DECRETO DELEGATO 18 gennaio 2017 n.7

8 Febbraio 2017

PROROGA INCENTIVI PER L’AUTOIMPRENDITORIALITÀ
Articolo Unico
1. Le disposizioni del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n.95 “Incentivi per l’autoimprenditorialità”, già prorogate con Decreto Delegato 22 luglio 2014 n.110 e con Decreto Delegato 21 luglio 2015 n.108, sono prorogate a tempo indeterminato.
2. Per tutta la durata dell’incentivo di cui al comma 1 è effettuata una costante verifica degli oneri economici derivanti dall’erogazione dell’Indennità Economica Speciale (I.E.S.) che, nel caso superino la soglia di euro 250.000,00 (duecentocinquantamila/00) per ogni esercizio finanziari0, sono, per l’eccedenza, a carico del cap. 1-3-2490 “Fondo di intervento” ai sensi dell’articolo 24 della Legge 18 febbraio 1998 n.30 ed eventualmente su specifico capitolo di spesa da istituirsi in sede di variazione al Bilancio di Previsione dello Stato.
3. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n.95 sono estesi anche ai percettori di indennità di disoccupazione di cui al Capo IV della Legge 31 marzo 2010 n.73 “Riforma degli ammortizzatori sociali e nuove misure economiche per l’occupazione e l’occupabilità”, con le modifiche indicate ai commi successivi.
4. L’articolo 2, comma 1, del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n.95 è così modificato:
“1. I beneficiari del trattamento economico previsto dalla Legge 31 marzo 2010 n.73 al Titolo II, Capo III “Indennità Economica Speciale per mobilità” e successive modifiche e del trattamento economico previsto al Titolo II Capo IV “Indennità di Disoccupazione” della medesima legge, che siano regolarmente iscritti alle liste di avviamento al lavoro di cui all’articolo 19 o 22 e beneficino del trattamento economico previsto dall’articolo 20 o 23 della stessa legge, ed anche alle liste previste dalla Legge 19 settembre 1989 n.95, possedendone i relativi requisiti di iscrizione, possono accedere agli incentivi per l’autoimprenditorialità previsti dal presente decreto delegato. Tali incentivi consistono nel pagamento delle somme dovute a titolo di ammortizzatore sociale in via anticipata rispetto alle scadenze previste dalla Legge n.73/2010 e successive modifiche con le modalità previste dai successivi articoli.”.
5. L’articolo 4, comma 1, del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n.95 è così modificato:
“1. Dalla data di rilascio della licenza per i soggetti di cui al comma 1, lettere a) e d), del precedente articolo 3, e dalla data del rilascio del Codice Operatore Economico per i soggetti cui al comma 1, lettere b) e c), dello stesso articolo, sussiste il diritto a ricevere le somme residue dovute da parte dell’ISS prendendo a riferimento:
a) nel caso dell’Indennità Economica Speciale, un periodo pari ad un massimo di sei mesi dalla data di rilascio della licenza, superando la durata indicata al comma 2 o al comma 3 dell’articolo 20 della Legge n.73/2010;
b) nel caso dell’Indennità di Disoccupazione, un periodo pari ad un massimo di sei mesi dalla data di rilascio della licenza, superando la durata indicata al comma 1, lettera a) o b), dell’articolo 23 della Legge n.73/2010.
A seguito della prosecuzione dell’attività oltre i primi sei mesi, l’ISS provvede con successivo pagamento entro il settimo mese di attività al pagamento delle residue somme dovute a titolo di Indennità Economica Speciale (I.E.S.) o di Indennità di Disoccupazione fino al termine previsto. Le somme non possono superare l’ammontare complessivo dell’indennità dovuta.”.
6. Con apposito decreto delegato viene stabilita la decadenza delle disposizioni previste dal Decreto Delegato 24 luglio 2013 n.95 qualora se ne ritenga superata la necessità.

