Donazioni indirette non tassate a meno di un accertamento

16 Aprile 2024

Il Sole 24 Ore 22 marzo 2024 di Angelo Busani

Le donazioni non formalizzate in un atto notarile sono sempre state ammantate da un senso di notevole incertezza sul loro trattamento fiscale: per tutti gli anni ’90 del secolo scorso se ne è intensamente parlato senza che la legge le menzionasse (al fine di capire se effettivamente fossero fattispecie imponibili), poi, appena il legislatore le prese in considerazione all’inizio del nuovo secolo, l’imposta di donazione venne radicalmente abolita.

Reintrodotta, dopo alcuni anni, la tassazione delle donazioni mediante la stranissima tecnica di risuscitare la normativa abrogata nel testo stesso che essa aveva alla data di abrogazione, le discussioni di addetti ai lavori e studiosi si sono appuntate sull’analisi della compatibilità delle norme risuscitate con il nuovo disegno dell’imposta di donazione nel frattempo elaborato dal legislatore: vale a dire, non più, come nel diritto previgente, mediante consistenti aliquote d’imposta su scaglioni progressivi di valore imponibile, ma mediante moderate aliquote proporzionali applicabili al valore eccedente le franchigie di esenzione. Nell’ambito di queste discussioni, non poca consistenza ebbero le opinioni secondo le quali dovevano addirittura considerarsi abrogate implicitamente, appunto per ritenuta incompatibilità sistematica.

Si giunge così alla voluntary disclosure e all’emersione di un assai consistente fenomeno di donazioni informali confessate al fisco italiano per purgare il denaro che ne era stato oggetto: non è un caso che la sentenza di Cassazione 7442/2024 – commentata sul Sole 24 Ore di ieri – si riferisca proprio a un episodio di donazione indiretta effettuata mediante un bonifico bancario “Svizzera su Svizzera”, confessata da un contribuente al fisco italiano nell’ambito di una procedura di collaborazione volontaria in base alla legge 186/2014.

Nella sua sentenza 7442, la Cassazione ora ci dice dunque che:

le norme in tema di donazione indiretta contenute nel Testo unico 346/1990 non sono implicitamente abrogate, ma sono pienamente vigenti;

le donazioni indirette non possono che essere tassate nelle ipotesi specificamente previste dalla legge, vale a dire: il caso della loro volontaria registrazione da parte del contribuente oppure il caso la loro “confessione” (se di valore imponibile superiore a un milione) nell’ambito di un procedimento di accertamento tributario (si pensi al contribuente che sia chiamato a giustificare un tenore di vita non confacente con il suo reddito);

non sussiste l’obbligo di registrazione di una donazione indiretta se essa non risulta da un atto soggetto alla registrazione.

Tradotto in parole semplici, questo insieme di principi sta innanzitutto a dire che non è di per sé tassabile il “semplice” bonifico genitore/figlio, a meno che non lo si “confessi” in un procedimento di accertamento tributario.

In secondo luogo, dalla sentenza 7442 emerge che non dovrebbero aversi timori di tassazione in tutti quei casi in cui, da atti sottoposti a regisazione, risultino pattuizioni che potrebbero anche essere convenute a titolo di donazione, ma che non siano espressamente qualificate come tali.

Si pensi alla dichiarazione di nomina per la stipula di un contratto definitivo derivante da un contratto per persona da nominare, a un contratto a favore di terzo (Tizio vende a Caio che acquista a favore di Sempronio), a una delegazione di pagamento (Caio paga Sempronio un prezzo dovuto da Tizio su incarico di quest’ultimo), a un accollo di debito (Tizio si obbliga a pagare il debito che Caio ha verso la banca Alfa), e così via: sono tutte ipotesi che potrebbero bensì essere effettuate a causa di donazione, ma che potrebbero altrettanto essere supportate da ragioni diverse da quelle di effettuare un’attribuzione per spirito di liberalità.

Per questo, se la causa di donazione non sia palesata, manca il presupposto per l’assoggettamento di questi atti a imposta di donazione.

Senza dimenticare la rilevanza di questo ragionamento in campo societario: ad esempio la fusione di Alfa (valore 100), avente Caio come socio unico, con Beta (valore 500), avente Sempronio come socio unico, formando Delta, di valore 600 con Caio e Sempronio soci al 50 per cento.

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Dividendi all’estero: la casa madre è beneficiario

16 Aprile 2024

Il Sole 24 Ore 25 marzo 2024 di Massimo Bellini e Enrico Ceriana

Se il percettore dei dividendi è la casa madre, non è necessario accertarne la posizione di beneficiario. Il principio è stato affermato dalla Cassazione nella sentenza del 1° dicembre 2023 n. 33606.

