Circolare Ufficio Tributario Prot. 33464 – Evoluzioni operative e indicazione di compilazione per la Dichiarazione dei Redditi a seguito della emanazione di nuove disposizioni fiscali. Allegati obbligatori alla Dichiarazione dei Redditi riferita al periodo d’imposta 2022 (art.94 c1 L166/2013 e succ. mod. e int)

11 Aprile 2023

Si allega per opportuna conoscenza la Circolare dell’Ufficio Tributario che ricorda le prossime scadenze, di seguito riepilogate, e le novità fiscali del periodo d’imposta 2022

Prot33464-2023

  • IGR G (a cura del datore di lavoro) 17 aprile 2023
  • Dichiarazioni dei redditi, Modelli IGR P e IGR L Modelli IGR M e N 30 giugno 2023
  • Dichiarazione del sostituto d’imposta di cui all’articolo 92 della Legge 18 dicembre 2013 n.166 e sue successive modifiche 30 giugno 2023
  • Allegati relativi a:
    a) servizi pubblicitari e di elaborazione dati, assoggettati ad imposta speciale di bollo di cui all’articolo 39 della Legge 13 dicembre 2005 n.179 e sue successive modifiche;
    b) servizi di agenzia, rappresentanza, di commercio e similari, assoggettati ad imposta speciale di bollo di cui all’articolo 39 della Legge 13 dicembre 2005 n.179 e sue successive modifiche;
    c) prestazioni di servizi assoggettati ad imposta complementare di cui all’articolo 48 della Legge 22 dicembre n.194 e disposizioni applicative di cui al Decreto Delegato 22 marzo 2011 n.50.30 giugno 2023
  • Dichiarazione delle attività patrimoniali, finanziarie e quote societarie detenute all’estero (DAPEF) di cui al comma 2, dell’articolo 3 del Decreto Delegato 7 marzo 2022 n.29
    30 giugno 2023
  • Versamento dell’imposta per il riequilibrio delle attività finanziarie estere (IRAFE) di cui all’articolo 4 della Legge 22 dicembre 2021 n.207 30 giugno 2023

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Decreto Delegato 3 Marzo 2023 nr 38 – Coordinamento delle norme in applicazione della Legge 9 Dicembre 2022 nr 164 – Riforma della norme relative all’occupazione

11 Aprile 2023

Si raccomanda un’attenta lettura del Decreto Delegato nr 38 che rielabora le norme di coordinamento della Legge nr 164 del 9/12/2022 (Riforma delle norme relative all’occupazione) segnalando come previsto dall’art 5 che le modifiche per amministratori e soci  con contratto di lavoro subordinato dovranno avvenire entro il 3o giugno 2023.

Data la specificità della normativa e le possibili casistiche riguardanti gli amministratori,  si  invita la gentile clientela a contattare lo studio in caso di chiarimenti.

DD38-2023

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Stop all’uso dei dati biometrici per identificare i lavoratori

11 Aprile 2023

Il Sole 24 Ore lunedì 27 marzo 2023 di Daniele Colombo

Un’ordinanza del Garante esclude la registrazione delle presenze con impronte

Manca una disposizione ad hoc che sia in lineacon la protezione dei dati

L’introduzione di un sistema di timbratura per rilevare le presenze, con terminale biometrico (rilevamento delle impronte digitali), per dipendenti e collaboratori, con lo scopo di registrare l’accesso e la presenza in azienda, è un trattamento illgittimo di dati, perché privo di valida base giuridica, oltre che contrario ai principi di liceità, necessità e proporzionalità. È il principio contenuto nell’ordinanza ingiunzione del 22 novembre del 2022, pronunciata dal Garante della Privacy a conclusione di un procedimento sanzionatorio avviato contro una società, che offre lo spunto per analizzare l’uso di dati biometrici nell’ambito del rapporto di lavoro. Perchè uno specifico trattamento, che ha per oggetto dati biometrici, possa essere lecitamente iniziato, è necessario che lo stesso trovi il proprio fondamento in una disposizione normativa che abbia le caratteristiche richieste dalla disciplina di protezione dei dati, anche in termini di proporzionalità dell’intervento regolatorio rispetto alle finalità che si intendono perseguire.

Che cosa sono i dati biometrici

L’articolo 4 del Gdpr (il regolamento europeo 2016/679) definisce biometrici i «dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono o confermano l’identificazione univoca, quale l’immagine facciale o i dati dattiloscopici».

