Decreto Delegato 4 maggio 2018 n.50 – Disposizioni in materia di credito agevolato a supporto delle imprese

8 Giugno 2018

Si allega il testo completo del provvedimento in oggetto volto a sostenere e incentivare  attraverso l’ erogazione di prestiti a tasso agevolato sia l’avvio di nuove attività economiche che la qualificazione,  diversificazione e consolidamento di imprese esistenti nel settore industriale, di servizio, artigianale e commerciale in qualsiasi veste giuridica.

D.D. 50 2018

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SÌ ALL’IVA SUL NOLEGGIO AUTO IN ITALIA DA SOCIETÀ INGLESE

8 Giugno 2018

Il Sole  24 Ore del 28 05 2018 di Gianpiero Notarangelo

Iva Ue–extra Ue

Ho ricevuto da un operatore la fattura relativa al noleggio di un’auto della durata di 24 ore. Sulla fattura sono indicati i dati della società inglese cui fa capo il noleggio auto. La fattura reca il costo per l’autonoleggio pari a 36,55 euro e addebita l’Iva al 22% per 8,04 euro. È corretta oppure dovrebbe essere senza Iva?
M.L.AVELLINO
L’articolo 7–quater del Dpr 633/72 dispone che si considerano effettuate in Italia «le prestazioni di servizi di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili, a breve termine, di mezzi di trasporto quando gli stessi sono messi a disposizione del destinatario nel territorio dello Stato e sempre che siano utilizzate all’interno del territorio della comunità».
Peraltro, qualora il committente nazionale sia un soggetto passivo d’imposta (iscritto al Vies, “Vat information exchange system”), il prestatore comunitario non deve assoggettare il noleggio a Iva, la cui applicazione è rimessa al committente mediante il meccanismo del reverse charge.
Qualora invece, nel caso specifico, il committente nazionale fosse un soggetto privato, il prestatore del servizio di noleggio dovrebbe applicare l’Iva italiana in fattura, previa nomina di un rappresentante fiscale (la possibilità di potere ancora utilizzare l’istituto alternativo dell’identificazione diretta per gli operatori residenti nel Regno Unito è dubbia dopo l’uscita di quest’ultimo dall’Unione Europea).

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Scambi intracomunitari con l’Iva del destinatario

