Decreto Legge 13 giugno 2018 nr 62

5 Luglio 2018

Proroga dei termini per la presentazione della domanda di concessione edilizia in sanatoria straordinaria di cui al comma 1 art. 33 L 7/8/2017 nr 94 come mod. dal c 5 art 95 L 21/12/2017 nr 147 ed adeg. termini correlati.

D.L. 13 giugno 2018 nr 62

 

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Decreto Delegato 25 giugno 2018 nr 68 – Settori di attività soggetti al nulla osta del Congresso di Stato

5 Luglio 2018

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Decreto Legge 28 giugno 2018 nr 76 – Disciplina del regime per la detassazione dei redditi derivanti da beni immateriali

5 Luglio 2018

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Sono inerenti i compensi elevati se il manager è di «qualità»

5 Luglio 2018

Il Sole 24 Ore 27 GIUGNO 2018 di Luca Gaiani

NUOVE PRONUNCE

Per la Cassazione i criteri vanno riferiti alle necessità dell’impresa

Occorre dimostrare la regolarità della nomina e l’effettività dell’incarico

L’inerenza “qualitativa” apre la strada alla deduzione dei compensi agli amministratori, anche se di importo ritenuto non congruo dal Fisco. Il nuovo orientamento della Cassazione, consolidatosi negli ultimi mesi (con alcune eccezioni) a seguito dell’ordinanza 450/2018 (si veda il Sole 24 Ore del 12 febbraio scorso), consente di analizzare sotto una nuova luce le contestazioni che gli Uffici sono soliti effettuare su spese che, seppur indiscutibilmente sostenute nell’ambito dell’attività di impresa, sono ritenute quantitativamente eccessive e dunque antieconomiche.
Inerenza qualitativa
Con alcune pronunce succedutesi negli ultimi mesi, la Cassazione ha in parte mutato orientamento sui presupposti del principio di inerenza, che è uno dei requisiti fondamentali per la deduzione degli oneri nel reddito di impresa.
Con l’ordinanza 450/2018 la Suprema Corte, dopo aver chiarito che l’inerenza non discende dall’articolo 109, comma 5, del Tuir (come erroneamente sostenuto in passato), ma nasce in ambito aziendalistico (e dunque extratributario), ha affermato che essa si pone su un piano strettamente qualitativo, dovendosi disattendere la tesi secondo cui, per essere inerente, un costo dovrebbe porsi in un rapporto di causa ad effetto con i ricavi.
L’inerenza, ha sostenuto la Corte, si apprezza esclusivamente con una valutazione qualitativa e deve essere distinta dalla nozione di congruità del costo. La contestazione circa l’esistenza di un comportamento antieconomico, con le relative conseguenze in termini di indeducibilità dei costi, non può pertanto basarsi sulla sproporzione o incongruità dei componenti reddituali.
Il nuovo orientamento della Cassazione contrasta con la tesi, sostenuta da tempo dagli Uffici e confermata da molte sentenze, secondo cui sarebbero indeducibili (anche solo in parte) per difetto di inerenza (“quantitativa”) quei costi che, pur sostenuti per esclusive finalità imprenditoriali, sono di importo troppo elevato e dunque non strettamente correlati con la generazione di ricavi, sottintendendo l’esistenza di scelte «antieconomiche». L’eccessiva quantificazione del costo può condurre alla sua indeducibilità solo se costituisce un indizio del fatto (da dimostrare) che esso è del tutto estraneo all’ambito dell’attività d’impresa (ordinanza 3170/2018).
Compensi agli amministratori
Dopo le ordinanze 450/2018 e 3170/2018, diverse altre pronunce hanno confermato, seppur con taluni distinguo, la natura esclusivamente qualitativa dell’inerenza (sentenze 13588/2018, 13882/2018 e 15843/2018). Di diverso avviso è invece la sentenza 15856, depositata il 15 giugno scorso, che afferma nuovamente (prendendo esplicitamente le distanze dall’ordinanza 450) che un costo è «inerente nella misura in cui può dirsi congruo», sicché deve escludersi la deduzione di «costi sproporzionati o eccessivi».
La natura qualitativa dell’inerenza, se non verrà ribaltata dalle Sezioni unite, dovrebbe impedire d’ora in poi che il Fisco contesti, come frequentemente avveniva in passato, la deducibilità di compensi agli amministratori in quanto di ammontare troppo elevato rispetto al fatturato o alla dimensione aziendale. Una volta dimostrato che la qualifica di amministratore e il relativo compenso sono stati attribuiti con regolari delibere degli organi sociali, e che l’incarico viene svolto e rispetta le condizioni civilistiche, il costo assume inerenza (qualitativa) in quanto remunera una funzione necessaria per lo svolgimento dell’attività dell’impresa. L’eventuale non congruità del compenso (peraltro tassato sul percipiente) rispetto a parametri di “economicità” e a valori di mercato non potrà comportare problemi di deducibilità, neppure parziale.

