Ok alle spese di regia anche se i documenti non hanno data certa

11 Maggio 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 9 Aprile 2018 di Giorgio Gavelli

Reddito d’impresa. I criteri per la deducibilità

Le spese di regia addebitate dalla capogruppo alla controllata sono deducibili se esiste una documentazione sottostante (anche non formalmente irreprensibile) giustificativa del riparto e se la controllata è priva del personale in grado di svolgere i servizi accentrati presso la capogruppo. Per sostenere l’eccessiva onerosità dei servizi riaddebitati, l’Agenzia deve inoltre specificare i parametri su cui si basa la contestazione, non limitandosi a mere affermazioni di principio. Lo ha stabilito la Ctr Lombardia (presidente Palestra, relatore Calà) con la decisione 1511/23/2017.
La questione trattata nella sentenza (che conferma la decisione della Ctp di Cremona) è assai comune, sia in ambito nazionale (come nel caso di specie) che in campo internazionale, sfociando, in quest’ultimo caso, nella più complessa tematica del transfer pricing (articolo 110, comma 7 del Tuir non applicabile tra società residenti in forza dell’articolo 5, comma 2, del Dlgs 147/2015).
Nel caso oggetto di giudizio la contestazione si basava sul fatto che alcuni prospetti extracontabili reperiti presso la controllante circa il riparto dei costi infragruppo presentavano delle incongruenze rispetto a quanto poi fatturato, ed inoltre l’Agenzia eccepiva la mancanza di data certa per il contratto di sharing agreement. Tuttavia, la Commissione lombarda, accertata l’inerenza dei costi e la documentazione sottostante, ha ritenuto illegittime le riprese fiscali.
Secondo la Cassazione, premesso che l’onere della prova in ordine all’esistenza e all’inerenza dei costi sopportati incombe sulle società che li hanno dedotti, i corrispettivi riconosciuti alla capogruppo sono deducibili (e l’Iva relativa è detraibile) se la controllata ha tratto dai servizi resi un’effettiva utilità, oggettivamente determinabile e adeguatamente documentata (pronunce 26435/2017, 23360/2017, 23164/2017, 9560/2016, 23027/2015, 20054/2014, 16480/2014, 4510/2013).
L’utilità per la controllata dei costi di pubblicità, amministrazione, logistica e simili, di volta in volta addebitati proporzionalmente dalla capogruppo, va, quindi, dimostrata nel concreto, unitamente ai criteri di riparto (altrimenti l’ufficio è legittimato a determinarli in autonomia: Cassazione 8135/2016) e all’assenza di una duplicazione con costi della stessa natura sostenuti, in proprio, dalla società partecipata (in tal senso Ctp di Milano 754/40/2016, Ctr Lombardia 604/49/2017, 123/36/2015 e 115/46/2011, Ctp Napoli 5897/31/2014).
In senso conforme si è espressa la stessa prassi amministrativa (circolari 271/1997 e 32/1980, risoluzioni 9/977/1977 e 9/258/1979), anche se poi, all’atto pratico, le valutazioni degli uffici e delle società verificate sono spesso divergenti, originando un diffuso contenzioso. Ad ogni modo, tali valutazioni non possono spingersi a sindacare l’opportunità al sostenimento di determinati costi (Cassazione 10319/2015) e possono trovare un utile riferimento nell’attestazione rilasciata da un revisore indipendente (circolare 271/1997, Cassazione 13252/2015 e 6532/2009).

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Regole italiane per i lavoratori in distacco transnazionale