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FA PROVA IL MANDATO FIDUCIARIO IN FORMA SCRITTA

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore lunedì 30 Gennaio 2017 di Silvia Giamminola
L’Esperto Risponde – Diritto societario [428][371226]

Una persona fisica (fiduciario) intende concludere un un preliminare di acquisto di quote di una Srl per una persona giuridica (fiduciante), da nominare utilizzando i denari da questa erogati sul conto corrente del fiduciario. Una semplice scrittura privata tutela il fiduciario da eventuali accertamenti del fisco per le somme transitate sul suo conto corrente per fare l’operazione?
F.C.CIVITANOVA MARCHE
Il mandato fiduciario non è espressamente disciplinato dal Codice civile; tuttavia, è possibile stipulare un apposito contratto sulla base dell’autonomia contrattuale disciplinata dall’articolo 1322 del Codice civile, secondo il quale le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Venendo al caso descritto dal lettore, la persona fisica potrà dimostrare la provenienza della provvista, a un eventuale controllo dell’amministrazione finanziaria, esibendo il mandato fiduciario, che per tali fini dovrà, pertanto, essere redatto in forma scritta.

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Servizi intragruppo, costi deducibili con analisi «pesanti»

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore lunedì 23 Gennaio 2017 di Massimo Bellini

Reddito d’impresa. Passo indietro della Ctp Milano

I costi per servizi intra-gruppo devono essere supportati da adeguata documentazione, anche se le operazioni sono poste in essere tra soggetti italiani. Il principio è espresso dalla sentenza della Ctp di Milano 5575/21/2016 (presidente Natola, relatore Marcellini), che ritorna sul tema delle management fees.
La pronuncia trae origine da una contestazione in base all’articolo 109 del Tuir, in merito alla deducibilità dei costi per servizi di natura direzionale, legale e finanziaria riaddebitati da una società controllante alla propria controllata, entrambe residenti in Italia e aderenti al consolidato fiscale.
Secondo i giudici milanesi la pretesa dell’ufficio è legittima in quanto il contribuente non è stato in grado di dettagliare e documentare la natura e l’utilità dei servizi ricevuti. In particolare ai fini della deducibilità fiscale sarebbe stato necessario verificare e documentare i requisiti di certezza, inerenza e congruità.
Il contribuente deve produrre documentazione attestante l’effettività dei servizi resi e non solo la loro contabilizzazione, in base alle ordinarie regole di ripartizione dell’onere della prova.
Quanto all’inerenza, va dimostrato il collegamento fra i servizi e l’attività svolta. In altri termini si deve provare che il servizio fornito genera un vantaggio per la società fruitrice e non solo (o comunque non prevalentemente) per il gruppo.
In aggiunta per supportare la congruità vanno analizzati (quanto meno) i seguenti fattori:
inclusione o meno del corrispettivo del servizio nel prezzo dei beni ceduti;
effettiva utilizzazione del servizio;
effettiva incidenza del servizio sulla riduzione dei costi;
rapporto tra l’utile di esercizio, la riduzione dei costi (in relazione alla prestazione resa) e il corrispettivo pagato;
vantaggi conseguiti.
I principi della sentenza fanno un “passo indietro” rispetto a molte delle recenti pronunce in tema di management fees che hanno adottato approcci più sostanziali, focalizzati sulla tipologia dei servizi resi e sul loro inquadramento all’interno dell’azienda, piuttosto che sul mero aspetto documentale (si vedano, ad esempio, le sentenze di Cassazione 6320/16 e 10319/15, e la Ctr Lombardia 123/36/15).
Il “passo indietro” risulta ancora più evidente, considerando che si tratta di operazioni poste in essere tra società italiane. La Ctp, infatti, richiede la predisposizione di analisi articolate e complesse, soprattutto per quanto riguarda le quantificazioni della riduzione dei costi, dell’impatto sull’utile e della prova che non vi è “duplicazione” nel prezzo dei beni ceduti. Concetti, peraltro, che richiamano principi di transfer pricing, anche se non direttamente applicabili trattandosi di operazioni domestiche.
Infine, non rileva il fatto che entrambe le società erano in perdita ed aderivano al consolidato. Essendo distinto per società il presupposto d’imposta che deriva dai servizi, non si verificano le condizioni per la doppia imposizione (articolo 163 del Tuir).