8 Giugno 2018

Il Sole 24 Ore 26 Maggio 2018 di Benedetto Santacroce

Export. Approvate dalla Commissione Ue le misure tecniche

Dopo 25 anni di regime transitorio Iva degli scambi intracomunitari di beni, ieri la Commissione europea ha approvato le misure tecniche di dettaglio per un sistema definitivo con un’applicazione più semplice dell’imposta e più efficace nel contrasto delle frodi. Il nuovo sistema si basa su un principio di tassazione nello Stato di destinazione dei beni con assolvimento e responsabilità dell’imposta in capo al venditore. Con l’introduzione del nuovo sistema definitivo diremo anche addio, almeno sul piano fiscale, agli Intrastat.
Attualmente le cessioni intracomunitarie sono tassate ai fini Iva attraverso un meccanismo di inversione contabile o reverse charge che prevede una non imponibilità della cessione e un’imponibilità dell’acquisto intracomunitario. Pertanto se un operatore francese vende dei beni ad un operatore italiano trasferendo i beni dalla Francia all’Italia, il francese realizza una cessione non imponibile in Francia, mentre l’operatore italiano tassa l’acquisto intracomunitario in Italia integrando la fattura estera e liquidando l’imposta sia in vendita che in acquisto.
Questo sistema ha generato nel tempo complicazioni, pesanti oneri amministrativi e un elevato livello di evasione (stimato dalla Commissione Ue in 50 miliardi di euro).
Le nuove regole proposte cercano di superare le attuali problematiche attraverso una rivisitazione del sistema e il ricorso alle nuove tecnologie.
Sul piano del sistema, riprendendo l’esempio di prima, il francese effettuerà una operazione che verrà tassata sempre in Italia, ma in luogo di emettere una fattura senza imposta, lui diverrà il responsabile della riscossione dell’imposta. Pertanto il francese dovrà versare in Francia all’Italia l’imposta relativa all’acquisto fatto dall’operatore italiano con l’aliquota Iva vigente in Italia.
Per far ciò, sulla base della positiva esperienza del sistema One Shop Stop (Oss) adottato in via sperimentale per le transazioni relative ai servizi a distanza verso consumatori finali (B2C), l’Unione metterà a disposizione di tutti gli operatori unionali una piattaforma informatica con la quale sarà possibile procedere alla tassazione di tutte le transazioni B2B versando direttamente nello Stato di stabilimento l’imposta allo Stato di destinazione.
Il meccanismo sarà operativo anche per i soggetti residenti in Paesi extracomunitari che potranno, nominando un rappresentante in un solo Stato membro, tassare tutte le cessioni intraunionali.
Il sistema Oss sarà applicato in via generale su tutte le cessioni intraunionali, ad eccezione del caso in cui il soggetto acquirente sia considerato dalle amministrazioni fiscali degli Stati membri un soggetto affidabile. In effetti, in questo caso si continuerà ad applicare il meccanismo di tassazione attuale con esenzione della cessione e tassazione dell’acquisto direttamente a cura dell’acquirente. Questa eccezione comporta però che venga introdotto anche ai fini Iva un sistema di certificazione intraunionale che riconosca l’affidabilità Iva dei soggetti passivi d’imposta. Nasce così, come avevamo già evidenziato da queste stesse pagine nei mesi scorsi (si veda da ultimo Il Sole 24 Ore del 5 ottobre 2017), la figura del Certified taxable person (Ctp).
L’introduzione di questa forma di certificazione di affidabilità apre la strada ad ulteriori semplificazioni che nei piani della Commissione dovrebbero essere rapidamente attuati (quali ad esempio la gestione semplificata delle vendite a catena).

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Sono deducibili le perdite da derivati accumulate in anni

8 Giugno 2018

Il Sole 24 Ore 23 Maggio 2018 di Laura Ambrosi

Ctr Emilia Romagna. Contratti su valuta

Le perdite generate da contratti derivati su valuta estera sono deducibili anche se accumulate negli anni per i continui rinnovi dei contratti stessi, nella speranza che la situazione valutaria migliorasse. A fornire questo importante principio è la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna con la sentenza n. 367/01/2018
Una società, esercente la vendita alla grande distribuzione di prodotti, importava con pagamenti in dollari materie prime da Paesi extra Ue. Per coprire il rischio di cambio euro/dollaro la società utilizzava tra l’altro contratti derivati stipulati con un primario istituto di credito.
Verso la fine del 2002 la svalutazione del dollaro determinava un valore negativo per questi contratti: nella speranza di una rivalutazione del dollaro rispetto all’euro, che avrebbe ridotto le perdite accumulate, i contratti venivano ripetutamente rinegoziati con l’istituto di credito. Negli anni però la situazione peggiorava e quindi la banca negava ulteriori proroghe. Si sottoscriveva così una transazione e le significative perdite conseguite venivano dedotte.
A seguito di un controllo l’Ufficio riteneva non inerenti tali costi valutati “speculativi” e non di “copertura”. L’atto impositivo veniva annullato dalla Ctp. L’Ufficio ricorreva in appello ribadendo l’indeducibilità di tali perdite per assenza di inerenza
La Ctr Emilia Romagna ha confermato l’annullamento della rettifica. In particolare i giudici hanno evidenziato che questi costi sono deducibili in quanto rientrano nel concetto ampio di inerenza riferibile all’attività di impresa. L’inerenza va interpretata come una relazione tra due concetti (la spesa e l’impresa) che implica un accostamento concettuale tra due circostanze. Ne consegue che il costo assume rilevanza ai fini della quantificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con una attività “potenzialmente” idonea a produrre utili.
La pronuncia, che risulta essere definitiva per omessa impugnazione, rappresenta uno dei primi interventi dei giudici tributari sulla delicata questione delle perdite su derivati che, con modalità diverse, ha interessato negli anni scorsi numerose aziende e persone.

