Categoria: In primo piano
Decreto Delegato 14 Marzo 2025 nr 39 – Disciplina per la cessione di bibite ovvero bevande alcoliche verso l’Italia con obbligo di addebito dell’IVA
14 Aprile 2025
Il Decreto Delegato 39/2025 (che si applica a partire dalle fatture 2025) regolamenta la cessione acque minerali, bibite e alcolici verso operatori economici italiani aventi Partita Iva e obbliga all’addebito dell’IVA in fattura qualora gli operatori economici sammarinesi versino in almeno una delle seguenti condizioni previste dall’art. 1:
“(…) a) le cessioni superano l’ammontare di euro 500.000,00 (cinquecentomila/00) su base annua, al netto delle cessioni all’esportazione verso l’Italia dei medesimi beni, poste in essere con la modalità di addebito dell’IVA di cui all’articolo 7, comma 1 del Decreto Delegato n.147/2021 e l’operatore economico abbia alle proprie dipendenze meno di due lavoratori subordinati assunti a tempo pieno;
b) le cessioni superano l’ammontare di euro 2.000.000,00 (duemilioni/00) su base annua, al netto delle cessioni all’esportazione verso l’Italia dei medesimi beni, poste in essere con la modalità di addebito dell’IVA di cui all’articolo 7, comma 1 del Decreto Delegato n.147/2021 e l’operatore economico ha alle proprie dipendenze almeno due e fino a quattro lavoratori subordinati assunti a tempo pieno;
c) le cessioni superano l’ammontare di euro 5.000.000,00 (cinquemilioni/00) su base annua, al netto delle cessioni all’esportazione verso l’Italia dei medesimi beni, poste in essere con la modalità di addebito dell’IVA di cui all’articolo 7, comma 1 del Decreto Delegato n.147/2021 e l’operatore economico abbia alle proprie dipendenze almeno cinque lavoratori subordinati assunti a tempo pieno;
d) le cessioni verso un singolo operatore italiano, e solo nei confronti del medesimo,
superano l’ammontare di euro 150.000,00 (centocinquantamila/00) su base annua, al netto delle cessioni all’esportazione verso l’Italia dei medesimi beni poste in essere con la modalità di addebito dell’IVA di cui all’articolo 7, comma 1 del Decreto Delegato n.147/2021.
All’art. 2 e 5 viene precisato che coloro che vendono bibite acque o bevande alcoliche devono incaricare un Sindaco Revisore iscritto all’Albo il quale controlli la corretta applicazione della suddetta normativa e apponga il proprio Visto di Conformità sulle operazioni rientranti nell’applicazione IVA. L’incarico deve essere comunicato all’Ufficio Tributario e, per il primo bimestre 2025 il visto di conformità deve essere trasmesso entro il 30 Aprile 2025.
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Decreto Delegato 31 Marzo 2025 – Definizione dello spread massimo e del tasso d’interesse nominale da applicarsi fino al 30 09 25 ai prestiti assistiti dal contributo statale di cui alla Legge 31 03 2015 nr 44 e succ. mod.
14 Aprile 2025
E’ definito con l’articolo 1 del Decreto Delegato nr 48 la misura massima dello spread massimo da applicarsi ai mutui assistiti da Contributo Statale stipulati entro il 30 09 25:
a)durata fino a 15 anni: spread massimo 2,90%;
b) durata da 16 anni a 20 anni: spread massimo 3,80%;
c) durata da 21 anni a 25 anni: spread massimo 4,40%
Il tasso effettivo medio d’interesse rilevato nel 2023 per i mutui a tasso fisso è fissato a 4,51617% mentre per quelli a tasso variabile a 5,4133%.
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Prot.30171 del 28 03 25 – Ufficio Tributario – Dichiarazione dei Redditi 2024
14 Aprile 2025
Si allega la Circolare del 27 marzo u.s. dell’Ufficio Tributario dove vengono riepilogate le principali scadenze fiscali dell’anno 2025 e gli allegati obbligatori alla Dichiarazione dei Redditi.
