Auguri 2019

21 Dicembre 2018

Augurando Buon Natale e Felice Anno Nuovo lo Studio Valentini ricorda alla gentile clientela che rimarrà chiuso per le festività Natalizie dal 22 Dicembre 2018 al 6 Gennaio 2019 compresi.

Con l’occasione si comunicano i nuovi orari di apertura al pubblico in vigore dal 2019.

Dal Lunedi al Giovedì

8,30 – 13,00   14,00 – 17,30

Venerdì

8,30 – 13,00  13,30 – 16,30

MERCOLEDÌ POMERIGGIO CHIUSO

 

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Crisi aziendali, da chiarire il momento in cui i sindaci devono intervenire

14 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 5 NOVEMBRE 2018 di Claudio Ceradini

FALLIMENTO

Giudici ancora divisi sull’insorgenza della responsabilità

La questione sarà affrontata dai Dlgs di attuazione della riforma dell’insolvenza

È ancora incerta l’individuazione del momento in cui il collegio sindacale deve attivarsi nella denuncia delle crisi aziendali, per non incorrere nelle responsabilità conseguenti alla propria inerzia. Questo è il quadro che emerge dall’analisi degli orientamenti giurisprudenziali di legittimità e merito anche recenti.
La questione dovrebbe essere chiarita dai decreti di attuazione della legge delega per la riforma della disciplina di crisi ed insolvenza (legge 155/2017) che nei prossimi giorni dovrebbero ricevere il primo via libera del Consiglio dei ministri.
Quando risponde il collegio
Il dato comune alle diverse pronunce è che la responsabilità solidale del collegio sindacale per inosservanza del dovere di vigilanza non richiede l’individuazione di specifici inadempimenti. È sufficiente che non abbia individuato evidenti violazioni della legge o dello statuto, o che rilevandole non abbia reagito con sufficiente tempestività, esercitando i poteri che la legge gli riconosce.
Il punto è calare lo schema nel contesto dell’insorgenza della crisi per comprendere quando la situazione possa considerarsi sufficientemente evidente e grave da imporre all’organo di controllo diligente di attivarsi affinchè il dissesto non si ampli, ben sapendo quanto critica sia la decisione quando alle difficoltà emergenti si contrapponga la rappresentazione da parte degli amministratori di piani di risanamento, ontologicamente incerti.
Di sicuro il collegio sindacale che tolleri l’occultamento delle reali perdite nei bilanci di esercizio, operato con evidenti artifizi contabili come l’ esposizione di crediti inesistenti o l’ allocazione di avviamenti mai acquisiti, impedendo così che emerga il reale depauperamento del patrimonio e si inneschi l’obbligo di ripianamento o di cessazione della gestione, è solidalmente responsabile con gli amministratori per il danno generato dalla prosecuzione dell’attività.
Avrebbe dovuto reagire relazionando all’assemblea e se necessario rivolgendosi al tribunale per denunciare le gravi irregolarità riscontrate. Il suo intervento avrebbe evitato l’ampliamento del dissesto, e quindi l’inerzia costituisce inadempimento ai propri obblighi di vigilanza e comporta la responsabilità per il danno prodottosi (Corte appello di Napoli del 3 luglio 2018, Tribunale di Roma del 9 febbraio 2018).
Diversa è la situazione su cui lo stesso Tribunale di Roma si è pronunciato a fine 2017. Alla emersione di pur chiari sintomi di crisi (inadempimento del gruppo agli obblighi restitutori derivanti da un prestito obbligazionario) il collegio assiste alla predisposizione di un piano di rilancio, che nei mesi successivi fallisce per la mancata adesione degli investitori interpellati. Il debitore rileva la crisi e deposita domanda di concordato preventivo circa sei mesi dopo l’insorgenza del “sintomo”. Secondo il Tribunale di Roma amministratori e sindaci sono solidamente responsabili per gli oneri finanziari maturati in quel periodo, che l’accesso a una procedura concorsuale avrebbe sterilizzato, ma soprattutto per i compensi corrisposti ai professionisti incaricati di redigere il piano, poi fallito.
Ogni tentativo di soluzione andrebbe infatti esperito nell’alveo di uno degli strumenti offerti dalla legge fallimentare, per cui diverrebbe obbligo dell’organo di controllo attivarsi immediatamente richiedendone il ricorso, indipendentemente dalla presenza di piani anche ragionevoli, ma mai certi, di risanamento.
La riforma in arrivo
Nelle due situazioni l’evidenza della gravità assume connotati molto diversi. La mancanza di una norma di chiusura oggi lo consente, e su questo punto ci si attende che i decreti attuativi della legge delega 155/2017 intervengano. Tutte le versioni sino ad oggi circolate prevedono che l’attivazione dell’organo di controllo al manifestarsi di precisi sintomi di crisi ne sterilizzi la responsabilità.
L’aspetto delicato è l’individuazione di quelle condizioni. Se dovessero convergere, come pare, sui «fondati indizi di crisi» destinati a innescare le nuove procedure di allerta, funzionali a tutt’altro e cioè a favorire una soluzione in fase precoce, potrebbero produrre effetti indesiderati. Se invece trovassero riferimento in parametri che individuano condizioni più prossime all’insolvenza, che la delega destinerebbe al riconoscimento al debitore delle misure premiali, il contributo alla precisazione degli obblighi di controllo sarebbe tangibile.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

