Categoria: In primo piano
Etichette, regole del Paese in cui il prodotto è venduto
11 Ottobre 2024
Il Sole 24 Ore 2 Ottobre 2024 di Marina Castellaneta
Un prestatore di servizi stabilito in uno Stato membro e che vende prodotti cosmetici in un altro Paese Ue è tenuto a rispettare le regole europee in materia di etichettatura, che impongono l’uso della lingua del Paese in cui il prodotto sarà venduto. Di conseguenza, il prestatore di servizi non può invocare il principio dello Stato di origine e limitarsi a rispettare le regole del Paese in cui è stabilito, anche perché, come chiarito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 19 settembre (causa C-88/23) le norme sull’etichettatura non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/31 sul commercio elettronico.
Sono stati i giudici svedesi a chiedere l’intervento della Corte Ue per un chiarimento sulla direttiva. Al centro della vicenda nazionale vi era una controversia tra una società tedesca, che attraverso il proprio sito web vendeva prodotti cosmetici per il mercato svedese, e una società del Paese scandinavo che si occupa della commercializzazione di prodotti. Quest’ultima aveva citato in giudizio l’azienda tedesca dinanzi al Tribunale della proprietà intellettuale e del commercio svedese per vietare la commercializzazione di prodotti cosmetici che non avevano l’etichetta in lingua svedese. L’azienda tedesca riteneva che tale requisito fosse contrario alla direttiva 2000/31, ma il Tribunale aveva accolto l’istanza dell’azienda svedese e vietato alla società tedesca di commercializzare i prodotti cosmetici senza l’etichetta svedese. La Corte di appello di Stoccolma, prima di pronunciarsi, ha chiamato in aiuto gli eurogiudici.
La direttiva – osserva la Corte – punta a rafforzare la libertà di fornire servizi della società di informazione facendo salva, però, la tutela della salute e dei consumatori. Nel chiarire la nozione di “ambito regolamentato” dalla direttiva, l’articolo 2 precisa che si tratta delle prescrizioni che il prestatore deve soddisfare per l’accesso all’attività e il suo comportamento, nonché la qualità o i contenuti del servizio, escludendo le merci in quanto tali, la consegna e i servizi non prestati per via elettronica. L’articolo 2 non precisa se nella nozione di ambito regolamentato possano essere incluse le prescrizioni sull’etichettatura di prodotti promossi e venduti sul sito Internet. Tuttavia, la Corte, con questa sentenza, ha chiarito che l’etichettatura è un requisito applicabile ai beni in quanto tali e, quindi, gli obblighi ad essa collegati sono esclusi dalla direttiva. Di conseguenza, il prestatore dei servizi sarà sottoposto alle regole della direttiva 2000/31 per talune questioni come i requisiti relativi alla pubblicità online e al commercio elettronico ma, per altri aspetti, come gli obblighi in materia di etichettatura, sarà vincolato da altre disposizioni del diritto dell’Unione, proprio per garantire la tutela del consumatore. Pertanto, conclude la Corte, anche ai prestatori di servizi che operano online vanno applicate le disposizioni del regolamento n. 1223/2009 sui prodotti cosmetici che impongono di fornire informazioni in una lingua comprensibile agli utilizzatori finali.
LE VENDITE SUL WEB
Il prestatore stabilito
Il prestatore di servizi stabilito in uno Stato membro che vende prodotti cosmetici in un altro Paese Ue deve rispettare le regole europee sull’etichettatura, che impongono l’uso della lingua del Paese in cui il prodotto sarà venduto
Lo stato di origine
non è possibile invocare il principio dello Stato di origine e limitarsi a rispettare le regole del Paese in cui ci si stabilisce. La Corte Ue con la sentenza del 19 settembre (causa C-88/23) ha, infatti, chiarito che le norme sull’etichettatura non rientrano nel raggio d’azione della direttiva 2000/31 sul commercio elettronico.