IGR G (a cura del datore di lavoro) 15 aprile 2025
Dichiarazioni dei redditi, Modelli IGR P e IGR L, IGR M e N e versamento dell’eventuale conguaglio a debito 31 luglio 2025
Dichiarazione del sostituto d’imposta di cui all’articolo 92 della Legge 18 dicembre 2013 n.166 e sue successive modifiche 31 luglio 2025
Allegati relativi a:
a) servizi pubblicitari e di elaborazione dati, assoggettati ad imposta speciale di bollo di cui all’articolo 39 della Legge 13 dicembre 2005 n.179 e sue successive modifiche;
b) servizi di agenzia, rappresentanza, di commercio e similari, assoggettati ad imposta speciale di bollo di cui all’articolo 39 della Legge 13 dicembre 2005 n.179 e sue successive modifiche;
c) prestazioni di servizi assoggettati ad imposta complementare di cui all’articolo 48 della Legge 22 dicembre 2010 n.194 e disposizioni applicative di cui al Decreto Delegato 22 marzo 2011 n.50. 31 luglio 2025
Dichiarazione delle attività patrimoniali, finanziarie e quote societarie detenute all’estero (DAPEF) di cui al comma 2, dell’articolo 3 del Decreto Delegato 7 marzo 2022 n.29 2 ottobre 2025
Versamento dell’imposta per il riequilibrio delle attività finanziarie estere (IRAFE) di cui all’articolo 4 della Legge 22 dicembre 2021 n.207 2 ottobre 2025
Primo acconto IGR 1 settembre 2025
Secondo acconto IGR 1 dicembre 2025
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Polizze catastrofali, l’obbligo non riguarda il magazzino
14 Aprile 2025
Il Sole 24 Ore 4 Marzo 2025 di Alessandro Germani
Oggetto della copertura obbligatoria per le polizze catastrofali sono le immobilizzazioni materiali, esclusi gli altri beni, dell’attivo di stato patrimoniale, per cui dalla medesima resta fuori il magazzino. Ciò impone alcune considerazioni distinguendo le aziende industriali e quelle commerciali.
Con il Dm 3o gennaio 2025 n. 18 pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» lo scorso 27 febbraio sono state disciplinate le modalità attuative delle polizze catastrofali (contro sismi, alluvioni, frane, inondazioni e esondazioni) di cui le imprese dovranno dotarsi entro il prossimo 31 marzo. L’obbligo originariamente è stato introdotto dall’articolo 1 commi 101-111 della legge 213/2023, con scadenza per l’adeguamento fissata dapprima al 31 marzo 2024 e poi prorogata al 31 marzo 2025 dal decreto Milleproroghe (Dl 202/2024). La norma risponde all’esigenza di prevedere una copertura obbligatoria per le aziende a fronte di eventi che si manifestano con sempre maggiore frequenza e intensità ma con un onere assicurativo in capo a queste. D’altronde si diffonde una cultura assicurativa che è irrinunciabile in presenza di eventi calamitosi.
Profilo soggettivo
Vediamo quali sono le imprese obbligate alla copertura in questione. L’articolo 1 del Dm 18/25 definisce come assicurato l’impresa con sede legale in Italia e le imprese aventi sede legale all’estero con una stabile organizzazione in Italia, tenute all’iscrizione nel Registro delle imprese in base all’articolo 2188 del Codice civile, ad esclusione delle imprese agricole (articolo 2135 del Codice civile). L’obbligo pare quindi ampio, riguardando tanto le imprese italiane quanto le stabili organizzazioni in Italia di soggetti esteri, visto che il comun denominatore consiste nell’iscrizione al registro delle imprese che vale anche per le branch. A maggior ragione, l’iscrizione sembrerebbe ricomprendere non solo le società ma anche le imprese tenute in ogni caso a tale iscrizione.
Profilo oggettivo
Le definizioni richiamano le immobilizzazioni di cui all’articolo 2424, comma a, sezione Attivo, voce B-II, numeri 1), 2) e 3), del Codice civile. Viene specificato che si tratta di:
terreni;
fabbricati intesi come costruzioni e opere murarie, compresi gli impianti idrici, elettrici, di riscaldamento, di condizionamento, comunque pertinenziali all’edificio;
impianti e macchinari;
attrezzature industriali e commerciali.
Il richiamo al Codice civile e agli schemi di bilancio consente di fare riferimento al principio Oic 16 sulle immobilizzazioni materiali, che suddivide i fabbricati fra quelli strumentali (ad esempio silos, piazzali e recinzioni, autorimesse, officine, oleodotti, opere di urbanizzazione, fabbricati ad uso amministrativo, commerciale, uffici, negozi) e quelli non strumentali (ad esempio immobili abitativi, termali, sportivi, balneari, terapeutici, collegi, colonie, asili nido, scuole materne). Invece gli impianti e macchinari ricomprendono sia quelli generici (impianti di produzione, impianti di distribuzione energia, raccordi ferroviari, impianti di allarme) sia quelli specifici. La norma richiama poi anche le attrezzature ma non gli altri beni (mobili e arredi, automezzi, macchine ufficio). Accanto a questi ultimi, resta fuori anche l’altra categoria del magazzino, facente parte dell’attivo circolante.