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Società dormiente, distacco falso

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 17 Gennaio 2017 di Cristina Petrucci e Stefano Taddei

Lavoratori stranieri. I casi esaminati dall’Ispettorato nazionale

Con la circolare 1/2017 l’Ispettorato nazionale del lavoro ha fornito indicazioni al personale ispettivo in materia di distacco transnazionale di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. La materia è stata riformata con il Dlgs 136/2016, emanato in attuazione della direttiva 2014/67/Ue ed entrato in vigore il 22 luglio 2016.
La circolare si sofferma sul campo di applicazione del Dlgs 136/2016, esteso anche alle agenzie di somministrazione di lavoro stabilite in un altro Stato membro che distaccano lavoratori presso un’impresa utilizzatrice avente la propria sede o unità produttiva in Italia, oltre che alle ipotesi di cabotaggio nel settore del trasporto su strada.
In particolare viene posta in evidenza la configurabilità delle ipotesi di distacco non autentico ogniqualvolta il datore di lavoro distaccante e/o il soggetto distaccatario pongano in essere distacchi fittizi per eludere la normativa nazionale in materia di condizioni di lavoro e sicurezza sociale che deve essere applicata al lavoratore distaccato.
A titolo esemplificativo, viene individuato un distacco fittizio ove l’impresa distaccante sia una società a sua volta fittizia, ossia che non eserciti alcuna attività economica nel Paese di origine, ovvero ove l’impresa distaccante non presti alcun servizio ma si limiti a fornire solo il personale in assenza della relativa autorizzazione all’attività di somministrazione, ovvero ancora ove il lavoratore distaccato al momento dell’assunzione da parte dell’impresa straniera distaccante già risieda e lavori abitualmente in Italia, mancando in tal caso l’elemento della transnazionalità.
La circolare precisa, infine, che la fattispecie di distacco non autentico può coincidere con le ipotesi di interposizione illecita individuate dal Dlgs 276/2003 (appalto, distacco e somministrazione illeciti/non genuini), ma non deve necessariamente identificarsi con queste ultime.
Da evidenziare che il distacco non autentico viene sanzionato dal legislatore con l’espressa previsione di una presunzione della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’utilizzatore.

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Il venditore risponde della seconda cessione

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 12 Gennaio 2017 di Angelo Busani

Cassazione. Responsabile anche l’acquirente se consapevole della precedente promessa

