Scambi con San Marino, rimangono le regole Iva per i beni e alcuni servizi

13 Gennaio 2022

l Sole 24 Ore lunedì 27 dicembre 2021 di Giampaolo Giuliani

Doppio binario da seguire per le fatture elettroniche obbligatorie e facoltative

Il Dm 21 giugno 2021 che regola i rapporti di interscambio con la Repubblica di San Marino, ai fini Iva dispone soltanto in ordine alle operazioni in cui vi è un materiale trasferimento dei beni da un Paese all’altro: operazioni per le quali dal 1° luglio 2022 le fatture dovranno essere emesse e accettate in formato elettronico (mentre fino al 30 giugno la e-fattura resta facoltativa). Ne consegue che, in tutte le operazioni in cui manca questo trasferimento fisico dei beni, la soluzione per applicare l’imposta non può essere individuata nel regolamento ministeriale, ma nelle disposizioni generali che regolano la disciplina Iva.

Ciò non toglie che la scadenza del 1° gennaio potrebbe essere utilmente sfruttata dalle aziende che intendono realizzare tutti i propri processi di fatturazione solamente in formato elettronico, sia pure tenendo presente che le fatture elettroniche obbligatorie hanno un percorso differente da quelle facoltative.

Asimmetrie e differenze

L’articolo 20 del Dm consente (si tratta dunque di una possibilità e non di un obbligo) di trasmettere fatture elettroniche al Sdi, per prestazioni di servizi fuori campo Iva per carenza del presupposto territoriale, con il codice destinatario dell’ufficio tributario della Repubblica di San Marino e il codice operativo del committente operatore economico sammarinese. Ma ciò non deve trarre in inganno. Questa possibilità è infatti una deroga concessa solo agli operatori italiani quando effettuano operazioni non rilevanti Iva per carenza del presupposto territoriale nei confronti di operatori economici sammarinesi. E non è ammessa per le prestazioni di servizi rilevanti ai fini Iva, né per le prestazioni realizzate da operatori sammarinesi.

L’evidente mancanza di simmetria tra le prestazioni eseguite dagli operatori dei due Paesi e le differenze poste per le prestazioni eseguite da operatori nazionali determinano numerose incertezze operative.

A tale riguardo, è bene puntualizzare che dagli operatori sammarinesi non potranno mai pervenire a committenti italiani fatture in formato elettronico trasmesse tramite il Sdi, come avviene per le importazioni di beni provenienti da San Marino. Peraltro, per le prestazioni di servizi i documenti emessi da operatori sammarinesi non hanno alcuna valenza ai fini Iva e sono in tutto parificabili a quelli emessi da operatori di altri Paesi extra Ue.

In sostanza, si tratta di documenti rilevanti civilisticamente tra prestatore estero e committente nazionale, emessi per determinare l’operazione e per il conseguente pagamento, ma non acquisiscono alcuna valenza fiscale, ai fini dell’assolvimento dell’Iva.

Fatture e rilevanza Iva

Per assolvere l’imposta, è necessario che siano osservate le procedure stabilite all’articolo 17, comma 2, del Dpr 633/72 che richiedono l’emissione di un’autofattura e la sua annotazione nel registro delle fatture emesse e in quella degli acquisti: quel che è comunemente denominato reverse charge o doppia annotazione o inversione contabile.

Nelle prestazioni di servizi realizzate da operatori sammarinesi, potrebbe creare qualche equivoco la circostanza che sui documenti sono spesso presenti delle attestazioni (tramite timbrature) dell’ufficio tributario di San Marino, ma – a differenza di quanto avviene per le cessioni di beni – queste non hanno alcuna rilevanza nei rapporti con l’Italia.

L’unico caso in cui gli operatori sammarinesi sono obbligati a emettere fattura riguarda le prestazioni realizzate in favore di privati o soggetti assimilati che siano territorialmente rilevanti in Italia. In questo caso, al pari di tutti gli operatori non stabiliti in Italia, essi devono nominare un proprio rappresentante fiscale, secondo le disposizioni dell’articolo 17, comma 3, del Dpr 633/72.

