Reati fiscali, confisca non automatica

11 Dicembre 2017

Il Sole 24 Ore 22 Novembre 2017 di Giovanni Negri

Penale. La misura preventiva è possibile perché i delitti tributari sono indice di pericolosità ma va considerata la consapevolezza

Le frodi carosello sono considerate tra i delitti sintomo di abitualità criminale

Nessun automatismo nell’applicazione della misura di prevenzione della confisca nei confronti dell’evasore. La Cassazione, sentenza 53003 della Sesta sezione penale depositata ieri, ha puntualizzato che i reati di natura tributaria possono certamente fare «da presupposto di operatività della cosiddetta pericolosità generica, a condizione,tuttavia, che vi sia consapevolezza dei problemi che il relativo accertamento comporta». E un elemento da tenere presente è l’adesione nei periodi di tempo considerati a meccanismi di conciliazione con l’amministrazione fiscale.
È stato così annullato con rinvio il decreto della Corte d’appello di Roma con il quale era stata disposta la confisca di numerosi beni immobili e del capitale sociale di 3 società nei confronti di un notaio incensurato; decisione presa anche per effetto della rilevantissima e sistematica evasione fiscale posta in essere.
La Corte d’appello aveva messo in luce come la confisca di prevenzione, per sproporzione del reddito, può essere disposta anche nei confronti dei soggetti che hanno compiuto illeciti fiscali in maniera abituale e non solo episodica, vista l’ampiezza della formulazione dell’articolo 1 del Codice antimafia (decreto legislativo n. 159 del 2011).
Per la Cassazione, invece, il lavoro dei giudici di secondo grado poteva essere più accurato, visto che non è stato approfondito il legame tra delitti tributari (con una responsabilità peraltro ancora incerta a carico del notaio) e abituale dedizione, come richiede il Codice antimafia, a «traffici delittuosi». Inoltre, premette ancora la Cassazione, non è vero che le nuove possibilità di aggressione ai patrimoni di origine illecita hanno necessariamente ristretto l’ambito di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali.
Piuttosto, la sentenza prova a dare un po’ più di concretezza a una nozione come quella di evasore fiscale seriale, rilevante per l’applicazione della misura di prevenzione. Infatti, anche restringendo il campo ai soli reati disciplinati dal decreto legislativo n. 74 del 2000, la struttura è molto variegata.
E qual è un reato tributario rilevante in questa prospettiva? La Corte fa l’esempio delle frodi carosello, dove i soggetti coinvolti guadagnano non solo il mancato versamento dell’imposta ma anche maggiori ricavi per effetto delle vendite sottocosto rispetto ai concorrenti. Un caso che, se ripetuto nel tempo, può fare legittimamente pensare a un’abitualità della condotta criminale. Come pure i cosiddetti reati ostacolo, emissione di fatture per operazioni inesistenti oppure occultamento e distruzione di documenti contabili.
Di natura diversa sono, a giudizio della Corte, altri reati come la dichiarazione infedele, ma non fraudolenta, o le omissioni di adempimenti o ancora la sottrazione fraudolenta di beni al pagamento di imposte «in cui la determinazione dell’imposta è già avvenuta e l’autore del reato attua le condotte nell’imminenza o a procedura di riscossione coattiva in corso o in quella di transazione fiscale».
In questa prospettiva va senz’altro tenuto presente se il sospetto evasore fiscale seriale, ha aderito a meccanismi di conciliazione con il Fisco. In questo caso, infatti, «l’eventuale recupero della imposta evasa sottrarre per definizione all’evasore la frazione illecita di redditi con cui ha arricchito il suo patrimonio».

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Comunicazione Titolare Effettivo

11 Dicembre 2017

Si allega testo completo della Circolare nr 2 /2017 dell’Ufficio Industria dove si concede proroga al 27/12/2017 per l’inoltro della Comunicazione del Titolare Effettivo da effettuarsi esclusivamente in via telematica.