11 Maggio 2018

Il Sole 24 Ore 11 Aprile 2018 di Giampiero Falasca

FOCUS. SI APPLICANO LE STESSE CONDIZIONI DI CHI È RESIDENTE

Una delle forme di dumping contrattuale più sofisticate e difficili da combattere è quella che si nasconde dietro le operazioni fittizie di somministrazione, appalto e distacco di lavoratori su scala internazionale.
Lo spostamento di un lavoratore da uno Stato all’altro è un fenomeno del tutto fisiologico nell’attuale contesto economico, considerata la crescente integrazione e internazionalizzazione dei mercati e delle imprese; tuttavia, a volte questa operazione non serve a soddisfare un reale fabbisogno produttivo, ma nasconde un intento fraudolento.
Tra le maglie della libera circolazione dei lavoratori proliferano, infatti, pratiche di concorrenza sleale tra ordinamenti, finalizzate a “collocare” il contratto di lavoro negli Stati maggiormente convenienti sotto il profilo dei costi e delle tutele.
La prassi è la seguente: un’impresa operante in Italia, invece di assumere sul posto un dipendente, chiede a un’azienda terza, con sede in un Paese dove i costi contributivi sono più bassi, di stipulare il contratto di lavoro con una persona ivi residente ma fisicamente già presente in Italia. Dopo l’assunzione (fittizia) il committente italiano stipula con l’azienda straniera un contratto di appalto, distacco o somministrazione – altrettanto fittizi – e il dipendente viene formalmente inviato a svolgere l’attività nel nostro Paese in favore del falso committente.
Il lavoratore, in questo modo, non si è mai mosso dal territorio nazionale, ma risulta assunto in uno Stato dove il costo contributivo è molto inferiore.
Questo risparmio di costo si verifica perché i lavoratori distaccati o somministrati da uno Stato membro all’altro (in base all’articolo 12 del regolamento 883/2004) sono soggetti alla legislazione dello Stato di provenienza se lo spostamento non supera (almeno in ambito Ue) i 24 mesi (periodo destinato a ridursi a 12 o 18 mesi, quando sarà completato il percorso di revisione della direttiva europea, tuttora in corso) e gli addetti non siano inviati nello Stato ospite in sostituzione di altri giunti al termine del distacco.
Tale disposizione deroga al principio dell’applicazione, in materia di sicurezza sociale, della legislazione dello Stato sul cui territorio il lavoratore è occupato, allo scopo di non complicare gli adempimenti nei confronti degli enti previdenziali nel caso di trasferimenti brevi, ma è usata in maniera strumentale per attuare gli abusi sopra descritti.
L’Unione europea, per reprime questo fenomeno, ha fissato nuove regole (direttiva 2014/67/Ue, di recente oggetto di un’ipotesi di revisione) che hanno trovato attuazione nel decreto legislativo 136/2016.
Il provvedimento si applica a tutti le ipotesi di «distacco transnazionale», nozione applicabile a qualsiasi impresa che, nell’ambito di una prestazione di servizi, invia in Italia uno o più lavoratori per un periodo limitato presso un’altra impresa, sulla base di un distacco (in senso stretto), un contratto di appalto o di somministrazione.
La regola generale che introduce il decreto è chiara: ai lavoratori inviati nel nostro Paese è garantita l’applicazione delle medesime condizioni di lavoro e di occupazione previste per chi svolge prestazioni analoghe. Il decreto individua anche specifici indicatori da utilizzare al fine di verificare la genuinità del distacco (dove opera l’impresa, dove si svolge la prestazione, eccetera).
Se il distacco non risulta autentico, il lavoratore deve essere considerato come un dipendente del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione.
La lotta agli abusi viene condotta anche su un altro versante: chi manda lavoratori in Italia ha l’obbligo di designare un referente elettivamente domiciliato in Italia, incaricato di inviare e ricevere atti e documenti relativi al rapporto di lavoro e di curare le relazioni sindacali, e deve inviare una comunicazione preventiva al ministero del Lavoro, entro le ore 24.00 del giorno antecedente l’inizio del distacco, che contenga i dati identificativi del rapporto.