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L’antieconomicità non è un dogma

5 Luglio 2018

Il Sole 24 Ore 27 GIUGNO 2018 di L. Gai.

SPONSORIZZAZIONI E CONSULENZE

Rimane censurabile il pagamento dei servizi extraimprenditoriali

Sponsorizzazioni, consulenze strategiche ed altri servizi no-core sono deducibili in quanto inerenti anche se di ammontare troppo elevato rispetto ai ricavi dell’impresa. L’orientamento che si sta consolidando in Cassazione sulla natura qualitativa dell’inerenza dovrebbe consentire di eliminare contestazioni sull’eccessiva onerosità, e dunque l’antieconomicità, di spese sostenute per attività diverse da quelle riguardanti il core business.
Costi sproporzionati per la pubblicità, la comunicazione aziendale o l’organizzazione di eventi vengono spesso disconosciuti – almeno in parte – sostenendo che non vi è una adeguata correlazione con i ricavi dell’impresa e ciò anche quando il plafond delle spese di rappresentanza (se l’onere rientra in tale definizione) risulta capiente. Se, come dice la Cassazione, la deducibilità è legata alla qualità della spesa, questi rilievi non dovrebbero più trovare accoglimento (salvo in caso di sovrafatturazioni fraudolente: basta che il contribuente dimostri che si tratta di attività rese nell’interesse generale dell’impresa e non dei soci o di terzi.
L’antieconomicità, nel senso di costi troppo elevati, è inoltre alla base di contestazioni per servizi strategici, di direzione e pianificazione o per la ricerca di investitori, resi all’interno dei gruppi (spese di regia). In queste situazioni, se i rapporti avvengono solo tra società italiane, dovrebbe ora essere sufficiente dimostrare l’effettività del servizio sottostante, fornendo adeguata documentazione del rapporto (contratti, analisi svolte), e il fatto che esso ha una relazione con l’attività aziendale, anche indiretta.
L’eccessiva onerosità, secondo quanto affermato dalla Cassazione nella ordinanza 450/2018 (si veda l’articolo qui sopra) continua ad avere rilevanza per la contestazione di indeducibilità dei costi ma solo come indizio di estraneità (appunto qualitativa) all’impresa. Quindi continuerà a poter essere censurabile un pagamento per il quale il fisco, partendo dall’incongruenza dell’importo rispetto a parametri di economicità, arrivi a dimostrare che si tratta di servizi extraimprenditoriali, vere e proprie liberalità o di attività a favore di socio o titolare per suoi fini personali.
Nel caso, infine, di riaddebiti intercompany da società estere, dopo la verifica della inerenza qualitativa, resterà sempre applicabile il criterio della valorizzazione secondo regole di libera concorrenza (Dm 14 maggio 2018) e dunque nei limiti – in questo caso sì – di un corrispettivo “congruo” in base alle funzioni svolte e ai rischi assunti dalle parti.