Circolare nr 2/2017 dell’Ufficio Industria

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Decreto Delegato 14 novembre 2017 n.130 – Settori merceologici sensibili

11 Dicembre 2017

Art. 1
(Settori sensibili)
1. Sono assoggettate a nulla osta del Congresso di Stato le attività di commercio all’ingrosso di bibite e liquori, pellicce, telefoni e preziosi. Il nulla osta è necessario sia per l’avvio di nuove attività che per la modifica delle licenze esistenti.
2. Nell’ambito dei preziosi, l’attività di commercio all’ingrosso di orologi non è assoggettata a nulla osta del Congresso di Stato.
Art. 2
(Abrogazioni)
1. E’ abrogato il Decreto Delegato 30 dicembre 2013 n. 178.

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Decreto Delegato 27 novembre 2017 n.132 – Tasse applicabili dall’Ufficio di Stato Brevetti e Marchi

11 Dicembre 2017

Art. 1
(Tasse)
1. La tassa di deposito della domanda di brevetto, la tassa di rinnovo annuale per i brevetti d’invenzione, la tassa di ricerca di cui all’articolo 104 della Legge 25 maggio 2005 n.79 e successive modifiche, la tassa di pubblicazione della traduzione delle rivendicazioni del Brevetto Europeo ai fini della protezione provvisoria, la tassa di pubblicazione della traduzione del testo del Brevetto Europeo concesso per la Repubblica di San Marino, di cui all’articolo 5, comma 2, del Decreto – Legge 22 giugno 2009 n.76, sono fissate dalla Tabella 1 allegata al presente decreto delegato.
2. La tassa di deposito di modelli e disegni e la tassa di rinnovazione quinquennale di modelli e disegni industriali, di cui all’articolo 105 della Legge n. 79/2005 e successive modifiche, sono fissate dalla Tabella 2 allegata al presente decreto delegato.
3. La tassa di deposito e di prima registrazione e la tassa di rinnovazione per i marchi, di cui all’articolo 105 della Legge n.79/2005 e successive modifiche, sono fissate dalla Tabella 3 allegata al presente decreto delegato.
4. La sopratassa per ritardato pagamento di cui agli articoli 33, comma 3, 54, comma 2, e 64, comma 2, della Legge n.79/2005 e successive modifiche, la tassa di reintegrazione nei diritti di cui all’articolo 89 della Legge n.79/2005 e successive modifiche, la tassa di trascrizione di cui all’articolo 93 della Legge n.79/2005 e successive modifiche, nonché la tassa di trasmissione delle pratiche internazionali sono fissate dalla Tabella n. 4 allegata al presente decreto delegato.
5. La tassa annuale di concessione per l’uso dello stemma e per la concessione di stemmi ed emblemi dei Castelli, prevista dall’articolo 17 della Legge 5 dicembre 2011 n. 190, così come modificato dall’articolo 46, comma 3, della Legge 7 agosto 2017 n.94 è fissata dalla Tabella n. 5 allegata al presente decreto delegato.
Art. 2
(Disposizioni finali)
1. E’ abrogato il Decreto Delegato 30 dicembre 2014 n.223 nonché ogni altra disposizione in contrasto con il presente decreto delegato.
Art. 3
(Entrata in vigore)
1. Gli effetti del presente decreto decorrono dall’1 gennaio 2018.

