Categoria: Dall’Italia
Prodotti e-commerce con dogana semplificata
13 Aprile 2021
Il Sole 24 Ore 2 aprile 2021 di Benedetto Santacroce Ettore Sbandi
WEB ECONOMY
Snellita la procedura per beni di modico valore ma solo fino al 1° luglio
L’agenzia delle Dogane aggiorna le procedure di sdoganamento semplificato per le merci di modico valore derivanti da transazioni online, anche se il sistema sarà in vigore solo fino al 1° luglio 2021, quando entreranno in vigore le regole Iva che investiranno il mondo e-commerce anche sul piano doganale.
La Direttoriale presentata ieri nel corso di un incontro con gli operatori, però, è un “provvedimento di transizione” che mira a coinvolgere tutti gli operatori verso le modifiche del 1° luglio.
Nel quadro attuale del commercio elettronico internazionale, infatti, si innestano due primarie criticità dovute al carattere massivo delle singole operazioni: la classificazione doganale delle merci ed il loro valore. È molto difficile arrivare ad una corretta attribuzione di una voce doganale per singoli prodotti che, sommati, cubano centinaia di migliaia di operazioni giornaliere. Oltre a ciò, considerato il sistema delle franchigie oggi in essere (22 euro per l’Iva, 150 euro per i dazi), anche l’attendibilità dei valori è spesso discutibile.
Per questo, con una serie di atti emanati nel tempo, l’Agenzia ha disposto che, fino all’entrata in vigore delle norme di cui al cosiddetto pacchetto Iva per il commercio elettronico (il 1° luglio 2021), i soggetti che effettuano operazioni di import di beni di valore trascurabile destinati a privati ed originate da transazioni online, accedono a procedure dichiarative a dati ridotti solo a seguito di apposita autorizzazione. In concreto, la voce doganale dei beni non viene dichiarata in quanto sostituita dalla voce convenzionale 9990990900. Per accedere a questo beneficio è necessario detenere requisiti soggettivi ed oggettivi di particolare rigore e di intensità variabile a seconda del fatto che l’operatore intenda accedere alle franchigie per la sola Iva o anche a quella per i dazi.
Il sistema in commento, però, è di breve durata ed è opportuno che il mercato consideri non tanto la necessità di accedere oggi ai benefici in esame, ma di settare la propria operatività sul modello di luglio 2021. Sul punto, è interessante l’input dell’Agenzia per cui, per l’ottenimento dell’autorizzazione relativa alle spedizioni di valore fino a 150 euro, tra i tanti requisiti spicca la necessità che, a decorrere dal 10 maggio e fino al 14 giugno di quest’anno (in prova) e dal 15 giugno (in reale), l’operatore confermi la disponibilità all’avvio della sperimentazione del nuovo sistema dichiarativo reingegnerizzato dalle Dogane. Si tratta della presentazione delle informazioni previste dal tracciato H7 di cui all’allegato B del regolamento 2446/15, che invece impone l’uso di (pur semplificate) classificazioni doganali per i beni.
Occorrerà dunque attrezzarsi subito e capire con quale affidabilità e profili di compliance gli operatori potranno ottemperare ai nuovi oneri dichiarativi, spesso derivanti da informazioni “alla fonte” tutte da verificare in un sistema che da luglio 2021 imporrà il pagamento dell’Iva per tutte le operazioni.