L’importanza del «PASSAPORTO FINANZIARIO»

14 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore 29 NOVEMBRE 2018 di Antonio Patuelli
BANCHE DOPO LA BREXIT
Dopo il traumatico referendum per la Brexit, uno dei problemi più importanti e controversi è stato da subito quello del cosiddetto “passaporto finanziario”, cioè della possibilità degli organismi bancari e finanziari del Regno Unito di operare, più o meno liberamente, nell’Unione europea dopo l’entrata in vigore di Brexit.
Ora appaiono conclusi i negoziati fra Unione europea e Regno Unito per Brexit, in attesa che l’accordo sia ratificato dal Parlamento di Londra, ma il tema del “passaporto finanziario” è scivolato di attenzione, anche se prospetticamente assai importante.
Nell’Unione europea vige il principio della libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali e della libera prestazione dei servizi finanziari e bancari: il “passaporto” permette alle banche di ciascun paese membro di operare in tutta l’Unione e con i comuni sistemi di vigilanza vigenti nel mercato unico.
Tali diritti non sono, invece, riconosciuti ai “Paesi terzi”, cioè a quelli che non fanno parte dell’Unione europea. I “Paesi terzi” possono chiedere alla Ue un trattamento di “equivalenza”, a seconda dei casi, per alcuni o anche tutti i servizi finanziari.
Mentre per le banche dei Paesi membri della Ue vi è la certezza del diritto comune, per i “Paesi terzi” i rapporti di “equivalenza” non hanno certezze stabili, perché sono frutto delle negoziazioni e sono revocabili dalla Ue.
Il recentissimo accordo di recesso del Regno Unito dalla Ue consta di ben 584 pagine, ma non prevede nulla di specifico in materia di servizi bancari e finanziari. Invece, nella Dichiarazione politica che definisce il quadro delle future relazioni fra Ue e Regno Unito, connessa all’accordo di recesso, vi sono alcuni princìpi relativi ai servizi finanziari e bancari, per assicurare la stabilità, la concorrenza leale su base di reciprocità, nella trasparenza e nella cooperazione delle regolamentazioni e delle vigilanze, nell’autonomia normativa di poter adottare, sospendere e revocare decisioni di “equivalenza”, come anche già sperimentati per “Paesi terzi” rispetto alla Ue.
Tale Dichiarazione prevede un periodo di transizione, che decorrerà dall’uscita del Regno Unito dalla Ue fino al 31 dicembre 2020, in cui le norme europee continueranno ad applicarsi anche al Regno Unito e le imprese bancarie e finanziarie del Regno Unito manterranno i loro diritti di “passaporto” come finora.
Dal 1 gennaio 2021 il Regno Unito sarà un “Paese terzo” per le materie bancarie e finanziarie e non sarà più vigente il “passaporto” per le banche d’oltremanica. Da allora potranno entrare in vigore le decisioni di “equivalenza” che potranno essere concordate fra Ue e Regno Unito.
Insomma, dal 1 gennaio 2021 il Regno Unito diverrà un importante “Paese terzo”, pienamente estraneo all’Unione europea: da allora si verificherà in concreto davvero se Brexit sia stata una decisione più o meno saggia e lungimirante. Ma già le decisioni assunte da tanti organismi bancari e finanziari, di spostare da Londra verso la Ue importanti loro uffici finora stabiliti a Londra, evidenzia i rischi della perdita della certezza del diritto europeo da parte dei soggetti bancari e finanziari operanti nel Regno Unito dopo la piena entrata in vigore di Brexit.
Presidente Abi, Associazione bancaria italiana

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Non è elusivo assegnare i beni al socio della società scissa

14 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore 23 NOVEMBRE 2018 di Angelo Busani

INTERPELLO ENTRATE

Per l’Agenzia l’operazione non consegue vantaggi fiscali indebiti

L’operazione è neutrale per tutti i soggetti coinvolti Il capitale resta invariato