Tabelle allegate al Decreto Delegato 27 novembre 2017 n.132
TABELLA 1
Brevetti
Tassa
ammontare in €
Tassa di deposito
170,00
Tassa di esame
Non applicabile
Tassa di pubblicazione della domanda e di pubblicazione della concessione
Compresa nella tassa di deposito
Maggiorazione oltre la 20° pagina
10,00 a pagina a partire dalla 21°
Tassa di pubblicazione della traduzione delle rivendicazioni del Brevetto Europeo ai fini della protezione provvisoria (art.
100,00
Tassa di pubblicazione della traduzione del testo del
Brevetto Europeo concesso per la Repubblica di San
Marino (art. 5, comma 2, decreto – legge 22 giugno 2009 n. 76)
100,00
Maggiorazione oltre la 20° pagina
10,00 a pagina a partire dalla 21°
Tassa di ricerca sul brevetto effettuata dall’Ufficio Europeo dei Brevetti
2476,00
Tasse di rinnovo annuale del brevetto:
1° anno
Compresa nella tassa di deposito
2° anno
Compresa nella tassa di deposito
3° anno
Compresa nella tassa di deposito
4° anno
70,00
5° anno
70,00
6° anno
70,00
7° anno
70,00
8° anno
140,00
9° anno
140,00
10° anno
140,00
11° anno
140,00
12° anno
270,00
13° anno 270,00
14° anno 270,00
15° anno 270,00
16° anno 400,00
17° anno 460,00
18° anno 530,00
19° anno 600,00
20° anno 650,00
TABELLA 2
Disegni e modelli
Tassa Ammontare in €
Tassa di deposito – un solo modello 70,00
Tassa di deposito per serie di modelli fino a 20 140,00
Tassa di deposito per serie di modelli fino a 40 190,00
Tassa di deposito per serie di modelli fino a 60 270,00
Tassa di deposito per serie di modelli fino a 80 320,00
Tassa di deposito per serie di modelli fino a 100 400,00
Tassa di esame Non applicabile
Tassa di pubblicazione Compresa nella tassa di deposito
Tasse di rinnovazione quinquennale del disegno:
2° quinquennio – modello unico 140,00
2° quinquennio – serie di modelli 330,00
3° quinquennio – modello unico 270,00
3° quinquennio – serie modelli 430,00
4° quinquennio – modello unico 270,00
4° quinquennio – serie modelli 430,00
5° quinquennio – modello unico 270,00
5° quinquennio – serie modelli 430,00
TABELLA 3
Marchi
Tassa Ammontare in €
Tassa di deposito con 3 classi (marchi per merci e servizi) 200,00
Tassa di deposito con 3 classi (marchi collettivi) 300,00
Tassa per ogni classe addizionale dalla 4° in poi (marchi per 50,00 merci e servizi)
Tassa per ogni classe addizionale dalla 4° in poi (marchi 70,00 collettivi)
Tassa di ricerca Non applicabile
Tassa di esame Non applicabile
Tassa di pubblicazione Compresa nella tassa di deposito
Tasse di rinnovazione del marchio, a partire dal secondo decennio:
Tassa di rinnovazione (marchi per merci e servizi) 200,00
Tassa di rinnovazione (marchi collettivi) 300,00
Tassa di rinnovo per ogni classe addizionale dalla 4° in poi 50,00
(marchi per merci e servizi)
Tassa di rinnovo per ogni classe addizionale dalla 4° in poi 70,00
(marchi collettivi)
TABELLA 4
Sopratassa, tassa di reintegrazione nei diritti, tassa di trascrizione e tassa di trasmissione pratiche internazionali comuni a brevetti, disegni e marchi
Soprattassa per ritardato pagamento tassa di rinnovazione 25% della tassa di rinnovazione
Tassa di reintegrazione nei diritti
150,00
Tassa di trascrizione/iscrizione di licenze, ecc…
150,00
Copia autentica di documenti
50,00
Documento di priorità
50,00
Certificato di concessione/registrazione1
50,00
Tassa di trasmissione pratiche internazionali
100,00
1 In caso di certificato con allegata copia autentica dei documenti depositati, il costo del certificato va sommato al costo delle marche da bollo.
TABELLA 5
Tassa annuale di concessione per l’uso dello stemma
Tassa annuale di concessione per l’uso dello stemma
100,00
Tassa annuale di concessione per l’uso degli stemmi dei Castelli
100,00

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L’outsourcing più della «nuvola» ha spalancato le porte agli hacker

11 Dicembre 2017

Il Sole 24 Ore 23 Novembre 2017 di Giancarlo Calzetta e Luca Tremolada

La tendenza. I dati sensibili spesso sono fuori dal diretto controllo di chi li possiede

