri evasori.
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Super Procura Ue contro frodi Iva e truffe comunitarie
11 Novembre 2019
Il Sole 24 Ore lunedì 21 OTTOBRE 2019 di Valentina Maglione e Bianca Lucia Mazzei
Il nuovo ente diventerà operativo entro la fine del 2020 e avrà sede a Lussemburgoma a svolgere le indagini in concreto saranno i Pm delegati nei territori nazionali
Il sistema europeo della giustizia penale
Arriva la super Procura europea che indagherà sui reati che danneggiano gli interessi finanziari dell’Unione: dalle frodi Iva alle truffe sui contributi Ue.
La legge di delegazione europea 2018 (pubblicata in Gazzetta ufficiale venerdì scorso e in vigore dal 2 novembre) dà al Governo nove mesi di tempo per adeguare le norme nazionali. L’obiettivo è arrivare pronti all’appuntamento del 21 novembre 2020, data a partire dalla quale la Procura europea potrà cominciare a operare.
Ma è tutta la giustizia penale a diventare sempre più europea. In base alla legge di delegazione 2018, il Governo dovrà anche rendere più stringente il mandato d’arresto europeo e adeguare le regole nazionali sul sequestro dei conti bancari per facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti.
E cresce anche l’utilizzo degli strumenti esistenti: dagli interventi di “facilitazione” della cooperazione tra autorità giudiziarie fatti dall’agenzia Eurojust (dal 2015 al 2018 i casi seguiti sono saliti del 34%) ai mandati d’arresto europei (+8% di provvedimenti emessi dal 2015 al 2017), fino agli ordini europei di indagine penale, che hanno debuttato due anni fa.
La Procura europea
La nuova super Procura – prevista dal regolamento Ue 2017/1939 – è stata pensata per migliorare il contrasto alle frodi contro la Ue e ai reati connessi, come corruzione e riciclaggio, anche in collegamento con l’agenzia Europol. Ma la Commissione europea ha proposto di allargare l’ambito d’azione anche ai reati di terrorismo.
La Procura Ue è strutturata in un ufficio centrale, che ha sede a Lussemburgo ed è guidato dal Procuratore capo, in carica per sette anni: è stata nominata Laura Codru?a Kövesi, già a capo della direzione nazionale Anticorruzione rumena. A seguire le indagini saranno i «procuratori europei delegati», vale a dire Pm operativi nelle procure nazionali che però dipenderanno dalla Procura del Lussemburgo. «È un cambio di prospettiva rivoluzionario per l’organizzazione giudiziaria italiana», rileva Francesco Lo Voi, procuratore capo a Palermo ed ex membro di Eurojust. «Sono necessarie modifiche ordinamentali rilevanti. Ritengo inoltre che non potrà essere una riforma a costo zero perché i Pm europei avranno bisogno di personale e di risorse e dovranno avvalersi della polizia giudiziaria».
Sequestro dei beni e mandato d’arresto
Per facilitare il recupero dei crediti civili e commerciali transfrontalieri, il regolamento Ce 655/2014 ha introdotto una procedura (l’ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari) che permette a un giudice di un Paese Ue di congelare il conto detenuto dal debitore in un altro Paese Ue (eccetto Danimarca e Regno Unito). È uno strumento rapido e incisivo soprattutto perché non prevede un’informazione preventiva al debitore, evitando così che utilizzi o occulti i fondi. La legge di delegazione dà al Governo sei mesi per adeguare le regole nazionali.
La legge prevede anche il rafforzamento del mandato d’arresto europeo. La disciplina attuale (legge 69/2005 ) andrà modificata trasformando in facoltativi alcuni motivi di rifiuto obbligatorio alla consegna del ricercato da parte delle autorità italiane. Fra questi, il caso in cui il mandato riguardi l’esecuzione di una pena per cittadini italiani che devono già scontarla in Italia. «È uno strumento che funziona molto bene» dice il procuratore di Napoli Giovanni Melillo.