Non è abusiva l’operazione di scissione mediante la quale, allo scopo di separare gli asset immobiliari dall’attività industriale, gli immobili appartenenti alla società scissa vengano allocati nella società beneficiaria che, a sua volta, sia l’unico socio della società scissa; si tratta infatti di una operazione dalla quale non consegue «alcun vantaggio fiscale indebito». È vero che allo stesso risultato si potrebbe pervenire (con un ben diverso carico fiscale) mediante l’assegnazione di questi immobili al socio; ma il contribuente ha la possibilità di scegliere tra operazioni analoghe, se esse sono «poste dall’ordinamento tributario su un piano di pari dignità».
Lo afferma l’agenzia delle Entrate nella risposta 75 del 20 novembre 2018, diffusa ieri, a un interpello nel quale era stato precisato che:
l’operazione di scissione è programmata mediante lo scorporo, a valori contabili, di alcuni asset immobiliari di proprietà della società scissa;
la società beneficiaria acquisisce in contabilità gli asset immobiliari ai valori contabili, senza rivalutare i beni oggetto di scissione;
la scissione si configura come un’operazione neutrale per tutti i soggetti coinvolti;
non si attua alcuna riduzione di capitale sociale per la società scissa, in quanto l’operazione incide unicamente sulle riserve di utili disponibili (in particolare, riducendo la riserva straordinaria e la riserva di rivalutazione di cui alla legge 448/2001); correlativamente, le riserve vengono ricostituite in capo alla beneficiaria con il criterio proporzionale;
la scissione in oggetto non genera alcun rapporto di concambio né assegnazione di nuove quote dal momento che non si procede ad aumentare il capitale sociale della beneficiaria e che quest’ultima è proprietaria dell’intero capitale sociale della scissa.
non sono previste, “a valle” della scissione, cessioni di quote di partecipazione al capitale sociale né della società scissa né della società beneficiaria.
L’Agenzia osserva che, nel caso prospettato, l’operazione di scissione è fiscalmente neutrale e che il passaggio del patrimonio della società scissa alla società beneficiaria non determina la fuoriuscita degli elementi trasferiti dal regime ordinario d’impresa.
Ne consegue che i plusvalori relativi ai componenti patrimoniali trasferiti dalla società scissa alla società beneficiaria, mantenuti latenti dall’operazione di scissione, concorreranno alla formazione del reddito della società beneficiaria secondo le ordinarie regole impositive vigenti al momento in cui i beni fuoriusciranno dalla cerchia dei beni relativi all’impresa: ad esempio, quando siano oggetto di cessione a titolo oneroso, quando siano oggetto di un danneggiamento che provochi la corresponsione di un risarcimento, quando vengano assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Va resa l’euroritenuta sui capitali rientrati

14 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 19 NOVEMBRE 2018 di Marcello Maria De Vito

REDDITI DI CAPITALE

L’omesso quadro RW non blocca il rimborso post voluntary disclosure

Il rifiuto dell’agenzia delle Entrate a rimborsare l’euroritenuta in caso di voluntary disclosure del contribuente è contraria all’accordo internazionale contro le doppie imposizioni tra Unione europea e Svizzera, con conseguente violazione della direttiva 2003/48/Ce in base alla quale lo Stato di residenza fiscale può sostituire il meccanismo del credito con un rimborso della ritenuta alla fonte. Lo afferma la Ctr Lombardia 4031/2/2018 (presidente e relatore Silocchi).
Un contribuente chiedeva il rimborso dell’euroritenuta, applicata su redditi di capitale conseguiti all’estero dal 2010 al 2013, in base all’accordo tra Ue e Svizzera del 2004. Il contribuente non aveva dichiarato queste disponibilità, ma aveva successivamente aderito alla voluntary disclosure.
L’ufficio opponeva il rifiuto che veniva impugnato in Ctp. Il contribuente eccepiva che le violazioni erano solo formali, trattandosi di omessa compilazione del quadro RW. Quindi, se i redditi esteri fossero stati indicati, sarebbe emerso un credito d’imposta grazie all’euroritenuta. Sosteneva poi che l’ufficio aveva violato l’accordo esistente tra Ue e Svizzera, realizzando doppia imposizione su redditi di capitale.
L’ufficio resisteva, affermando che l’istanza di rimborso era inammissibile perché in contrasto con la voluntary disclosure perfezionata e per il fatto che l’accertamento definito in adesione non era impugnabile, né integrabile o modificabile da parte dell’ufficio. La Ctp accoglieva il ricorso. L’Agenzia impugnava la sentenza, eccependo che il contribuente avendo scelto la definizione agevolata non poteva più modificare l’accordo accettato, nel quale non era previsto alcun credito.
Si costituiva il contribuente, osservando che l’Italia, percependo l’euroritenuta, aveva incassato due volte l’imposta, in violazione dell’accordo Ue-Svizzera. Avendo aderito alla voluntary disclosure, aveva evidenziato disponibilità, che, se dichiarate, avrebbero procurato un credito d’imposta. Le Entrate, nel liquidare il dovuto, non avevano tenuto conto dell’euroritenuta, percependo quindi una doppia imposizione.
La Ctr osserva che il rifiuto di rimborsare l’euroritenuta in caso voluntary disclosure è contraria all’accordo contro la doppia imposizione esistente tra Ue e Svizzera, con conseguente violazione della direttiva 2003/48/Ce. Quest’ultima, all’articolo 14, afferma che lo Stato di residenza fiscale può sostituire il meccanismo del credito per le imposte estere con un rimborso della ritenuta alla fonte.
Inoltre non convince, secondo il collegio, l’obiezione che esclude il credito per le imposte estere nel caso di omessa indicazione dei redditi in dichiarazione. La Ctr ricorda che, secondo la stessa circolare dell’Agenzia, può essere riconosciuto il credito d’imposta sia in caso di ravvedimento operoso lungo, sia in presenza di contestazioni da parte del Fisco. Ciò rende illogico ancorare il rifiuto al dato formale dell’adesione alla voluntary disclosure.
Pertanto, la Ctr ha respinto l’appello dell’ufficio e ordinato il rimborso dell’euroritenuta.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