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Cessione di opere d’arte al test dell’intento speculativo
11 Ottobre 2024
Il Sole 24 Ore 3 Ottobre 2024 di Antonio Fiorentino Martino Paolo Scarion
La Cassazione è tornata sulla tassazione dei collezionisti di opere d’arte con una sentenza (19363/2024) relativa alla cessione di un Monet, effettuata da un privato a distanza di sette anni dall’acquisto. La plusvalenza generata, oltre cinque milioni, era stata qualificata dalle Entrate come reddito derivante da attività commerciale occasionale, dunque imponibile ai fini Irpef ex articolo 67, comma 1, lettera i), del Tuir. Dalle sentenze di merito emerge che il contribuente si era difeso sostenendo di essere un «mero collezionista privato», e di avere ceduto l’opera con l’intendimento di acquistarne poi un’altra; tuttavia, mentre le sue doglianze erano state accolte in primo grado, i giudici di appello avevano condiviso l’opposta prospettazione delle Entrate.
La Cassazione si è posta nel solco dell’orientamento inaugurato con l’ordinanza 6874/2023. Richiamando la tripartizione ivi introdotta – e ribadita nelle ordinanze 1603 e 1610/2024 –, i giudici di legittimità hanno distinto ancora una volta tra 1) mercante d’arte, 2) collezionista «puro», e 3) collezionista «speculatore occasionale»; quest’ultimo acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle «allo scopo di conseguire un utile» (e dunque agisce con intento speculativo), realizzando redditi riconducibili all’articolo 67, comma 1, lettera i).
Non si tratta di un principio nuovo: già la risposta all’interrogazione parlamentare 5-01718 del 21 marzo 2019 era giunta ad un’analoga conclusione; tuttavia, la sentenza Monet permette di meglio comprendere i presupposti della tassazione. La Cassazione ha ritenuto sussistente l’intento speculativo perché il collezionista aveva incaricato della vendita una casa d’aste, aveva in passato concesso l’opera in esposizione a musei, attività che tradirebbe la volontà di “valorizzarla” in vista della vendita, massimizzando il profitto, aveva realizzato una plusvalenza di ammontare molto elevato, infine aveva compiuto operazioni similari «in periodi antecedenti e successivi» (nonostante l’alienazione dell’opera fosse stata l’unica vendita effettuata nell’annualità accertata).
Le considerazioni della Corte possono in effetti prestarsi a talune obiezioni: ad esempio, l’intermediazione di una casa d’aste, anziché sottintendere un intento speculativo, può essere giustificata dalla mera esigenza di rivolgersi a un operatore esperto e qualificato per la gestione della compravendita. Né appare di per sé significativa l’esposizione dell’opera in mostre o musei.Peraltro, la ricerca delle reali intenzioni del collezionista, siccome non può di certo tradursi in un’indagine di natura psicologica, postula inevitabilmente che l’accertamento sia fondato – come riconosce la sentenza Monet – su presunzioni semplici; ed esse, pur dovendo essere gravi, precise e concordanti, restano sempre liberamente apprezzabili dal giudice. L’analisi in questione, dunque, va svolta caso per caso: ciò genera un contesto caratterizzato da forte incertezza e aleatorietà, tanto più pericoloso se si considera che, al superamento di determinate soglie, gli illeciti fiscali possono anche integrare un reato .
Non può, quindi, più attendere l’attuazione della delega per la riforma fiscale (legge 111/2023. Il nuovo paradigma normativo – per come emerge dal testo della delega (articolo 5, comma 1, lettera h, n. 3) e dalla relazione illustrativa – si discosta dalla complicatissima indagine dell’elemento soggettivo in capo al cedente, ed è invece incentrato su parametri oggettivi: vengono, infatti, predeterminate per legge le fattispecie «in cui è assente l’intento speculativo», e nelle quali, dunque, la plusvalenza non è mai imponibile. Si tratta a) della vendita di beni acquisiti per successione o donazione, oppure b) della permuta di opere, o ancora c) della cessione la cui plusvalenza venga reinvestita entro un certo termine per acquistare nuovi oggetti d’arte (che era proprio quanto aveva sostenuto il contribuente della vicenda Monet nelle proprie difese). In tutte le predette ipotesi l’assenza di una finalità lucrativa, e l’esclusione da tassazione, vengono stabilite per presunzione legale. Nella riforma non sembra, invece, esservi spazio per l’introduzione di un holding period, superato il quale la cessione divenga non imponibile.
