Decreto Delegato 20 settembre 2021 nr 163 – (Ratifica D.D. 5 agosto 2021 nr 148) – Della fattura elettronica nell’interscambio di beni e servizi con l’Italia

8 Ottobre 2021

Si allega il testo completo del Decreto Delegato nr 163 (a ratifica del precedente D.D. nr 148 del 5/8/2021)  in tema di fatturazione elettronica. Si ricorda che la procedura, nel caso il fornitore italiano scelga l’invio elettronico, è già attiva dal 1° Ottobre.

Nel Decreto nr 163 viene tra l’altro specificato che:

  • l’ Ufficio Tributario avvisa al domicilio digitale dell’operatore sammarinese della ricezione nello SDI di San Marino della fattura elettronica del fornitori italiano
  • l’operatore economico integra il tracciato xml di ciascuna riga con il tipo merce, l’aliquota, la monofase dovuta e lo rinoltra all’Ufficio Tributario per i dovuti controlli
  • anche le fatture di servizi se ricevute nello SDI di San Marino devono essere “lavorate” e inviate all’Ufficio Tributario anche se non soggette a monofase
  • l’operatore economico tramite opzione irrevocabile può inviare già da adesso (periodo transitorio) le fatture in formato elettronico ai propri clienti italiani. L’invio elettronico sarà obbligatorio dal 1° Luglio 2022.
  • è ora possibile ricevere in formato elettronico le note di credito dai fornitori italiani
  • l’Ufficio Tributario non funge da conservatore delle fatture elettroniche: occorrerà delegare il servizio a soggetti terzi.

DD163-2021

Si allega in questa sede anche l’ultima Circolare dell’Ufficio Tributario del 28/09/2021 che riepiloga schematicamente le fasi di attuazione della procedura, i riferimenti normativi e le mail di contatto per ricevere assistenza da parte dell’Ufficio Tribuario.

Circ Ufficio Tributario  28 09 21

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Decreto Legge nr 221 del 22 Dicembre 2020 – Ulteriori disposizioni per il potenziamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da Covid-19

23 Dicembre 2020

In allegato il Decreto Legge nr 221 del 22 dicembre 2020 che potenzia le misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19 allineando le normative sammarinesi a quelle della vicina Italia per il periodo che va  dal 24 dicembre al 6 gennaio 2021. Se ne consiglia un’attenta lettura  per non incorrere nelle sanzioni di cui all’art.6.

DL 221-2020

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Si avvisa la gentile clientela che lo Studio Dott. A. Valentini rimarrà chiuso per le festività natalizie dal 23 Dicembre al 6 Gennaio compresi

11 Dicembre 2019

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Augurando Buon Natale e Felice Anno Nuovo, lo Studio Valentini ricorda alla gentile clientela che rimarrà chiuso per le festività Natalizie dal 23 Dicembre 2019 al 6 Gennaio 2020 compresi

20 Novembre 2019

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Si avvisa la gentile clientela che lo Studio Commerciale Dott. Antonio Valentini rimarrà chiuso per le ferie estive dall’8 al 25 Agosto.

5 Agosto 2019

Si avvisa la gentile clientela che lo Studio Commerciale Dott. Antonio Valentini rimarrà chiuso per le ferie estive dall’8 al 25 Agosto.

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FLUSSI DI MIGRAZIONE PER RESIDENZE ELETTIVE

18 Gennaio 2019

Si allega testo completo del Decreto che fissa in 50 il numero massimo di residenza elettive concesse per l’anno 2019.

Decreto Delegato 28 dicembre 2018 nr 174

 

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Auguri 2019

21 Dicembre 2018

Augurando Buon Natale e Felice Anno Nuovo lo Studio Valentini ricorda alla gentile clientela che rimarrà chiuso per le festività Natalizie dal 22 Dicembre 2018 al 6 Gennaio 2019 compresi.