La polizza come paracadute dai rischi informatici

14 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 19 NOVEMBRE 2018 di E.N.

Come tutelarsi e quanto costa

Il paracadute della polizza contro i danni causati dai cyber banditi. Questa la via prudente che uno studio di professionisti dovrebbe imboccare per migliorare ulteriormente il proprio livello di sicurezza dopo l’ingresso nell’era del Gdpr.
«I nuovi asset per i professionisti sono quelli immateriali e, se non tutelati adeguatamente, c’è il concreto rischio di chiudere l’attività», premette Vincenzo Aliotta, director di Aon, gruppo leader nella consulenza dei rischi e delle risorse umane, nell’intermediazione assicurativa e riassicurativa. In altre parole i provvedimenti generalmente presi per tutelare i dati dei terzi non sempre sono efficaci rispetto agli attacchi sferrati dagli hacker. «Per altro si pensa che i rischi maggiori siano quelli causati a terzi – continua Aliotta – sottovalutando quello che potrebbe accadere all’attività del professionista che spesso non acquista la copertura a tutela dei danni propri».
I costi di una polizza nel complesso sono accettabili (si veda la tabella accanto) e il premio è proporzionato al giro d’affari dello studio. Nel caso di un singolo professionista il costo annuale minimo è, secondo i calcoli esemplificativi fatti da Aon per il Sole 24 Ore, è di 86 euro. Il premio cresce con l’aumentare del massimale: spendendo 600 euroil massimale arriva a 500mila. Per i grandi studi – come, per esempio, quelli associati con un centinaio di professionisti e un giro d’affari di 1,5 milioni – bisogna preventivare attorno ai 770 euro l’anno. Da ricordare che questo tipo di copertura si va ad aggiungere a quella per la responsabilità professionale che a volte copre il danno a terzi ma non i danni propri.
Inoltre la stipula della polizza di fatto obbliga a rivedere le regole interne allo studio. Aon, per esempio, chiede la compilazione di un questionario dal quale poi emerge il livello di sicurezza della parte Ict. In questo modo si evidenzia il rischio potenziale dell’attività. Nei casi più complessi la società dispone di team di risk assessment che verificano il livello di affidabilità e il rispetto delle policy interne. Questi esperti, per finire, evidenziano le lacune dove intervenire per limitare i rischi.
«Sono molte le professioni che trasmettono dati telematicamente e questo ha posto un ulteriore accento su come proteggerli e sui possibili danni ai terzi – dice Chiara Fiorotto, team leader Professional association di Marsh -. La copertura assicurativa per il rischio cyber si aggiunge a quella sulla responsabilità e spesso i professionisti sono incerti su quali garanzie includere». Il mercato poi offre prodotti specifici e modulari.
Il nodo è soprattutto culturale perché nella maggiore parte dei casi si tende a sottovalutare il rischio confidando nella buona sorte. Tutti possono finire nel mirino dei cyber banditi quindi anche i medici, i farmacisti o i geometri.
Per non avere la coperta assicurativa troppo corta è meglio inserire clausole come la copertura per danni accidentali, assistenza legale e informatica, servizi di ripristino o accessori quali It e comunicazione, tutela per estorsione informatica e la copertura per perdite da interruzione della rete del fornitore esterno di servizi.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Non c’è obbligo di e–fattura verso non residenti in Italia