Modalità di copertura
Sotto il profilo assicurativo, la norma primaria (comma 103) prevede che le compagnie possano assumere direttamente il rischio, oppure agire in coassicurazione o in forma consortile mediante una pluralità di imprese. È poi previsto un intervento di Sace a favore sia degli assicuratori sia dei riassicuratori.
Aspetti di mercato
È chiaro che l’obbligatorietà ha puntato sul comparto delle immobilizzazioni materiali, escludendo gli altri beni. Ma l’esclusione del magazzino comporta che la copertura obbligatoria per un’impresa industriale sia superiore rispetto a quella di un’impresa commerciale. In altre parole, l’evento calamitoso può colpire una linea industriale per cui sarà previsto il risarcimento, ma non avverrà lo stesso nel caso in cui l’evento colpisca il magazzino. Che costituisce l’asset principale di un’impresa commerciale. È evidente che vi saranno state motivazioni economiche a suggerire di non incrementare eccessivamente la misura della copertura obbligatoria come onere a carico delle imprese. Va da sé che le realtà commerciali potranno in ogni caso negoziare con l’assicuratore di estendere la copertura anche al magazzino, sebbene ciò possa comportare un incremento del costo della polizza, a fronte di una copertura ben maggiore.
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Si ricorda che è stata prevista la proroga dei termini di adempimento dell’obbligo di assicurazione dei rischi catastrofali, disposta dal Dl 39/2025,
- le piccole imprese e le microimprese potranno farlo entro il 1° gennaio 2026
- quelle medie entro il 1° ottobre
- grandi imprese il termine del 1° aprile rimane fermo, sia pure con un periodo di tolleranza durante il quale non saranno applicabili conseguenze sanzionatorie.
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Circ. nr 1/2025 ISS – Indicazioni operative in riferimento ai versamenti dei contributi di gestione separata
14 Aprile 2025
Si allega la Circolare nr 1/2025 ISS dove si invita a verificare l’importo versato per i contributi di Gestione Separata in quanto il programma informatico utilizzato per il pagamento ha subito nel mese di gennaio e febbraio alcuni aggiornamenti. In particolare:
- in caso di maggior versamento l’Ufficio Contributi effettuerà un rimborso entro il 31 07 25
- in caso di minor versamento non regolarizzato entro il 31 03 25 l’Ufficio Contributi emetterà comunque un provvedimento di “saldo a debito” entro il 31 07 25 senza l’applicazione di penalità e more
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Dividendi di fonte estera: sì al credito dopo prelievo preventivo e ritenuta
14 Aprile 2025
Il Sole 24 Ore lunedì 10 Marzo 2025 di Davide Greco e Giulia Sorci
Il credito d’imposta ex articolo 165 del Tuir deve essere riconosciuto anche al
beneficiario persona fisica di un dividendo di fonte estera qualora questo sia stato
obbligato dalla propria normativa nazionale ad assoggettare il reddito in questione a
ritenuta a titolo di imposta del 26%, come richiesto dall’articolo 27, comma 4 del Dpr
600/1973.
Questa, in estrema sintesi, è la conclusione della Cgt Bergamo n. 68/1//2025 del 14
febbraio scorso (presidente e relatore Fischetti).
La vicenda aveva visto coinvolta una contribuente italiana, la quale lamentava il
mancato rimborso del credito d’imposta ex articolo 165 del Tuir in relazione a dividendi
da lei percepiti e doppiamente tassati: dapprima in Svizzera, con la cosiddetta imposta
preventiva sui dividendi e, successivamente in Italia con ritenuta a titolo d’imposta del
26% (articolo 27, comma 4 del Dpr 600/1973).
La sentenza in commento è rilevante poiché si inserisce all’interno del filone
giurisprudenziale “inaugurato” nel 2022 dalla Corte di cassazione (con la sentenza n.
25698/2022), confermato anche nel 2024 (si veda Cassazione civile n. 10204/2024),
secondo cui ai fini dell’ottenimento del credito d’imposta ex articolo 165 del Tuir non
costituirà più, a certe condizioni, causa ostativa l’aver assoggettato in Italia i dividendi di
fonte estera a ritenuta a titolo d’imposta del 26 per cento.