La circostanza che chi emette la fattura sia un rappresentante fiscale consente l’emissione di una fattura cartacea anziché elettronica.

In alternativa alla nomina del rappresentante fiscale, agli operatori stabiliti nell’Unione europea è concessa la possibilità di identificarsi direttamente; ma ciò non è consentito agli operatori sammarinesi che devono nominare necessariamente un proprio rappresentante fiscale, quando sono obbligati ad assolvere l’imposta in Italia.

Quanto all’esterometro, si ricorda che esso è obbligatorio laddove l’operazione non sia supportata da una fattura elettronica. Evidentemente ciò vale anche nelle operazioni attive e passive realizzate con residenti della Repubblica di San Marino.

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Il Lussemburgo brinda alla Brexit, approdo per i capitali in fuga

13 Gennaio 2022

Il Sole 24 Ore 15 dicembre 2021 di Simone Filippetti

Flussi. Nel Granducato 500 miliardi usciti dalla City a caccia di un passaporto europeo. Il Paese è già diventato nuova capitale di private equity e venture

La ragazza dietro al bancone del Florence Cafè, un minuscolo bar con due tavolini, serve cappuccini a una clientela intirizzita. Fuori è una gelida e nebbiosa giornata di novembre, dove un grigio tetro avvolge tutta la città di Lussemburgo. Viene dal Canada e ha aperto la sua piccola attività appena 4 mesi fa: gli affari vanno benissimo e non se lo aspettava. Quello del Florence Cafè non è un caso isolato: il Lussemburgo è in pieno boom economico. Esempi più macroscopici sono le decine di gru e i cantieri di immobili di lusso nella zona. Per le strade gelide la gente tira dritto, tra restrizioni pesanti e utilizzo smodato delle mascherine, ma anche se fosse più socievole nessuno ammetterebbe una verità, per pudore: la Brexit è un grande regalo per il Lussemburgo. Dopo l’uscita dalla Ue a Capodanno e il mancato accordo di giugno sull’industria finanziaria, molti capitali sono arrivati nel GranDucato da Londra. Senza “passaporto” finanziario, banche e intermediari sono stati costretti a spostare una parte di attività e flussi sul continente. E tra tutti i paesi europei molti hanno scelto quello più simile alla Gran Bretagna.

Da quando è scattata la Brexit, il Lussemburgo è diventato un approdo sicuro. A Kirchberg, la City finanziaria del Granducato, l’agenzia pubblica LFF-Luxembourg For Finance esordisce con una frase diplomatica: «Con la Brexit tutti ci perdono», osserva il ceo Nicolas Mackel. Ma poi il funzionario ammette che nella nuova geofinanza europea «il Lussemburgo sta beneficiando dell’addio di Londra». I numeri parlano di un afflusso di capitali notevole: ha fatto clamore il caso di M&G che ha spostato 42 miliardi di euro da Londra nel paese europeo.

Non esistono cifre ufficiali, ma l’authority lussemburghese stima che dal Tamigi siano affluiti circa il 10% delle masse gestite nel paese: 500 miliardi su un totale oltre 5.500 miliardi di euro. «Grazie agli inglesi, ma non ci cambia la vita» commenta Mackel. «La fuga dei capitali da Londra al Lussemburgo? Sì c’è, ma è in atto da tempo, da prima del 2021» osserva un banchiere italiano. Il 2020 era già stato l’anno del sorpasso del Granducato: il paese ha superato il Regno Unito come domicilio più popolare per venture capital e private equity europeo.