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Le piattaforme web comunicheranno il reddito dei venditori
13 Aprile 2021
Il Sole 24 Ore 23 marzo 2021 di Valerio Vallefuoco
DAC7
Nuovo step per la direttiva sulla cooperazione amministrativa
Il Consiglio dell’Unione europea ieri ha adottato il nuovo testo della direttiva Dac7 (directive on administrative cooperation). Il testo approvato dal Consiglio è un emendamento della direttiva sulla cooperazione amministrativa in ambito fiscale dell’Unione Europea 2011/16/EU che ha visto già le prime sei regolamentazioni tali da rendere sempre più trasparenti le operazioni transfrontaliere e lo scambio di informazioni. Alla Dac1, infatti, è seguita: la direttiva 2014/107/UE, nota come Dac2, che ha introdotto il Common reporting standard (Crs), elaborato dall’Ocse per informazioni sui conti finanziari all’interno dell’Unione europea; la direttiva 2015/2376/Ue, nota come Dac3, con cui è stato disposto lo scambio automatico di informazioni sui ruling preventivi e gli Apa transfrontalieri; la direttiva 2016/881/UE, nota come Dac4, che ha introdotto lo scambio automatico obbligatorio di informazioni in materia di rendicontazione Paese per Paese delle imprese multinazionali tra le autorità fiscali (“CbCR”); successivamente è stata approvata, la direttiva 2016/2258/Ue, nota come Dac5, che ha disposto l’obbligo per gli Stati di fornire alle autorità fiscali l’accesso alle procedure di adeguata verifica della clientela applicate in materia di antiriciclaggio. Da pochissimo anche in Italia è stata recepita la Dac6, che ben riflette il principale obiettivo dell’Ue, ossia quello di contrastare la frode, l’evasione fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva, prevedendo l’introduzione di nuovi obblighi di trasparenza e comunicazione a carico degli intermediari e dei contribuenti (le Sos fiscali).
Dac7 introduce nell’Unione europea nuove regole per rafforzare la cooperazione amministrativa e includere le vendite attraverso le piattaforme digitali. Ormai un numero elevato e crescente di persone e imprese utilizza piattaforme digitali per vendere beni o fornire servizi, è stato però appurato che il reddito guadagnato attraverso le piattaforme digitali spesso non sia dichiarato e le tasse non vengano pagate, in particolare quando le piattaforme digitali operano in diversi Stati. La Dac7 introdurrà l’obbligo per gli operatori delle piattaforme digitali di comunicare il reddito guadagnato dai venditori sulle loro piattaforme e per gli Stati Ue di scambiare automaticamente queste informazioni. Le nuove regole coprono le piattaforme digitali situate sia all’interno che all’esterno dell’Ue e si applicheranno dal 1° gennaio 2023. Esse permetteranno alle autorità fiscali di individuare il reddito guadagnato attraverso le piattaforme e determinare i relativi obblighi fiscali. Vengono migliorate anche le regole per effettuare controlli simultanei e per permettere ai funzionari di essere presenti in un altro Stato membro durante un’indagine.
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Il diritto d’autore diventa asset digitale su blockchain
13 Aprile 2021
Il Sole 24 Ore 25 marzo 2021 di Pierangelo Soldavini
Il futuro del copyright. La Siae lancia partnership con Algorand: emessi 4 milioni di «token non fungibili» per rappresentare i diritti di 95mila autori
Il mercato mondiale della musica ha sofferto l’emergenza pandemica nella componente dal vivo, ma la parte discografica è cresciuta del 7% a 21,6 miliardi di dollari, con un flusso ancora saldamente in mano alla grandi major . Ma qualcosa sta cambiando in prospettiva, almeno per quanto riguarda il diritto d’autore, che in futuro potrebbe tornare nel controllo degli autori. Grazie agli Nft, i”token non fungibili” che stanno rivoluzionando il mondo dell’arte e del collezionismo con quotazioni da capogiro. L’ultimo caso è il tweet di Jack Dorsey, assegnato per 2,9 milioni di dollari, mentre sul mercato dell’arte anche Damien Hirst vuole giocare con gli Nft con una nuova opera fatta di 10mila immagini, il doppio del puzzle di Beeple che da Christie’s è stato battuto a 69,7 milioni.
Ora anche i diritti d’autore scelgono la blockchain per guardare a un futuro nel segno della disintermediazione. A fare la prima mossa è la Siae italiana, la sesta società di collecting al mondo, che si è alleata con Algorand sfruttando la sua infrastruttura blockchain per veicolare e gestire il diritto d’autore sotto forma di asset digitali: questa settimana sono stati creati 4 milioni di Nft che rappresenteranno digitalmente i diritti degli oltre 95mila autori associati a Siae. Si tratta del primo passo di un percorso che parte dalla creazione di una banca dati decentralizzata, che costituisca un sistema univoco di identificazione degli autori. D’altra parte gli Nft altro non sono che rappresentazioni digitali, gestite sui blockchain, di un asset digitale. Che potrà anche essere fisico: finora sono stati utilizzati per opere d’arte digitali, criptogatti da collezione, video del basket Nba, collectibles. La Siae ora li utilizza per incorporare i diritti connessi alle opere musicali, in un futuro neanche troppo lontano potranno essere utilizzati per la finanza o il mercato immobiliare.