Il ragionamento seguito dai giudici di merito si pone, infatti, in linea con l’orientamento
dei giudici di legittimità e costituisce, da ciò che ci risulta, uno dei primi approdi della
giurisprudenza di merito sul tema (sembra difatti vi siano pochissime sentenze di merito
antecedenti, ovvero: sentenza della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Siena
- 68/2024 e sentenza della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano n.
3184/2024).
Facendo leva sul dettato normativo contenuto nell’articolo 24, secondo paragrafo della
Convenzione tra Italia e Svizzera, la Corte bergamasca ha dichiarato la supremazia della
fonte sovranazionale rispetto a quella domestica sancendo, in definitiva, che «spetta il
credito per [le] imposte pagate all’estero alle persone fisiche tenute, senza facoltà di
scelta, al pagamento della ritenuta a titolo di imposta come nell’ipotesi di cui all’articolo
27, comma 4 del Dpr 600/1973».
Se, infatti, è vero che una delle condizioni richieste dall’articolo 165 del Tuir per
beneficiare del credito d’imposta per le imposte assolte all’estero è che il reddito in
questione concorra «alla formazione del reddito complessivo» è anche vero che, a livello
convenzionale, l’articolo 24 della Convenzione tra Italia e Svizzera non riconosce il
beneficio nell’ipotesi in cui «l’elemento di reddito venga assoggettato in Italia ad
imposizione mediante ritenuta a titolo di imposta su richiesta del beneficiario del reddito
in base alla legislazione italiana».
Da tale disposizione pattizia se ne ricava, all’opposto che, qualora l’assoggettamento ad
imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta, o mediante imposta sostitutiva come
nella fattispecie di cui all’articolo 18, comma 1, del Tuir, avvenga non «su richiesta del
beneficiario del reddito» ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente richiedere
l’imposizione ordinaria, l’imposta pagata all’estero dovrebbe considerarsi, in linea
generale, detraibile.
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Insolvenza transfrontaliera, criteri Ue per società con sedi fuori dall’Unione
14 Aprile 2025
Il Sole 24 Ore lunedì 10 Marzo 2025 di Leonardo Curatolo e Marcello Tarabusi
Nelle insolvenze transfrontaliere che riguardano società con sedi in Italia e in altri Paesi
extra Ue, l’individuazione del luogo dove aprire la procedura e il rapporto fra le
procedure avviate in Paesi diversi ha importanti ricadute sulla gestione dei beni
aziendali.
Nell’ambito dell’Unione europea la materia è disciplinata dal regolamento Ue 848/2015
ma se i Paesi interessati sono extra Ue si pone il problema di quali norme applicare.
Un’indicazione giurisprudenziale (in assenza di pronunce della Cassazione) arriva da
una sentenza del Tribunale di Bologna (relatore Atzori) che risale al 26 gennaio 2024 (è
la n.14) ma è ancora inedita.
Applicazione universale
Secondo i giudici di Bologna per accertare il luogo dove aprire la procedura, il criterio
da seguire è quello del centro principale degli interessi (Comi) previsto dalle norme Ue
anche per le società con sede legale in Paesi che non fanno parte dell’Unione.
Il tribunale italiano può inoltre aprire la liquidazione giudiziale anche se nel Paese
straniero è già stata avviata una procedura di insolvenza sulla base del diritto locale. E,
sempre secondo i giudici bolognesi, la procedura italiana non è secondaria o dipendente
da quella estera, bensì autonoma e universale, riguarda cioè tutti i beni del debitore (si
veda l’articolo online richiamato in alto).
Pur ritenendo che le norme che regolano la Brexit escludano l’applicazione diretta del
regolamento Ue 2015/848, il Tribunale ha ritenuto alcuni principi ivi previsti di
universale applicazione.
Il provvedimento del Tribunale di Bologna riguardava una vicenda in cui la regolazione
della crisi di una società italiana si intrecciava con quella di una società del medesimo
gruppo ubicata nel Regno Unito.
Nel 2023 la società italiana era stata sottoposta ad amministrazione straordinaria. In
precedenza, il marchio e una serie di asset erano stati trasferiti a un’altra società del
gruppo, con sede legale a Londra che lo aveva dato in licenza alla società italiana (che
aveva la sede a Bologna con 76 dipendenti) la quale erogava anche servizi trasversali al
gruppo (tra cui Ced, marketing, e-commerce).
I creditori italiani avevano chiesto al Tribunale di Bologna di aprire la liquidazione
giudiziale. La società inglese aveva eccepito il difetto di giurisdizione, sostenendo che il
procedimento andava sospeso ai sensi della legge 218/95 (che regola il nostro diritto
internazionale privato), poiché pendeva un analogo ricorso avanti ad un giudice inglese,
la cui decisione sarebbe poi stata resa esecutiva in Italia sempre in base alla legge 218/95
.