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I dati inviati a fini penali con rogatoria sono utilizzabili per l’accertamento

5 Luglio 2018

Il Sole 24 Ore 25 GIUGNO 2018 di Marcello Maria De Vito

FISCO INTERNAZIONALE

La limitazione dettata dalle autorità di San Marino non blocca il Fisco italiano

Se uno Stato estero limita l’utilizzo di dati trasmessi solo a specifici fini penali, questi possono essere utilizzabili anche a fini tributari. Ciò perché l’osservanza delle convenzioni internazionali non costituisce diritto fondamentale di rango costituzionale e, quindi, la sua violazione non comporta la nullità della pretesa tributaria, mancando in tale campo una disposizione equiparabile all’articolo 191 del Codice di procedura penale. Sono questi i principi statuiti dalla Ctr Emilia Romagna con la sentenza 1045/4/2018 (presidente Gobbi, relatore Ziroldi).
L’agenzia delle Entrate contestava a un contribuente l’omessa indicazione nel quadro RW di investimenti finanziari detenuti a San Marino e l’omessa dichiarazione di redditi, per pari importo, in virtù della presunzione legale relativa secondo la quale le somme detenute in Paesi black list sono alimentate da redditi sottratti a imposizione.
Il contribuente ricorreva deducendo, tra l’altro, l’inutilizzabilità dei dati ai fini tributari, essendo stati dichiarati, per espressa riserva delle autorità sanmarinesi, utilizzabili ai soli fini dell’accertamento dei reati contenuti nella rogatoria.
La Ctp accoglieva il ricorso dichiarando la documentazione inutilizzabile, poiché la materia fiscale non rientrava tra quelle oggetto di rogatoria. L’Agenzia appellava la sentenza.
Secondo la Ctr, non è controverso che le autorità sanmarinesi avessero limitato l’utilizzo dei dati per l’accertamento di reati di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio e all’esercizio abusivo del credito bancario. Tuttavi, ricorda la Ctr, la Cassazione è ferma nel ritenere che una qualsiasi irrituale acquisizione di dati non comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi. Non esiste, infatti, nell’ordinamento tributario, una disposizione equiparabile all’articolo 191 del Codice di procedura penale. La nullità va dichiarata anche in campo tributario, continua la Ctr, solo quando sono violati diritti fondamentali di rango costituzionale.
Pertanto, mentre è indubbio che i dati siano inutilizzabili per altri fini penali, resta da stabilire se lo siano ai fini tributari. La Ctr, conscia dell’oscillante giurisprudenza di merito, ritiene di correlare l’inutilizzabilità solo alla violazione di un divieto attinente a diritti fondamentali di rango costituzionale, quali domicilio, libertà personale, libertà e segretezza delle comunicazioni.
Nel caso di specie, secondo i giudici, la prova acquisita in violazione del divieto ha leso l’interesse all’osservanza delle convenzioni internazionali. Tale diritto, però, non è compreso tra i diritti fondamentali di rango costituzionale, non ricevendo tutela dall’articolo 10 della Costituzione. Infatti, la Consulta ha più volte affermato che il comma 1 dell’articolo 10 si riferisce alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute e non ai singoli impegni assunti in campo internazionale dallo Stato.
Di conseguenza l’interesse all’osservanza delle convenzioni non può assumere valore preminente rispetto a quello dello Stato di assicurare l’acquisizione dei tributi secondo la capacità contributiva dei cittadini. Pertanto, la Ctr ha accolto l’appello dell’ufficio.