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Pensionati frontalieri: sentenza favorevole al ricorso, la rendita si tassa solo a San Marino
11 Ottobre 2024
Dalla Redazione di San Marino RTV 2 Ottobre 2024
Csir: “Soddisfatti per una prima vittoria, altrimenti rischio accanimento verso nonni di famiglia”
Una prima vittoria del Comitato sindacale interregionale sulla questione della doppia tassazione delle pensioni degli ex lavoratori frontalieri residenti in Italia. È la sentenza della Corte di giustizia tributaria di primo grado a segnare la svolta. Un punto di chiarezza che si aspettava da tempo e che stabilisce che le rendite sono tassabili solo a San Marino e non anche Italia.
È questo l’esito dei ricorsi, per i quali arriva una prima risposta. In ultima istanza, il procedimento potrebbe arrivare alla Corte di Cassazione, affinché si esprima in via definitiva per i “casi” sammarinesi.
“Stiamo parlando di soggetti che hanno una certa età e sono padri e nonni di famiglia e si trovano queste cartelle esattoriali e non sanno come comportarsi. Se non è accanimento, questo allora cosa è?” si chiede Daniele Tomasetti, presidente CSIR. Intanto si attende l’esito di altri 3 ricorsi ma si stima che siamo circa 40 le persone che hanno ricevuto la cartella che contesta i redditi dal 2019 in poi nonostante la Convenzione bilaterale sulle doppie imposizioni che – secondo lo CSIR – servirebbe proprio a “evitare questa dinamica”.
Un clima di incertezza che genera effetti negativi. “Alla luce tutta questa querelle che si è generata intorno ai redditi da pensione noi riceviamo molte segnalazioni e molti lavoratori qualificati di cui il sistema ha bisogno che scelgono di non venire a San Marino proprio per questo motivo”.
Dallo Csir arriva anche un appello alle istituzioni sammarinesi ed italiane affinchè non si strumentalizzi la questione e si risolva invece con un confronto definitivo.
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Stop alle consulenze giuridiche per società o enti stabiliti in Russia
11 Ottobre 2024
Il Sole 24 Ore 3 Ottobre 2024 di Marina Castellaneta
Le misure restrittive nei confronti della Russia e di persone giuridiche stabilite in quel Paese travolgono anche i servizi di consulenza giuridica, se non collegati a un procedimento giudiziario. Di conseguenza, gli avvocati o altri professionisti che svolgono attività di consulenza non possono continuare quest’attività a vantaggio della Russia o di persone giuridiche ed enti stabiliti in Russia.
Lo ha affermato il Tribunale Ue con la sentenza depositata ieri (T-797/22) con la quale è stato respinto il ricorso di alcuni Ordini professionali di Bruxelles e di Parigi che avevano chiesto l’annullamento del Regolamento Ue 2022/1904 concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (nonché del regolamento 2023/427) che, tra le altre misure, vieta i servizi di consulenza giuridica. Alcuni Ordini professionali sostenevano che l’inclusione del divieto della consulenza giuridica violava alcuni diritti fondamentali e, in particolare, l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che assicura il diritto a un ricorso effettivo. Per i ricorrenti il divieto di fornire servizi avrebbe compromesso il diritto di difesa e di agire in giudizio che deve essere assicurato a ogni persona fisica e giuridica. Il Tribunale Ue ha respinto il ricorso affermando una nozione più ristretta del diritto di avere accesso a un avvocato e di beneficiare della sua consulenza. Per gli eurogiudici, infatti, l’articolo 47 della Carta deve essere riconosciuto «solo se esiste un collegamento con un procedimento giurisdizionale», indipendentemente dal fatto che il procedimento sia stato già avviato o che possa essere anticipato, «nella fase di valutazione, da parte dell’avvocato». L’attività di consulenza, in materia non contenziosa, nei casi in cui si sia in un «contesto privo di un collegamento con un procedimento giurisdizionale», è così al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto a un ricorso effettivo. Inoltre, per il Tribunale, le misure restrittive imposte dall’Unione non hanno violato il principio di proporzionalità: gli obiettivi stabiliti dai regolamenti ossia la protezione dell’integrità territoriale, della sovranità e dell’indipendenza dell’Ucraina sono fondamentali per la sicurezza internazionale e sono conformi – scrive il Tribunale – agli obiettivi dell’azione esterna dell’Unione, ammissibili anche se vi sono alcune conseguenze negative per gli operatori. Il divieto di consulenza giuridica – proseguono i giudici – è limitato perché circoscritto unicamente ai servizi giuridici forniti al governo russo o a persone giuridiche, entità ed organismi stabiliti in Russia e non nei confronti di persone fisiche. Il Tribunale ha escluso, inoltre, una violazione del principio dell’indipendenza dell’avvocato anche perché gli ordini professionali ricorrenti non hanno dimost+rato la violazione del principio e perché, in ogni caso, l’eventuale ingerenza nell’indipendenza degli avvocati «sarebbe giustificata e proporzionata».