Secondo il Tribunale, i criteri indicati nel considerando n. 30 del regolamento Ue
costituiscono, in base alla dottrina internazionalistica, patrimonio comune per
l’individuazione del centro principale degli interessi nelle insolvenze transfrontaliere,
indipendentemente dalla applicabilità della norma Ue. Il criterio del Comi fu infatti
introdotto negli anni ’90 dalla Commissione Onu per il diritto commerciale
internazionale (Uncitral), che ha il compito di armonizzare il diritto commerciale degli
Stati membri dell’Onu, nell’ambito del Modello di legge sull’insolvenza transfrontaliera
adottato il 15 dicembre 1997 con risoluzione n. 52/58 dell’Assemblea generale, poi
trasfuso anche nel regolamento Ce 1346/2000.
Il centro di interessi
Ha inoltre carattere universale il principio secondo cui è sempre possibile offrire la prova
contraria alle presunzioni di coincidenza tra centro principale degli interessi e sede
legale, stabilite dalla legge. E spetta al giudice valutare gli elementi che fanno ritenere
che il centro effettivo di gestione degli interessi sia situati in un altro stato.
Il Tribunale ha ritenuto che, nonostante la sede legale fosse a Londra, il Comi si trovasse
a Bologna, dove erano ubicati il portafoglio clienti e la rete commerciale e dove
avveniva la produzione, dalla creazione stilistica sino al confezionamento. E, da Bologna
i prodotti venivano direttamente spediti ai clienti. Tutto ciò indubbiamente ingenerava
nei terzi (tra cui clienti e dipendenti) la percezione che il luogo in cui il debitore
esercitava la gestione dei propri interessi in modo abituale era in Italia.
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Responsabilità dei sindaci limitata al multiplo del compenso
14 Aprile 2025
Il Sole 24 Ore 13 Marzo 2025 di Federica Micardi
Approvata dall’aula del Senato all’unanimità la legge che limita la responsabilità dei sindaci e del collegio sindacale. Una norma che interessa direttamente oltre 40mila commercialisti e 115mila società di capitali.
Il disegno di legge 1155 che modifica l’articolo 2407 del Codice civile, presentato nel luglio 2023 e che vede come prima firmataria l’onorevole Marta Schifone (Fdi), è stato approvato dalla Camera il 29 maggio 2024 e dalla Commissione giustizia del Senato il 28 gennaio scorso; ieri l’approvazione definitiva dell’Aula di palazzo Madama.
In base al riformato articolo 2407 la responsabilità viene “perimetrata” quando i sindaci o il collegio sindacale non hanno agito con dolo e viene quantificata come un multiplo del compenso percepito in base a tre scaglioni (si veda la scheda in pagina).
Viene anche introdotto un limite temporale per far valere l’azione di responsabilità, che si prescrive in cinque anni dal deposito della relazione dei sindaci annessa al bilancio relativa all’esercizio in cui si è verificato il danno. Il tempo di prescrizione è stato, di fatto, allineato a quello previsto per i revisori. Fino a oggi erano previsti termini diversi – fino a dieci anni – a seconda del tipo di azione esercitata.
Marta Schifone, responsabile del dipartimento professioni di FdI, parla di una vittoria di buon senso che sarà fondamentale per risolvere il paradosso dei professionisti “bersaglio facile” nelle azioni risarcitorie; aiuterà anche a ridurre il timore del danno reputazionale e patrimoniale che ha caratterizzato il ruolo di sindaco in questi anni, rendendolo sempre meno appetibile.
Il nuovo articolo 2407 si applicherà ai bilanci 2024, ma come saranno trattate le violazioni commesse in precedenza? «Il tema di un’applicazione della norma con effetto retroattivo – spiega Marta Schifone – è stato sollevato alla Camera ed è stato oggetto di uno specifico ordine del giorno della commissione Giustizia del Senato; bisogna trovare il veicolo adatto – prosegue Schifone – che potrebbe essere un emendamento. Mi batterò perché passi questo principio, è una questione di giustizia».
La norma è migliorabile (già si parla anche di una sua estensione ai revisori), ma la sua approvazione è un risultato importante. Come sottolinea Andrea de Bertoldi, firmatario del Ddl 1155, «la limitazione della responsabilità in capo ai componenti dei collegi rappresenta non solo una misura di giustizia, ma anche un’opportunità per le nostre imprese di trovare più facilmente sindaci e revisori, che finalmente avranno una responsabilità calibrata sul proprio compenso».