Il trattamento di dati biometrici (di regola vietato in base all’articolo 9, paragrafo 1 del regolamento), è consentito solo se ricorre una delle condizioni indicate dall’articolo 9, paragrafo 2 del Gdpr e, riguardo ai trattamenti effettuati in ambito lavorativo, solo quando questo sia «necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell’interessato in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale, nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri o da un contratto collettivo ai sensi del diritto degli Stati membri, in presenza di garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato». Queste disposizioni, sono confermate anche dall’articolo 2-septies del Dlgs 101/2018, secondo il quale «i dati genetici, biometrici e relativi alla salute possono essere oggetto di trattamento in presenza di una delle condizioni di cui al paragrafo 2 dell’articolo 9 Gdpr e in conformità alle misure di garanzia disposte dal Garante con apposito provvedimento adottato con cadenza biennale», a oggi ancora in elaborazione. Il datore di lavoro, titolare del trattamento, è, in ogni caso, tenuto a rispettare i principi di «liceità, correttezza e trasparenza», «limitazione delle finalità», «minimizzazione» nonché «integrità e riservatezza» dei dati e «responsabilizzazione» (articolo 5 del Gdpr).

Le condizioni per trattarli

Per poter intraprendere lecitamente un trattamento di dati biometrici, questo deve trovare dunque il proprio fondamento in una disposizione normativa, che deve avere le caratteristiche richieste dalla disciplina sulla protezione dei dati personali, anche dal punto di vista della proporzionalità rispetto alle finalità da perseguire. L’assenza ex lege della tecnologia biometrica per assolvere gli obblighi in materia di lavoro rende illecito il relativo utilizzo. Il trattamento non può trovare un valido presupposto nemmeno nel consenso del lavoratore, data la asimmetria tra le parti.

Il trattamento del dato biometrico, non può essere giustificato dall’interesse legittimo, espressamente vietato dal Gdpr con riferimento ai dati particolari, di cui i dati biometrici fanno parte. Quindi, in assenza di una normativa ad hoc, il Garante della Privacy, in diverse occasioni, ha dichiarato illegittimo l’uso di dati biometrici per rilevare la presenza di dipendenti. Tale trattamento, inoltre, sempre secondo il Garante, è sproporzionato rispetto alle finalità dichiarate, poiché esistono altri strumenti che possono garantire la rilevazione delle presenze. Seguendo questo ordine di idee, si può ritenere che non si possano utilizzare nell’ambito del rapporto di lavoro strumenti quali il riconoscimento vocale, il riconoscimento facciale, i sistemi di body scanner e le scansioni per l’identificazione univoca della persona.

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Deducibili i costi solo con inerenza documentata

11 Aprile 2023

Il Sole 24 Ore 23 marzo 2023 di Enrico Holzmiller

L’utilità dei servizi infragruppo deve essere determinabile e certa

L’effettiva utilità e l’oggettiva determinabilità sono elementi essenziali per la deducibilità dei costi intercompany. È questa la conclusione della Cgt di II grado della Lombardia, con la sentenza 4299/22. La vicenda trae origine da una contestazione dell’ufficio nei confronti di una stabile organizzazione italiana di società avente sede nella Repubblica Ceca e riguarda la deducibilità di costi per servizi che la casa madre ha svolto nell’interesse della filale italiana. Il primo grado si era chiuso con sentenza a favore della contribuente.

L’Ufficio, alla base dell’asserita indeducibilità di tali costi, aveva rilevato le seguenti criticità in capo alla stabile organizzazione:

assenza di un accordo (si suppone scritto, ma la sentenza non lo precisa) valido e vincolante;

genericità della descrizione indicata nell’oggetto delle fatture e la sintetica descrizione delle operazioni contenuta negli internal orders che non riportavano in modo dettagliato la natura, la qualità e la quantità dei servizi oggetto dell’operazione;

il prospetto riguardante i costi orari medi del personale della casa madre e le ore impiegate per il supporto alla filiale estera italiana non consentiva una concreta misurazione delle ore di lavoro effettivamente svolte;

alcuni dei servizi resi dal personale, come descritti, si sostanziavano in una duplicazione di funzioni già svolte a livello locale in Italia così come individuabili dal relativo organigramma:

mancanza di una certificazione emessa da una società di revisione per accertare l’operato del gruppo in termini di effettivo sostenimento, congruità e correttezza delle ripartizioni di costo.