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Neo residenti, la sfida è attrarre nuovi investitori
11 Ottobre 2024
Il Sole 24 Ore 21 Settembre 2024 di Carlo Angelo Pittatore
La normativa sui neo residenti ha lo scopo di attrarre cittadini benestanti residenti all’estero dai quali in ogni caso non saremmo in grado, nè avremmo motivo, di avere alcun incasso tributario in quanto i redditi sono prodotti al di fuori dell’Italia. La copertura fiscale riguarda esclusivamente redditi e patrimoni esteri e fino allo scorso 10 agosto permetteva al fisco italiano di incassare forfettariamente 100 mila euro all’anno, ora raddoppiata a 200 mila euro. La flat tax ha il suo principale effetto sui redditi finanziari prodotti all’estero, in quanto i redditi generati da immobili in assenza della flat tax godono usualmente di normative/trattati che evitano la doppia imposizione e quelli prodotti da lavoro al di fuori dall’Italia sono incoerenti con il cambio di residenza e soggetti a tassazione nel paese in cui sono generati. La flat tax evita la tassazione sui patrimoni finanziari esteri (Ivafe) e sugli immobili detenuti all’estero (Ivie). Il vantaggio per l’Italia oltre ai nuovi incassi fiscali è attrarre residenti ad elevato tenore di vita che consumeranno beni e servizi. La scelta dell’Italia per i nuovi residenti è motivata dalla qualità di vita superiore ad altri paesi a parità di efficacia fiscale: consumatori d’eccellenza attratti dai settori in cui ci distinguiamo quali turismo, enogastronomia, cultura, lusso, moda. La misura ha avuto successo in termini numerici e talvolta si è trasformata in investimenti in immobili di pregio in Italia. I valori immobiliari delle nostre città sono appetibili rispetto ad altre di analoghe dimensioni all’estero e abbiamo constatato acquisti per valori importanti. Le conseguenze per la nostra economia di questi investimenti sono imposte pagate (ipotecarie, catastali e registro), lavori di ristrutturazione e spesa negli ambiti in cui l’offerta italiana primeggia, dando molte occasioni di lavoro. Tuttavia la normativa, limitando forfettariamente la tassazione sui beni e redditi rimasti all’estero, non incide sul come spingerli a trasferire il loro patrimonio e ad investire in Italia.
Che patrimonio minimo possiamo immaginare perché fosse conveniente pagare 100 mila euro di flat tax? Per esempio un residente a Londra o Parigi che intenda risiedere in Italia, e sia proprietario di una casa del valore di tre milioni di euro, risparmierebbe 30 mila euro (Ivie), e avrebbe un break even di 70 mila euro per i redditi finanziari. Immaginando un rendimento costante del 5%, e l’attuale aliquota del 26%, il patrimonio di break even tra flat tax e tassazione ordinaria Italiana sarebbe 5,384 milioni. Gli otto e passa milioni ipotizzati erano lo zoccolo minimo per recuperare il pagamento della flat tax. Il raddoppio della tassazione richiede quindi un patrimonio estero, tra finanziario e immobiliare, superiore ai 16 milioni.