Sono decenni che i professionisti chiedono al legislatore di intervenire in merito. Secondo le stime fornite dalla Fondazione nazionale di ricerca dei commercialisti, sono oltre 40mila gli iscritti all’Albo dei commercialisti impegnati attivamente come componenti di un collegio sindacale, o come sindaco unico, per un totale di oltre 150mila cariche pari a circa l’80% del totale delle società di capitali interessate (circa 115mila).
Il presidente della categoria Elbano de Nuccio parla di un «traguardo storico» e di «un successo che non riguarda solo i commercialisti, ma anche le imprese e l’intero sistema economico, un atto di giustizia sostanziale che garantisce una maggior qualità dell’organo di controllo».
Il sistema della responsabilità finora vigente – spiega il presidente dell’Unione giovani dottori commercialisti ed esperti contabili, Francesco Cataldi – «ha determinato azioni quasi automatiche verso i sindaci, avvinti dal vincolo di solidarietà con gli amministratori. Una responsabilità – prosegue Cataldi – caratterizzata dall’anomalia di colpire nella medesima misura e pretesa risarcitoria chi ha commesso il fatto e chi avrebbe dovuto vigilare».
Secondo Marco Natali, presidente di Confprofesssioni, l’approvazione del Ddl 1155 corregge una distorsione che per troppo tempo ha penalizzato i professionisti.
Anche il presidente dell’Associazione nazionale commercialisti (Anc), Marco Cuchel, plaude per il «traguardo importante» e invita a «gettare le basi per finire il lavoro e cioè ottenere le modifiche in ordine al calcolo del limite massimo del risarcimento danni, alla retroattività della norma e all’estensione ai revisori legali».
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Movimenti finanziari con l’estero sempre da comunicare all’Agenzia
14 Aprile 2025
Il Sole 24 Ore 19 Marzo 2025 di Marco Piazza e Roberto Torre
Gli intermediari finanziari devono comunicare i trasferimenti da e verso l’estero dei propri clienti all’agenzia delle Entrate «indipendentemente dalla circostanza che alcuni trasferimenti possano essere oggetto di segnalazione anche da parti di altri intermediari italiani».
Il principio viene sancito dalla risposta 75/2025 (si veda l’articolo «Investimenti esteri, con il regime dichiarativo obbligo del quadro RW») che riguarda un caso particolare: quello in cui una persona fisica residente in Italia detenga conti correnti e dossier titoli presso un banca estera dedicati a servizi d’investimento (gestione di patrimoni o consulenza con raccolta d’0rdini) prestati al cliente dalla stabile organizzzazione italiana della banca estera. Tuttavia, può essere esemplificativa di come il cosiddetto monitoraggio fiscale del trasferimento da o verso l’estero, di cui all’articolo 1 del Dl 167/1990, possa fornire all’Amministrazione finanziaria segnalazioni fuorvianti (nel caso delle polizze vita, peraltro, la questione è stata risolta con la risoluzione 62/E del 2024).
L’obbligo di monitoraggio è imposto anche alle stabili organizzazioni in Italia di banche estere, ma – come si desume dalla risposta 75 – non solo per i trasferimenti che interessano conti correnti e dossier detenuti dal cliente presso la stabile organizzazione italiana, ma anche per quelli detenuti presso la casa madre, quando si tratti di conti dedicati ai servizi d’investimento prestati dalla stabile organizzazione stessa. In questo secondo caso, dal tenore della risposta, la comunicazione non riguarderebbe solo i trasferimenti da e verso intermediari esteri, ma anche quelli da e verso intermediari italiani. Vi è quindi il rischio di una doppia segnalazione, dato che anche gli intermediari italiani, controparti nei trasferimenti, procederanno a comunicare la medesima operazione (in entrata o in uscita) con lo stesso segno (avere per i bonifici dall’estero e dare per quelli verso l’estero).
A questo punto, se l’Agenzia non sarà in grado di individuare ed eliminare le doppie segnalazioni, il monitoraggio fiscale – che, insieme allo scambio automatico d’informazioni con le autorità estere si è dimostrato il più efficace sistema di contrasto all’evasione internazionale – rischierà di divenire inefficiente.