I giudici lombardi, preso atto delle criticità rilevate dall’Ufficio, ricordano anzitutto che in base all’articolo 109 del Tuir le componenti negative del reddito sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono alla formazione del reddito. Ciò che risulta decisivo, quindi, è il collegamento tra la spesa e l’attività di impresa. Il requisito dell’inerenza – continua la Corte – esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa.

Volendo calare questo concetto nell’ambito dei servizi infragruppo – continuano i giudici – ai fini della deducibilità del costo sostenuto è necessario che i servizi erogati siano di effettiva utilità (a favore del soggetto che li riceve e ne sostiene le spese) e che quest’ultima – utilità – sia obbiettivamente determinabile e adeguatamente documentata, con rigorosi criteri di allegazione, attendibilità e prova.

Tenuto conto delle riflessioni appena formulate, e applicandole al caso trattato, i giudici giungono a una conclusione negativa, accogliendo l’appello delle Entrate e ribaltando il giudizio di primo grado. In particolare, ciò che ha determinato la decisione della Corte è stata l’inesistenza di dati e documenti atti a quantificare in modo oggettivo tali servizi e, soprattutto, le chiavi di allocazione degli stessi (e dei relativi costi) in capo alla stabile organizzazione italiana. L’inesistenza di un accordo convenzionale che fornisca, a priori, criteri di quantificazione dei servizi, impedisce di stimare le ore di costo addebitate.

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Ritenute, doppia verifica verso i non residenti

11 Aprile 2023

Il Sole 24 Ore lunedì 27 marzo 2023 di Stefano Vignoli

L’obbligo di trattenere il 30% a titolo di imposta scatta se c’è presupposto territoriale

Il secondo check riguarda le convenzioni contro le duplicazioni del prelievo

La stagione delle certificazioni uniche, dopo la prima scadenza del 16 marzo, prosegue fino al 31 ottobre 2023 con gli adempimenti relativi alla certificazione dei redditi esenti o non dichiarabili con il modello 730. Ma se l’adempimento certificativo ha scadenze precise, la verifica delle ritenute da operare è un adempimento continuativo che richiede versamenti mensili anche per i contribuenti con liquidazioni trimestrali.

Tra i compensi soggetti a ritenuta vi sono anche quelli previsti dall’articolo 25, comma 2, del Dpr 600/1973, cioè i compensi corrisposti a soggetti non residenti per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente.

La ritenuta del 30%, da applicare a titolo d’imposta, non opera quando le prestazioni sono effettuate all’estero e quando i compensi sono corrisposti a stabili organizzazioni.

Al contrario di quanto avviene per i prestatori residenti, che vedono applicata la ritenuta soltanto quando la prestazione origina «reddito di lavoro autonomo», l’articolo 25 prevede l’obbligo di effettuare la ritenuta per prestazioni rese da soggetti esteri, a prescindere dal requisito soggettivo e pertanto anche quando la prestazione è resa da imprese individuali, società o enti.

Una prima condizione da verificare per l’applicabilità della ritenuta è se la prestazione sia svolta in Italia: in carenza del presupposto territoriale il cliente italiano non deve operare la ritenuta. A questo fine occorre aver riguardo a dove la prestazione viene materialmente svolta: quando il professionista svolge la propria attività direttamente dall’ufficio o abitazione all’estero, anche in modalità online, la ritenuta non sarà dovuta. In questo senso, l’ampia diffusione del lavoro e delle riunioni a distanza, ha sicuramente allargato i casi in cui la prestazione viene effettivamente svolta all’estero: quando la natura della prestazione è tale da poter ingenerare dubbi sul luogo di svolgimento sarà necessario acquisire dichiarazione del beneficiario di aver effettuato la prestazione nello Stato estero.

Nel caso in cui l’attività sia resa soltanto parzialmente in Italia si ritiene che la ritenuta sia applicabile soltanto sulla “parte italiana”, fermo restando la necessità di poter scindere la prestazione evidenziando il lavoro svolto all’estero.

Le ritenute sono operate a titolo di imposta sul compenso lordo senza possibilità di dedurre i costi afferenti (risoluzione 20 marzo 1998 n. 20) e quindi in molti casi superano le imposte effettivamente dovute nel Paese di residenza: al non residente è tuttavia preclusa la possibilità di presentare la dichiarazione dei redditi in Italia ed assoggettare il reddito a Irpef progressiva.