Con l’occasione si comunicano i nuovi orari di apertura al pubblico in vigore dal 2019.

Dal Lunedi al Giovedì

8,30 – 13,00   14,00 – 17,30

Venerdì

8,30 – 13,00  13,30 – 16,30

MERCOLEDÌ POMERIGGIO CHIUSO

 

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Crisi aziendali, da chiarire il momento in cui i sindaci devono intervenire

14 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 5 NOVEMBRE 2018 di Claudio Ceradini

FALLIMENTO

Giudici ancora divisi sull’insorgenza della responsabilità

La questione sarà affrontata dai Dlgs di attuazione della riforma dell’insolvenza

È ancora incerta l’individuazione del momento in cui il collegio sindacale deve attivarsi nella denuncia delle crisi aziendali, per non incorrere nelle responsabilità conseguenti alla propria inerzia. Questo è il quadro che emerge dall’analisi degli orientamenti giurisprudenziali di legittimità e merito anche recenti.
La questione dovrebbe essere chiarita dai decreti di attuazione della legge delega per la riforma della disciplina di crisi ed insolvenza (legge 155/2017) che nei prossimi giorni dovrebbero ricevere il primo via libera del Consiglio dei ministri.
Quando risponde il collegio
Il dato comune alle diverse pronunce è che la responsabilità solidale del collegio sindacale per inosservanza del dovere di vigilanza non richiede l’individuazione di specifici inadempimenti. È sufficiente che non abbia individuato evidenti violazioni della legge o dello statuto, o che rilevandole non abbia reagito con sufficiente tempestività, esercitando i poteri che la legge gli riconosce.
Il punto è calare lo schema nel contesto dell’insorgenza della crisi per comprendere quando la situazione possa considerarsi sufficientemente evidente e grave da imporre all’organo di controllo diligente di attivarsi affinchè il dissesto non si ampli, ben sapendo quanto critica sia la decisione quando alle difficoltà emergenti si contrapponga la rappresentazione da parte degli amministratori di piani di risanamento, ontologicamente incerti.
Di sicuro il collegio sindacale che tolleri l’occultamento delle reali perdite nei bilanci di esercizio, operato con evidenti artifizi contabili come l’ esposizione di crediti inesistenti o l’ allocazione di avviamenti mai acquisiti, impedendo così che emerga il reale depauperamento del patrimonio e si inneschi l’obbligo di ripianamento o di cessazione della gestione, è solidalmente responsabile con gli amministratori per il danno generato dalla prosecuzione dell’attività.
Avrebbe dovuto reagire relazionando all’assemblea e se necessario rivolgendosi al tribunale per denunciare le gravi irregolarità riscontrate. Il suo intervento avrebbe evitato l’ampliamento del dissesto, e quindi l’inerzia costituisce inadempimento ai propri obblighi di vigilanza e comporta la responsabilità per il danno prodottosi (Corte appello di Napoli del 3 luglio 2018, Tribunale di Roma del 9 febbraio 2018).
Diversa è la situazione su cui lo stesso Tribunale di Roma si è pronunciato a fine 2017. Alla emersione di pur chiari sintomi di crisi (inadempimento del gruppo agli obblighi restitutori derivanti da un prestito obbligazionario) il collegio assiste alla predisposizione di un piano di rilancio, che nei mesi successivi fallisce per la mancata adesione degli investitori interpellati. Il debitore rileva la crisi e deposita domanda di concordato preventivo circa sei mesi dopo l’insorgenza del “sintomo”. Secondo il Tribunale di Roma amministratori e sindaci sono solidamente responsabili per gli oneri finanziari maturati in quel periodo, che l’accesso a una procedura concorsuale avrebbe sterilizzato, ma soprattutto per i compensi corrisposti ai professionisti incaricati di redigere il piano, poi fallito.
Ogni tentativo di soluzione andrebbe infatti esperito nell’alveo di uno degli strumenti offerti dalla legge fallimentare, per cui diverrebbe obbligo dell’organo di controllo attivarsi immediatamente richiedendone il ricorso, indipendentemente dalla presenza di piani anche ragionevoli, ma mai certi, di risanamento.
La riforma in arrivo
Nelle due situazioni l’evidenza della gravità assume connotati molto diversi. La mancanza di una norma di chiusura oggi lo consente, e su questo punto ci si attende che i decreti attuativi della legge delega 155/2017 intervengano. Tutte le versioni sino ad oggi circolate prevedono che l’attivazione dell’organo di controllo al manifestarsi di precisi sintomi di crisi ne sterilizzi la responsabilità.
L’aspetto delicato è l’individuazione di quelle condizioni. Se dovessero convergere, come pare, sui «fondati indizi di crisi» destinati a innescare le nuove procedure di allerta, funzionali a tutt’altro e cioè a favorire una soluzione in fase precoce, potrebbero produrre effetti indesiderati. Se invece trovassero riferimento in parametri che individuano condizioni più prossime all’insolvenza, che la delega destinerebbe al riconoscimento al debitore delle misure premiali, il contributo alla precisazione degli obblighi di controllo sarebbe tangibile.