Prova delle difficoltà incontrate dall’Agenzia nell’analisi dei dati (spesso sovrabbondanti) è il fatto che risultano avviate diverse indagini finanziarie, scatenate dal monitoraggio fiscale e dello scambio d’informazioni, riguardanti rapporti che sono stati regolarizzati quasi dieci anni fa con la voluntary disclosure, alcuni dei quali intestati a fiduciarie italiane. Sembra impossibile che non si sia ancora riusciti a prevedere una analisi preventiva delle informazioni ricevute (onde evitare uno spreco di risorse a fisco e contribuenti).
Probabilmente il sistema dovrebbe essere completamente rivisto, anche per evitare che gli intermediari, nell’incertezza sul da farsi e vista la gravità delle sanzioni, facciano segnalazioni non dovute, minando ulteriormente l’efficienza della procedura. Il monitoraggio fiscale dovrebbe essere coordinato con gli esiti dello scambio d’informazioni internazionale e con le risultanze dell’archivio dei rapporti finanziari; ciò anche allo scopo di mettere l’Agenzia in condizione di rendersi conto in anticipo dei casi di amministrazione fiduciaria senza intestazione e simili.
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Pagamenti digitali, il balzo dei Pos (+30%) dà più armi al Fisco
14 Aprile 2025
Il Sole 24 Ore 24 Marzo 2025 di Dario Aquaro e Cristiano Dell’Oste
I dati. Nel 2024 attivi 3,5 milioni di terminali per l’uso delle carte. Transazioni +45% in tre anni. Dal 2026 obbligo di collegamento con i registratori di cassa
Nel 2021 in Italia erano attivi 2,7 milioni di Pos. Tre anni dopo – a fine 2024 – siamo arrivati a 3,5 milioni. Anche i pagamenti cashless totali sono cresciuti: da 332 a 481 miliardi di euro, di cui 357 miliardi eseguiti proprio sui terminali per accettare le carte (fisiche o virtuali). In un triennio, insomma, i Pos sono aumentati del 30% e le transazioni senza contante del 45 per cento. Una crescita che offre al Fisco una miniera di dati sui pagamenti pronti da analizzare e usare in chiave antievasione.
Certo, tutti gli esercenti sono dotati di Pos, per obbligo di legge. E da metà 2022 sono in piedi le sanzioni per chi nega l’uso di carte di debito, di credito o prepagate (30 euro più il 4% del valore della transazione). L’impressione, però, è che a spingere i pagamenti digitali stimati dall’Osservatorio del Politecnico di Milano siano state soprattutto le nuove soluzioni tecnologiche e le relative offerte commerciali, che hanno inciso sulle abitudini degli italiani più di incentivi, sanzioni e obblighi spesso fuori fuoco. Anche perché nel frattempo il limite per l’uso del contante è salito da 2mila a 5mila euro, la costosissima esperienza del cashback di Stato è stata archiviata e il tax credit sulle commissioni dei piccoli esercenti, elevato solo per un anno al 100%, è tornato al livello base del 30 per cento.
A livello normativo, a favore degli acquirenti, restano la lotteria degli scontrini e l’obbligo – fissato nel 2020 – di saldare con mezzi tracciabili le spese che si vuol detrarre al 19%, dalle visite mediche alle attività sportive dei ragazzi.
I pagamenti in negozio hanno quindi raggiunto – come detto – 357 miliardi di euro, di cui 291 miliardi in modalità contactless (quasi nove transazioni su dieci eseguite con carta avvengono così). Se l’aumento dei pagamenti cashless è in larga parte spontaneo, perde di peso il dibattito sul tetto al contante (pur utile a contenere l’economia sommersa, Banca d’Italia dixit), che è stato alzato dal Governo Meloni nel 2023 ed è ormai uscito dai radar della politica. Ma a proposito della diffusione dei Pos in chiave antievasione restano due elementi di fondo:
da un lato, nulla vieta che le parti si accordino per saldare in contanti e in nero. E qui serviranno sempre i controlli, le sanzioni e le “classiche” misure antievasione o sul contrasto d’interessi, per indurre l’acquirente a farsi fare la ricevuta;
dall’altro, non è garantito che tutti gli incassi tramite carte siano accompagnati da scontrini e altri documenti fiscali. E qui si aprono spazi per l’incrocio dei dati e l’introduzione dei sistemi che trasmettono in tempo reale le operazioni al Fisco.