L’applicazione della ritenuta in molti casi non avviene (o è rimborsabile) in quanto le Convenzioni contro le doppie imposizioni prevedono, all’articolo 14 (ovvero articolo 7) del Modello Ocse, che i redditi che il professionista residente di uno Stato ritrae dall’esercizio della libera professione sono imponibili soltanto nello Stato di residenza a meno che non disponga nell’altro Paese di una stabile organizzazione / base fissa.

Sarà tuttavia opportuno verificare il testo di ciascuna convenzione per individuare differenze rispetto al modello standard: si pensi alla convenzione con San Marino che all’articolo 14 prevede la tassazione concorrente dell’Italia per i redditi ivi imponibili.

Inoltre la tutela convenzionale viene meno per gli artisti e sportivi che performano in Italia. L’articolo 17 del modello Ocse prevede infatti potestà impositiva concorrente dello Stato della fonte: così il cantante residente in Gran Bretagna che si esibisce in Italia è soggetto a ritenuta nella misura del 30% anche quando la prestazione è fatturata da società estera che non ha una stabile organizzazione in Italia.

Negli altri casi, l’esonero è condizionato all’acquisizione di idonea documentazione quali la certificazione da parte del prestatore attestante la carenza di stabile organizzazione e la certificazione dello Stato estero da cui emerga che è soggetto passivo di imposta nello Stato stesso e, a tal fine, è possibile utilizzare il modello D approvato con provvedimento delle Entrate n. 2013/84404, disponibile anche in lingua inglese e francese.

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Interposizione fiscale se il trustee è condizionato

11 Aprile 2023

Il Sole 24 Ore 28 marzo 2023 di Michela Folli Marco Piazza

Nel caso il disponente può revocare guardiano e trustee senza giusta causa

In questa situazione i redditi sono attribuiti a disponenti o beneficiari

La circostanza che l’atto istitutivo di un trust vincoli in numerosi casi l’operatività del trustee al consenso del guardiano, e consenta al disponente (anche con l’accordo di uno o più beneficiari) di revocare il guardiano e il trustee anche senza giusta causa è un significativo indizio di limitazione del potere gestorio del trustee, tale da rendere il trust fiscalmente interposto.

Queste conclusioni sono messe in chiara evidenza nella risposta n. 267/2023 di ieri dell’agenzia delle Entrate riguardante un trust italiano possessore di una partecipazione rilevante in una holding residente in Italia.

La risposta – conseguenza di una approfondita analisi delle varie clausole di un atto istitutivo molto complesso – conferma che nell’ipotesi in cui un trust è interposto formalmente nella titolarità di beni o attività (cosiddetta «interposizione fittizia»), il reddito di cui «appare titolare» il trust è assoggettato ad imposizione, per «imputazione», direttamente in capo all’interponente residente in Italia secondo le categorie previste dall’articolo 6 del Tuir (sia esso il disponente o il beneficiario), considerando il trust quale soggetto interposto.

La questione assume una certa rilevanza perché capita molto frequentemente di incontrare trust nei quali il disponente ha potere di revoca incondizionato, anche tramite il guardiano, del trustee.

Non si tratta di una novità nella prassi dell’amministrazione finanziaria. La prima pronuncia pubblicata in cui viene affrontato il tema della revocabilità del trustee (da non confondere con la revocabilità del trust) è la risoluzione n. 8/E del 2003, nella quale si spiega che deve considerarsi fiscalmente come «non esistente» un trust formalmente regolare in cui il settlor mantiene l’effettivo controllo sui beni attraverso un guardiano che – persona di fiducia o consigliere del settlor – può sostituire il trustee per qualsiasi ragione e in qualsiasi momento.

Viene citato il paragrafo B.2 della Parte I del Report on the misure of corporate vehicles for illicit purposes, prodotto dall’Ocse nel 2001 in cui si mette in evidenza come lo stato di soggezione psicologica in cui può trovarsi il trustee revocabile anche in assenza di una giusta causa costituisca un limite alla sua autonomia gestionale.

Nelle circolari 43/E del 2009 e 61/E del 2010 nelle quali vengono individuate alcune tipologie di trust da ritenere «inesistenti in quanto interposte» il che ha fatto pensare che questo elemento non fosse considerato di particolare importanza, ma nella risposta 796 del 2021, la revocabilità incondizionata del trustee è tornata ad assumere rilievo.

L’agenzia delle Entrate, oggi, non mette più in discussione (come invece fu fatto nella risoluzione 8/E del 2003) la liceità di questa tipologia di trust sul piano giuridico. L’interposizione, in altri termini, è solo fiscale non è una intestazione fittizia.