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Corte di Strasburgo: sui luoghi di lavoro sono lecite le telecamere nascoste
11 Novembre 2019
Il Sole 24 Ore di Marina Castellaneta
VIDEOSORVEGLIANZA
Installazione in un negozio spagnolo per evitare furti da parte dei dipendenti
Decisivo il sospetto di gravi irregolarità e l’esigenza di proteggere i propri beni
Il supermercato è un luogo aperto al pubblico e la videosorveglianza è stata di breve durata e limitata solo al luogo in cui si trovavano le casse, senza coinvolgere attività di natura privata dei lavoratori. Di conseguenza, la sorveglianza disposta dal datore di lavoro non contrasta con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Lo ha stabilito ieri, ribaltando il verdetto della Camera del 2018, la Grande Camera della Corte di Strasburgo nella causa López Ribalda e altri contro Spagna.
Il ricorso alla Corte era stato presentato da alcuni dipendenti di un supermercato per i quali l’installazione di alcune telecamere, decisa dal datore per individuare i responsabili del furto di prodotti, avvisando i dipendenti solo dell’esistenza di alcune telecamere, nascondendone altre, era contraria alla Convenzione. La Camera, con la sentenza del 2018, aveva accolto il ricorso ritenendo violato l’articolo 8 che assicura il rispetto della vita privata, ma aveva dato il via libera allo Stato sull’utilizzo dei filmati nel processo, in presenza di alcune condizioni.
Il Governo spagnolo aveva chiesto che il caso fosse portato dinanzi alla Grande Camera che ha dato ragione a Madrid. Prima di tutto, Strasburgo ha fissato i parametri per valutare se le misure di videosorveglianza disposte nei luoghi di lavoro siano proporzionali, chiarendo che i criteri fissata dalla Corte europea per il controllo di email (sentenza Barbelescu) sono applicabili alla videosorveglianza.
Per la Grande Camera, le autorità nazionali devono garantire un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco ossia il rispetto della privacy da un lato e, dall’altro lato, l’esigenza datoriale di proteggere i propri beni e assicurare il buon funzionamento dell’attività economica, soprattutto esercitando il proprio potere disciplinare.
In questa vicenda, i giudici spagnoli avevano effettuato un giusto bilanciamento anche perché la mancata informazione preliminare ai dipendenti sull’installazione di alcune telecamere era giustificata dal sospetto di gravi irregolarità e dalle perdite economiche per il datore di lavoro, circostanze che «possono essere considerate come giustificazioni serie» per una limitazione della privacy. E questo – osserva la Corte – soprattutto quando c’è il sospetto che si tratti di un’azione concertata tra più dipendenti. Possibile, poi, l’utilizzo dei filmati nel corso del processo quando non si tratta dell’unico elemento di prova.
La sentenza di Strasburgo non dovrebbe incidere sulla normativa italiana in materia di videocontrolli, possibili a determinate condizioni e per la quale fa da punto di riferimento l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970) come modificato dal Dlgs 151/15.
Il nuovo testo consente, infatti, al datore di installare impianti audiovisivi e altri strumenti da cui derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, purché questi strumenti siano impiegati solo per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e la loro installazione sia avvenuta previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di accordo, sia stato ottenuto il via libera preventivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro
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Il residente all’estero che lavora nella zona di confine paga le imposte sui redditi solo in Francia
11 Novembre 2019
Quotidiano del Fisco – Il Sole 24 Ore 29 OTTOBRE 2019 di Antonio Longo
L’italiano residente in Francia che lavora nella zona di confine con l’Italia deve pagare le imposte sui redditi solo allo Stato francese. È questa la conclusione dell’Agenzia nella risposta a interpello 433/2019 di ieri.
L’istante è residente in Francia ed è iscritto all’Aire nei registri del Comune di Ventimiglia dal 2004. Nel 2017 viene assunto presso una società italiana e svolge la propria attività lavorativa in Italia. Ai fini fiscali italiani, sono residenti coloro che, per la maggior parte del periodo d’imposta, sono iscritti nelle anagrafi dei residenti oppure hanno in Italia il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. I tre requisiti sono alternativi per cui il verificarsi di uno solo di essi è sufficiente perché un soggetto sia considerato residente in Italia. Verificatasi la cancellazione dall’anagrafe italiana e la conseguente iscrizione all’Aire (condizione necessaria ma non sufficiente) occorre una valutazione d’insieme dei rapporti – personali ed economici – che il soggetto intrattiene nel nostro Paese per verificare se, nel periodo in cui è stato anagraficamente residente all’estero, possa essere considerato (anche) fiscalmente non residente.