Il caso esaminato dalla Cassazione riguardava il pagamento di dividendi da parte di una controllata italiana alla controllante giapponese su cui era stata applicata la ritenuta prevista dalla convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Giappone. Nel giudizio l’agenzia delle Entrate aveva lamentato, tra gli altri aspetti, che i giudici di secondo grado non avessero esaminato se il percipiente giapponese fosse il beneficiario effettivo.La qualifica di beneficiario effettivo in capo al percipiente estero è un elemento sul quale l’amministrazione finanziaria solleva le maggiori criticità soprattutto quando l’azionista estero è una società holding
o subholding .

Sulla questione sono intervenuti più volte i giudici di legittimità, sottolineando che l’unico elemento rilevante per il concetto di beneficiario effettivo è «costituito dalla padronanza ed autonomia della società-madre percipiente sia nell’adozione delle decisioni di governo ed indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattenimento ed impiego dei dividendi percepiti (in alternativa alla loro traslazione alla capogruppo sita in un Paese terzo)» (Cassazione n. 27112, 27113, 27115 e 27116 del 2016) senza che il contribuente sia tenuto ad alcun trasferimento dello stesso a terzi (Cassazione 14756/2020). Peraltro, sempre secondo la Cassazione, la circostanza che il percettore dei dividendi sia una società subholding non determina di per sé il venir meno della qualifica di beneficiario effettivo se non esistono in capo al percettore obbligazioni di fatto o di diritto di ritrasferire i dividendi (che è poi il concetto di padronanza già evidenziato).

Sul punto sia il Commentario Ocse che la giurisprudenza di legittimità concordano nel sottolineare che l’obbligo di “ritrasferimento” riguarda direttamente i dividendi ricevuti, con la conseguente irrilevanza di obbligazioni legali o contrattuali ad essi non correlate (Cassazione 21140/2023).

Nel caso in esame il percettore del dividendo era l’azionista ultimo, ovvero la casa madre del gruppo, e quindi la Cassazione chiarisce che la qualifica di beneficiario effettivo «non rileva nella presente controversia riguardando diverse fattispecie …. allorquando la società percipiente i dividendi sia una subholding, una conduit (società veicolo) o comunque una partecipata e/o una compagine intermedia».

In sostanza i giudici di legittimità sottolineano che se il percettore è la casa madre del gruppo si può dare per integrata automaticamente la sua posizione di beneficiario effettivo non essendo possibile un ulteriore ritrasferimento dei dividendi all’interno del gruppo; ciò che invece rileva è che il percettore sia fiscalmente residente in Giappone e che i dividendi siano potenzialmente soggetti a tassazione indipendentemente dall’effettivo pagamento dell’imposta (principio ormai consolidato, si vedano le sentenze n. 26377/2018 o 10706/2019).

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Austria, meno imposte e misure per le start up: investimenti triplicati

16 Aprile 2024

Il Sole 24 Ore 7 marzo 2024 di R.Es.

Quasi 1,4 miliardi dalle aziende straniere assistite dall’agenzia governativa

Record di investimenti esteri in Austria, grazie a un business climate favorevole che fa del fisco uno dei punti di attrattività. Secondo i dati di Austrian Business Agency (ABA), l’ente governativo che ha il compito di promuovere su scala internazionale gli investimenti esteri e il lavoro qualificato, le aziende che si avvalgono della sua assistenza nel 2023 hanno triplicato gli investimenti nel Paese, saliti a quasi 1,4 miliardi di euro dai circa 490 del 2022.

A pesare favorevolmente, oltre agli investimenti in ricerca e sviluppo e all’attenzione alla formazione e al reclutamento di manodopera qualificata, è naturalmente il fisco, a cominciare dalla riduzione della corporate tax, già approvata nel 2022, che da allora ha ridotto l’imposta societaria di un punto percentuale ogni anno, arrivando al 23% nel 2024.

A incidere potrà essere anche il pacchetto di leggi recentemente approvato dal Consiglio Nazionale, che mira soprattutto a soddisfare le esigenze specifiche delle startup. Fra tutte, la più innovativa è l’introduzione di una nuova company form, chiamata FlexCo. È una forma giuridica per la costituzione di un’azienda, che permette un modello ibrido: si rifà in parte alle norme delle società a responsabilità limitata, in parte a quelle delle spa. La FlexCo offre tra l’altro alle aziende la possibilità di incentivare i dipendenti attraverso quote di partecipazione fino a un terzo del capitale sociale.