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Immobili, conti e preziosi all’estero nel quadro RW

8 Giugno 2018

Il Sole 24 Ore 09 Maggio 2018  Pagina a cura di
Fabrizio Cancelliere

I beni patrimoniali vanno indicati al costo storico, le attivita finanziare a quello di mercato

Il quadro RW va compilato dalle persone fisiche, dagli enti non commerciali e dalle società semplici, compresi i soggetti equiparati, che sono residenti in Italia ai fini fiscali e detengono investimenti all’estero, a titolo di proprietà, usufrutto, nuda proprietà o altro. L’obbligo è a carico del titolare formale, dei soggetti delegati al prelievo del conto corrente e del titolare effettivo.
Chi è esonerato
Nessun obbligo di monitoraggio per enti commerciali, società commerciali, enti pubblici e Oicr; contribuenti che prestano la propria attività lavorativa all’estero, la cui residenza fiscale in Italia è determinata ex lege o in base a accordi internazionali ratificati in Italia, ovvero che la svolgono in via continuativa per la maggior parte del periodo d’imposta in zone di frontiera/Paesi limitrofi, questi ultimi nei limiti degli investimenti detenuti nello Stato estero in cui l’attività lavorativa è svolta e non oltre sei mesi dall’interruzione dell’attività. L’esonero è esteso al coniuge e ai familiari di primo grado del lavoratore cointestatari ovvero beneficiari di procura o delega, del conto corrente utilizzato per l’accredito degli emolumenti o stipendi esteri.
Cosa si indica e cosa no
In RW si indicano i beni patrimoniali esteri suscettibili di produrre reddito in Italia, indipendentemente dall’effettiva produzione di reddito, come immobili o altri diritti reali, oggetti preziosi e opere d’arte, imbarcazioni e beni mobili registrati. Inoltre, vanno sempre indicate le attività estere da cui possono derivare redditi di capitale o redditi diversi: quindi partecipazioni, obbligazioni (anche italiane se emesse all’estero), altri titoli, valute, depositi e conti correnti e in generale attività finanziarie detenute all’estero e attività finanziarie estere, detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti. Nel caso di partecipazioni in enti situati in Paesi non collaborativi, di cui il contribuente sia titolare effettivo, in luogo della partecipazione vanno indicati i singoli beni indirettamente detenuti per il tramite della società.
Non si indicano le attività patrimoniali e finanziarie affidate in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento, qualora i flussi finanziari e i redditi derivanti da tali attività e contratti siano stati assoggettati a ritenuta o a imposta sostitutiva dagli intermediari stessi, versamenti a forme di previdenza estere obbligatorie e stock option durante il “vesting period”, salvo se cedibili, immobili per i quali non siano intervenuti in corso d’anno variazioni (fatti i salvi i versamenti a titolo di Ivie).
Che valore indicare
I valori rilevanti ai fini Ivie e Ivafe, convertiti in euro sulla base del cambio medio; per i beni patrimoniali: “costo storico” maggiorato degli oneri accessori (possibile valore catastale degli immobili Ue) ovvero, in mancanza, valore di mercato supportato da perizia; per le attività finanziarie: valore di mercato, o, se non quotate, valore nominale (in mancanza di questi il valore di rimborso, o se non si ha il costo di acquisto). Per i conti correnti e i libretti di risparmio, va indicato il valore medio di giacenza, nonché l’ammontare massimo, se detenuti in Paesi non collaborativi. L’indicazione non è obbligatoria per conti correnti e depositi la cui giacenza massima non superi i 15mila, salvo sia dovuta l’Ivafe.
Tra i dati da indicare ci sono anche la quota in percentuale dell’investimento, il numero di giorni/mesi di possesso (ma solo se dovute Ivie e/o Ivafe, in caso contrario occorre barrare l’apposita casella 20), la tipologia dei redditi di capitali o diversi prodotti nel periodo d’imposta ovvero l’indicazione che si tratta di investimenti infruttiferi o i cui redditi saranno percepiti successivamente; per i titolari effettivi, la percentuale di partecipazione nella società/entità estera ed il relativo codice identificativo della stessa.
Ivie e Ivafe
La liquidazione è calcolata automaticamente sulla base dei dati precedenti, pari allo 0,76% per Ivie sugli immobili e 0,2% per Ivafe su prodotti finanziari (misura fissa di 34,20 euro per conti correnti e libretti di risparmio, salvo esonero se la giacenza media non supera 5 mila euro), da calcolare sulla base del valore a fine anno (o alla data di disinvestimento), rapportata a mesi per l’Ivie e a giorni per l’Ivafe. Possibile scomputare le imposte patrimoniali già versate all’estero sugli stessi beni.