La dimensione dei patrimoni non ha una distribuzione lineare, bensi piramidale, più cresce il patrimonio più che proporzionalmente diminuiscono le teste. Aumentando la flat tax si perde una fascia di cittadini assai più numerosa rispetto a chi ha patrimoni superiori ai 16 milioni. Il raddoppio della tassazione probabilmente più che dimezzerà i flussi senza incrementare gli incassi per l’erario, ma con un crollo del nuovo consumo in Italia. Avremmo la metà di nuove persone nei ristoranti, nelle vie dello shopping, nel turismo di lusso, la metà di case di lusso affittate e comprate, la metà di auto di acquistate.
Immaginiamo soluzioni coerenti agli obiettivi di maggiori imposte e di maggiore ricchezza per l’Italia in alternativa al raddoppio della tassa. Per esempio utilizzare i 100 mila euro aggiuntivi come credito di imposta per coprire imposte generate dalla presenza in Italia: da investimenti immobiliari, con scomputo dell’Imu e delle cedolari secche pagate, da redditi finanziari sugli investimenti detenuti in Italia piuttosto che il bollo. Oppure ispiriamoci ai meccanismi di obbligo di investimento utilizzati per concedere l’investor visa a cittadini extra Ue. Si potrebbe esentare dal raddoppio chi compri un certo ammontare di titoli italiani: azioni, partecipazioni, obbligazioni o titoli di stato.
Una manovra che mira al raddoppio della cassa, improbabile in quanto riduce il target potenziale non è logica, meglio incentivare investimenti facoltosi in Italia. Finora abbiamo attratto nuovi residenti ad alto reddito per i loro consumi ma non li abbiamo incentivati ad investire, anzi li abbiamo penalizzati nel caso decidano di trasferire le loro finanze. Raddoppiando l’imposizione mettiamo solo un freno a nuovi arrivi.
Vice presidente Finnat Fiduciaria
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La cancellazione della società equivale alla morte del reo: estinto l’illecito
11 Ottobre 2024
Il Sole 24 Ore lunedì 16 Settembre 2024 di Sandro Guerra
La cancellazione di una società dal Registro delle imprese è equiparabile alla morte del reo ed estingue l’illecito. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 25648, depositata il 1° luglio 2024 che è tornata ad occuparsi di un tema su cui la giurisprudenza si è divisa. Negli ultimi tempi si stava consolidando l’orientamento negativo che ora però questa pronuncia rimette in discussione, acuendo un contrasto che molto probabilmente richiederà l’intervento delle Sezioni unite.
Non si tratta infatti solo di una questione di principio perché l’equiparazione alla morte dell’imputato comporta l’estinzione dell’illecito e quindi l’improcedibilità dell’azione nei confronti dell’ente non più esistente.
Il sì all’equiparazione
Secondo la sentenza n. 25648 le formalità della cancellazione dal registro delle imprese comportano il venir meno della persona giuridica, con l’inevitabile conclusione che le si estendano le norme previste per l’imputato dal Codice di procedura penale, ai sensi dell’articolo 35 Dlgs 231/2001 («All’ente si applicano le disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili»), con conseguente impraticabilità di quelle sanzioni relative e connesse alla sua attività.
Questo perché con la riforma delle società di capitali e cooperativa attuata dal Dlgs 17 gennaio 2003, n. 6, la cancellazione ha assunto effetti costitutivi dell’estinzione irreversibile della società (articolo 2495, secondo comma, del Codice civile), anche in presenza di debiti rimasti insoddisfatti e rapporti non definiti.
La pronuncia ribadisce quindi le conclusioni cui era già approdata una parte della giurisprudenza di legittimità, sia pure con la precisazione che è solo l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente che darebbe luogo ad un evento assimilabile a quello della morte dell’imputato (Cassazione penale, Sezione II, 7 ottobre 2019, n. 41082; Cassazione penale, Sezione V, 5 luglio 2021, n. 25492).