Il primo passo è la tokenizzazione delle identità digitali degli autori, poi seguirà la digitalizzazione della banca dati delle opere con tutti gli attori con diritto al compenso fino alla gestione del conteggio delle riproduzioni: «Domani potremo fare tutto il percorso inverso dal playcount al pagamento dei diritti in maniera decentralizzata e automatica, semplificando un processo molto complesso – sintetizza Matteo Fedeli, direttore della divisione musica di Siae, artefice del progetto -: è una soluzione che risolve l’information gap attuale facendo emergere il valore per gli utenti finali, in nostro caso gli autori. L’informazione decentralizzata sfrutta un’infrastruttura scalabile che punta a riportare il valore in mano ai detentori dei diritti». «Il valore aggiunto della blockchain è la trasparenza di tutti i passaggi, la sicurezza che evita manipolazioni e censure, la velocità delle transazioni, i costi ridotti e la semplicità», sottolinea Silvio Micali, docente di informatica al Mit, premio Turing e fondatore di Algorand: «La nostra soluzione ha anche elevata scalabilità, tale da permettere in futuro l’utilizzo per l’emissione e la gestione di beni più complessi, grazie anche alla possibilità di avere smart contract a livello di protocollo, che garantiscono una gestione molto rapida».
A differenza del bitcoin, in cui il meccanismo di consenso è caratterizzato dalla soluzione di complessi problemi crittografici, la cosiddetta “proof of work” che richiede altissima capacità di calcolo ed elevati consumi energetici, la blockchain di Algorand si basa sul “proof of stake”: con un meccanismo più “democratico” i certificatori del blocco sono scelti casualmente, su base crittografica, tra tutti i nodi della blockchain, vale a dire i possessori di token Algo. Un sistema che di fatto diventa rapido, efficiente e decisamente meno energivoro. E già pronto anche per utilizzi in altri settori. Così un intermediario come Siae scommette su una visione di disintermediazione, in una logica open, aperta a tutte le altre società di collecting a livello mondiale.
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L’inerenza segue l’attività svolta e non i ricavi conseguiti o potenziali
13 Aprile 2021
Il Sole 24 Ore 9 marzo 2021 di Laura Ambrosi
CASSAZIONE
L’antieconomicità non basta da sola a impedire la deducibilità degli oneri
L’ordinanza 6368 propende per una valutazione non di tipo quantitativo
L’inerenza di un costo va verificata rispetto all’oggetto dell’attività di impresa svolta e non con riferimento ai ricavi conseguiti o conseguibili. L’eventuale antieconomicità rappresenta al più un sintomo della estraneità degli oneri, di per sè non sufficiente ad escluderne la deducibilità.
A confermare questi interessanti principi è la Cassazione con l’ordinanza 6368/2021 depositata ieri.
La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato ad una società con cui erano recuperati a tassazione costi per spese di sponsorizzazione. Secondo l’Agenzia si trattava di oneri non inerenti in quanto incongrui rispetto all’attività sponsorizzata, ed antieconomici, rispetto alle prestazioni ricevute. Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario che, per entrambi i gradi di merito, riteneva legittima la pretesa. La Ctr, in particolare, confermava l’indeducibilità nel presupposto che il costo fosse sproporzionato rispetto al potenziale «ritorno commerciale».