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Triangolazione Iva, non imponibilità a maglie più larghe

11 Maggio 2018

Il Sole 24 Ore 20 Aprile 2018 di Anna Abagnale e Benedetto Santacroce
Corte Ue. La tassazione degli scambi interni
Si resta nell’ambito di una triangolazione comunitaria qualora il primo cessionario risieda e sia identificato ai fini Iva nello Stato membro dal quale i beni siano spediti o trasportati ma utilizzi, ai fini dell’acquisto intraUe, un numero di identificazione Iva di un altro Stato membro. Inoltre, non può venir meno la non imponibilità dell’acquisto intraUe realizzato ai fini di una successiva cessione verso un altro Stato membro, per una presentazione non tempestiva dell’Intrastat.
La pronuncia di ieri della Corte di giustizia Ue (sentenza 19 aprile 2018, causa C-580/16), ripassando all’esame la corretta tassazione degli scambi interni all’Unione, è il sintomo di come tale disciplina non sia stata ancora interiorizzata appieno dagli ordinamenti degli Stati membri.
Al riguardo, è fuori discussione che se, ad esempio, un operatore italiano acquista beni da un soggetto passivo residente in Olanda, dando incarico a quest’ultimo di consegnarli direttamente al proprio cliente residente in Grecia, l’italiano rispetto al fornitore olandese pone in essere un acquisto intraUe non imponibile Iva, in quanto i beni acquisiti sono oggetto di una cessione intraUe. Il salto della tassazione in capo al soggetto intermedio (primo cessionario/secondo cedente) è quindi ammesso a condizione che il secondo (e ultimo) cessionario abbia l’obbligo di tassare nel proprio territorio l’operazione.
Ma cosa succede se il primo e il secondo cedente coincidono? Ovvero, cosa succede se l’operazione non coinvolge tre diversi soggetti registrati ai fini Iva in tre diversi Stati membri, ma due partite Iva della stessa società ed un terzo? Può parlarsi ancora di triangolare comunitaria con gli effetti sopra menzionati?
È esattamente questo il caso posto all’attenzione dei giudici europei, che hanno colto l’occasione per sottolineare come spesse volte occorre andare oltre la lettera della norma ed analizzarla nell’intero complesso e secondo gli scopi perseguiti dal diritto dell’Unione.
Se così non fosse, la semplice lettura dell’articolo 141, lettera c) della direttiva Iva impedirebbe la detassazione della prima operazione della triangolare descritta, in quanto la norma richiede che i beni oggetto dell’acquisto intraUe siano trasportati a partire da un Stato membro diverso da quello in cui il soggetto passivo è identificato, a destinazione del soggetto nei cui confronti questi effettui la cessione successiva.
Al contrario – conclude la Corte – attraverso un’interpretazione sistematica ed in linea con lo scopo di semplificazione delle disposizioni sul tema, la non imponibilità in capo al primo acquirente non può essere negata, senza generare disparità di trattamento e limitazioni all’esercizio delle attività economiche, per il solo motivo che tale soggetto sia identificato anche nello stato di partenza del trasferimento intraUe.

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Attività sui conti, no alle presunzioni

11 Maggio 2018

Il Sole 24 Or e 24 Aprile 2018 di Salvina Morina e Tonino Morina

Cassazione. L’imputabilità a una società di versamenti personali deve essere provata