Cosa sappiamo sul caso Uber? Che l’hackeraggio è stato compiuto da due persone, che «non facevano parte della società». Che hanno avuto accesso ai server di Amazon su cui erano memorizzati i dati dei clienti e degli autisti. E che Uber ha pagato per tenere tutto a tacere.
Se chiedete a un esperto di cybersecurity vi dirà che non c’è nulla di cui stupirsi. E che anzi 100mila dollari non sono neanche una grande cifra per “gestire” una data breach di queste dimensioni. Le cronache degli ultimi anni sono letteralmente piene di violazioni della sicurezza informatica che comportano il furto di informazioni personali o aziendali.
Si va dai casi limite come quello di Yahoo, in cui i criminali hanno rubato le credenziali di accesso e i dati sensibili di oltre un miliardo di utenti a quelli meno eclatanti ma devastanti per le singole aziende in cui vengono sottratte proprietà intellettuali, poi rivendute al mercato nero.
Nel caso di Equifax, una violazione che ha avuto come bottino i numeri di sicurezza sociale e tutte le anagrafiche di centinaia di milioni di cittadini americani, l’accesso non autorizzato è avvenuto perché un tecnico ha dimenticato di aggiornare un server con una patch rilasciata sei mesi prima.
Addirittura, il Dipartimento della Difesa americano ha lasciato decine e decine di documenti top secret disponibili a tutti su di un server Amazon perché ha dimenticato di “chiuderlo”. Un errore grossolano, certo, ma anche così comune che Amazon Web Services, uno dei maggiori provider di servizi cloud, ha deciso di mettere nella home page un avviso che ricordava a tutti come attivare le procedure di sicurezza per i dati messi nel cloud.
Scordiamoci quindi lo scenario da War Games, con il piccolo hacker nella sua stanzetta che si connette magicamente ai terminali di una azienda e naviga tra buste paga, fatture e dati sensibili dei dipendenti. Negli ultimi 10 anni il mondo della cybersicurezza si è capovolto. Se prima la missione era difendere il perimetro ora si lavora a scoprire chi è già dentro alle aziende.
I punti di accesso per rubare dati sensibili non sono aumentati ma la gestione dei dati è diventata la vera vulnerabilità del sistema corporate mondiale. Dagli anni Novanta in poi, da quando cioè le informazioni hanno smesso di risiedere esclusivamente sui server di una azienda, le cose si sono fatte un po’ più complicate. Se prima i casi di spionaggio industriale erano tutti da imputare a talpe interne o comunque ad addetti o persone che avevano un accesso fisico alla struttura oggi le multinazionali ma non solo hanno visto moltiplicarsi le proprie vulnerabilità.
L’avvento dei servizi di cloud computing, ovvero la possibiltà di esternalizzare la gestione dei dati dell’azienda a soggetti specializzati ha cambiato le regole del gioco. Soprattutto per chi ha scelto di dare in outsourcing gli asset più preziosi del proprio patrimonio informativo. Più che una scelta poi è stata una necessità dettata dal cambiamento delle regole di competizione del mercato.
Il motivo? Costa meno per esempio esternalizzare un sistema di pagamento a chi lo fa per mestiere che assumere un personale specializzato, server e hardware dedicato. Chi possiede potenza di calcolo (server) e servizi software attraverso internet o reti dedicate può gestire da remoto in maniera più efficiente anche le fuzioni più strategiche del business di una azienda. Spesso però le vulnerabilità non riguardano i grandi fornitori di nuvola come Microsoft, Ibm Google. Il diavolo si nasconde nei dettagli. Anzi nell’intercapedine dei rapporti con piccoli fornitori di servizi. Nel dialogo tra policy di sicurezza diverse, tra sistemi informatici che parlano lingue diverse o nelle zone grige dei rapporti con soggetti di terze parti. Come sanno bene i Cio delle aziende i dati, quando non sono sparsi tra fornitori di “nuvola” diversi, devono essere resi accessibili a chi per ragioni di business è chiamato a collaborare con l’azienda. Chi può garantire per loro? I “servizi di terze parti” sono il perfetto capro espiatorio. «Rimango preoccupato da alcune parole citate nel blog di Khosrowshahi (il nuovo Ceo di Uber ndr)», ha commentato Rik Ferguson, Vice President Security Research Trend Micro. «Sembrerebbe prendere le distanza dai servizi cloud di terze parti, obiettivo della violazione, per separare nettamente l’infrastruttura e il sistema corporate. Questo ci fa capire le radici del problema. I servizi cloud adottati da un’azienda sono di fatto infrastrutture e servizi corporate, e da un punto di vista della security dovrebbero essere trattati come tali. Le responsabilità non si possono delegare all’esterno».
Insomma, il problema della sicurezza non risiede in “dove” sono memorizzati i dati, ma nella competenza di chi li gestisce e nella sua voglia di tenerli al sicuro. Un penetration test, cioè un attacco hacker commissionato a una azienda di sicurezza per testare le difese, avrebbe sicuramente rilevato questi problemi. Evidentemente nessuno ha pensato di commissionarne uno, ignorando le conseguenze: una volta che i dati sono stati rubati non c’è un punto di ritorno. Non c’è modo per toglierli dalla circolazione.
Una grossa mano nella protezione dei nostri dati dovrebbe arrivare dal Gdpr, il nuovo regolamento per la protezione dei dati che entrerà in vigore negli Stati dell’Unione Europea a maggio del 2018 e prevede multe salatissime (fino al 5% del fatturato) per quelle aziende che non proteggeranno adeguatamente i dati dei loro clienti e fornitori. La normativa rende anche obbligatoria la segnalazione tempestiva di eventuali intrusioni informatiche, in modo da dare agli utenti la possibilità di correre ai ripari invece di lasciare campo libero ai criminali per un anno o più come accaduto nel caso di Uber.