Proprio per integrare le certificazioni fiscali (memorizzazione e trasmissione dei corrispettivi) e i pagamenti elettronici, facendo emergere in modo puntuale l’eventuale incoerenza tra incassi cashless e scontrini emessi, a gennaio 2026 scatterà l’obbligo di collegare i Pos ai registratori di cassa. Una mossa legata anche agli obiettivi Pnrr. La relazione tecnica alla legge di Bilancio 2025 spiega che per quantificare le maggiori entrate (circa 50 milioni di Iva) sono stati utilizzati i dati sulle lettere di compliance inviate dalle Entrate nel 2023 e basate sulle anomalie fiscali emerse dall’incrocio delle banche dati. Ma il criterio di stima è «assolutamente prudenziale», perché vengono considerati anomali solo i contribuenti con un elevatissimo profilo di rischio, escludendo «quelli che, pur avendo, per ipotesi, evaso tutte le somme riscosse in contanti, hanno certificato regolarmente quelle pagate con strumenti tracciati».
In attesa delle regole tecniche sul collegamento Pos-registratore di cassa, il mercato comincia già a muoversi. I dati dell’Osservatorio Innovative Payments del Polimi – spiega il direttore Ivano Asaro – mostrano, dopo l’esplosione dei mobile Pos (che toccano il milione, il 28% del totale), «il forte progresso degli smart Pos: evoluzione diretta dei terminali tradizionali, basati su Android e non su un sistema operativo privato. I quali hanno un grosso potenziale anche nell’ottica di integrazione con i registratori telematici». Se ne contano 500mila (il 14% del totale). Tutto ciò mentre cominciano ad avanzare i software Pos che – grazie alle app crittografate installate sugli smartphone – consentono di fare a meno dei terminali esterni, con il loro costo fisso. I numeri sono ancora piccoli (sono circa 150 mila), ma l’espansione è in atto. E potrà forse portare a “cannibalizzare” in parte i Pos mobili.
Dal 1° gennaio 2026 (per effetto dell’articolo 1, commi 74-77, della legge 207/2024) verrà garantita alle Entrate la comunicazione in tempo reale – e non con cadenza mensile, come accade oggi – delle informazioni relative ai pagamenti elettronici, grazie alla loro trasmissione aggregata con i dati delle vendite memorizzati e inviati telematicamente.
In questo modo potranno essere rilevate in maniera automatica eventuali incoerenze tra gli incassi “digitali” e quanto risulta dai documenti commerciali emessi.
Il registratore telematico, collegato tecnicamente con gli strumenti di pagamento elettronico, così come le soluzioni software di certificazione fiscale che potranno essere adottate dai contribuenti – dopo avere memorizzato le informazioni minime di tutte le transazioni elettroniche, tranne di quelle che permettono l’identificazione del cliente – trasmetteranno all’Agenzia l’importo complessivo dei pagamenti elettronici giornalieri acquisiti anche indipendentemente dalla registrazione dei corrispettivi.
Così dal 2026 i dati aggregati del pagamento elettronico e della certificazione fiscale verranno trasferiti, con un medesimo invio, direttamente dal punto vendita delle Entrate: le attuali disposizioni di riferimento e le specifiche tecniche si limitano a prevedere che nel tracciato, trasmesso giornalmente, siano indicate le modalità di pagamento dell’operazione, essendo invece delegata agli operatori finanziari la trasmissione telematica, con cadenza mensile, dei dati identificativi e dell’importo complessivo delle transazioni giornaliere effettuate con strumenti di pagamento elettronico.
Allo stesso modo, le transazioni saranno comunicate dalle soluzioni software di certificazione, rispettando le modalità tecniche definite con disposizioni regolamentari in corso di emanazione, come chiarito dal provvedimento 111204/2025 del 7 marzo 2025 con cui sono state individuate le informazioni da trasmettere e le regole per realizzare e approvare le soluzioni software per memorizzare elettronicamente e trasmettere telematicamente i dati dei corrispettivi giornalieri.
Le nuove disposizioni concorreranno di fatto a superare – o comunque a innovare e integrare – quanto a oggi disposto dal provvedimento direttoriale 352652, pubblicato il 3 ottobre 2023, con cui l’Agenzia ha individuato le modalità per mettere a disposizione del contribuente e della Guardia di Finanza, anche con l’uso di strumenti informatici, le informazioni derivanti dal confronto mensile tra i pagamenti elettronici ricevuti e le fatture elettroniche emesse e/o i corrispettivi telematici trasmessi dallo stesso contribuente.
Destinatari delle comunicazioni sono tutti i contribuenti per i quali l’ammontare dei pagamenti elettronici mensili risulti superiore all’ammontare complessivo delle transazioni economiche certificate fiscalmente nello stesso periodo. Gli elementi e le informazioni comunicati permettono quindi di rimediare a eventuali errori od omissioni, tramite l’istituto del ravvedimento operoso.