Il contribuente ricorreva così in Cassazione lamentando, sul punto, un’errata applicazione del principio di inerenza per la deducibilità dei costi e detraibilità dell’Iva. I giudici di legittimità, ritenendo fondata la doglianza, hanno innanzitutto ricordato che secondo un costante orientamento, per l’inerenza occorre verificare la correlazione del costo non tanto rispetto ai ricavi, bensì all’attività imprenditoriale nel suo complesso, con riguardo all’oggetto. Ai fini della determinazione del reddito di impresa, infatti, devono escludersi i costi estranei all’attività imprenditoriale. Ne consegue così che da un lato non assume alcuna rilevanza la congruità o l’utilità del costo rispetto ai ricavi, atteso che occorre un giudizio di inerenza di carattere qualitativo e non quantitativo; dall’altro l’antieconomicità rispetto al ricavo atteso costituisce un mero elemento sintomatico della carenza di inerenza.
Secondo la Suprema corte, tale elemento rappresenta un giudizio sull’opportunità dell’investimento effettuato e non sull’eventuale estraneità rispetto all’attività di impresa.
Il giudice d’appello, pertanto, aveva errato avendo fondato la propria decisione sulla correlazione tra costi e ricavi e non tra costi ed attività imprenditoriale.
La decisione è interessante poiché riguarda una frequente contestazione dell’amministrazione finanziaria. Non di rado, infatti, gli uffici disconoscono la deducibilità di un costo per assenza di «inerenza» non tanto rispetto all’attività nel suo complesso, ma perché considerato eccessivo rispetto ai servizi ricevuti ovvero inutile per i ricavi conseguibili o conseguiti.
La Cassazione ha ormai da tempo escluso la legittimità di simili contestazioni che costituiscono in realtà valutazioni quantitative dell’investimento effettuato dall’impresa, per di più postume rispetto al sostenimento del costo. È evidente, infatti, che nessun imprenditore potrebbe avere certezza del buon esito del proprio investimento ed infatti, il legislatore ha ancorato l’inerenza proprio all’oggetto dell’attività di impresa svolta e non ai ricavi conseguiti.
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Manichini Bonaveri contraffatti in Cina: Ellassay condannata
13 Aprile 2021
Il Sole 24 Ore 11 marzo 2021 R.I.T.
DIFESA DEI MARCHI
Il Tribunale di Shenzhen ha imposto pubbliche scuse e risarcimento danni
La fashion company cinese Ellassay, in conformità con quanto deciso dalla Corte del Popolo di Shenzhen, ha presentato sul quotidiano economico Shenzhen Economy Daily le pubbliche scuse a Bonaveri, dopo essere stata condannata al risarcimento civile comprensivo di danni punitivi per contraffazione e violazione del copyright della collezione di manichini Aloof. Bonaveri, fondata nel 1950 a Renazzo di Cento (FE), produce manichini di eccellenza esportati in tutto il mondo: nelle sue collezioni si incontrano ricerca estetica, artigianalità, innovazione e attenzione per la sostenibilità, e ovunque sia la moda di qualità.
La controversia iniziata presso la Shenzhen Futian District People’s Court riguardava la contraffazione e la commercializzazione di una collezione di manichini su cui Ellasay dichiarava di possedere i diritti d’autore. Bonaveri, con l’assistenza del team legale italiano e cinese di GWA Law, Tax & Accounting, ha dimostrato la contraffazione e ottenuto il riconoscimento dei propri diritti. Il marchio Ellassay fa capo a Shenzhen Ellassay Fashion, uno dei principali player di abbigliamento in Cina, fondato nel 1996 e dal 2015 quotato alla Borsa di Shanghai.
Ellassay – ha rilevato la Corte cinese – non solo aveva copiato la collezione di manichini Aloof prodotta da Bonaveri, ma ne aveva anche rivendicato i diritti d’autore, dichiarando di aver progettato e sviluppato internamente il prodotto, e registrandone il copyright presso l’ente competente, il National Copyright Administration of the People’s Republic of China. Dopo un confronto diretto tra le prove portate dalle aziende, sia in primo grado sia in appello, il giudice ha verificato la mancanza del processo creativo da parte di Ellassay e haaccertato la contraffazione. La Corte di Shenzhen ha così condannato Ellassay al risarcimento dei danni economici con una parte aggiuntiva a titolo punitivo, decretando la distruzione di tutti gli stampi e delle copie prodotte, il pagamento degli interessi commerciali e una dichiarazione di pubbliche scuse da presentare a proprie spese sulla stampa cinese. La sentenza rappresenta un importante traguardo nella tutela dei modelli di manichini in Cina, da sempre molto complessa.