La Brexit si sta manifestando in due effetti: il primo, più immediato lo si è visto il 2 gennaio 2021 quando tutti i derivati in Euro hanno lasciato la Borsa di Londra per trasferirsi ad Amsterdam e la piazza olandese superò la City come controvalore giornaliero. Ma quello è stato un fenomeno immediato e unico, già metabolizzato dal sistema. Nel Lussemburgo è in corso, invece, un processo carsico: è un flusso meno appariscente, ma costante, che non fa notizia. È un fenomeno molto più ampio della sola Brexit: da paradiso fiscale dentro la Ue, con una reputazione discutibile, in 10 anni si è riconvertita alla finanza ufficiale, uscendo dal sommerso del segreto bancario. Avendo già infrastrutture giuridico-finanziaria efficiente ha attratto i capitali dichiarati e alla luce del sole.

Una lenta erosione attacca Londra e di altri centri europei: tutte le piazze finanziarie del continente sono solo centri per servire i mercati domestici (Borsa Italiana è il caso più eclatante). Dopo Londra, solo il Lussemburgo è l’unico hub internazionale della finanza. Nessuno, però, qui si fa troppe illusioni: non sarà certo il Granducato a detronizzare il Regno Unito. Londra rimarrà la capitale della finanza in Europa: l’anno scorso i fondi di investimento alternativo hanno totalizzato 866 miliardi di euro in gestione, a cui si aggiungono altri 581 miliardi di fondi “speculativi”. La Brexit non è l’Apocalisse paventata da molti, specie nell’industria della finanza. I banchieri che si sono mossi sono stati pochi: si calcola circa 7mila su un totale di 200mila addetti nel mondo della finanza. Briciole, dunque: appena il 3% del settore. Il grande e temuto esodo non c’è finora stato né ci sarà. «Chi doveva spostare personale lo ha ormai fatto, il fenomeno si è già esaurito» nota Stefano Vecchi, capo del Private Banking di Unicredit in Lussemburgo. Non si è esaurito, invece, quello dei capitali: «L’impatto della Brexit è sulle attività più che sulle persone – prosegue Mackel – in uno scenario a 5-10 anni, molta parte del business si sposterà da Londra sull’Europa» ma tra le righe si intende il Lussemburgo. C’è già il caso di Singapore: il private banking della città-stato avrebbe dovuto aprire a Londra il suo quartier generale europeo; poi si è dirottata sul Granducato. Il paese sta diventando l’hub europeo di gestione del risparmio delle banche mondiali, per le attività intra Ue: la stessa Intesa SanPaolo, la più grande banca italiana, ha appena comprato un grande immobile nel complesso di Cloche D’Or, la seconda City dove trasferirà tutti i suoi uffici. A spiegare il successo non c’è solo la Brexit: molti capitali affluiscono da dentro i confini di Eurolandia. A partire dall’Italia: Roma ha un rating Tripla B, mentre il Granducato, sempre area euro, è un paese Tripla A, un bunker inespugnabile. È un arbitraggio interno: molti patrimoni che sono in euro e che non vogliono lasciare la moneta unica, preferiscono però spostarsi da paesi ad alta instabilità o ad alto rischio fiscale ad altri più sicuri, sempre dentro la divisa comunitaria. Il Lussemburgo prende il meglio dei due mondi: attira da una parte capitali Ue e dall’altra capitali da Londra. «Siamo figli del padre Jacques Delors, del suo libro bianco sul mercato unico; e siamo figli della madre Margaret Tatcher, con le sue privatizzazioni e una macchina statale snella» conclude Mackel. Il non detto, ma intuito, è che il Granducato e la City cresceranno entrambe, a scapito di tutti gli altri paesi. La Brexit non sposterà gli equilibri geo-economici su larga scala, ma intanto il Lussemburgo brinda a un felice Natale.