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Nel fallimento della Spa i soci finanziatori rimborsati alla fine

5 Luglio 2018

Il Sole 24 Ore 21 GIUGNO 2018 di Angelo Busani

La Cassazione applica la norma delle società a responsabilità limitata

Il finanziamento viene spesso utilizzato al posto del conferimento

Quando i soci finanziatori di una Spa si trovino in una «posizione concreta simile a quelle dei soci finanziatori della Srl» si applica alla Spa l’articolo 2467 del Codice civile in tema di postergazione del credito dei soci finanziatori rispetto alle ragioni degli altri creditori della Spa: lo decide la Cassazione nella sentenza 16291 del 20 giugno 2018 che è plausibile ritenere costituirà un definitivo orientamento rispetto alla finora variegata giurisprudenza. Nell’assumere la sua decisione, la Cassazione prende infatti in esame i tre indirizzi finora percorsi in questa materia:
1) quello assunto nel decreto del Tribunale di Udine cassato dalla stessa sentenza 16291/2018 (emesso in un giudizio di opposizione all’ammissione di un credito al passivo di un fallimento) nel quale si è affermata l’inapplicabilità alla Spa dell’articolo 2467 del Codice civile;
2) quello secondo cui l’articolo 2467 si applicherebbe alla Spa, ritenendo tale norma espressione di un principio di ordine generale circa il corretto finanziamento dell’impresa sociale, immanente nel sistema del diritto societario e, dunque, applicabile a ogni tipo di società di capitali;
3) l’ultimo («un livello intermedio di interpretazione») basato sulla estensibilità della previsione ai soci delle società per azioni che, «per entità o qualità partecipativa», siano, in sostanza, assimilabili ai soci di società a responsabilità limitata.
La sentenza 16291/2018, relativa a un prestito per 200mila euro sottoscritto dai soci di una spa, si schiera in quest’ultimo senso. La premessa è che la ragione dell’articolo 2467 risiede nell’intento del legislatore di contrastare il fenomeno della sottocapitalizzazione, provocato dalla convenienza dei soci di ridurre la propria esposizione al rischio d’impresa, mettendo il capitale a disposizione della società sotto forma di finanziamento anziché sotto forma di conferimento.
Ne consegue che il principio di cui all’articolo 2467 è estensibile alle società azionarie qualora, in concreto, per le modeste dimensioni della Spa o in ragione della sua particolare essenza (ad esempio, avendo il capitale sociale concentrato in una compagine familiare o, comunque, ristretta), si riproduca la situazione che viene tipicamente rappresentata quando la forma giuridica adottata è quella della Srl.
La Cassazione si fa carico di indicare la metodologia con la quale effettuare quella «verifica di somiglianza» tra il “tipo” della Srl astratta e la Spa che sia osservata nel caso concreto, al fine di rendere applicabile a quest’ultima la normativa formalmente dettata dal codice civile per la sola Srl. Ebbene, secondo la Cassazione «l’identità di posizione» tra Srl e Spa «può pacificamente affermarsi» ogni qualvolta l’organizzazione della società finanziata consenta al socio di ottenere informazioni paragonabili a quelle di cui potrebbe disporre il socio di una Srl e, dunque, informazioni idonee a far apprezzare l’esistenza dell’eccessivo squilibrio dell’ indebitamento della società rispetto al patrimonio netto oppure di una situazione finanziaria tale da rendere ragionevole un conferimento (e non un finanziamento). La condizione del socio che sia anche amministratore della società finanziata può essere considerata quale una «presunzione assoluta di conoscenza» della situazione finanziaria che legittima l’operatività della regola di postergazione.

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A Bologna al via deposito doganale privato a tempo illimitato

5 Luglio 2018

Il Sole 24 Ore 16 Giugno 2018 di S.A.B.