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Pc dei dipendenti controllabili per tutelare i beni aziendali

8 Giugno 2018

Il Sole 24 Ore 29 Maggio 2018 di Giuseppe Bulgarini d’Elci

Privacy. Il collaboratore va informato delle possibili verifiche

Il controllo datoriale attraverso un’indagine retrospettiva di carattere informatico sull’utilizzo del computer in dotazione al dipendente, da cui si era riscontrato un utilizzo del bene aziendale per finalità extra lavorative, non si pone in violazione della normativa sui controlli a distanza di cui all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300/70).
Con la sentenza n. 13266/18, depositata ieri, la Cassazione rimarca che non si rientra nel campo di applicazione della norma statutaria se le verifiche effettuate tramite il tracciamento informatico sono dirette ad accertare comportamenti illeciti del dipendente che riverberino un effetto lesivo sul patrimonio aziendale e sull’immagine dell’impresa. Ne consegue, ad avviso della Corte, che i dati raccolti in un’indagine sull’utilizzo del computer da parte del dipendente possono essere validamente posti a fondamento di un licenziamento disciplinare.
Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Cassazione riguardava un lavoratore sorpreso dal direttore tecnico dell’impresa ad utilizzare il computer per finalità ludiche, convincendo la società ad effettuare un’indagine retrospettiva sulle attività che il dipendente aveva svolto nelle settimane precedenti avvalendosi del mezzo meccanico in dotazione.
Poiché i riscontri avevano consentito di appurare un ampio ricorso al computer per giocare, il dipendente era stato sottoposto ad un’azione disciplinare sfociata nel licenziamento. Il lavoratore aveva impugnato il recesso sul presupposto che i riscontri erano intervenuti in aperta violazione della disciplina che impone, laddove si utilizzino apparecchiature da cui possa derivare un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, un previo accordo sindacale o, in difetto, l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.
La Cassazione, aderendo alle conclusioni raggiunte dalla corte territoriale, esclude che la raccolta dei dati sia avvenuta disattendendo l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, in quanto il monitoraggio non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro, bensì la tutela di beni estranei al contratto di lavoro in sé.
La Corte osserva che il giudice è chiamato ad un bilanciamento tra l’esigenza datoriale di proteggere gli interessi e i beni aziendali e le irrinunziabili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, comportando che l’uso degli strumenti di controllo intervenga sulla base di principi di ragionevolezza e proporzionalità, essenso richiesto che il lavoratore sia stato previamente informato dal datore del possibile controllo delle sue comunicazioni. In questo quadro, se i dati personali dei dipendenti relativi alla navigazione in internet, così come alla posta elettronica o alle utenze telefoniche da essi chiamate, sono estratti con lo scopo di tutelare beni estranei al rapporto di lavoro, tra cui rientrano il patrimonio e l’immagine aziendali, non si ricade nelle limitazioni statutarie e i dati acquisiti possono essere legittimamente utilizzati in funzione disciplinare contro il lavoratore.