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Non imponibilità solo con requisiti oggettivi, soggettivi e territoriali

13 Gennaio 2022

Il Sole 24 Ore 1 dicembre 2021 di Alessandra Caputo

CESSIONI INTRA-UE

L’operazione deve comportare un passaggio di proprietà del bene a titolo oneroso e il trasferimento dall’Italia ad altro Stato Ue

Le cessioni intracomunitarie sono operazioni non imponibili ai fini Iva; tuttavia, affinché la non imponibilità trovi applicazione, è necessario il rispetto di specifiche condizioni. L’articolo 41, comma 1, lettera a) del Dl 331/93, che recepisce l’articolo 138 della direttiva 112/2006/Ce, definisce cessioni intracomunitarie le operazioni, poste in essere tra due operatori identificati ai fini Iva in due Stati membri dell’Ue, che comportino il trasferimento fisico dei beni da un territorio all’altro dell’Ue e il passaggio di proprietà o di un altro diritto reale, a titolo oneroso.

Dalla definizione presente nella norma, si desume che una operazione può correttamente configurarsi come cessione intracomunitaria (e quindi beneficiare della non imponibilità) solo se risultano verificati un presupposto soggettivo, un presupposto oggettivo e uno territoriale.

Il presupposto soggettivo si considera verificato se l’operazione è posta in essere tra due operatori soggetti passivi identificati in due Stati membri; è, quindi, necessario che la transazione avvenga tra un cedente italiano e un acquirente stabilito in uno Stato membro diverso dall’Italia. Affinché possa considerarsi verificato il presupposto oggettivo è necessario:

1 che l’operazione sia onerosa;

2 che comporti il passaggio di proprietà, o di un altro diritto reale di godimento, dal cedente al cessionario;

3 l’effettiva movimentazione del bene dall’Italia ad un altro Stato membro, ciò indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione avvengano a cura del cedente, del cessionario o di terzi per loro conto.

I presupposti devono essere contemporaneamente verificati; l’assenza anche solo di uno tre qualifica l’operazione come “interna” con la conseguente applicazione dell’Iva secondo le regole contenute nel Dpr 633/1972.

La direttiva 2018/1910

Sul punto occorre poi ricordare che a decorrere dal 1° gennaio 2020, a seguito delle modifiche previste dalla direttiva Ue 2018/1910 all’articolo 138 della direttiva Iva, il numero di identificazione Iva del cessionario e il modello cessioni intra-Ue diventano requisiti sostanziali per poter applicare la non imponibilità Iva alle cessioni intracomunitarie. Nel nuovo articolo 138 della direttiva 2006/112/Ce è previsto che gli Stati esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Ue, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, a condizione che:

i beni siano ceduti a un altro soggetto passivo, o a un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio;

il soggetto passivo o un ente non soggetto passivo destinatario della cessione sia identificato ai fini dell’Iva in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio e ha comunicato al cedente tale numero di identificazione Iva.

È previsto che l’esenzione non si applichi qualora il cedente non abbia rispettato l’obbligo di presentare un elenco riepilogativo o l’elenco riepilogativo da lui presentato non riporti le informazioni corrette riguardanti la cessione. Per effetto delle modifiche di cui si è appena detto, il fornitore italiano dovrà chiedere al proprio cliente l’identificativo Iva e controllare nel Vies l’esistenza e la validità del numero fornito e provvedere alla compilazione e all’invio dell’elenco Intrastat riepilogativo delle cessioni intra-Ue.

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Scadenziario Gennaio 2022

3 Gennaio 2022

entro il 20 Gennaio

  • Scade il termine per il pagamento dei contributi previdenziali /assistenziali I.S.S. e F.S.S. e FONDISS per lavoratori dipendenti relativi al mese di DICEMBRE e TREDICESIMA 2021.

entro il 30 Gennaio

  • Scade il termine per versamento degli importi relativi alla gestione separata e FONDISS per gli amministratori, presidenti  CdA, Amministratori delegati, CO.CO.PRO e soci lavoratori di cui alla Legge 158 del 05/10/2011 art. 4.

entro il 31 Gennaio

  • Scade il termine per il pagamento dell’imposta complementare del 3% sui servizi resi a privati nel periodo 01/07/2021 -31/12/2021;

 

Si rende noto che la domanda di concessione edilizia in sanatoria straordinaria, è stata prorogata al 30/9/2022 (art. 37 D. L. 207/2021)

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