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Alla fine del rapporto l’e-mail del dipendente deve essere disattivata

11 Aprile 2023

Il Sole 24 Ore lunedì 27 marzo 2023 di Daniele Colombo

Le indicazioni del Garante sui limiti all’accesso a caselle di posta elettronica

L’indirizzo di posta elettronica del lavoratore deve essere cancellato una volta cessato il rapporto di lavoro. Il datore di lavoro, infatti, non può apprendere il contenuto delle e-mail del dipendente adducendo come legittimo interesse la necessità di non interrompere improvvisamente il rapporto con i clienti (o i fornitori), o per difendere in giudizio un proprio diritto. Il Garante della privacy ha ribadito questo principio nell’ordinanza dell’11 gennaio 2023 pubblicata sulla newsletter 501 del 15 marzo (si veda anche Ntpluslavoro del 16 marzo 2023). L’Autorità si è pronunciata in seguito al reclamo presentato dalla collaboratrice di una società alla quale era stato attivato un indirizzo di posta elettronica per partecipare a una fiera. Con l’interruzione del rapporto di collaborazione, nonostante le plurime richieste di cancellazione, la società non aveva provveduto, anzi aveva consultato il contenuto delle e-mail, inoltrandole al direttore commerciale. La società aveva giustificato la propria condotta con la necessità di mantenere i contatti con i clienti, oltre che per difendere un diritto in giudizio. All’esito dell’istruttoria, la società veniva condannata, perchè la condotta tenuta risultava in contrasto con quanto stabilito dall’articolo 13 del Gdpr, in base al quale il titolare del trattamento deve fornire preventivamente all’interessato tutte le informazioni relative alle caratteristiche essenziali del trattamento che, in questo caso, non erano state fatte pervenire alla collaboratrice. Né l’esigenza di non interrompere i rapporti con i clienti, né l’interesse di difendere un diritto in giudizio, quindi, sono elementi tali da configurare un idoneo criterio di legittimazione del trattamento. La dichiarata esigenza di non interrompere ex abrupto i contatti con i clienti si realizza attraverso l’attivazione di un sistema di risposta automatico con il quale vengono forniti indirizzi alternativi, attraverso i quali contattare il titolare.

 

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San Marino non valida le fatture di acconto

11 Aprile 2023

Il Sole 24 Ore 13 Marzo 2023 di Gianpaolo Giuliani

Una ditta italiana emette una fattura elettronica per un acconto a società di San Marino.

Nel cassetto fiscale, tramite il servizio di consultazione delle fatture elettroniche, non troviamo la validazione da parte dell’Ufficio tributario di San Marino, che ritroviamo invece nella fattura di saldo merce, inviata sempre in modo elettronico.

È corretto?

L’Ufficio tributario della Repubblica di San Marino appone i propri visti soltanto nel momento in cui i beni sono materialmente introdotti nel proprio territorio, sicché le fatture di acconto non possono essere oggetto di vidimazione. Il visto sarà, dunque, presente nella fattura di saldo, in cui è opportuno richiamare anche la fattura di acconto.

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Scadenziario Aprile 2023

11 Aprile 2023

entro il 17 Aprile

  • Scade il termine per la trasmissione telematica del Modello IGR “G” dell’anno precedente all’Ufficio Tributario.

entro il 20 Aprile

  • scade il termine per il pagamento dei contributi previdenziali /assistenziali I.S.S.  F.S.S. e FONDISS per lavoratori dipendenti relativi al mese di marzo.

entro il 30 Aprile

  • scade il termine per tutte le società di capitali, per la consegna del bilancio d’esercizio, corredato di nota integrativa, al sindaco o al collegio sindacale;
  • scade il termine per il versamento della ritenuta del 5% sugli utili  (anche eventualmente accantonati a Riserva) prelevati nel bimestre di  gennaio e febbraio (ritenuta da applicarsi sulla distribuzione utili formatisi dall’anno 2014  in avanti);
  • il pagamento delle ritenute a titolo d’acconto per lavoro dipendente e autonomo relativi al bimestre di gennaio e febbraio dell’esercizio in corso. Si rammenta che le ritenute sui compensi relativi a lavoratori autonomi sono pari al 20%;
  • il pagamento dell’imposta speciale di bollo sui servizi di agenzia e rappresentanza (3% – 6%) relativi al bimestre di gennaio e febbraio dell’esercizio in corso;
  • il pagamento dell’imposta bollo del 3% sulle prestazioni di pubblicità ed elaborazione dati relative al 1° bimestre 2023

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