«I risultati di ABA dimostrano quanto sia importante perseguire una politica di localizzazione attiva, promuovere la business location a livello internazionale, ma anche offrire alle aziende i servizi di cui hanno bisogno – sottolinea il ministro dell’Economia e del Lavoro Martin Kocher -. L’Austria è una scelta attraente per le aziende internazionali, soprattutto per la Ricerca & Sviluppo, nonché per le startup e le scaleup innovative».

Nel 2023 il dipartimento Invest in Austria di ABA ha supportato 325 aziende internazionali; 23 sono italiane e confermano l’Italia quale tradizionale secondo investitore in Austria, dopo la Germania. Fra gli insediamenti italiani, oltre al settore del commercio all’ingrosso, spiccano quello dei servizi consulenziali alle aziende, quello dell’IT e quello energetico-ambientale.

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Domicilio fiscale, il nuovo criterio cambia l’esito delle Convenzioni

16 Aprile 2024

Il Sole 24 Ore lunedì 18 marzo 2024 di Maria Lucia Di Tanna Davide Greco

I redditi percepiti per attività di lavoro svolte in Kazakistan da un contribuente che risulti residente in Italia ex articolo 2, comma 2, del Tuir, sono imponibili – in base all’articolo 15, paragrafo 1, ultimo periodo del relativo Trattato – oltre che nello Stato della fonte, anche in quello di residenza.

Il reddito estero dovrà quindi essere dichiarato in quest’ultimo Stato (l’Italia), ferma restando la possibilità per il contribuente di portare in detrazione le imposte corrisposte all’estero, mediante il meccanismo del credito d’imposta (articolo 165 del Tuir).

Sono le conclusioni cui è giunta la Corte di cassazione nella sentenza 5563 pubblicata il 1° marzo 2024, che coinvolge un contribuente italiano che lavorava come dipendente (per più di 183 giorni all’anno) per un’azienda kazaka e a cui era stata contestata la residenza fiscale in Italia in ragione del domicilio civilistico.

La tassazione concorrente

La sentenza è interessante per due motivi. Viene innanzitutto chiarita – si auspica definitivamente – la corretta interpretazione di quanto disposto dall’articolo 15, paragrafo 1, secondo periodo, delle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni in materia di redditi da lavoro dipendente: le conclusioni offerte possono essere estese a tutte le Convenzioni stipulate dall’Italia, a esclusione, probabilmente, solo di quella stipulata con l’Arabia Saudita, che presenta una formulazione ( wording ) particolare.

I giudici di legittimità, “enfatizzando” il testo inglese della Convenzione Italia-Kazakistan, hanno sottolineato come l’espressione inglese «may be taxed», presente nel secondo periodo del paragrafo 1 della norma, debba far propendere l’interprete verso il riconoscimento di una tassazione concorrente tra Stato della fonte e Stato della residenza. Ai fini di una tassazione esclusiva, invece, si sarebbe dovuta trovare l’espressione inglese «shall be taxable» (così come avviene, infatti, nel primo periodo del paragrafo 1 dell’articolo 15).

Dunque, ogni volta in cui si deve decidere dove tassare un reddito di lavoro dipendente percepito da un soggetto fiscalmente residente in Italia, per attività di lavoro dipendente svolte per oltre 183 giorni all’estero, l’articolo 15, paragrafo 1, secondo periodo di tutti i Trattati internazionali (compreso quello stipulato tra Italia e Kazakistan) attribuisce potestà concorrente a Stato della residenza e Stato della fonte. In tal caso, il contribuente deve presentare la dichiarazione dei redditi anche in Italia eliminando la doppia imposizione con il metodo del credito d’imposta.

Unico caso internazionale peculiare in materia di redditi di lavoro dipendente è l’Arabia Saudita, la cui Convenzione internazionale all’articolo 15 presenta un wording differente da tutte le altre redatte sulla base del Modello Ocse (a cui si rinvia per maggiori approfondimenti).

Il concetto della residenza

La sentenza della Cassazione in esame permette anche di svolgere una veloce riflessione sul nuovo concetto di residenza fiscale, così come modificata dall’articolo 1 del Dlgs 209/2023. Nella sua nuova formulazione, l’articolo 2, comma 2, del Tuir, oltre al criterio di collegamento della residenza civilistica e della presenza fisica, attribuisce rilevanza anche al criterio del “domicilio fiscale” inteso come il luogo in cui si concentrano gli interessi, principalmente personali e familiari.

Nella previgente formulazione, invece, il domicilio veniva inteso come il luogo ove si concentrano gli interessi familiari ed economico-patrimoniali del contribuente.