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Distacchi senza condizioni-dumping

8 Giugno 2018

Il Sole 24 Ore 30 Maggio 2018 di Giampiero Falasca

Unione europea. Il Parlamento ha approvato ieri in via definitiva le nuove regole da recepire entro due anni

Vincoli più stringenti per i lavoratori inviati in un altro Stato

Scende da 24 a 12 mesi (con possibile proroga a 18) il periodo nel quale il lavoratore distaccato in ambito comunitario mantiene il regime previdenziale del Paese di provenienza, e viene rafforzato il principio di parità di trattamento retributivo.
Con l’approvazione definitiva di queste modifiche alla direttiva 96/71/Ce (come integrata dalla direttiva 2014/67/Ue), avvenuta ieri, il Parlamento europeo cerca di contrastare l’utilizzo distorto di un istituto – il distacco transnazionale dei lavoratori – fondamentale per la vita delle imprese multinazionali ma portatore di grandi problemi applicativi.
Oltre all’intervento sul tema contributivo viene rafforzato il principio di parità di trattamento tra lavoratori “interni” e quelli distaccati.
Gli Stati membri dovranno provvedere affinché, indipendentemente da quale legge si applichi al rapporto di lavoro, le imprese distaccatarie garantiscano ai lavoratori distaccati le stesse condizioni riconosciute ai dipendenti interni sulla base delle vigenti disposizioni legislative, regolamentari, amministrative e collettive.
Inoltre dovranno essere applicate le norme sui periodi massimi di lavoro e minimi di riposo, la durata minima dei congedi annuali retribuiti. Sono oggetto di parità di trattamento anche le condizioni di cessione temporanea degli addetti da parte di imprese di lavoro temporaneo, le norme sulla sicurezza, salute e igiene sul lavoro, i provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e giovani.
Un capitolo specifico viene dedicato alla parità nelle condizioni di alloggio dei lavoratori e alle indennità? o rimborso a copertura delle spese di viaggio, vitto e alloggio per i lavoratori lontani da casa per motivi professionali.
Infine, si precisa che il concetto di retribuzione è determinato dal diritto e dalle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato, e include tutti gli elementi della retribuzione resi obbligatori da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali, da contratti collettivi o da arbitrati che sono stati dichiarati di applicazione generale nello Stato membro in questione.
Per rafforzare questo impegno, si prevede l’obbligo per gli Stati membri di pubblicare su un unico sito web ufficiale nazionale gli elementi costitutivi della retribuzione.
Gli Stati membri hanno tempo due anni per adeguare le norme interne alle nuove regole: nel nostro Paese questo adeguamento potrebbe rendere necessari degli adattamenti al decreto legislativo 136/2016 in tema di parità di trattamento (senza stravolgerlo, perché accoglie già una nozione ampia di parità di trattamento), oltre all’adeguamento delle regole previdenziali applicabili per i distacchi di durata superiore a 12 mesi.

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La tutela dei dati si allarga fuori dai confini dell’Ue