Incorre in responsabilità contrattuale il promittente venditore di un immobile che, violando l’impegno assunto con la stipula di un contratto preliminare, venda l’immobile a un soggetto diverso dal promissario acquirente.
Il terzo che acquista l’immobile, a sua volta, incorre in responsabilità extracontrattuale verso il promissario acquirente non solo se sia partecipe di una dolosa preordinazione finalizzata a frodare il promissario acquirente ma anche se sia solamente consapevole della stipula di un precedente contratto preliminare e presti la sua collaborazione al promittente venditore nella violazione del diritto del promissario acquirente a rendersi titolare dell’immobile oggetto del contratto preliminare da lui stipulato.
L’entità del risarcimento dovuto al promissario acquirente dal promittente venditore che venda ad altri l’immobile promesso in vendita non è pari al valore dell’immobile ma alla differenza tra il prezzo convenuto e il valore di mercato del bene immobile nel momento in cui l’immobile è venduto a un soggetto diverso dal promissario acquirente.
Questi tre importanti principi sono stati affermati dalla Cassazione nella sentenza n. 20251 del 7 ottobre 2016, che è assai rilevante in quanto trasporta nel campo della contrattazione preliminare principi consolidati in giurisprudenza con riguardo alla contrattazione definitiva. Come noto, infatti, se Tizio vende un immobile prima a Caio e poi a Sempronio, acquirente dell’immobile diviene l’acquirente che per primo pubblichi il suo titolo d’acquisto nei registri immobiliari. Se dunque il primo acquirente si vede “superato” da un secondo acquirente, più veloce a realizzare la trascrizione del suo acquisto, sorge il problema della responsabilità del “doppio venditore” verso il primo acquirente e della eventuale responsabilità verso costui anche del secondo acquirente.
La giurisprudenza aveva affermato in passato la natura extracontrattuale della responsabilità del comune autore nei confronti del primo acquirente (Cassazione, sentenza n. 4669/1977), ma poi ha sposato la tesi della responsabilità contrattuale, ritenendo che il venditore, effettuando una doppia vendita, violi l’obbligo di garantire l’acquirente contro l’evizione (in questo senso Cassazione, sentenze 4090/1988, 1403/1989 e 11571/1998).
Quanto al secondo acquirente che trascrive per primo, in passato si riteneva che questi non avesse alcuna responsabilità, effettuando la sua trascrizione nell’esercizio di un suo diritto, non essendo rilevante la sua buona o mala fede. Questa tesi è poi però stata abbandonata, in considerazione dell’idea secondo la quale incorre in responsabilità extracontrattuale il secondo acquirente che, colposamente o dolosamente, viola il diritto di proprietà del primo acquirente e gli provoca quindi un danno ingiusto (Cassazione, sentenze 4090/1988 e 8403/1990).
Ebbene, secondo la sentenza 20251/2016, questi principi possono essere pari passu applicati al caso del promittente venditore che, in dispregio dell’obbligo assunto con un contratto preliminare, venda a un terzo l’immobile promesso in vendita al promissario acquirente.
Nonostante le responsabilità del doppio venditore e del secondo acquirente abbiano dunque una diversa natura (contrattuale nel primo caso ed extracontrattuale nel secondo caso), è opinione consolidata (Cassazione, sentenza 4090/1988) che l’obbligo di risarcimento a favore del primo acquirente sia caratterizzato da un vincolo di solidarietà tra il doppio venditore e il secondo acquirente.
Allo stato attuale della giurisprudenza, è abbastanza impensabile che il primo acquirente possa pretendere una “tutela reale” e cioè possa ottenere l’esecuzione in forma specifica (ai sensi dell’articolo 2058 del Codice civile) del suo diritto a divenire titolare dell’immobile promessogli in vendita, “prelevandolo” dalla sfera giuridica del terzo acquirente, nella quale frattanto l’immobile stesso è subentrato. Quindi, l’acquirente che subisca l’altrui maggiore velocità di trascrizione deve limitarsi ad avvalersi di una tutela obbligatoria, e cioè il risarcimento del danno.

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Dividendi a bilancio nell’anno di delibera

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 03 Gennaio 2017 di Franco Roscini Vitali

Contabilità. L’impatto del principio Oic 15 in base al quale si iscrivono simultaneamente nello stesso esercizio debiti e crediti

La regola può essere applicata retroattivamente in rapporto a precedenti annualità