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Costi deducibili se le royalty portano vantaggi aggiuntivi

11 Dicembre 2017

Ricerca e sviluppo. Cost-sharing e licenza di know-how di Giacomo Albano

La compartecipazione ai costi di ricerca e sviluppo in virtù di un contratto di cost-sharing si giustifica sul piano economico se attribuisce il diritto di sfruttare economicamente il bene frutto della ricerca senza corrispondere ulteriori importi a titolo di royalty. È quanto emerge dalla sentenza dell Ctr Lombardia 604/ 49/ 2017 del 16 febbraio scorso (presidente Izzi, relatore Franconiero), con cui i giudici lombardi hanno accolto l’appello presentato dall’ufficio delle Entrate, ribadendo il principio secondo cui la deducibilità delle royalty deve fondarsi su effettivi vantaggi economici conseguiti dal licenziatario.
La controversia riguarda una società italiana appartenente a un gruppo multinazionale, cui le Entrate avevano contestato la deducibilità di costi – e la detraibilità della relativa Iva – sostenuti nei confronti di alcune consociate estere a titolo di royalty per l’acquisizione di licenze d’uso in esclusiva di marchi relativi ai beni commercializzati e del know-how per la relativa fabbricazione, imballaggio, vendita e distribuzione.
La contestazione si basava sulla circostanza che tali royalty costituissero una duplicazione di costi rispetto a quelli già sostenuti dalla società italiana per l’acquisizione di servizi identici in virtù di altri contratti infragruppo. La società accertata, infatti, compartecipava alle spese di sviluppo del know-how in virtù di alcuni accordi di cost sharing con le proprie consociate estere. Inoltre, le royalty sostenute per la licenza del know-how e dei marchi si riferivano alla fase della produzione, mentre la consociata italiana era impegnata esclusivamente nella distribuzione.
I giudici di primo grado avevano accolto il ricorso del contribuente, ritenendo che nel caso di specie non si verificasse una duplicazione di costi. E questo, anche se tra i contratti di licenza del know-how e quelli di compartecipazione ai costi di ricerca e sviluppo non c’erano differenze sostanziali, dato che che entrambe le tipologie garantivano di fatto alla consociata la conoscenza e l’utilizzo del know-how. Ciò in quanto le royalty pagate dalla società italiana alle consociate estere si giustificavano non solo per l’acquisizione del know-how relativo alla fabbricazione e distribuzione dei prodotti, ma anche per l’uso del relativo marchio.
Sul punto veniva sottolineato che le linee guida Ocse riconoscono la possibilità per una società distributrice di corrispondere a proprie consociate estere royalty per l’uso di marchi.
I giudici della Ctr Lombardia hanno riformato la sentenza della Commissione provinciale ritenendo che i costi recuperati non fossero inerenti, in quanto la società accertata non aveva fornito la dimostrazione dell’utilità aggiuntiva derivante dal contratto di licenza del know-how (e dalle relative royalty corrisposte) rispetto ai costi addebitati in virtù del contratto di cost-sharing. È stato quindi ribadito il principio per cui la deducibilità dei costi infragruppo deve basarsi su un effettivo vantaggio economico, che non sussiste in presenza di una duplicazione dei costi.