Il Fisco perde in primo grado, in secondo grado e in Cassazione. E meno male che dopo non ci sono altri gradi di giudizio. Per la Cassazione, deve essere annullato l’accertamento dell’ufficio, relativo all’anno 2002, che non ha provato in alcun modo che i versamenti rilevati sui conti personali del socio e della figlia fossero effettivamente riferibili alla società (ordinanza 9212/2018, depositata il 13 aprile 2018). Dopo tre bocciature e dopo oltre dieci anni, il Fisco non incassa nulla e viene anche condannato al pagamento delle spese che la Cassazione liquida in 6mila euro per compensi, più 200 euro per esborsi e il 15% a titolo di spese forfettarie. Ecco i fatti.
L’agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Campobasso, a seguito di una verifica fiscale ad una società a responsabilità limitata, con conseguente indagine bancaria sui conti correnti dell’amministratore della società e della figlia dell’amministratore, accerta per l’anno 2002 maggiore imponibile a titolo di Irpeg (l’allora imposta sul reddito delle persone giuridiche), Iva e Irap. Per l’ufficio, non erano state adeguatamente giustificate le movimentazioni bancarie.
Contro l’accertamento, la società presenta il ricorso che viene accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, con conseguente annullamento dell’atto dell’ufficio. Contro la sentenza dei giudici di primo grado, l’ufficio presenta l’appello che viene respinto dalla Commissione tributaria regionale del Molise, in quanto, per i giudici di secondo grado, l’ufficio non ha «adeguatamente provato che i movimenti considerati sui conti esaminati fossero riferibili alla società».
Contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise, l’ufficio, ostinatamente, presenta il ricorso in Cassazione al quale la società replica con controricorso. L’ufficio riesce così a subìre la terza bocciatura, perché anche la Cassazione rigetta il ricorso dell’ufficio. Per i giudici di legittimità, al fine di contestare la fittizietà dei conti bancari a terzi, è sempre «necessario che l’Agenzia provi che i conti, se pure a costoro intestati nella realtà, siano comunque utilizzati, anche in parte, per operazioni riferibili alla contribuente anche tramite presunzioni, sia pure senza necessità di provare altresì che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali (in termini, tra varie, Cassazione 21 aprile 2016, n. 8112, 13 giugno 2014, n. 13473)».
L’onere di provare che le risultanze dei conti dei terzi sono riconducibili al soggetto indagato incombe sull’amministrazione finanziaria. L’ufficio, nel caso in esame, «non ha dedotto elementi atti a consentire di affermare che i movimenti rilevati sui conti personali dell’amministratore e della figlia, della quale non è chiarita la qualità in seno alla società, fossero effettivamente riferibili a questa». In conclusione, la Cassazione, confermando le bocciature dei giudici di merito, di primo e secondo grado, rigetta il ricorso dell’ufficio.

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Dalle Spa ai trust «proprietari» in chiaro

11 Maggio 2018

Il Sole 24 Ore 30 Aprile 2018 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Antiriciclaggio. Entro il 4 luglio va emanato il decreto Mef-Sviluppo: numerosi i soggetti abilitati ad accedere a dati sensibili, compresi alcuni privati

In arrivo l’obbligo di comunicare al Registro imprese il titolare effettivo ma mancano le istruzioni