La versione aggiornata del principio contabile Oic 21 “Partecipazioni” contiene una novità che, in alcuni casi, impone alle società che detengono partecipazioni di cambiare la metodologia di rilevazione dei dividendi provenienti da società controllate.
La precedente versione del principio contabile prevedeva che, nel caso di dividendi da società controllate, la loro rilevazione potesse essere anticipata (facoltà) all’esercizio di maturazione dei relativi utili se il bilancio era stato approvato dall’organo amministrativo della controllata anteriormente alla data di approvazione del bilancio da parte dell’organo amministrativo della controllante.
Inoltre, il principio precisava che le società controllanti, a condizione che avessero il pieno dominio sull’assemblea della controllata, potevano anticipare la rilevazione del dividendo anche sulla base della proposta di distribuzione deliberata dagli amministratori della controllata, antecedente alla decisione degli amministratori della controllante che approvano il progetto di bilancio.
Queste previsioni erano applicabili sino ai bilanci 2015, mentre le nuove disposizioni si applicano ai bilanci relativi agli esercizi finanziari che hanno inizio a partire dal 1° gennaio 2016.
Nella nuova versione del principio contabile è stata eliminata la possibilità di rilevare i dividendi da società controllate già nell’esercizio di maturazione degli utili se il bilancio della controllata è stato approvato dall’organo amministrativo della stessa anteriormente alla data di approvazione del bilancio da parte dell’organo amministrativo della controllante: pertanto la controllante iscrive il credito per dividendi nello stesso esercizio in cui sorge il relativo debito per la controllata, in sostanza nell’esercizio della delibera assembleare di distribuzione. Medesima eliminazione riguarda la rilevazione anticipata nel caso di pieno dominio sull’assemblea.
La modifica, eliminando un’eccezione, allinea la rilevazione del credito con quanto prevede l’Oic 15 in materia di rilevazione dei crediti che, se originati da ragioni differenti dallo scambio di beni e servizi, sono iscrivibili in bilancio se sussiste il titolo agli stessi, ossia se rappresentano effettivamente un’obbligazione di terzi verso la società. Infatti, il paragrafo 30 del principio Oic 15 precisa che i crediti che si originano per ragioni differenti dallo scambio di beni e servizi (per esempio, per operazioni di finanziamento) sono iscrivibili in bilancio se sussiste “titolo” al credito, e cioè se essi rappresentano effettivamente un’obbligazione di terzi verso la società. Le disposizioni di prima applicazione del principio contabile precisano che le società che in passato hanno rilevato i dividendi in base alla precedente versione dell’Oic 21 possono applicare le nuove disposizioni retrospettivamente.
Per il principio contabile Oic 29 si ha “applicazione retroattiva” quando il nuovo principio contabile è applicato anche a eventi ed operazioni avvenuti in esercizi precedenti a quello in cui interviene il cambiamento, come se il nuovo principio fosse stato sempre applicato, e “applicazione prospettica” quando il nuovo principio è applicato solo ad eventi e operazioni che si verificano dopo la data in cui interviene il cambiamento di principio contabile.
Pertanto, sono possibili due comportamenti, uno più semplice e un altro più complesso. Con il primo comportamento, la società applica la nuova regola “prospetticamente”, ossia a partire dal bilancio 2016 e, pertanto, non contabilizza alcun dividendo in tale bilancio, perché quelli deliberati dalle controllate nel 2016 erano già contabilizzati “per maturazione” nel bilancio 2015. In tale situazione il conto economico 2016 non rileva alcun dividendo, limitatamente a quelli già rilevati “per maturazione”.
Con il secondo comportamento, la società applica la nuova disposizione “retrospettivamente” ( retroattivamente). Pertanto, elimina in sede di apertura dei conti al 1° gennaio 2016 l’effetto della contabilizzazione dei dividendi deliberati nel 2016 già effettuata nell’esercizio 2015: l’eliminazione avviene in contropartita con le voci del patrimonio netto. Successivamente, contabilizza nel conto economico dell’esercizio 2016 i dividendi la cui distribuzione è stata deliberata dalle controllate nel 2016. Medesima operazione nel bilancio “comparativo” 2015, riprendendo i dati del bilancio 2014. Ovviamente nulla cambia per le società che in passato non si erano avvalse della facoltà di rilevazione anticipata dei dividendi da controllate.

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«RW» PER AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ ESTERE

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 9 Gennaio 2017 di G.M.