Frutto di un accordo tra Art Defender e l’Agenzia delle Dogane

Vi ricordate «L’uccello nello spazio» di Constantin Brâncusi che Marcel Duchamp cercò d’importare a New York nell’ottobre del 1926 imballato in una cassa e destinata alla galleria Brummer per una mostra? I doganieri lo bloccarono non riconoscendolo un’opera d’arte e qualificandolo utensile da cucina. Il processo portò poi al riconoscimento dell’opera, ma ciò non ha evitato che poi molte altre opere subissero lo stesso trattamento.
Ora finalmente è possibile far entrare in Italia un’opera d’arte senza “sdoganarla”, grazie a un deposito doganale privato frutto dell’accordo tra ArtDefender e l’agenzia delle Dogane di Bologna. L’area destinata al deposito temporaneo senza limiti di tempo e con la sospensione dei dazi doganali e dell’Iva all’importazione consente a chi dovesse far transitare beni esteroposseduti – nello specifico solo auto, preziosi e opere d’arte – di farlo con una temporalità aperta. Il deposito è unico sul territorio italiano e rappresenta una novità rispetto ad altri impianti di deposito dove l’ obbligo di uscita è di 90 giorni. Non solo, nel deposito i beni possono avere licenza di movimento sul territorio italiano per mostre o restauri. Il deposito rientra nel progetto di Art Defender di offrire maggiori servizi per la clientela private, non solo di logistica, ma anche di assistenza nelle formalità doganali e ministeriali e di assicurazione con Axa Art. Come funzionerà il deposito?
L’opera che arriva da un paese extraUe dovrà avere un T1 , cioè un documento doganale che presenta il transito alle varie frontiere, e la fattura di esportazione dal mittente al destinatario e rientrare nella normativa che riconosce l’opera d’arte. Il deposito emetterà un documento doganale di temporanea custodia (A4) a tempo illimitato. Non si tratta di un punto franco, ma di un magazzino doganale privato che consente di far arrivare le opere all’interno del territorio italiano, per farle uscire sarà necessario presentare un documento in Dogana per destinazione definitiva o temporanea dell’opera. Insomma qualsiasi oggetto entrerà nel deposito lì dovrà restare, salvo uscire per precisa destinazione doganale temporanea per restauro o mostra oppure per essere vista e valutata per acquisto in importazione definitiva.

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Per la protezione dei dati serve il consenso, non basta la mail

5 Luglio 2018

Il Sole 24 Ore 9 GIUGNO 2018 di Franco Broccardi

No al silenzio assenso, serve acquisire l’autorizzazione

Nei giorni scorsi tutti si sono ritrovati a scrivere mail per poter mandare mail, moltissime nel mondo dell’arte. Tutti a mandarsi a vicenda mail sulla privacy come in un grande scambio di figurine e consensi. A partire dal 25 maggio è entrato in vigore il nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR) e il panico si è impossessato degli italiani. Meglio, degli europei tutti. Con l’entrata in vigore delle nuove norme sulla privacy, infatti, è necessario per chi tratta dati di altre persone fisiche applicare, minimizzando i rischi e integrando le garanzie, ogni possibile procedura al fine che l’acquisizione, la conservazione e il trattamento di tali dati (qualsiasi dato come anche le mail, appunto, e non solo i dati “sensibili” di cui alla precedente normativa ) siano adeguati ai principi cardine della normativa: riservatezza, integrità e disponibilità.
Per tutto quanto sopra è necessario procedere all’acquisizione del consenso espresso dei proprietari del dati (non vale, pertanto, un generico silenzio assenso) per ogni singolo tipo di trattamento effettuato (profilazione, commerciale, ecc….).
Il consenso non è però necessario in alcuni casi come per l’esecuzione di un contratto di cui l’interessato è parte, per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del medesimo o la salvaguardia degli interessi vitali dell’interessato o di un’altra persona fisica.
Il senso del panico che ha colto anche le gallerie d’arte, è dato dalle decine e decine di mail ricevute. In molte, peraltro, il consenso viene dato per acquisito in caso inattività e senza altra comunicazione. Non è esattamente così e comunque questo non esaurisce gli obblighi. Non si può, infatti, configurare come consenso il silenzio, l’inattività o la preselezione di caselle. Non può esserlo certamente in caso di profilazione della clientela per la quale sarà opportuno acquisire la specifica autorizzazione.
È chiaro che la norma e i controlli non si concentreranno sull’invio di inviti a mostre a mailing list che per quanto polpose non potranno certamente essere considerate ‘massive’ ma, soprattutto, sulla consapevole conservazione dei dati. In questa fase però, in attesa di opportuni chiarimenti che specifichino meglio le diverse situazioni, è opportuno:
analizzare i rischi legati ai dati trattati (o anche solo “trattabili”) ponendo in atto procedure al fine di minimizzare i rischi e integrare le garanzie;
mettere a conoscenza della normativa, dei limiti e dei rischi connessi i dipendenti, i collaboratori e tutti i soggetti interessati ai processi interni di trattamento dei dati. Questo risulta molto importante ai fini delle responsabilità in caso di manomissione e violazione dei dati (anche, ad esempio, di cryptolocker o virus informatici, così come del trattamento della documentazione personale cartacea senza adeguata riservatezza);
portare a conoscenza di tutti i soggetti interessati di una informativa che spieghi più dettagliatamente possibile le procedure intraprese per garantire riservatezza, integrità e disponibilità dei dati trattati.
Ovviamente tutto questo sarà da rapportare alle dimensioni del soggetto che tratta i dati, ma non per questo anche i “piccoli” potranno dirsi esentati da alcuna norma. Non sono previsti controlli da parte dell’autorità garante prima del prossimo anno. Questo non vuol dire che in caso di violazioni delle norme queste non verranno sanzionate. Occorre pertanto dimostrare di essersi attivati nel solco di quanto sopra espresso evitando per quanto possibile manomissioni, perdite e furti da parte di terzi e, comunque, denunciando entro 72 ore eventuali violazioni dei dati. Il sistema dell’arte è avvisato.