8 Giugno 2018

Il Sole 24 Ore 25 Maggio 2018 di Rosario Imperiali

La Convenzione. Un nuovo protocollo per 47 paesi

È il giorno del Gdpr, il nuovo regolamento europeo sulla privacy, che entra pienamente in vigore oggi. Ma uno strumento normativo di pari importanza sulla data protection è stato approvato in questi stessi giorni: il Protocollo di modernizzazione della convenzione del Consiglio d’Europa sul trattamento di dati personali, meglio nota come «Convenzione 108». L’approvazione del 18 maggio scorso avvia il procedimento di ratifica da parte dei parlamenti nazionali ed è un ulteriore passo fondamentale, con il Gdpr, verso uno standard internazionale di princìpi e regole omogenee.
I due strumenti normativi lasciano oggi uno spazio a quelle aree del globo ancora prive di adeguate tutele legali sull’uso di dati personali e la scomparsa dei confini spaziali nella società dei sensori non può prescindere da regole globali condivise. Il Consiglio d’Europa è un organismo internazionale, con sede a Strasburgo, sorto subito dopo il secondo conflitto mondiale. Costituito in origine da 10 Paesi – oggi sono 47, non solo europei – vanta la primazia sulla regolamentazione internazionale in materia.
Diversamente dal Gdpr, legge interna della Ue, la Convenzione 108 del 1981 – e il suo Protocollo di modernizzazione che ne costituisce parte sostanziale – è un trattato internazionale (unico in materia) che vincola gli Stati firmatari: questi potranno anche non far parte del Consiglio. Consiglio d’Europa e Unione europea si sono sempre mossi in sintonia in ambito data protection, la Convenzione ha influito decisamente sull’assetto della direttiva 95/46 e quest’ultima innescò l’approvazione di un primo Protocollo aggiuntivo (nel 2001) per recepire nella Convenzione talune novità della direttiva. Più di recente, il lungo percorso della riforma Ue culminata col Gdpr è stato affiancato dall’iter di ammodernamento della Convenzione, anch’esso iniziato nel 2011 e concluso il 18 maggio.
I lavori preparatori del Gdpr e quelli per la modernizzazione della Convenzione 108 si sono svolti in parallelo per assicurare un approccio consistente in entrambi i sistemi normativi, tanto che il Gdpr (nel Considerando 105) riconosce che nel valutare l’adeguatezza del livello di protezione nei Paesi terzi «si dovrebbe tenere in considerazione» la loro adesione alla Convenzione. Un assist per la complessa procedura di riconoscimento, svolta dalla Commissione Ue, che faciliterà i flussi esteri di dati.
Princìpi di liceità e requisiti di legittimazione, privacy by design, disciplina del data breach e misure tecnico-organizzative per una sicurezza adeguata, aumentata trasparenza, diritti degli interessati e azioni di tutela, disciplina dei trasferimenti di dati all’estero. Tutto ciò trova analoga disciplina nei due contesti normativi di Gdpr e Convenzione, contribuendo a costruire un comune piano d’azione.
Gli Stati che intendono firmare il Protocollo saranno obbligati a recepirne princìpi e regole nei propri ordinamenti, prima di procedere alla ratifica della Convenzione, atto dal quale scatta il vincolo di conformità per gli Stati firmatari. Il Comitato, organo appositamente costituito all’interno della Convenzione, vigilerà sull’effettiva applicazione da parte degli Stati aderenti.

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Perdite su crediti deducibili