L’ESPERTO RISPONDE (nr 76 – 369297)

Un soggetto, fiscalmente residente in Italia per i periodi d’imposta 2014 e 2015, avendo solo il compenso di amministratore di una società italiana, non ha presentato alcuna dichiarazione dei redditi. Però, dal 2014, egli ha assunto la carica di amministratore anche in una società svizzera con la delega sul conto svizzero della società, e con la possibilità di prelevare, e non soltanto di operare in nome e per conto della società stessa. Si ritiene, pertanto, che il soggetto residente dovesse presentare la dichiarazione per il solo quadro RW. È così? Per il 2015, presentando la dichiarazione per il solo quadro RW, con il ravvedimento operoso si potrebbe sanare la situazione. Ma per il 2014 si può adottare la stessa soluzione? Se sì, quale sanzione verrebbe applicata?
G.M.MILANO
Come specificato anche nelle istruzioni alla compilazione del quadro RW, «sono tenuti agli obblighi di monitoraggio non solo i titolari delle attività detenute all’estero, ma anche coloro che ne hanno la disponibilità o la possibilità di movimentazione», con l’ulteriore precisazione che «qualora un soggetto residente abbia la delega al prelievo su un conto corrente estero è tenuto alla compilazione del quadro RW, salvo che non si tratti di mera delega ad operare per conto dell’intestatario, come nel caso di amministratori di società». Su queste basi, parrebbe corretto che l’obbligo di compilazione del quadro RW non sussista nei casi in cui l’operatività sia strettamente correlata allo svolgimento del proprio incarico di amministratore, restando esclusa ogni altra ipotesi di detenzione “diretta” e per conto proprio della disponibilità sul conto corrente intestato alla società. Va tuttavia osservato che la circolare 27/E/2015, proprio con riferimento alla fattispecie riguardante gli amministratori di società di capitali, ha escluso l’obbligo di compilazione del quadro RW in ragione del fatto che il soggetto titolare effettivo delle attività estere, vale a dire la società, è un soggetto obbligato alla tenuta delle scritture contabili. Trattandosi, nel caso di specie, di una società estera, non è da escludere che l’amministrazione finanziaria limiti la portata di questo passaggio alle sole società italiane. Seguendo questo comportamento, ispirato a ragioni di maggiore prudenza, l’amministratore può fruire del ravvedimento per sanare sia il 2015, versando una sanzione fissa di 250 euro, ridotta di un decimo o un nono a seconda che si tratti di dichiarazione tardiva o infedele, sia il 2014 (a condizione che la dichiarazione non sia omessa), versando la sanzione proporzionale del 3% sull’ammontare della giacenza media del conto corrente, anch’essa opportunamente ridotta a un settimo per effetto del ravvedimento. Questa modalità di autoregolarizzazione pare finanziariamente più favorevole rispetto a quella, altrettanto percorribile ma che prevede minori “sconti” sugli anni più recenti, prevista dalla “voluntary disclosure bis”.

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Vantaggi fiscali anche per la holding «statica»

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 03 Gennaio 2017 di Luca Miele

Cassazione. Riconosciuta a una società francese, ritenuta di comodo dai giudici di merito, la posizione di beneficiario effettivo