Il no all’equiparazione
In decisioni pù recenti, la questione era stata però risolta in termini diversi, sia in Cassazione che in Tribunale. Nel 2022 la Cassazione (in dichiarato dissenso rispetto alla sentenza 41082/2019) ha sostenuto che «le cause estintive dei reati sono notoriamente un numerus clausus, non estensibile», tanto più che quando il legislatore della responsabilità delle persone giuridiche ha inteso riferirsi a cause estintive degli illeciti «lo ha fatto espressamente», come all’articolo 8, secondo comma, Dlgs 231/2001 «allorché ha disciplinato l’amnistia», o all’articolo 67, «ove ha previsto l’adozione di sentenza di non doversi procedere in soli due casi: quando il reato dal quale dipende l’illecito amministrativo è prescritto; e quando la sanzione è estinta per prescrizione» (Cassazione penale, IV Sezione, 17 marzo 2022, n. 9006).
In una seconda e più recente sentenza, la Corte ha poi osservato che «la cancellazione potrebbe costituire un c ommodus discessus per sottrarsi alle conseguenze di una pronuncia giudiziaria» e, se è vero che essa potrebbe «certamente porre un problema di soddisfacimento del relativo credito», non vi sarebbe invece «un problema di accertamento della responsabilità dell’ente per fatti anteriori, responsabilità che nessuna norma autorizza a ritenere elisa per effetto della cancellazione dell’ente stesso» (Cassazione penale, II Sezione, 14 settembre 2023, n. 37655). Un solco, quest’ultimo, già tracciato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con la sentenza 2993 del 15 novembre 2022 (si veda Il Sole 24 Ore del 2 gennaio 2023), secondo la quale l’esigenza «di impedire che successive iniziative dei soggetti interessati sortiscano l’effetto di paralizzare la risposta dell’ordinamento all’illecito dell’ente» condurrebbe a ritenere irrilevante la cancellazione, in vista di «una fase esecutiva inevitabilmente fondata sulla fictio iuris della persistenza in vita del soggetto giuridico», ossia fingendo che l’ente sia ancora esistente.
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Decreto Delegato nr 134 del 23 Agosto 2024 – Disposizioni in materia di consumo
9 Settembre 2024
Il Decreto Delegato nr 134 adegua l’assetto normativo della Repubblica di San Marino alla disciplina europea già in essere sul diritto e le tutele dei consumatori al fine non solo di aumentare il grado di tutela a favore dei consumatori ma anche migliorare i rapporti commerciali con i Paesi terzi che concludono contratti sul territorio anche mediante tecniche di comunicazione a distanza.
Il Decreto produrrà i propri effetti dal 1° gennaio 2025 ma sarà immediatamente operativo relativamente a due articoli di cui si era già accennato nella Newsletter di Marzo:
art. 25 (Legittimazione ad agire) ossia la possibilità per le associazioni di categoria di rappresentare i consumatori in giudizio nei procedimenti di natura civile, di natura amministrativa e costituirsi parte civile nei procedimenti penali
art. 27 (Class action) al fine di tutelare diritti individuali ed omogenei di una classe di consumatori lesi da un medesimo un operatore economico
Si allega il testo completo.
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San Marino-Italia: aggiornamento transito doganale computerizzato
9 Settembre 2024
Dalla Redazione di San Marino Fixing del 22 08 24
All’Agenzia delle dogane e dei monopoli si è sottoscritto, in data 6 agosto, l’Atto aggiuntivo alla Convenzione di adesione al sistema del transito computerizzato o NCTS (New Computerized Transit System) siglata nel 2007 tra Italia e San Marino. La firma di questo importante documento permetterà l’aggiornamento del sistema del transito doganale di San Marino, che viene reso così più efficiente, sicuro e conforme ai requisiti tecnici e procedurali indicati dall’Unione europea.
L’azione di vigilanza sulle merci svolta dalle Amministrazioni doganali è sempre più legata all’evoluzione tecnologica e alla transizione digitale dei processi, di cui il complesso sistema del transito informatizzato è un esempio evidente. Il sistema NCTS, attivo nell’Unione europea dal 2000, gestisce il transito delle merci non unionali. Si tratta di uno strumento molto utilizzato dagli operatori che, grazie alla procedura automatizzata, consente di gestire agilmente le spedizioni di merci nel rispetto del principio della tutela erariale.