Di recente si stava assistendo a un cambio di trend nella giurisprudenza di legittimità (si veda Cassazione 32992/2018 e 29312/2018), la quale sembrava avesse iniziato ad attribuire preponderanza al luogo in cui si concentrano gli interessi economico patrimoniali. Cambio di trend oggi “ininfluente”, stante la nuova definizione di domicilio adottata dal legislatore.

Questa variazione impatterà notevolmente su tutte le situazioni come quella trattata dalla Corte di cassazione nella sentenza 5563/2024 (distacco per più di 183 giorni all’estero per lavoro, ma con famiglia in Italia). Infatti, per i soggetti come il contribuente (che abbiamo visto lavorare per oltre 183 giorni all’anno in Kazakistan), se prima della riforma si sarebbe potuta tentare la strada della residenza nel luogo di produzione del reddito, con la nuova formulazione della residenza fiscale delle persone fisiche l’unico modo per evitare la tassazione concorrente è quello di trasferire anche la famiglia nello Stato della fonte.

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Residenza fiscale, il frazionamento del periodo d’imposta resta al palo

16 Aprile 2024

Il Sole 24 Ore 26 marzo 2024 di Antonio Fiorentino Martino Paolo Scarioni

Negli scorsi mesi, tra gli operatori era molto alta l’aspettativa che, nell’ambito della riforma fiscale, il legislatore delegato introducesse – in relazione alla residenza fiscale delle persone fisiche – una norma domestica sul cosiddetto split year; aspettativa poi disattesa, poiché il decreto Fiscalità internazionale di fine anno (Dlgs 209/2023) nulla ha previsto in proposito. Eppure sarebbe una disposizione necessaria.

Per comprenderne le ragioni, deve ricordarsi che in base all’articolo 2, comma 2 del Tuir si ha la residenza fiscale in Italia se uno dei criteri di collegamento col nostro territorio è soddisfatto anche solo «per la maggior parte del periodo d’imposta»; in quel caso, si è considerati fiscalmente residenti per l’intera annualità. Questa “unitarietà” del periodo d’imposta genera qualche insidia nell’anno in cui avviene il trasferimento del contribuente all’estero, o il suo ingresso in Italia: l’impossibilità di frazionare l’anno in due parti può provocare, infatti, non solo fenomeni di doppia imposizione, ma anche fenomeni di doppia non imposizione.

Quanto ai primi, si pensi al caso di un contribuente fiscalmente residente in Italia, che nella seconda parte del 2024 migri in uno Stato estero per intraprendervi un’attività lavorativa, e che, in virtù della normativa interna di tale ultimo Stato, acquisisca lì la residenza fiscale a decorrere dalla data del trasferimento: i redditi di lavoro prodotti all’estero verranno tassati sia in Italia (perché qui il soggetto è stato residente per la maggior parte del 2024), sia nello Stato estero, avendo acquisito la residenza fiscale dal giorno del suo arrivo.

Vero è che tale doppia imposizione può essere superata attraverso i meccanismi approntati dalle Convenzioni. Tuttavia, il rimedio solitamente adottato, ossia il credito d’imposta, non è sempre “perfetto”: in virtù di esso, la doppia imposizione talvolta viene rimossa solo parzialmente, laddove all’estero il reddito sia tassato con un’aliquota d’imposta inferiore rispetto a quella Irpef, o sia calcolato in modo differente rispetto a come avviene in Italia, e talaltra non è eliminata affatto, come nei casi in cui il medesimo reddito sia assoggettato a tassazione in Italia tramite imposta sostitutiva o ritenuta a titolo d’imposta (sebbene la Cassazione abbia di recente espresso un’apertura: si veda la sentenza 25698/2022).

C’è da dire che il Commentario al modello Ocse (al punto 10 del commento all’articolo 4) consente agli Stati contraenti di adottare una disposizione di split year, in base alla quale il contribuente di uno Stato, espatriato nell’altro Stato in corso d’anno, mantiene la residenza fiscale nel primo fino alla data del trasferimento, e diviene fiscalmente residente nel Paese di destinazione solo a decorrere dal giorno successivo.

A oggi, però, sono solo due le convenzioni sottoscritte dall’Italia che si avvalgono di tale facoltà, ossia quella in vigore con la Svizzera e quella in vigore con la Germania; e ciò comporta che la regola del frazionamento non possa ritenersi operante in tutti i restanti trattati, come confermato già da tempo dall’agenzia delle Entrate (risoluzione 471/2008) e, più di recente, dalla Corte di cassazione (ordinanza 25690/2023). Cosicché l’introduzione di una disposizione domestica avrebbe consentito senz’altro di evitare le accennate problematiche.

Una tale disposizione – e veniamo così al secondo inconveniente procurato dalla sua assenza nell’ordinamento – avrebbe anche l’effetto di prevenire fattispecie di doppia non imposizione.