Si tratta di un riconoscimento del processo creativo, della tutela del modello inteso come creazione artistica, dei diritti su questa creazione e la conseguente loro violazione. La sentenza della Corte di Shenzhen interviene in favore del Made in Italy e della salvaguardia del lavoro di chi, ogni giorno, opera nel nome di qualità, eccellenza, sostenibilità e creatività.«Copiare un prodotto significa appropriarsi non solo del risultato di un lavoro, ma del lavoro stesso che ne ha permesso la realizzazione – dichiara Andrea Bonaveri, Ceo di Bonaveri – Tutelare il Made in Italy vuol dire tutelare la ricerca, il know-how e tutte le professionalità coinvolte nel processo produttivo: dall’ideazione alla realizzazione finale».
Bonaveri ha una produzione annua di 15mila manichini d’autore e il fatturato 2018, che ha sfiorato i 14 milioni di euro, è ripartito per il 22% sul mercato italiano e per il restante 78 sull’estero: Usa, Francia, Uk e Germania. Nei prossimi anni l’obiettivo sarà il consolidamento in Estremo Oriente.
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Amministratore gratis se è previsto dallo statuto
7 Marzo 2021
Il Sole 24 Ore lunedì 22 Febbraio 2021 di Angelo Busani
Compensi dei manager
L’incarico di amministratore di società ha una natura presuntivamente onerosa, con la conseguenza che alla nomina ad amministratore consegue il diritto alla percezione del compenso per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico ricevuto. Nei casi in cui manchi una qualsiasi indicazione al riguardo, il compenso degli amministratori viene stabilito dal giudice in via equitativa, in ragione dell’attività svolta. Il diritto dell’amministratore alla percezione del compenso è peraltro un diritto disponibile e quindi derogabile: l’amministratore può cioé anche rinunciarvi. Ma la rinuncia (per essere valida) deve essere inserita in un’apposita clausola statutaria che sancisca la gratuità dell’incarico. Si tratta di principi già affermati nella giurisprudenza di legittimità e che sono stati ribaditi dalla Cassazione nella ordinanza n. 1673 del 26 gennaio 2021.
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Niente RW per fondi trasferiti all’estero tramite PayPal
7 Marzo 2021
Il Sole 24 Ore 1 febbraio 2021 – Esperto Risponde – di Stefano Mazzocchi
Un’impresa individuale, che svolge attività di commercio, utilizza per la propria attività, oltre al conto corrente italiano dedicato, anche un conto PayPal su cui riceve gli accrediti per la merce venduta e con cui effettua i pagamenti a favore di alcuni suoi fornitori.
Dato che si tratta di importi che superano i limiti che impongono il monitoraggio previsti per un conto corrente estero, l’impresa deve compilare il quadro RW?
F.P.CAMPOBASSO
Nonostante sull’argomento vi siano opinioni discordanti, si ritiene che nel caso prospettato non vi sia l’obbligo di compilare il quadro RW: infatti PayPal, ancorché operi alla stregua di un conto corrente, sotto il profilo giuridico è riconducibile a una piattaforma che può essere collegata al proprio conto corrente ordinario o alla propria carta di credito. Non vi è quindi alcun trasferimento di fondi all’estero.
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La successione transfrontaliera sdoppia la «massa»
6 Marzo 2021
Il Sole 24 Ore 17 febbraio 2021 di Angelo Busani
EREDITÀ
Se la successione ereditaria è regolata da una legge straniera che però disciplina solo la devoluzione dei beni mobili, ma rinvia al diritto italiano per gli immobili in Italia, si ha una scissione della successione e si formano due masse ereditarie, ognuna soggetta alla propria legge. Questo il principio enunciato dalle Sezioni Unite civili della Cassazione nella sentenza 2867/2021, dal quale consegue che la legge applicabile a ogni massa individua gli eredi, determina l’entità delle quote di eredità, regola le modalità di accettazione dell’eredità, appresta l’eventuale tutela dei legittimari, disciplina validità ed efficacia del titolo successorio (compresa la revoca del testamento).