L’interpretazione della nozione convenzionale di “beneficiario effettivo” dei dividendi percepiti deve tenere conto della natura e delle funzioni svolte dalle holding statiche di partecipazione. La sentenza della Corte di cassazione n. 27113 del 28 dicembre 2016 rappresenta un significativo tassello nell’ambito del tema del beneficiario effettivo, spesso oggetto di controversie fiscali e tuttora in cerca di stabilità a livello legislativo.
Il caso è quello di una società francese che percepisce dividendi dalla propria controllata italiana fruendo dei benefici previsti dalla convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Francia. I benefici sono contestati in quanto la società francese non sarebbe l’effettiva beneficiaria dei dividendi poiché controllata da una società Usa; l’entità francese costituirebbe quindi una società di comodo avente l’unica funzione di fruire dei benefici fiscali e di trasferire gli utili all’effettivo beneficiario in Usa. In altre parole, la società francese non disporrebbe, giuridicamente ed economicamente, dei dividendi percepiti e la destinataria reale sarebbe la società Usa il cui ordinamento non prevede analoghi vantaggi fiscali.
I giudici di merito individuano nella società francese una mera “scatola”, espressione di abuso del diritto, creata al solo scopo di beneficiare di vantaggi fiscali, constatando l’assenza di una reale organizzazione della società francese, la presenza di ingenti partecipazioni azionarie e modesti crediti operativi, mancanza di dipendenti, assenza di fatturazione per servizi gestionali alla controllata italiana e assenza in Francia di una direzione effettiva intesa quale sede amministrativa di reale svolgimento di attività gestorie.
La Cassazione respinge tale ricostruzione in quanto, in caso di holding o sub-holding statiche, gli indici sopra indicati, normalmente riferiti alle società operative, possono non essere significativi. Ciò che deve rilevare è «la padronanza ed autonomia della società-madre percipiente sia nell’adozione delle decisioni di governo e indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattamento e impiego dei dividendi percepiti (in alternativa alla loro traslazione alla capogruppo sita in un Paese terzo)». Per le holding statiche, quindi, rileva il compito istituzionale di mero indirizzo e direzione unitaria, la partecipazione alle assemblee delle controllate e la riscossione dei dividendi. E nel caso della società francese, la qualità di beneficiario effettivo è dimostrata dal fatto che è la reale proprietaria della partecipazione e destinataria effettiva dei dividendi regolarmente iscritti in bilancio, aggredibili dai creditori e liberamente da essa utilizzabili.
Per quanto riguarda il requisito della direzione effettiva, secondo la Cassazione non si può parlare di fittizietà della sede francese in quanto la ricorrente ha sede legale e amministrativa in Francia, è assoggettata a imposizione in quel paese, gli amministratori persone fisiche risiedono in Francia e ivi vengono prese le fondamentali decisioni concernenti la società.
In conclusione, ciò che è necessario verificare è il luogo di effettiva adozione delle decisioni direttive, amministrative e di coordinamento delle partecipazioni possedute dalla società madre percipiente, secondo l’attività tipica di holding da quest’ultima esercitata.
La sentenza si innesta in un panorama interpretativo e legislativo in divenire, anche a livello internazionale, dalla lettura del quale non sempre si perviene a una univoca definizione del fenomeno. Anche perché il tema del beneficiario effettivo si sovrappone con quello delle forme di interposizione in cui il percettore del reddito ha l’obbligo di retrocederlo a terzi e con altre forme di abuso dei Trattati che non sono direttamente collegate al tema del beneficiario effettivo. E la stessa definizione di holding passiva e di costruzione artificiosa si ricava, anche indirettamente, in diversi provvedimenti a livello comunitario e internazionale, con forti incertezze.
L’instabilità legislativa (e giurisprudenziale) determina anche un non perfetto coordinamento della prassi amministrativa nazionale e degli approcci adottati dai verificatori (Assonime, Note e Studi n. 17/2016) con relative responsabilità dei sostituti d’imposta chiamati ad applicare norme “incerte”.

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Esterovestizioni, costruzioni artificiose sotto tiro

8 Febbraio 2017

Il Sole 24 Ore 10 Gennaio 2017 di Davide Cagnoni e Alessandro Germani

Sedi estere. Già la Cassazione aveva sottolineato la liceità dell’attività di direzione e coordinamento nei confronti di uffici oltrefrontiera