Assumendo che l’istante sia residente in Francia (è questa una verifica fattuale che l’Agenzia non è tenuta a fare in sede di interpello), il paragrafo 4 dell’articolo 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia prevede che i redditi da lavoro dipendente di persone che abitano nella zona di frontiera di uno Stato e che lavorano nella zona di frontiera dell’altro Stato siano imponibili soltanto nello Stato di residenza.
In specie, dichiarandosi fiscalmente residente in Francia e svolgendo la propria attività lavorativa in Ventimiglia (zona di frontiera), l’istante assume lo status di frontaliere: il reddito prodotto sarà quindi tassato esclusivamente in Francia. Tuttavia, la società italiana sostituto di imposta, può, sotto la propria responsabilità, applicare il regime convenzionale previa presentazione, da parte del lavoratore, della documentazione idonea a dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti previsti dalla Convenzione (confronta, tra le altre, risoluzione 86/E/2006). Pertanto, il lavoratore che dovesse subire eventuali ritenute dal datore di lavoro italiano (nei casi di incertezza circa l’applicabilità del regime convenzionale di favore) potrà chiedere all’erario il rimborso delle maggiori imposte versate.
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Lussemburgo verso lo stop ai ruling firmati prima del 2015
11 Novembre 2019
Il Sole 24 Ore 18 OTTOBRE 2019 di Raffaele Villa
FISCO INTERNAZIONALE
Proposta del Governo nella Finanziaria 2020 trasmessa al Parlamento
In caso di approvazione andranno ripensati i comportamenti tributari
Il 14 ottobre il Governo lussemburghese ha trasmesso al Parlamento una proposta di disegno di legge finanziaria 2020 che prevede, tra l’altro, la cessazione a partire dal 1° gennaio 2020 dell’efficacia degli accordi fiscali preventivi (ruling) concordati con l’amministrazione finanziaria lussemburghese prima del 2015.
Tale proposta sembrerebbe, tra l’altro, in linea con la formalizzazione in un testo normativo (legge 19 dicembre 2014 e decreto 23 dicembre 2014) della procedura di accordo preventivo in vigore dal 1° gennaio 2015, per il quale è prevista una durata di massimo cinque anni. Infatti, prima di allora, la procedura di accordo era disciplinata meramente da una nota interna dell’autorità fiscale lussemburghese del 1989 e non sono rari casi di accordi ante 2015 aventi durata ultra-quinquennale.
In Lussemburgo, così come in altri Paesi (fra cui l’Italia), la finalità degli accordi preventivi con l’amministrazione finanziaria è per il contribuente quella di ottenere certezza circa il trattamento fiscale applicabile ad una particolare operazione, o insieme di operazioni, in base al diritto tributario vigente. Pertanto, il trattamento fiscale di una determinata operazione non dipende dalla presenza di un accordo preventivo che, al più, dovrebbe limitarsi a confermare il trattamento fiscale sulla base della normativa applicabile, senza tuttavia porsi in contrasto con quest’ultima. Certamente gli accordi preventivi possono costituire nella pratica un valido supporto al contribuente, ad esempio nei casi di normative poco chiare che rendono l’interpretazione da parte del contribuente particolarmente difficile ed incerta.
Sebbene in Lussemburgo non esista un obbligo di interpellare l’amministrazione finanziaria per ottenere certezza circa l’interpretazione della normativa fiscale locale, la richiesta di accordi preventivi è da anni la prassi di mercato, anche in relazione ad operazioni e strutture fiscali meno complesse per le quali non si pongono particolari dubbi interpretativi.
Peraltro, i contribuenti lussemburghesi non sono nuovi al tema della inefficacia degli accordi preventivi, i quali generalmente prevedono una efficacia temporale limitata e la cessazione dei propri effetti qualora si pongano in contrasto con normative lussemburghesi o internazionali sopravvenute.