La sentenza è rilevante perché, pur dettata con riferimento alla normativa precedente il regolamento Ue 650/2012, contiene principi tutt’oggi da tenere in considerazione: il regolamento 650 (applicabile in Italia, ma non nel Regno Unito) dispone che la legge applicabile «all’intera successione» è quella dello Stato in cui il defunto aveva la propria residenza abituale al momento della morte; se la legge applicabile è però quella inglese (come nella sentenza 2867/2021), essa dispone che, per i beni mobili, si applica la legge del domicilio del de cuius, mentre per i beni immobili occorre osservare la lex rei sitae, ossia la legge del luogo ove gli immobili sono ubicati; anche il regolamento 650 (articolo 34, comma 1), riconosce il rinvio “all’indietro” e cioè riconosce applicabile il diritto italiano quando a esso rinvia la legge (di diritto internazionale privato) dello Stato che il regolamento 650 designa quale legge applicabile alla successione ereditaria.
Nel caso esaminato dalle Sezioni Unite, una vedova reclamava l’applicazione della norma di diritto inglese (la section 46 del Wills Act 1837) per effetto della quale la celebrazione di un matrimonio dopo la confezione di un testamento importa la revoca del testamento stesso.
L’interesse a far valere questa revoca era dettato dal fatto che, se fosse stata ottenuta una pronuncia di accertamento dell’intervenuta revoca, la vedova, invece di beneficiare solo di un legato di 50mila sterline disposto nel testamento, avrebbe beneficiato della devoluzione ereditaria disposta dalla legge per il caso di apertura di una successione non regolamentata da un testamento, vale a dire della totalità dei beni mobili (ai sensi della legge inglese) e di un terzo dei beni immobili ubicati in Italia.
La Cassazione decide dunque che, scindendosi la massa ereditaria in massa mobiliare (regolata dalla legge inglese) e massa immobiliare (regolata dalla legge italiana), ognuna di dette leggi deve essere osservata con riguardo alla devoluzione della rispettiva massa: quindi, il testamento si intende revocato ai sensi del diritto inglese, per susseguente matrimonio, ma non si intende revocato ai sensi del diritto italiano, il quale non conosce tale figura di revoca. Ancora: per la massa immobiliare italiana, si applicano le norme italiane sulla tutela della quota di legittima spettante ai legittimari (e, quindi, al coniuge, in presenza di più figli, spetta un quarto dell’eredità).
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Tassazione come valute estere tutta in salita per bitcoin e token
6 Marzo 2021
Il Sole 24 Ore 22 febbraio 2021 di Dario Deotto
DICHIARAZIONI
La tesi del Fisco contrasta con le norme antiriciclaggio ed è di difficile attuazione
Il richiamo alla norma «di chiusura» impedisce di far valere le minusvalenze
La forte accelerazione che, negli ultimi tempi, hanno avuto le criptovalute e determinati token impone di ritornare sulle questioni giuridiche e fiscali che li riguardano. Anche se il problema dell’inquadramento giuridico e tributario si pone per molti altri fenomeni della digitalizzazione dell’economia, che ormai prescindono da un luogo fisico (sono cioè a-territoriali). Così che si ritiene che la dimensione “spaziale”, più che territoriale, di molti fenomeni digitali potrà essere regolata soltanto con regole uniformi in seguito ad un accordo globale tra Stati.
Uno di questi fenomeni a-territoriali è proprio quello delle criptovalute, per le quali non esiste un preciso inquadramento giuridico.
La nozione antiriciclaggio
Il legislatore italiano ha regolato il fenomeno esclusivamente ai fini della disciplina antiriciclaggio definendo le valute virtuali «la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente» (articolo 1, comma 2, lettera qq), del Dlgs 231/2007).
Si tratta di una definizione che, a nostro avviso, coglie nel segno in quanto, in primo luogo, riconosce la rilevanza delle criptovalute come mezzo di scambio e non di pagamento. Il “mezzo di scambio” non ha una dimensione temporale: è l’utilizzo che se ne fa “ora e adesso”. La funzione di mezzo di pagamento consente invece di estinguere il debito che è stato contratto.