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Favor rei sulla punibilità dell’Iva omessa

11 Dicembre 2017

Il Sole 24 Ore 22 Novembre 2017 di Laura Ambrosi

Cassazione. La soglia penale di 250mila euro si applica anche per i fatti ante 2015

Deve essere annullata la sentenza di condanna del contribuente che ha omesso il versamento dell’Iva per un importo inferiore alla nuova soglia penale di 250.000 euro, perché il reato non sussiste.
A confermare questo principio è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 52822 depositata ieri.
Il fatto
Un contribuente veniva condannato dal Tribunale alla pena di 4 mesi di reclusione per omesso versamento dell’Iva (ex articolo 19 ter, Dlgs 74/2000) di poco più di 220.000 euro relativi al 2008.
L’imputato ricorreva in Cassazione lamentando l’omessa valutazione dell’assenza di colpevolezza oltre alla mancanza di motivazione.
L’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, a seguito delle modifiche apportate dal decreto 158 del 2015 (in vigore dal 22 ottobre 2015), prevede che è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro 250.000 per ciascun periodo d’imposta.
La precedente soglia penale di 50.000 euro (innalzata in realtà a 103.291,18 a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2014), è stata così innalzata a 250.000 euro.
Le modifiche sono applicate anche a chi ha commesso un fatto di omesso versamento prima dell’entrata in vigore della nuova norma, in applicazione del favor rei, secondo il quale se la fattispecie di reato subisce un’attenuazione, essa si applicherà anche per le violazioni commesse in precedenza.
La decisione
La Cassazione, nella specie, ha rilevato che la nuova soglia penale di 250.000 euro, applicabile anche al passato, non era stata superata. Ne conseguiva così che la sentenza doveva essere annullata per insussistenza del reato.
In tale contesto va segnalato che i giudici di legittimità con una pronuncia del 2016 (n. 9936/2016) hanno anche affermato che dopo l’innalzamento della soglia di punibilità per l’omesso versamento Iva, la pena deve essere ridotta in quanto l’illecito consumato risulta meno grave rispetto al passato.
La Cassazione, in altre parole, ha ritenuto che occorre riscontrare l’entità dell’imposta evasa rispetto alla nuova soglia, con la conseguenza che, ove il reato rimane sussistente, la sanzione va, nel caso, congruamente rideterminata.

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Bocciata la cartella notificata alla società estinta

11 Dicembre 2017

Il Sole 24 Ore lunedì 6 Novembre 2017 di Paola Maria Zerman

Procedimento. Nel regime precedente al decreto legislativo 175/2014, l’atto deve essere indirizzato anche agli ex soci