Ciò premesso, assumendo che il disegno di legge finanziaria sia approvato nella sua formulazione attuale, è possibile ipotizzare che i contribuenti si troveranno a dover valutare, prima della scadenza originariamente concordata con l’amministrazione finanziaria lussemburghese, se, alla luce della normativa vigente, possano ancora fare affidamento sul trattamento fiscale che hanno applicato alle proprie operazioni e strutture sulla base degli accordi preventivi conclusi prima del 1° gennaio 2015, fermo restando che la modifica proposta dovrebbe avere efficacia solo per il futuro e, pertanto, salvare in ogni caso le condotte fiscali adottate sino ad oggi in conformità agli accordi (e allo ius superveniens).
Qualora il trattamento fiscale concordato rischi di porsi in contrasto con la normativa vigente, i contribuenti dovrebbero valutare la possibilità di chiedere all’amministrazione finanziaria lussemburghese un nuovo accordo preventivo (tra l’altro, soggetto allo scambio di informazioni con le amministrazioni finanziarie estere dell’Unione europea).
In conclusione, se è vero che questa modifica dovrebbe comportare il sostenimento di costi di compliance da parte dei contribuenti – quantomeno per la verifica della tenuta delle operazioni in assenza di ruling – è altrettanto vero che la stessa obbliga ad un ripensamento delle strutture in essere, oggi reso ancor più impellente tenuto conto dei recenti sviluppi di fiscalità internazionale (ad esempio Beps, Atad 1 e Atad 2).
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Il committente risponde in solido anche delle ritenute
11 Novembre 2019
Il Sole 24 Ore 17 OTTOBRE 2019 di Giorgio Gavelli
LAVORO
La responsabilità solidale si estende sui mancati versamenti al fisco
Vietata la compensazione Vanno indicati i nomi dei lavoratori impiegati
Torna la responsabilità del committente per le ritenute fiscali operate ai dipendenti nella filiera di appalti e subappalti. Nata con il Dl 223/2006, abrogata dal Dl 175/2014 è oggi ripescata dal decreto fiscale con un grado di farraginosità più elevato. Le modifiche non toccano l’articolo 29 del Dlgs 276/2003, in cui è disciplinata la responsabilità in solido del committente imprenditore con l’appaltatore e i subappaltatori per le retribuzioni, i contributi previdenziali e i premi assicurativi; viene, tuttavia, introdotto, per queste somme, un divieto di compensazione integrale nei versamenti, per cui i codici tributo non accetteranno più, nell’F24, alcuno scambio con altri crediti del contribuente.
In deroga all’articolo 17 del Dlgs 241/97, il nuovo articolo 17-bis prevede che in tutti i casi di affidamento di un’opera o un servizio da parte di un sostituto d’imposta residente (sono esclusi i privati, ma vi rientrano enti pubblici e i condomini), le ritenute sui redditi di lavoro dipendente e assimilato – comprese quelle per le addizionali regionali e comunali – operate dall’impresa appaltatrice, affidataria o subappaltatrice nel corso della durata del contratto sono versate dal committente. L’obbligo si riferisce alle somme riguardanti i soli «lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio» affidato, ma qui emerge una forte criticità. Infatti, lo stesso dipendente può aver lavorato per una pluralità di cantieri di pertinenza di committenti differenti. Per questo è previsto che committente e appaltatrice ricevano via Pec dalle imprese partecipanti all’appalto l’elenco nominativo dei dipendenti che hanno operato, con l’indicazione delle ore lavorate in quell’opera/servizio, e tutti i dati per riscontrare la correttezza del versamento e compilare l’F24. Infatti, è previsto che l’impresa che ha effettuato le ritenute versi al committente le somme necessarie almeno con 5 giorni lavorativi di anticipo rispetto alla scadenza.