Si pensi, ad esempio, a un contribuente italiano che si trasferisca nella prima parte del 2024 in uno Stato estero ove è prevista, per norma interna, la regola dello split year, o che adotta un periodo d’imposta difforme dall’anno solare (è quanto accade nel Regno Unito, ove il periodo d’imposta inizia il 6 aprile e termina 5 aprile dell’anno successivo). Qualora egli, nel corso dei primi mesi dell’anno, prima dell’espatrio, avesse realizzato un capital gain dalla cessione di partecipazioni non qualificate in società italiane (o anche estere), tale plusvalenza non sarebbe imponibile in Italia, in quanto verrebbe realizzata da un soggetto che per il 2024 è fiscalmente “non residente” nel nostro Paese, essendoci rimasto per meno di 183 giorni; la legge italiana esclude, infatti, che tale tipologia di plusvalenze sia territorialmente rilevante in Italia per i non residenti (lo stabiliscono l’articolo 5 del Dlgs 461/1997, quanto ai soggetti residenti in Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni, e l’articolo 23 del Tuir, quanto a tutti i non residenti, in relazione alle partecipazioni in società residenti quotate). Al contempo, la medesima plusvalenza non verrebbe assoggettata a tassazione neppure nel Paese estero di destinazione, poiché – proprio in virtù dello split year sancito dalla disciplina interna di tale Paese – il medesimo soggetto diverrebbe ivi residente solo a partire dalla data del suo trasferimento.

Simili vicende di doppia non imposizione possono essere evitate solo intervenendo sul piano della normativa domestica: esse, infatti, non sono in alcun caso risolvibili neppure nell’ipotesi in cui lo split year sia contemplato dalla Convenzione in essere tra i due Paesi, dal momento che le disposizioni pattizie non possono mai fondare un presupposto impositivo, o individuare una residenza fiscale, altrimenti inesistenti sulla base delle norme interne. Pertanto, per riprendere l’esempio illustrato, la plusvalenza non potrà essere tassata in Italia neppure ove realizzata da un soggetto poi spostatosi in Germania o in Svizzera.

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Compensi agli amministratori deducibili solo con delibera

16 Aprile 2024

Il Sole 24 Ore 26 marzo 2024 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

LA CONFERMA DELLA SUPREMA CORTE

La delibera assembleare di approvazione del bilancio in cui sono puntualmente rilevati i compensi degli amministratori della Srl non è sufficiente a legittimare la deduzione fiscale del relativo costo, salvo non venga espressamente approvata la specifica voce.

A confermare l’orientamento restrittivo della Suprema Corte in tema di deducibilità dei compensi degli amministratori anche di srl è la sentenza 8005 depositata ieri.

Secondo la Cassazione, in particolare, va condivisa la soluzione più articolata (già espressa in altre precedenti sentenze) secondo la quale l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’articolo 2389 del Codice civile, salvo che l’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.

Ne consegue che il difetto di specifica delibera dell’assemblea in ordine alla determinazione del compenso degli amministratori può essere effettivamente sanato in sede di delibera di approvazione del bilancio, ma solo se tale delibera abbia espressamente approvato la relativa voce, non essendo sufficiente la semplice approvazione del bilancio contenente tale voce.

Obiettivamente mal si comprende questo rigoroso orientamento della Suprema corte, ormai espresso da anni, soprattutto sotto un profilo sostanziale ed in assenza di circostanze particolari (compensi esosi, detassazione dell’amministratore ecc.).

Viene richiesta una delibera ad hoc anche nelle srl dove in molti casi il socio è anche l’amministratore, non essendo sufficiente l’approvazione del bilancio in cui i compensi vengono puntualmente riportati. Senza considerare che, da un profilo fiscale, l’amministratore assoggetta regolarmente a tassazione il compenso, la cui deduzione, in assenza di tale specifica delibera, viene invece negata alla srl.

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Residenza fiscale, interessi economici esclusi dal nuovo criterio di domicilio

11 Marzo 2024

Il Sole 24 Ore lunedì 12 febbraio 2024 di Stefano Vignoli

Ai tre principi alternativi si aggiunge la presenza nel territorio dello Stato

Le modifiche del decreto legislativo 209 all’articolo 2 del Tuir in vigore dal 2024

Il decreto legislativo 209/2023 ridisegna – con decorrenza 1° gennaio 2024 – la nozione di residenza fiscale in Italia, modificando l’articolo 2, comma 2, del Tuir e raccogliendo, ma solo in parte, l’invito della legge delega 111/2023 ad applicare le best practice della prassi internazionale.