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L’importanza del «PASSAPORTO FINANZIARIO»

14 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore 29 NOVEMBRE 2018 di Antonio Patuelli
BANCHE DOPO LA BREXIT
Dopo il traumatico referendum per la Brexit, uno dei problemi più importanti e controversi è stato da subito quello del cosiddetto “passaporto finanziario”, cioè della possibilità degli organismi bancari e finanziari del Regno Unito di operare, più o meno liberamente, nell’Unione europea dopo l’entrata in vigore di Brexit.
Ora appaiono conclusi i negoziati fra Unione europea e Regno Unito per Brexit, in attesa che l’accordo sia ratificato dal Parlamento di Londra, ma il tema del “passaporto finanziario” è scivolato di attenzione, anche se prospetticamente assai importante.
Nell’Unione europea vige il principio della libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali e della libera prestazione dei servizi finanziari e bancari: il “passaporto” permette alle banche di ciascun paese membro di operare in tutta l’Unione e con i comuni sistemi di vigilanza vigenti nel mercato unico.
Tali diritti non sono, invece, riconosciuti ai “Paesi terzi”, cioè a quelli che non fanno parte dell’Unione europea. I “Paesi terzi” possono chiedere alla Ue un trattamento di “equivalenza”, a seconda dei casi, per alcuni o anche tutti i servizi finanziari.
Mentre per le banche dei Paesi membri della Ue vi è la certezza del diritto comune, per i “Paesi terzi” i rapporti di “equivalenza” non hanno certezze stabili, perché sono frutto delle negoziazioni e sono revocabili dalla Ue.
Il recentissimo accordo di recesso del Regno Unito dalla Ue consta di ben 584 pagine, ma non prevede nulla di specifico in materia di servizi bancari e finanziari. Invece, nella Dichiarazione politica che definisce il quadro delle future relazioni fra Ue e Regno Unito, connessa all’accordo di recesso, vi sono alcuni princìpi relativi ai servizi finanziari e bancari, per assicurare la stabilità, la concorrenza leale su base di reciprocità, nella trasparenza e nella cooperazione delle regolamentazioni e delle vigilanze, nell’autonomia normativa di poter adottare, sospendere e revocare decisioni di “equivalenza”, come anche già sperimentati per “Paesi terzi” rispetto alla Ue.
Tale Dichiarazione prevede un periodo di transizione, che decorrerà dall’uscita del Regno Unito dalla Ue fino al 31 dicembre 2020, in cui le norme europee continueranno ad applicarsi anche al Regno Unito e le imprese bancarie e finanziarie del Regno Unito manterranno i loro diritti di “passaporto” come finora.
Dal 1 gennaio 2021 il Regno Unito sarà un “Paese terzo” per le materie bancarie e finanziarie e non sarà più vigente il “passaporto” per le banche d’oltremanica. Da allora potranno entrare in vigore le decisioni di “equivalenza” che potranno essere concordate fra Ue e Regno Unito.
Insomma, dal 1 gennaio 2021 il Regno Unito diverrà un importante “Paese terzo”, pienamente estraneo all’Unione europea: da allora si verificherà in concreto davvero se Brexit sia stata una decisione più o meno saggia e lungimirante. Ma già le decisioni assunte da tanti organismi bancari e finanziari, di spostare da Londra verso la Ue importanti loro uffici finora stabiliti a Londra, evidenzia i rischi della perdita della certezza del diritto europeo da parte dei soggetti bancari e finanziari operanti nel Regno Unito dopo la piena entrata in vigore di Brexit.
Presidente Abi, Associazione bancaria italiana