Nell’attuale economia globale i gruppi sono strutturati con headquarter molto articolati, che accentrano funzioni no core quali finanza, legale, audit, compliance e con strutture periferiche “leggere” nei mercati di sbocco. Spesso, poi, vi sono entità ad hoc in determinati Paesi dove si concentrano attività quali la ricerca e sviluppo. Tutto ciò genera molteplici transazioni intercompany, che richiedono la definizione di prezzi di trasferimento a valore di mercato. In questi casi, l’amministrazione fiscale tende a contestare l’esterovestizione di società estere appartenenti a gruppi italiani o la stabile organizzazione occulta di gruppi esteri con controllate italiane.
Per ciò che concerne il fenomeno dell’esterovestizione, i rilievi riguardano i due seguenti profili:
la residenza fiscale (articolo 73, comma 3 del Tuir) di società estere, con onere della prova a carico dell’amministrazione, ricondotte a tassazione in Italia in base alla sede di direzione effettiva (place of effective management);
l’esterovestizione vera e propria (articolo 73 comma 5-bis), con onere della prova a carico del contribuente, qualora la società estera controlli una società italiana e sia a sua volta controllata da soggetti residenti o amministrata da residenti.
In ambo i casi, la presenza di subholding passive, relegate ad una detenzione statica delle partecipazioni, determina la contestazione dell’attività di direzione e coordinamento della holding italiana. In tali ipotesi può essere di aiuto la prevalenza di asset esteri in portafoglio (Assonime n. 67/07). Tuttavia lo stesso rilievo viene talvolta utilizzato anche nei confronti di società operative. Ciò porterebbe al paradosso estremo che tutte le consociate di una multinazionale siano da considerarsi residenti nello Stato di stabilimento della capogruppo (Assonime nota 17/16). Nell’ambito del contenzioso relativo a queste tematiche è quindi da tenere in debita considerazione quanto affermato dalla Cassazione (sentenza n. 43809/15), che ha per la prima volta posto l’accento sulla liceità – e normalità – dell’attività di direzione e coordinamento (articolo 2497 Codice civile) introdotta con la Riforma Vietti. Pertanto, è del tutto fisiologico che gli impulsi sulla controllata non residente promanino dalla controllante italiana, in quanto ciò che rileva ai fini della contestazione di esterovestizione sono solo le costruzioni di puro artificio. Di conseguenza, la semplice nozione di ufficio che, ai sensi dell’articolo 162 del Tuir, ha i connotati per configurare una stabile organizzazione, potrà essere positivamente valutata altresì come luogo di effettivo esercizio dell’attività d’impresa.
Venendo, invece, alla stabile organizzazione, nei gruppi multinazionali si assiste sempre di più alla tendenza di insediarsi all’estero non attraverso strutture societarie (subsidiaries), bensì con stabili organizzazioni (branch), che rispondono all’esigenza di una maggiore flessibilità e semplificazione societaria. Questa è la situazione fisiologica che trova ampio riscontro. Differente è il caso patologico in cui un soggetto non residente nasconde la propria attività economica al fisco italiano, in quanto viene celato il soggetto passivo e la sua conseguente produzione di reddito in Italia. Nella pratica, la controllata residente mette a disposizione del soggetto non residente attrezzature e personale, ospitando al proprio interno una stabile organizzazione occulta come fosse una “enclave”.
Tra le due situazioni estreme esiste poi la normalità di subsidiaries svuotate di funzioni allocate nelle capogruppo o in altre entità (principal companies) deputate alla ricerca e sviluppo o alla gestione degli intangibles. Ciò, tuttavia, non deve condurre alla semplicistica conclusione che tutte le entità locali di un gruppo multinazionale siano stabili occulte (Assonime, nota 17/16). Occorrerebbe, infatti, considerare il livello di tassazione della controllante non residente, in quanto se la stessa non è localizzata in un Paese a fiscalità privilegiata né beneficia di regimi agevolativi o di ruling, non vi è motivo per erodere la base imponibile italiana. Quindi, la semplice contestazione legata alla limitata autonomia e sostanziale dipendenza della controllata italiana non può essere sufficiente, di per sé, a configurare una stabile occulta. Né tantomeno basta l’individuazione di fumose funzioni ultronee rispetto al business (Cassazione n. 3773/12).
In un contesto che dovrebbe incentivare l’afflusso di investimenti esteri sarebbe, pertanto, opportuno un approccio che contrasti le sole costruzioni di puro artificio.

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