L’individuazione della residenza fiscale è importante perché determina l’assoggettamento a imposte nel nostro Paese, oltre che dei redditi prodotti (e del patrimonio detenuto) in Italia in base al principio di territorialità, anche di quelli prodotti all’estero, in ossequio al worldwide principle taxation (articolo 3, Tuir).

Tra conferme e novità

Procediamo con ordine, partendo da cosa non è cambiato: in primis la verifica dei criteri alternativi di residenza, che deve essere effettuata per la maggior parte del periodo di imposta (almeno 183 giorni, 184 negli anni bisestili) escludendo quindi l’applicazione dello split year , ovvero la possibilità di essere residenti soltanto per una frazione d’anno come avviene in altri Paesi.

Per quel che riguarda le novità, ai tre criteri alternativi della residenza, dell’iscrizione in anagrafe nazionale e del domicilio, se ne aggiunge un quarto: quello della presenza nel territorio dello Stato sufficiente a determinare la residenza in Italia quando ricorre per la maggior parte dell’anno, computando anche le frazioni di giorno. Dal 2024 rischiano pertanto di essere attratti a tassazione anche studenti e turisti di lunga durata.

I criteri e le modifiche

Non si rilevano modifiche al criterio della residenza, per il quale occorre riferirsi al Codice civile e quindi alla dimora abituale.

Perde rilevanza l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente (e, in parallelo, all’Aire), che non costituisce più presunzione assoluta di residenza ma ammette prova contraria. Il nostro Paese si avvicina così alla migliore prassi internazionale, considerata la diffusa irrilevanza dei requisiti formali in altri ordinamenti, e consolida un orientamento del legislatore già manifestatosi in sede di accesso ai regimi di favore per impatriati, ricercatori e professori.

Varia anche la definizione di domicilio, da intendersi quale «luogo in cui si sviluppano in via principale le relazioni personali e familiari della persona». Una nozione che si distanzia da quella civilistica (e convenzionale) individuata dall’articolo 43 («sede principale dei suoi affari e interessi»), che faceva riferimento anche agli interessi economici.

Nel “nuovo” domicilio gli interessi economici perdono invece di rilevanza, con il duplice rischio di aumentare le difficoltà a determinare la residenza (è più semplice individuare il luogo dove sono collocati gli interessi economici rispetto a quelli personali) e di agevolare il trasferimento all’estero dei contribuenti più facoltosi.

Premesso che non sono state introdotte modifiche ai trasferimenti in Paesi black list (elenco dal quale è appena uscita la Svizzera), per i quali è prevista l’inversione dell’onere della prova a carico del cittadino italiano, sarà più semplice, ad esempio, lasciare la residenza italiana per quella del Principato di Monaco (Paese black list) da parte dell’imprenditore che si trasferisce con la famiglia conservando rilevanti interessi economici e patrimoniali in Italia: il nuovo concetto di domicilio richiede infatti di verificare “soltanto” il luogo degli interessi personali e familiari.

Le doppie residenze

In base al nuovo criterio della presenza dovrebbero aumentare le persone potenzialmente residenti in Italia. Ma trattandosi spesso di persone che risultano residenti anche in un altro Paese legato da convenzione con l’Italia, il conflitto di doppia residenza andrà risolto in base alle tie breaker rules individuate dalla norma pattizia che prevale rispetto al Tuir (lex specialis derogat generali).

Le convenzioni stipulate dall’Italia – conformi all’articolo 4 del modello Ocse – attribuiscono la residenza a uno solo dei due Paesi firmatari, seguendo l’ordine gerarchico del Paese dove la persona ha 1 l’abitazione permanente, 2 il centro degli interessi vitali, 3 il soggiorno abituale e 4 la nazionalità, salvo la remota possibilità di 5 dover attivare una procedura amichevole quando nessuno dei quattro criteri permette di individuare il Paese di residenza.

La nuova residenza entra in vigore dal 2024; fino al 2023 sarà pertanto necessario riferirsi al previgente testo dell’articolo 2 del Tuir.

Da segnalare, infine, che il decreto delegato sulla fiscalità internazionale dimentica di individuare le regole di determinazione della residenza in materia di imposta di successione e donazione, la cui disciplina resta orfana di una propria definizione, dovendo pertanto riferirsi all’articolo 43 del Codice civile (dimora abituale)

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L’azienda paga quando a sbagliare è la chatbot

11 Marzo 2024

Il Sole 24 Ore 22 febbraio 2024 di Giusella Finocchiaro

INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Alla domanda ricorrente sulla responsabilità per gli errori commessi da un’applicazione di intelligenza artificiale risponde in modo semplice e lineare una recentissima sentenza canadese: Moffatt v. Air Canada, 2024 Bccrt 149, del 14 febbraio 2024, appena pubblicata. E la risposta si potrebbe riassumere limitandosi a citare il noto brocardo: «cuius commoda, eius et incommoda» (chi trae vantaggi da una situazione, deve sopportarne anche gli svantaggi). Un brocardo latino, dunque, risolve un problema creato dall’intelligenza artificiale.