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Non è elusivo assegnare i beni al socio della società scissa

14 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore 23 NOVEMBRE 2018 di Angelo Busani

INTERPELLO ENTRATE

Per l’Agenzia l’operazione non consegue vantaggi fiscali indebiti

L’operazione è neutrale per tutti i soggetti coinvolti Il capitale resta invariato

Non è abusiva l’operazione di scissione mediante la quale, allo scopo di separare gli asset immobiliari dall’attività industriale, gli immobili appartenenti alla società scissa vengano allocati nella società beneficiaria che, a sua volta, sia l’unico socio della società scissa; si tratta infatti di una operazione dalla quale non consegue «alcun vantaggio fiscale indebito». È vero che allo stesso risultato si potrebbe pervenire (con un ben diverso carico fiscale) mediante l’assegnazione di questi immobili al socio; ma il contribuente ha la possibilità di scegliere tra operazioni analoghe, se esse sono «poste dall’ordinamento tributario su un piano di pari dignità».
Lo afferma l’agenzia delle Entrate nella risposta 75 del 20 novembre 2018, diffusa ieri, a un interpello nel quale era stato precisato che:
l’operazione di scissione è programmata mediante lo scorporo, a valori contabili, di alcuni asset immobiliari di proprietà della società scissa;
la società beneficiaria acquisisce in contabilità gli asset immobiliari ai valori contabili, senza rivalutare i beni oggetto di scissione;
la scissione si configura come un’operazione neutrale per tutti i soggetti coinvolti;
non si attua alcuna riduzione di capitale sociale per la società scissa, in quanto l’operazione incide unicamente sulle riserve di utili disponibili (in particolare, riducendo la riserva straordinaria e la riserva di rivalutazione di cui alla legge 448/2001); correlativamente, le riserve vengono ricostituite in capo alla beneficiaria con il criterio proporzionale;
la scissione in oggetto non genera alcun rapporto di concambio né assegnazione di nuove quote dal momento che non si procede ad aumentare il capitale sociale della beneficiaria e che quest’ultima è proprietaria dell’intero capitale sociale della scissa.
non sono previste, “a valle” della scissione, cessioni di quote di partecipazione al capitale sociale né della società scissa né della società beneficiaria.
L’Agenzia osserva che, nel caso prospettato, l’operazione di scissione è fiscalmente neutrale e che il passaggio del patrimonio della società scissa alla società beneficiaria non determina la fuoriuscita degli elementi trasferiti dal regime ordinario d’impresa.
Ne consegue che i plusvalori relativi ai componenti patrimoniali trasferiti dalla società scissa alla società beneficiaria, mantenuti latenti dall’operazione di scissione, concorreranno alla formazione del reddito della società beneficiaria secondo le ordinarie regole impositive vigenti al momento in cui i beni fuoriusciranno dalla cerchia dei beni relativi all’impresa: ad esempio, quando siano oggetto di cessione a titolo oneroso, quando siano oggetto di un danneggiamento che provochi la corresponsione di un risarcimento, quando vengano assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.

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