Invano una cartella di pagamento è notificata nei confronti di una società cessata: in tal caso, l’agenzia delle Entrate deve rivolgersi ai soci della stessa. Così la Ctr della Lombardia, con la sentenza 3321/24/2017 (presidente Liguoro, relatore Sacchi) ha annullato un atto di riscossione, notificato dal concessionario alla società successivamente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, in conformità alla ormai consolidata posizione della Cassazione in materia (si vedano da ultimo le ordinanze 23029 e 23626 del 2 e del 9 ottobre scorsi).
La cancellazione della società, avendo efficacia costitutiva (sin dalla riforma del diritto societario attuata dal Dlgs 6/2003), determina l’estinzione della stessa, sicché nessuna azione per il recupero dei crediti insoddisfatti, anche erariali, può essere intrapresa nei suoi confronti, assimilandosi, l’estinzione, alla morte della persona fisica. Ma ciò non significa che nessuno risponda dei debiti societari, considerato che questo sarebbe contrario agli elementari criteri di giustizia. Ne risponderanno i soci, in modo illimitato, se si tratta di società di persone, o nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione (in base all’articolo 2495 del Codice civile secondo comma) se invece si trattava di società di capitali. Il liquidatore ne risponde soltanto – sempre che, come nel caso concreto, non abbia anche la qualità di socio della società – se il mancato pagamento dei debiti è dipeso da sua colpa (e quindi può essere destinatario di un’autonoma azione risarcitoria).
La sentenza in commento ribadisce dunque che, per quanto concerne i debiti erariali, in seguito a cessazione della società, gli avvisi di accertamento e in genere gli atti impositivi e di riscossione dovranno essere notificati nei confronti dei soci. Si verifica, infatti, un fenomeno di tipo successorio sui generis, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono, per non sacrificare ingiustamente i diritti dei creditori sociali, ma si trasferiscono ai soci, che ne rispondono secondo il regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti quando la società era ancora in vita.
Correttamente dunque, la Ctr, dopo avere rilevato che la notifica della cartella di pagamento era stata effettuata solo nei confronti di una società cessata, si è limitata ad annullarla, «non essendovi spazio per ulteriori valutazioni circa la sorte dell’atto impugnato, per il fatto di essere stato emesso nei confronti di un soggetto già estinto» (così Cassazione 7989 del 28 marzo 2017 in caso similare).
La sentenza della Ctr lombarda non si cura della presenza della norma, l’articolo 28 comma 4 del Dlgs 175/2014, che prevede il differimento quinquennale dell’estinzione della società, operante nei soli confronti dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione. Infatti, conformemente all’orientamento assunto dalla Cassazione in proposito (si veda da ultimo l’ordinanza 20752 del 4 settembre 2017) la norma non si applica retroattivamente, ma solo dalla sua entrata in vigore (dal 13 dicembre 2014 in poi), e quindi non al caso di specie, essendo cessata la società nel 2009.
La ratio dell’intervento del legislatore in ordine alla fictio iuris del mantenimento in vita della società per il recupero dei crediti erariali, è riconducibile, a situazioni, assai frequenti nella pratica, analoghe al caso trattato dalla Ctr, laddove venga vanificata l’azione di accertamento o riscossione perché indirizzata a società medio tempore cessata.

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Un cantiere non è stabile organizzazione

11 Dicembre 2017

Il Sole 24 Ore 25 Novembre 2017 di Antonio Iorio

Accertamento. Non dimostrata la funzione strumentale

L’utilizzo del cantiere di una società italiana da parte di un’impresa estera per svolgere lavori nel nostro Paese, non configura una stabile organizzazione se non si prova la rilevanza degli strumenti rispetto all’attività svolta. Una volta, poi, che il giudice di merito ha svolto un accertamento di fatto al riguardo, immune da vizi logici, la Cassazione non può operare alcun differente sindacato. A chiarirlo è la Suprema corte con la sentenza 28059 depositata ieri.
A un imprenditore sloveno il fisco italiano contestava la costituzione di una stabile organizzazione e conseguentemente l’omessa presentazione delle varie dichiarazioni. In particolare l’imprenditore estero, specializzato in lavori di tubisteria e piccola carpenteria navale, aveva ottenuto un subappalto presso i cantieri della società italiana e sulle imbarcazioni in allestimento. I giudici di merito, in entrambi i gradi giudizio ritenevano infondati gli accertamenti.
Secondo la Ctr, era certamente possibile dedurre la stabile organizzazione solo con riferimento a soggetti per i quali la struttura materiale possa essere qualificata alla stregua di una risorsa strumentale in senso proprio o comunque funzionale alla produzione del reddito di impresa. Tuttavia nel caso particolare l’attività svolta presso i cantieri organizzati dalle committenti o sub committenti italiani non aveva alcuna rilevanza ai fini dell’individuazione della stabile organizzazione.
L’ufficio non aveva individuato, in altre parole, le ragioni per le quali i cantieri avrebbero assunto una rilevanza strumentale rispetto allo svolgimento dell’attività imprenditoriale e funzionale alla produzione del reddito.
L’Agenzia impugnava tale decisone in Cassazione, lamentando che in base al modello convenzionale Ocse, il fatto stesso di avere un cantiere configurava una stabile organizzazione. I giudici di legittimità hanno respinto il ricorso evidenziando che il pronunciamento della Ctr era immune da vizi logici e insindacabile presso la Suprema corte. Più in dettaglio i lavori svolti dagli operai della ditta estera presso i cantieri venivano eseguiti con modesti attrezzi che per comodità erano custoditi presso i cantieri stessi delle committenti. L’ufficio non aveva provato che tali cantieri assolvessero una rilevante funzione strumentale rispetto alle attività ivi eseguite dagli operai stranieri, mentre si era limitato alla semplice prospettazione, senza provarla, dell’esecuzione di lavori di complessità tale da richiedere un’attrezzatura diversa da quella in dotazione . Da qui il rigetto del ricorso