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Da luglio meglio tracciare l’anticipo di cassa

5 Luglio 2018

Il Sole 24 Ore 6 GIUGNO 2018 di Antonino Cannioto e
Giuseppe Maccarone

LIMITI ALLA LIQUIDITÀ

Anche se il divieto all’uso dei contanti fa riferimento alla retribuzione

Dal 1° luglio viene meno la possibilità di pagare in contanti le retribuzioni, indipendentemente dal loro ammontare, mentre ora vige un generico divieto di trasferire somme cash d’importo superiore a 2.999,99 euro.
Nelle aziende più grandi od organizzate si tratta di una previsione che, in realtà, non produce effetti. L’accredito in conto corrente è, infatti, una modalità tipica con cui i lavoratori ricevono la retribuzione.
A tale proposito giova ricordare che la norma di riferimento, nell’identificare ciò che non può essere più pagato in contanti, usa sempre il termine «retribuzione» e conseguentemente potrebbero rimanere fuori dalla tracciabilità, per esempio, le somme erogate a titolo di anticipo di cassa ai lavoratori che si recano in trasferta. Nella circolare 2/2018, l’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) sul punto non entra nel merito ma si limita a confermare quanto scritto nella legge, vale a dire che il divieto ha come oggetto la sola retribuzione. Tuttavia, la circolare 2 è genericamente riferita alla legge 205/2017 e in essa l’Inl affronta una serie di tematiche, tra cui la tracciabilità dei pagamenti. Sembrerebbe si tratti di un primo approccio, a cui potrebbero seguire approfondimenti specifici.
Riguardo agli anticipi di cassa, se, come sembra, la ratio della norma è quella di tracciare i movimenti di denaro a prescindere dal loro ammontare, ritenere che l’operatività della disposizione resti confinata alla sola retribuzione non appare in linea con la sua finalità. Peraltro, il comma 911 prevede che «i datori di lavoro o committenti non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato». La parola «retribuzione» viene utilizzata anche con riferimento ai committenti che, per le co.co.co, erogano compensi.
In attesa di chiarimenti, a titolo prudenziale sarebbe comunque il caso che dal 1° luglio tutto sia tracciabile. Ai fini organizzativi, per evitare di arrivare impreparati, gli interessati dovranno avvisare i lavoratori e invitarli a comunicare le coordinate bancarie, ovvero gli estremi di uno strumento elettronico utilizzabile (per esempio carta di credito con Iban) oppure l’eventuale adozione di un sistema alternativo (per esempio, assegno circolare).

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