San Marino vi ha aderito nel 2009, allineandosi alle normative europee e migliorando la fluidità e la sicurezza dell’interscambio commerciale grazie alla Convenzione con l’Adm. Da allora c’è stato un aggiornamento tecnico nel 2011, al quale segue l’aggiornamento di agosto.
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E-commerce in nero scoperto con l’incrocio delle banche dati
9 Settembre 2024
Il Sole 24 Ore 6 Agosto 2024 di Alessandro Galimberti e Valerio Vallefuoco
L’operazione. Acquisti online per 1,3 miliardi , con 300 milioni di Iva non versata nel 2017 e nel 2018, nel mirino della Gdf di Pescara
Una gigantesca evasione fiscale sulle vendite online di beni prodotti all’estero – soprattutto abbigliamento ed elettronica – è stata scoperta dalla Guardia di finanza di Pescara che ha individuato 850 aziende in debito di oltre 300 milioni di Iva non versata all’erario italiano.
L’inchiesta, che riguarda gli anni 2017 e 2018 – quando le vendite transnazionali B2C (business to consumer) avevano regole più elastiche e erano interessate da controlli più difficili – ha fatto emergere oltre 1,3 miliardi di euro di transazioni effettuate tramite il marketplac e di Amazon completamente in nero, su un totale di vendite intermediate di 3 miliardi: in sostanza il 47% del mercato era in evasione totale di Iva, con danno erariale di oltre 300 milioni.
I riscontri incrociati ottenuti dalle Fiamme Gialle hanno potuto contare anche sui dati delle transazioni recuperati dal data base di Amazon, considerato che i marketplace digitali dal 2021 sono diventati per legge dei co-obbligati dell’Iva, parti integranti delle transazioni concluse e non più semplici spettatori “neutrali” delle operazioni intermediate.
Il business illecito ha visto coinvolte imprese di vari Paesi non solo Ue (Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Polonia, Austria, Svezia, Estonia, Lituania) ma anche in Usa, Regno Unito, Canada e soprattutto Cina.
L’inchiesta delle Fiamme Gialle si è incentrata sull’analisi dei dati riguardanti le vendite online incrociati con le informazioni fornite dai gestori dei siti e-commerce, dati poi confrontati con le banche dati dell’amministrazione fiscale dove è possibile identificare e verificare la posizione dei contribuenti, quando esiste. I sospetti sono stati confermati dal fatto che di 850 operatori molto “attivi” in Italia non risultava traccia, avendo questi attentamente evitato di aprire una partita Iva. La normativa vigente all’epoca – modificata nel 2021 – nel caso di vendite in e-commerce a consumatori privati prevedeva che l’imposta venisse assolta direttamente dall’operatore commerciale nello Stato membro di destinazione (cioè in Italia) ma solo se il giro d’affari annuale qui superava i 35mila euro.
Pertanto le vendite effettuate via e-commerce dall’impresa con sede all’estero nei confronti del consumatore italiano erano considerate rilevanti per l’Iva solo se il venditore aveva superato la soglia di 35mila euro di vendite nell’anno solare in corso o in quello precedente (soglia nel tempo abbassata fino agli attuali 10mila euro). In quel caso il venditore era tenuto a nominare un rappresentante fiscale o a procedere all’identificazione diretta per assolvere gli obblighi Iva. In entrambi i casi, l’adempimento dell’obbligazione tributaria prevede che vengano assolti tutti gli obblighi, dalla documentazione alle registrazione, dichiarazione e versamento dell’imposta, come un qualsiasi contribuente.
La modalita? “spontanea” di identificazione per gli operatori esteri, che fino a pochi anni fa apriva spazi enormi per condotte illecite, è stata lo spunto investigativo che ha permesso alla Gdf di Pescara di “forzare” lo scrigno del nero digitale.
Le nuove regole in vigore dal 2021 nell’Ue – direttiva 2017/2455/Ue e il regolamento Ue 2017/2454 che implementa la cooperazione amministrativa e penale, strumenti utilizzati da questa indagine – hanno abbassato la soglia di esenzione a 10mila euro di giro d’affari/ anno, ma soprattutto hanno spostato in carico all’intermediario – cioè al marketplace – l’assolvimento dell’Iva (dichiarazione più pagamento). Il marketplace oggi è considerato come il soggetto passivo che acquista e cede i beni nei confronti di una persona che non è un soggetto passivo Iva (come nel caso del consumatore). Con le nuove regole è evidente la centralità del ruolo del marketplace all’interno nella catena commerciale e la sua posizione di solidarietà debitoria dell’Iva, confermata dal Dl 34/2019 (convertito nella legge 58/2019).