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Salve le detrazioni Iva per acquisti da San Marino

11 Dicembre 2017

Il Sole 24 Ore 21 Novembre 2017 di Giampaolo Giuliani

Adempimenti. Decisivo il momento del ricevimento della fattura

Con l’avvicinarsi della fine dell’anno gli operatori nazionali guardano con sempre maggiore preoccupazione al problema della detraibilità dell’imposta relativa ad acquisti effettuati nel 2017 a San Marino, per i quali riceveranno la fattura da parte dei fornitori sammarinesi successivamente al 15 gennaio 2018.
Tra l’altro, non è possibile farsi anticipare la fattura via fax o via mail dal proprio fornitore, come avviene per gli acquisti intracomunitari, perché il decreto che regola la disciplina Iva negli scambi di beni tra i due Stati – decreto ministeriale 24 dicembre 1993, prevede che l’acquirente nazionale per effettuare la liquidazione dell’imposta debba essere in materiale possesso della fattura originale munita dei visti dell’Ufficio tributario di San Marino.
La procedura di controllo e vidimazione da parte dell’Ufficio tributario ha dei tempi tecnici, per cui le fatture relative alle operazioni del mese di novembre/dicembre saranno inviate dal fornitore sammarinese con tutta probabilità oltre il citato termine di metà gennaio prossimo.
In effetti, per come sono formulati oggi gli articoli 19 – detrazione – e 25 – registrazione degli acquisti – della legge Iva, Dpr 633/1972, sembrerebbe che non sia possibile la detrazione per questo tipo di fatture se ricevute oltre termine del 15 gennaio 2018, data stabilita per effettuare la liquidazione dell’ultimo mese/trimestre 2017.
La detrazione dovrebbe dunque essere posticipata nella dichiarazione Iva per l’anno 2017 da presentare entro il 30 aprile 2018.
Ciò vale indipendentemente dalla circostanza che l’imposta sia assolta con il metodo della cosiddetta Iva prepagata ovvero con il meccanismo dell’inversione contabile, adempimenti rispettivamente disciplinati dagli articoli 8 e 16 del Dm del 24 dicembre 1993.
Evidentemente una soluzione che preveda l’indetraibilità già a partire dal momento in cui l’acquirente nazionale riceve la fattura non può essere accettata, poiché determina gravi discriminazioni per gli operatori sammarinesi in stridente contrasto con gli accordi tra i due Stati in tema di scambi commerciali.
In attesa di una presa di posizione puntuale su questo argomento da parte dell’amministrazione finanziaria si ritiene che una soluzione esente da censure possa essere individuata agganciando la detraibilità dell’imposta al momento del ricevimento della fattura.
Del resto questo problema che si presenta oggi con San Marino si è già manifestato qualche anno fa con le modifiche della territorialità Iva nelle prestazioni di servizi realizzate da operatori Ue, per le quali l’agenzia delle Entrate con la circolare 20 settembre 2012 n. 35/E ha precisato che: «Alla luce delle disposizioni sopra richiamate, per motivi di certezza e di semplificazione, si deve ritenere che la fattura emessa dal prestatore comunitario non residente possa essere assunta come indice dell’effettuazione dell’operazione. È dunque al momento di ricezione della fattura che va ricondotta l’esigibilità dell’imposta (a cui è collegata la debenza e la detrazione dell’Iva) che deve essere assolta dal committente, a prescindere dall’effettuazione del pagamento.
Tale soluzione deve ritenersi un principio avente valenza generale che risolve una situazione altrimenti superabile soltanto con specifici interventi normativi.

Doing business in San Marino

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