A poco più di due mesi dalla dead line per l’emanazione non trapela ancora nulla sul decreto attuativo relativo alle modalità di comunicazione di dati e notizie sulla titolarità effettiva di persone giuridiche e trust all’apposita sezione del Registro delle imprese. Nonostante si tratti di problematiche molto delicate che coinvolgono in modo massiccio imprese e professionisti, contrariamente a quanto avvenuto per altri decreti dai dicasteri competenti (Mef e ministero dello Sviluppo economico) al momento non viene reso noto nulla in consultazione pubblica.
Il decreto 90/2017 di modifica della normativa antiriciclaggio ha previsto l’istituzione di un’apposita sezione del Registro delle imprese all’interno della quale vanno indicate le informazioni relative alla titolarità effettiva di persone giuridiche e trust (nuovo articolo 21 del Dlgs 231/2007). La sezione verrà alimentata solo in via telematica e in esenzione da imposta di bollo attraverso una comunicazione che le imprese dotate di personalità giuridica e le persone giuridiche private tenute all’iscrizione presso il Registro delle imprese saranno obbligate a effettuare.
Le modalità attuative relative alle comunicazioni ai dati e alle informazioni da fornire vanno disciplinate – come detto – da un decreto Mef e Sviluppo da emanarsi entro 12 mesi dall’entrata in vigore delle modifiche: e quindi entro il 4 luglio 2018. Il testo di cui non c’è traccia, appunto.
Così le informazioni
Gli amministratori di società di capitali devono acquisire sulla base delle scritture contabili e societarie le informazioni relative al titolare effettivo della società e conservarle per cinque anni. Nel caso in cui ciò non sia possibile dovranno rivolgere richiesta ai soci, il cui rifiuto o inerzia comporta l’impossibilità di esercitare il diritto di voto con l’eventuale impugnabilità delle delibere assunte. Le informazioni vanno poi comunicate ai soggetti obbligati all’osservanza degli adempimenti antiriciclaggio, e, non appena sarà operativa la modalità, alla Camera di commercio.
I contenuti del decreto
Il testo deve stabilire:
dati e informazioni sulla titolarità effettiva delle imprese dotate di personalità giuridica, delle persone giuridiche private e dei trust da comunicare;
modalità e termini entro cui effettuare la comunicazione;
modalità attraverso cui le informazioni sulla titolarità effettiva sono rese tempestivamente accessibili alle autorità ispettive e di vigilanza;
modalità di consultazione delle informazioni da parte dei soggetti obbligati e i relativi requisiti di accreditamento.
È evidente che si tratta di informazioni molto delicate e, nonostante la normativa preveda delle restrizioni all’accesso della sezione, in realtà i soggetti che verranno abilitati sembrano essere numerosi. Ne consegue che una volta operativa la disposizione, di fatto, verranno fortemente ridimensionate le possibilità di schermare, attraverso fiduciarie, operazioni di carattere commerciale e, quindi, di garantire l’anonimato dei fiducianti, in presenza di esigenze di concorrenza e/o esclusiva o di altre ragioni legittime.
Chi potrà accedere
Sono abilitati all’accesso:
Mef, Autorità di vigilanza di settore, Uif per l’Italia, direzione investigativa antimafia, Guardia di finanza attraverso il Nucleo speciale polizia valutaria senza alcuna restrizione;
direzione nazionale antimafia e antiterrorismo;
autorità giudiziaria, conformemente alle proprie attribuzioni istituzionali;
autorità preposte al contrasto dell’evasione fiscale;
soggetti obbligati, a supporto degli adempimenti prescritti in occasione dell’adeguata verifica;
soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi diffusi, titolari di un interesse giuridico rilevante e differenziato, nei casi in cui la conoscenza della titolarità effettiva sia necessaria per curare o difendere, nel corso di un procedimento giurisdizionale, un interesse corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata, quando abbiano ragioni, concrete e documentate, per dubitare che la titolarità effettiva sia diversa da quella legale. L’interesse deve essere diretto, concreto e attuale e, nel caso di enti rappresentativi di interessi diffusi, non deve coincidere con l’interesse di singoli appartenenti alla categoria rappresentata.
L’accesso alle informazioni può essere escluso qualora riguardino persone incapaci o minori d’età o nel caso in cui esponga il titolare effettivo a rischi per la propria incolumità.

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Stretta Ocse sulle residenze facili per investimenti