Si tratta di una sentenza limpida, su una questione di limitata rilevanza economica, come spesso accade per i leading cases, ma che offre molti spunti di riflessione. Al centro, l’errore commesso da una chatbot, cioè da un software che, utilizzando l’intelligenza artificiale, formula risposte alle domande poste, simulando che si stia conversando con un essere umano.

La vicenda è molto semplice. Il signor Moffatt, a causa della perdita della nonna, deve acquistare un biglietto aereo. Air Canada propone tariffe scontate in caso di viaggio causato da un lutto. Moffatt interroga la chatbot di Air Canada che lo informa che lo sconto può essere chiesto anche dopo il viaggio, entro 90 giorni. Così fa il Sig. Moffatt, scoprendo poi, però, dopo alcune interlocuzioni con gli impiegati (umani) di Air Canada, che lo sconto avrebbe dovuto essere chiesto prima e che non può essere applicato retroattivamente.

Moffatt agisce in giudizio e richiede il risarcimento. Air Canada si difende argomentando che la responsabilità è della chatbot. Il giudice con un ragionamento molto lineare afferma che, benché la chatbot sia interattiva, tuttavia è sempre parte del sito di Air Canada e che ovviamente Air Canada è responsabile di tutte le informazioni che sono nel suo sito, che siano statiche o interattive. Non c’è ragione per cui, come argomenta ancora la compagnia, il cliente debba effettuare un

double check rispetto alle informazioni rese attraverso il sito o la chatbot.

Dunque il giudice Rivers non affronta neppure il tema della soggettività dell’applicazione di intelligenza artificiale, di grande fascino teorico, ma semplicemente e pragmaticamente constata che essa è parte del sito della società e dunque la società che ha scelto di avvalersene ne risponde. E taglia così il nodo gordiano. Ma se pure fosse stata ammessa la soggettività della chatbot, come ha cercato di sostenere Air Canada, chi avrebbe risarcito i danni al signor Moffatt? La risposta non può che essere la stessa: la società che ha scelto di inserire nel proprio sito la chatbot.

Questa decisione, anche perché è fra le prime, rappresenta un importante punto di partenza.

Il caso è circoscritto, come si è detto, ma utile a trarre alcune considerazioni.

Non sappiamo esattamente di che tipo di chatbot si trattasse, se fosse una chatbot del tipo oggi più utilizzato, che risponde a domande di base, automatizzate, o invece una chatbot in grado di imparare e personalizzare le risposte a seconda delle esigenze dell’utente, come ad esempio Siri o Alexa.

Ma il punto è che ne risponde chi se ne avvale, in questo caso mettendola a disposizione dei clienti, e che la questione della soggettività non è rilevante. A conclusioni non diverse si sarebbe giunti se un impiegato della società avesse fornito risposte ugualmente sbagliate, con la differenza che il datore di lavoro avrebbe potuto rivalersi sul dipendente, ma non sarebbe cambiata la risposta nei confronti del cliente. Anche in questo caso, non si può escludere, peraltro, una responsabilità di chi ha addestrato la chatbot o l’ha programmata.

Un’altra considerazione può trarsi da questa decisione. Non solo il giudice ha deciso -ovviamente- sulla base del diritto vigente, ma la decisione appare assolutamente adeguata. Come spesso si è sostenuto in queste pagine, non occorrono, dunque, sempre e in ogni caso nuove norme, per regolare nuovi fenomeni. Anzi, al contrario, è necessario valutare settore per settore, quando nuove norme siano necessarie. In questo caso, ampio spazio resta aperto alla disciplina contrattuale che potrà circoscrivere in vario modo e cercare di limitare la responsabilità per l’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale.

Per il momento, dunque, in attesa di nuove sentenze, aspettiamoci nuovi fantasiosi disclaimer sui siti che usano chatbot.

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Plusvalenza immobiliare anche senza il pagamento

11 Marzo 2024

Il Sole 24 Ore 14 febbraio 2024 di Alessandro Germani

Sopravvenienza passiva se il contratto è risolto per il prezzo non versato

La plusvalenza derivante dalla cessione di un immobile concorre al reddito d’impresa del contribuente, non rilevando il fatto che successivamente il contratto sia stato risolto per mancato pagamento del prezzo, in quanto ciò determina una sopravvenienza passiva. Così l’ordinanza 39/36/2024 della Cassazione.