E mentre il comandante provinciale della Gdf di Pescara, Antonio Caputo, spiega che il lavoro investigativo è solo all’inizio («Individueremo ogni posizione debitoria»), gli evasori scoperti stanno presentandosi alla cassa per un tardivo e non spontaneo ravvedimento.
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Bonifici truffa con sim falsa: responsabili la banca e Tim
9 Settembre 2024
Il Sole 24 Ore 13 Agosto 2024 di Alessandro Galimberti
MILANO
La responsabilità per la sicurezza dell’home banking è di tipo oggettivo; la banca può liberarsene solo provando che le operazioni contestate dal cliente sono dovute al suo specifico dolo o colpa grave.
Il Tribunale di Milano (VI civile, est. Anna Giorgia Carbone) condanna in solido la banca (Bper) e l’operatore telefonico (Tim) per non aver bloccato una serie di bonifici truffa, per circa 163 mila euro, subìti da due aziende milanesi durante le vacanze di fine anno del 2020.
Ad accorgersi di anomalìe nel funzionamento dell’interfaccia digitale, era stata una dipendente delle due società durante il check di fine anno: non riceveva più sul cellulare aziendale gli Otp (one time pin) con cui vengono autorizzate le operazioni comandate, una volta eseguito l’accesso sulla piattaforma. A seguito delle tempestive segnalazioni al servizio clienti della banca, il call centre dedicato aveva solo suggerito di reinstallare la app, operazione che non aveva risolto nulla. Solo nei giorni successivi era emersa la dinamica della truffa cosiddetta sim swap: i truffatori dopo aver carpito username e password dell’home banking aziendale (non è stato chiarito se mediante phishing o fuga interna di info sensibili), si erano presentati a un punto di assistenza Tim, ottenendo con incredibile facilità la duplicazione della tessera sim (sostituzione di persona con documenti falsi, mancata richiesta di restituzione della vecchia scheda o denuncia di smarrimento). In tal modo i codici di sicurezza Otp da quel momento erano stati inviati solo alla nuova scheda clonata, saldamente controllata dai truffatori digitali.
Bper – subentrata nel contratto originario a Banca Intesa – al processo ha obiettato la scarsa diligenza delle clienti – la password era nella disponibilità di vari dipendenti – ma la giudice, sulla scorta di una consolidata giurisprudenza di legittimità, ha sottolineato che «la possibilità di una abusiva utilizzazione delle credenziali di accesso da parte di terzi rientra nel rischio d’impresa della banca intermediaria, sulla quale grava pertanto una responsabilità di tipo oggettivo», superabile solo dal dolo o colpa grave del cliente. Si tratta, peraltro, di responsabilità per trattamento dei dati personali (Cassazione 10638/2016), la cui prova liberatoria consiste solo nell’aver adottato «tutte le misure idonee ad evitare il danno secondo le conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, alla natura dei dati, alle caratteristiche specifiche del trattamento».
Aggiunge il Tribunale che «la banca era stata avvertita della sussistenza di anomalie sia il giorno stesso del fatto, sia il giorno immediatamente successivo, con molteplici telefonate al numero dedicato e alla consulente di fiducia della società. Tale comportamento è, quindi, di per sé sufficiente a destituire di ogni fondamento le difese» considerato poi che «l’istituto di credito non ha «adeguatamente provato l’allegata colpa grave del cliente, rinvenibile, in tesi, nell’avere omesso le necessarie cautele per la conservazione delle credenziali personali».
Alle società – assistite da Andrea Monti e Lorenzo Vigasio – spetta ora l’integrale risarcimento del danno attualizzato, a carico solidalmente della banca e dell’operatore telefonico. La prima aveva proposto «per buona volontà» una transazione al 50%, il secondo un “bonus” di 325 euro.