Il versamento avviene senza possibilità di operare compensazioni con crediti propri, indicando nell’F24 il codice fiscale del soggetto per cui il versamento è eseguito. Se entro la data prevista per il bonifico, l’impresa appaltatrice o affidataria vanta crediti per corrispettivi verso l’impresa committente, alla comunicazione via Pec può allegare la richiesta di compensazione totale o parziale delle somme dovute (anche dalle subappaltatrici) con tali corrispettivi. Quindi, la responsabilità per le ritenute a carico delle imprese della filiera: è del committente se non versa quanto ricevuto nei termini, non comunica i dati del conto in cui ricevere le somme o esegue pagamenti alle imprese affidatarie senza trattenere gli importi da destinare al versamento delle ritenute; è delle imprese appaltatrici/subappaltatrici per la corretta determinazione ed esecuzione delle ritenute e in caso di mancato versamento al committente della provvista o di omissione dei dati necessari al versamento.
In tutti i casi in cui il committente non è messo nelle condizioni di effettuare il versamento deve sospendere il pagamento dei corrispettivi (senza temere azioni esecutive), vincolando le somme al pagamento delle ritenute “di rivalsa” e dandone comunicazione alle Entrate entro 90 giorni. Entro tale termine, infatti, è previsto il ravvedimento operoso da parte del committente, su richiesta e con onere a carico dell’appaltatrice/subappaltatrice inadempiente. Analoga comunicazione all’Agenzia è prevista, a cura delle imprese della filiera, qualora la committente non comunichi, entro 5 giorni, mediante Pec, l’avvenuto versamento delle ritenute nei termini.
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Evasione e riciclaggio collegabili con false fatture
11 Novembre 2019
Il Sole 24 Ore 11 OTTOBRE 2019 di Valerio Vallefuoco
CASSAZIONE
Provata la stretta relazione tra la violazione tributaria e la ripulitura del denaro
Per la Cassazione commette il reato di «riciclaggio e di intestazione fittizia di beni» il legale rappresentante di una società commerciale che utilizza fatture per operazioni inesistenti per consentire a terzi il riciclaggio. Con la sentenza 41625 depositata ieri la Suprema corte ha confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di alcune ingenti somme, emesso dal giudice per le indagini preliminari di Milano e già confermato dallo stesso tribunale del riesame di Milano. L’indagato era socio accomandatario di una società per accomandita semplice che secondo l’accusa aveva utilizzato nella dichiarazione fiscale della società diverse fatture per operazioni inesistenti al fine di evadere le imposte sui redditi e sull’Iva violando l’articolo 2 del Dlgs 74/2000 nonché al fine di consentire a soggetti terzi individuati il reato di riciclaggio e di intestazione fittizia di beni. Secondo la Corte, che ha confermato con un giudicato seppure ancora cautelare il caso, ci sarebbero quindi tutti gli elementi richiesti per l’applicazione della misura del sequestro preventivo poiché l’indagato avrebbe avuto ben presente l’oggettiva finalizzazione della sua condotta al compimento di un altro reato, ovvero all’occultamento di reato precedente, in quanto cosciente e consapevole del complesso sistema di ripulitura del denaro attraverso un’associazione per delinquere transazionale. Il provvedimento di merito aveva ben illustrato il complesso meccanismo illecito della società italiana: l’indagato era cliente delle due società estere del coindagato che per alcuni anni avevano emesso fatture per prestazioni inesistenti così da consentire alla società italiana di evadere le imposte; la società italiana, infatti, versava i corrispettivi delle fatture false alle società estere che, a loro volta, retrocedevano in contanti ingenti somme all’indagato; da questo complesso meccanismo si deduce l’oggettiva finalizzazione a consentire a terzi individuati, appunto, la commissione del delitto di riciclaggio ed intestazione fittizia di beni.
Tale condotta avveniva attraverso la movimentazione di denaro e diverse retrocessioni su conti correnti di società con sedi legali all’estero in particolare a Hong Kong , Belize , Cipro e Mauritius. Emblematica l’espressione utilizzata dai giudici della Cassazione nella motivazione sullo stretto legame tra la violazione penale tributaria e il riciclaggio : «la violazione fiscale si pone in stretta relazione con il riciclaggio» poiché secondo la Corte solo attraverso questo meccanismo di “ripulitura” fiscale e il rientro delle somme in contanti si poteva consentire la retrocessione di quanto già corrisposto con le fatture false.