14 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore 5 NOVEMBRE 2018 di Alfredo Calvano L’esperto Risponde

Una società a responsabilità limitata che si occupa di gestione immobiliare emette fatture esenti per locazioni di immobili residenziali in favore di clienti non residenti (europei ed extra europei): è comunque tenuta alla fatturazione elettronica?
A.M.ROMA
La circolare 13/E/2018 ha previsto che i soggetti passivi meramente identificati ai fini Iva in Italia, e non stabiliti nel Paese, non sono obbligati all’emissione della fattura elettronica. Ciò in considerazione del fatto che l’articolo 1, comma 909, della legge di Bilancio 2018, nonostante li includa espressamente, va interpretato in senso conforme alla decisione di autorizzazione di cui al regolamento di esecuzione 282/2011 della direttiva 2006/112/CE. L’obbligo di fattura elettronica, quindi, riguarda solo i soggetti passivi Iva residenti ovvero stabiliti in Italia; va da sé che le operazioni tra soggetti diversi, ad esempio cessioni da e verso soggetti comunitari ed extracomunitari (fra i quali vanno annoverati, in base all’articolo 6 della direttiva 2006/112/CE e all’articolo 7 del Dpr 633/1972 che vi ha dato attuazione nel nostro ordinamento, coloro che risiedono nei comuni di Livigno e di Campione d’Italia), non rientrano nell’obbligo di fatturazione elettronica, ma, semmai, in quello previsto dall’articolo 1, comma 3–bis, del Dlgs 127/2015 e, prima, dall’articolo 21 del Dl 78/2010, ossia costituiranno oggetto di trasmissione telematica all’agenzia delle Entrate dei dati delle relative fatture. Sul punto, il documento di prassi citato ha precisato che i soggetti non residenti identificati ai fini Iva in Italia possono essere destinatari di fatture elettroniche sempreché sia assicurata a loro la possibilità di ottenere copia cartacea della fattura qualora ne facciano richiesta. In base a quanto sopra, non c’è l’obbligo di emissione della fattura elettronica nei confronti di tali soggetti a mano che non siano stabiliti ai fini Iva in Italia (si pensi al caso di soggetto Ue con stabile organizzazione in Italia e l’acquisto sia effettuato direttamente dall’organizzazione italiana).

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Ok alla conservazione virtuale per la fattura al cliente estero

14 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore 5 NOVEMBRE 2018 di Alfredo Calvano L’esperto Risponde

Un’azienda che decide di inviare in formato elettronico una fattura a un cliente estero ha l’obbligo di conservarla in digitale o può procedere alla conservazione cartacea del documento? La possibilità del cliente estero di appoggiarsi a un hub accreditato può incidere oppure la possibilità di inviare le fatture a clienti esteri in formato elettronico ha il solo scopo di snellire la prossima comunicazione delle operazioni transfrontaliere?
A.I.SESTO FIORENTINO
Come noto per i dati delle fatture emesse nei confronti di soggetti passivi esteri questa trasmissione può essere sostituita con utilizzo della fattura elettronica avendo cura di valorizzare all’interno della fattura l’elemento «Codice destinatario» con «XXXXXXX». Con tale modalità verrà meno l’obbligo di presentazione dello spesometro (cosiddetto esterometro) con riferimento alle fatture estere. Sebbene ad oggi non ci sia stato un chiarimento ufficiale, le fatture elettroniche emesse, seppure in via facoltativa, nei confronti di soggetti esteri dovrebbero comportare la conservazione sostitutiva (ovvero digitale).

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

CHIUSURA FESTIVITA’ NATALIZIE

13 Dicembre 2018

Si avvisa la gentile clientela che lo Studio Commerciale Dott. A. Valentini rimarrà chiuso per le festività natalizie dal 24 dicembre al 4 gennaio 2019

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Regolamento 22 novembre 2018 n.7 – Regolamento per l’utilizzo del Registro pubblico dei domicili digitali

13 Dicembre 2018

Regolamento 22 novembre 2018 n.7 – Regolamento per l’utilizzo del Registro pubblico dei domicili digitali

Si allega il testo completo del Regolamento che istituisce il pubblico registro dei domicili digitali

Regolamento-22-novembre-2018-n.7

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica
Get in touch
x
x

Share to:

Copy link:

Copied to clipboard Copy