Per la Suprema corte ha dunque ragione l’Agenzia rispetto ai giudici di secondo grado. In motivazione, infatti, si ricorda come in caso di cessione d’azienda rileva il realizzo della plusvalenza alla conclusione del contratto, non rilevando l’omessa percezione del prezzo, la sua rateizzazione o l’estinzione dell’obbligazione a seguito di transazione (Cassazione 4365 e 4366 del 2011, 14848/18). Anche perché se da un lato il contribuente subisce la tassazione della plusvalenza, poi avrà comunque diritto a iscrivere a bilancio la relativa minusvalenza (Cassazione 14560/21 e 24378/16). Per la Corte quindi la causa va decisa nel merito, con il parziale rigetto dell’originario ricorso del contribuente limitatamente alla ripresa concernente la plusvalenza.

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Stretta sulle frodi Iva anche sulle auto da San Marino e Vaticano

11 Marzo 2024

Il Sole 24 Ore 17 febbraio 2024 di Simona Ficola e Benedetto Santacroce

La circolare 3/E: l’aliquota sulla cessione del pellet di legno al 22% dal 1° marzo

Primi chiarimenti sulle novità Iva. La circolare 3/E/2024 affronta le modifiche sulle imposte indirette contenute nella manovra 2024, nel decreto Anticipi (Dl 145/2023) e nel decreto salva infrazioni (Dl 69/2023).

Sull’Iva, l’articolo 1, comma 45, della legge di bilancio 2024, prevede una modifica delle aliquote Iva relative alle cessioni di alcuni prodotti per l’infanzia e per l’igiene femminile, precedentemente ricompresi nell’ambito applicativo dell’aliquota ridotta al 5 per cento. La norma in argomento interviene nella parte III della Tabella A allegata al decreto Iva, ricomprendendo tra i beni e servizi soggetti ad aliquota Iva del 10 per cento: il latte in polvere o liquido per l’alimentazione dei lattanti, condizionato per la vendita al minuto; gli estratti di malto e le preparazioni per l’alimentazione dei fanciulli, per usi dietetici o di cucina. La medesima aliquota del 10 per cento è prevista anche per i prodotti assorbenti e tamponi destinati alla protezione dell’igiene femminile e ai pannolini per bambini. Vengono, infine, esclusi dal novero dei beni assoggettati ad aliquota ridotta i seggiolini per bambini, per i quali l’imposta torna ad applicarsi nella misura ordinaria, pari al 22 per cento.

Sempre restando in tema di aliquota al 10 per cento, la legge di bilancio dispone la proroga dell’applicazione di tale aliquota in relazione al pellet di legno, ma solo per i mesi di gennaio e febbraio 2024; dal prossimo 1° marzo 2024, quindi, la cessione di pellet di legno tornerà ad essere assoggettata all’aliquota Iva ordinaria del 22 per cento.

Inoltre, la legge di Bilancio ha previsto la riduzione da 154,94 euro a 70 euro (Iva inclusa) del valore indicato in fattura delle cessioni di beni (restano escluse le prestazioni di servizi) destinati all’uso personale o familiare, da trasportarsi nei bagagli personali fuori del territorio doganale della Ue, effettuate dal 1° febbraio 2024 a favore di soggetti domiciliati o residenti fuori della Ue (ovvero, come chiariscono le Entrate, le persone fisiche che, indipendentemente dalla cittadinanza, abbiano il domicilio o la residenza abituale in un Paese situato fuori del territorio doganale della Ue), al di sopra del quale la cessione può avvenire senza pagamento d’imposta. Le modalità con cui tale agevolazione può essere riconosciuta sono due: immediata, in sede di cessione, emettendo fattura senza applicazione dell’Iva, ovvero differita, con la restituzione dell’imposta originariamente applicata, tramite rimborso della stessa. La cessione dei beni ai viaggiatori extra Ue deve essere documentata tramite il sistema Otello.

Infine, per contrastare le frodi Iva nel settore del commercio dei veicoli, è stata estesa la procedura di immatricolazione prevista per i veicoli di provenienza unionale, anche a quelli provenienti dallo Stato della Città del Vaticano e dalla Repubblica di San Marino. Anche in queste ipotesi la richiesta di immatricolazione o di voltura di autoveicoli è subordinata alla contestuale presentazione di una copia del modello F24 recante, in relazione a ciascun veicolo, il numero di telaio e l’ammontare dell’Iva assolta in occasione della prima cessione all’interno del territorio dello Stato.

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