8 Giugno 2018

Il Sole 24 Ore 05 Maggio 2018 di Laura Ambrosi

Accertamenti. Nessun peso alle cause che le hanno generate

L’Amministrazione non può disconoscere la deduzione della perdita su crediti solo perché l’imprenditore avrebbe dovuto agire diversamente per recuperare le proprie spettanze: il Legislatore, infatti, non ha subordinato la deducibilità a seconda delle cause che l’hanno generata, ma alla sussistenza di elementi certi e precisi sul valore dedotto. Così la Cassazione con l’ordinanza n. 10643 depositata ieri.
L’agenzia delle Entrate notificava a una società un avviso di accertamento con il quale disconosceva la deduzione di una perdita su crediti. Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario che per entrambi i gradi confermava le ragioni della contribuente. In particolare, la Ctr riteneva che tale perdita fosse stata legittimamente dedotta poiché la società aveva fornito la prova documentale delle azioni legali intraprese per il recupero di quanto dovuto, in esito alle quali era stato incassato solo un decimo del credito originario.
La Cassazione ha ricordato che per la deducibilità delle perdite sui crediti, non è necessario che il contribuente fornisca la prova di essersi attivato per conseguire una dichiarazione giudiziale dell’insolvenza del debitore e quindi l’assoggettamento a procedura concorsuale. Secondo la norma, infatti, è sufficiente che le perdite siano documentate in modo certo e preciso.
I giudici di legittimità hanno così precisato che la scelta imprenditoriale di transigere con un proprio cliente non rende indeducibile la perdita stessa, poiché il legislatore non ha posto alcun vincolo in relazione alla causa che l’ha determinata (Cassazione 10256/2013). Nella specie, la valutazione del giudice di merito era fondata su fatti oggettivi dai quali era stato confermato l’incasso di una somma inferiore rispetto al credito originario.
La decisione si uniforma all’orientamento della Cassazione secondo cui gli uffici non possono spingersi alla verifica oggettiva circa l’opportunità delle scelte assunte dal contribuente. Il controllo, infatti, attingerebbe a valutazioni di strategia commerciale riservate all’imprenditore (Cassazione 21405/2017). È così auspicabile che gli uffici si adeguino, poiché non di rado disconoscono un costo solo perché ritenuto un «cattivo affare», ventilando possibili ipotesi alternative, in realtà astratte e poco concrete. In tale contesto, peraltro, occorre quanto meno considerare che in ogni caso la valutazione dei verificatori avviene in un momento successivo a quando l’imprenditore ha assunto le decisioni. Non a caso, il rischio «cattivo affare» è parte dell’attività di impresa.

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Non c’è una stabile organizzazione senza autonomia

8 Giugno 2018

Il Sole 24 Ore 19 Maggio 2018 di Laura Ambrosi

Società estere. Occorrono uomini e mezzi

La sede di una direzione in Italia di un ente straniero non è stabile organizzazione: occorre che sia autonomamente in grado di produrre beni o prestare servizi e che quindi abbia personale e dotazioni tecniche sufficienti. È la precisazione data dalla Cassazione con la sentenza 12237/2018 depositata ieri.
Due società ricorrevano avverso plurimi provvedimenti con cui l’agenzia delle Entrate recuperava Iva su operazioni compiute da un consorzio francese. Per l’ufficio, poiché in Italia si svolgevano le riunioni e le attività del consorzio, si trattava di una stabile organizzazione.
Entrambi i giudici di merito, annullavano i provvedimenti e l’Agenzia ricorreva in Cassazione. La Corte, confermando la decisione della Ctr, ha anzitutto richiamato i criteri dell’articolo 5 del Modello di convenzione Ocse contro la doppia imposizione e del suo commentario, secondo cui per la nozione di stabile organizzazione occorre individuare un centro di attività stabile.
Per la giurisprudenza europea, tale «centro di attività stabile» si concretizza in una struttura con risorse materiali ed umane e può essere anche un’entità con personalità giuridica, cui la società straniera abbia affidato la cura degli affari. Vanno escluse le attività di carattere meramente preparatorio o ausiliario, come prestazione di consulenze, fornitura di know how, assunzione di personale o acquisto di mezzi tecnici (Corte Ue, sentenza sulla causa C-73/06).
La prova dello svolgimento di tale attività da parte del soggetto nazionale si può ricavare anche da indizi, quali l’identità delle persone fisiche che agiscono per l’impresa straniera e per quella nazionale o la partecipazione a trattative o alla stipula di contratti, indipendentemente da poteri di rappresentanza.
Per poter considerare il centro di attività un riferimento ai fini della cessioni di beni o prestazioni di servizi, occorre che la sede sia sufficientemente strutturata per personale e dotazioni tecniche, rendendo possibili in modo autonomo le operazioni.
La Corte precisa che alla luce di ciò va escluso che si possa configurare stabile organizzazione in una sede di direzione. Il consorzio in Italia svolgeva riunioni di alcuni manager del gruppo, quindi mancava la struttura idonea con apporto umano e tecnico. Di qui la conferma dell’infondatezza della pretesa.

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