11 Maggio 2018

Il Sole 24 Ore 27 Aprile 2018 di Valerio Vallefuoco

Elusione. Dopo il caso Malta l’Organizzazione chiede più controlli

L’Ocse prova a stringere sulle residenze «facili» per investimenti. Già nei mesi passati, l’organizzazione internazionale aveva segnalato l’importanza che tutti i contribuenti che mantengono le attività finanziarie all’estero siano segnalati in base al Crs (Common reporting standard), ossia lo scambio di informazioni internazionali in chiave antievasione e antielusione. Ora, prendendo spunto dalle rivelazioni del «Progetto Daphne» ( consorzio di giornalisti internazionali nato per proseguire il lavoro della giornalista investigativa maltese Daphne Caruana Galizia uccisa dalla criminalità organizzata) su alcune anomalie riscontrate dai media internazionali sulle modalità per ottenere la residenza maltese e la rispettiva cittadinanza per schemi di investimento, l’Ocse riaccende i fari sulla questione.
Sforzi che si inseriscono in una strategia più ampia per promuovere la disclosure degli intermediari (sia finanziari sia professionali) sugli schemi evasivi o elusivi. Proprio l’obbligo di divulgazione potrà avere un effetto deterrente anche quindi sulla promozione di schemi di investimento tesi ad ottenere residenze e cittadinanze ai soli fini di sottoporsi a giurisdizioni fiscali compiacenti denominate Cbi / Rbi (citizenship by investment e residence by investment) per aggirare il Crs e fornire alle autorità fiscali informazioni sull’abuso di tali schemi come gli accordi di elusione del Crs. In questo senso si è preso atto che la Ue ha già iniziato l’attuazione di queste norme come parte di una direttiva sulle comunicazioni obbligatorie.
Sempre l’Ocse ha iniziato a sensibilizzare le singole giurisdizioni, compresa Malta (a cui ha inviato una specifica richiesta di informazioni e di chiarimenti sui suoi schemi di investimento per ottenere le residenze), per renderle consapevoli del rischio di abuso dei loro schemi Cbi/Rbi e offrire assistenza nell’adozione di misure di contrasto stabilendo un elenco di comportamenti pericolosi.
Inoltre, il 19 febbraio scorso l’Ocse ha rammentato di aver pubblicato un documento di consultazione, delineando potenziali situazioni in cui l’uso improprio di schemi di investimento possa presentare un rischio elevato di segnalazione Crs accurata e ricerca di input pubblici sia per ottenere prove sull’uso improprio di tali schemi nonché su modi efficaci per prevenire tale abuso. Da tale consultazione pubblica sono pervenuti una notevole quantità di suggerimenti e indicazioni utili al contrasto al fenomeno e soprattutto una vasta gamma di proposte, in particolare sui controlli da eseguire nella domanda di residenza e cittadinanza a seguito di investimenti o sullo scambio spontaneo di informazioni finanziarie con le giurisdizioni originali di residenza fiscale dei contribuenti. Infine si è suggerito di rafforzare le procedure di due diligence Crs per le istituzioni finanziarie in relazione ai conti ad alto rischio. Proposte che saranno discusse dagli esperti dei Paesi Ocse e G20 che si incontreranno a Parigi a maggio.

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Sì all’aumento di capitale per compensazione

11 Maggio 2018

Il Sole 24 Ore 06 Aprile 2018 di Angelo Busani e Elisabetta Smaniotto

Cassazione. Nelle Srl possibile utilizzare il credito derivante dal finanziamento concesso alla società

È legittimo che il socio di Srl, a seguito della sottoscrizione di un aumento di capitale sociale (anche se deliberato per ricostituzione del capitale ridotto o azzerato a causa di perdite), esegua il conferimento dovuto compensando il debito originato dalla sottoscrizione con il credito derivante da un finanziamento che egli abbia in precedenza concesso alla società.
Non è dunque rilevante che, in sede di costituzione della società, i conferimenti di capitale non si possano eseguire per compensazione (in quanto, in tal caso, la società non preesiste, ma “nasce” in quel momento), né è rilevante che il credito alla restituzione del finanziamento, ai sensi dell’articolo 2467 del Codice civile, sia postergato, in certe situazioni, alla soddisfazione dei creditori della società diversi dai soci.
È quanto deciso dalla Cassazione nella sentenza n. 3946 del 19 febbraio 2018, che è rilevante in quanto, pur ribadendo la legittimità della liberazione mediante compensazione di una sottoscrizione in sede di aumento del capitale sociale (principio già affermato in Cassazione nelle sentenze 4236/1998 e 936/1996):
da un lato, interviene in una materia non pacifica (in senso contrario, infatti, si erano espresse sia la Cassazione, nella sentenza 13095/1992, sia, ripetutamente, la giurisprudenza di merito: Appello Napoli 7 marzo 1953, Tribunale Napoli 9 luglio 1962, Tribunale Treviso 4 marzo 1983; Appello Venezia 30 marzo 1994 e 17 giugno 1994; Tribunale Casale Monferrato 20 febbraio 1995; Tribunale Napoli 8 novembre 2006);
dall’altro sancisce che il principio non contrasta (in senso contrario ha recentemente deciso il Tribunale di Roma, in una sentenza del 6 febbraio 2017) con la normativa in base alla quale il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori diversi dai soci, nel caso in cui questo finanziamento sia stato concesso in un momento in cui risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.
La Cassazione sottolinea che, in sede di aumento di capitale, l’oggetto del conferimento da parte del socio non deve necessariamente identificarsi in un bene suscettibile di espropriazione forzata, bensì in un asset dotato di consistenza economica; per questo è legittimo il conferimento mediante compensazione tra debito del socio verso la società e credito vantato dal medesimo nei confronti della società stessa, dato che la società conferitaria perde il suo credito al conferimento ma acquista il valore consistente nella liberazione da un debito.
Sul tema della postergazione, per la Cassazione la norma mira a far sì che i soci, qualora finanzino la società, non possano avvantaggiarsi, in ipotesi di insolvenza della società finanziata, per il fatto di aver operato attraverso strumenti di debito (assumendo così la veste di creditori della società) e non attraverso di rischio. Perciò, qualora il finanziamento della società sia “trasformato” in un aumento di capitale, il problema della postergazione non si pone.

 

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Legittimi i pedinamenti degli 007 privati

11 Maggio 2018

Il Sole 24 Ore 05 Aprile 2018 di Alessandro Galimberti

Lavoro. Via libera della Cassazione all’utilizzo fuori sede degli investigatori per smascherare condotte infedeli dei dipendenti

milano
Piena utilizzabilità degli investigatori privati per controllare il dipendente, ma solo in luoghi pubblici (cioè non aziendali) e, ovviamente, in orario di svolgimento della prestazione. La Cassazione (sezione Lavoro, sentenza 8373/18, depositata ieri) torna ancora una volta sui limiti ispettivi del datore di lavoro previsti dall0 Statuto dei lavoratori (legge 300/1970, ultimo aggiornamento nel dlgs 185/16). Il contenzioso, sfociato in un licenziamento impugnato fino in Cassazione, riguardava il dipendente di un’assicurazione, funzionario di terzo grado, raggiunto sette anni fa dal provvedimento disciplinare originato da una serie di controlli esterni. Il lavoratore aveva eccepito, a partire dall’Appello, l’illegittimità dei controlli svolti da un’agenzia investigativa, considerato che era stato impegnato (anche) in attività non lavorative fuori dall’ufficio, non aveva violato il monte ore complessivo settimanale (37) e non era stato inoltre verificato se si fosse trattenuto in ufficio oltre il normale orario di lavoro, e quali erano stati i risultati raggiunti.
La Corte tuttavia ha rigettato il ricorso, condannando l’ex assicuratore anche alle spese di giudizio. La lamentata violazione delle garanzie previste dagli articoli 2 e 3 dello Statuto – in particolare sul personale terzo adibito ai controlli – non è pertinente, a giudizio della Cassazione, perché quelle «operano esclusivamente in riferimento all’esecuzione dell’attività lavorativa in senso stretto». Nel caso specifico i controlli “in esterni” non erano diretti a verificare le modalità dell’adempimento dell’obbligazione lavorativa, bensì «le cause dell’assenza del dipendente dal luogo di lavoro» inteso come «mancato svolgimento dell’attività lavorativa da compiersi anche all’esterno».
Nei 10 giorni di osservazione, tra l’altro, l’ex assicuratore «non aveva svolto alcuna attività lavorativa», giustificando così la sufficienza dell’osservazione degli investigatori sul suo comportamento inadempiente rispetto al minimo contrattuale.

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Scadenziario Maggio 2018

1 Maggio 2018

Scadenziario entro il 20 Maggio

  • Scade il termine per il pagamento dei contributi previdenziali /assistenziali I.S.S. F.S.S. E FONDISS per lavoratori dipendenti relativi al mese di aprile

Scadenziario entro il 31 Maggio

  • Scade il termine ultimo per il deposito del bilancio civile presso la Cancelleria del Tribunale. Dopo varie interpretazioni gli avvocati-notai affermano che il bilancio deve essere depositato entro 5 mesi dalla chiusura dell’esercizio e non approvato entro i 5 mesi. La sanzione di €. 5.000 scatta dunque dal ritardato deposito in Tribunale oltre al 31 maggio (vedi art. 5 della legge 98 del 07/06/2010).
  • Scade il  termine di presentazione dell’Istanza da presentare all’Ufficio Tributario per coloro che intendono avvalersi della procedura di emersione e rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero.

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