Inoltre, la disciplina del Dlgs 231/2007 individua – correttamente – la “funzione multiforme” delle criptovalute: quest’ultime possono risultare sia mezzo di scambio che strumento d’investimento, così come viene stabilito – sempre giustamente – che le criptovalute non risultano necessariamente collegate a una valuta avente corso legale.
Il corretto inquadramento della disciplina antiriciclaggio stride tuttavia con la rilevanza tributaria che, in alcuni documenti di prassi, è stata attribuita dall’agenzia delle Entrate (risoluzione 72/E/2016 e interpello 956-39/2018). Quest’ultima, infatti, ha assimilato le criptovalute alle valute estere. Occorre rilevare che una valuta si può considerare tale quando ha un legame con un territorio. Le criptovalute non hanno, evidentemente, questo legame.
Così è senz’altro da disconoscere la connotazione delle criptovalute come valute estere che porterebbe ad applicare, per le persone fisiche “private” – sempre secondo l’Agenzia – la specifica disciplina prevista dagli articoli 67 e 68 del Tuir.
La tassazione secondo il Fisco
L’articolo 67, comma 1, lettera c-ter) del Tuir, in particolare, ritiene espressivo di un’attività di investimento, come presunzione assoluta di legge, anche il (semplice) prelievo delle valute estere da depositi e conti correnti.
Tale previsione viene in parte attenuata dal successivo comma 1-ter) dell’articolo 67, con il quale viene stabilito che le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere derivanti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che, nel periodo d’imposta in cui esse sono realizzate, la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente presso gli intermediari, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui.
Tale previsione non può, evidentemente, essere applicata a un fenomeno “vivace” e multiforme come le criptovalute. I sette giorni lavorativi continui risultano, ad esempio, un concetto che mal si concilia con il “cryptomondo”, così come il riferimento al cambio al 1° gennaio del periodo di riferimento e ai «depositi e conti correnti» dimostrano tutta l’inadeguatezza dell’accostamento delle criptovalute (molte nascono in corso d’anno e, comunque, il “cambio” tra inizio d’anno e qualche mese dopo può mutare notevolmente) alle valute estere.
Il prelievo come redditi diversi
Con la conseguenza che il trattamento di eventuali plusvalenze derivanti da un loro impiego come strumento di investimento, escludendosi l’assimilazione alle valute estere, deve essere ricercato nelle altre disposizioni dell’articolo 67 del Tuir. La soluzione più plausibile, a nostro avviso, è che eventuali plusvalenze debbano essere assoggettate a tassazione come redditi diversi ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-quinquies), dello stesso Tuir, posta la funzione di “chiusura” di tale disposizione. Anche se questa conclusione non piace a molti perché comporta l’irrilevanza di eventuali minusvalenze.
È chiaro che sarebbe meglio che il diritto positivo si stancasse di rincorrere questi fenomeni, e li disciplinasse in modo organico e ragionevole
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Sotto torchio amministratori e organi di controllo
6 Marzo 2021
Il Sole 24 Ore 24 febbraio 2021 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio
GLI OBBLIGHI
La proprietà diretta con una partecipazione di oltre il 25%
L’approvazione del decreto sulla titolarità effettiva di imprese dotate di personalità giuridica, di persone giuridiche private, di trust per finalità antiriciclaggio e la connessa istituzione di un’apposita sezione del Registro delle imprese comporterà nuovi obblighi degli amministratori e dell’organo di controllo eventualmente presente in questi enti.
Le imprese con personalità giuridica e le persone giuridiche private devono acquisire per un periodo non inferiore a 5 anni informazioni sulla propria titolarità effettiva e le forniscono ai soggetti obbligati agli adempimenti antiriciclaggio (intermediari finanziari, professionisti ecc.) in occasione dell’adeguata verifica della clientela.
Nel caso di società costituisce indicazione di proprietà:
- a)diretta: la titolarità di una partecipazione superiore al 25% del capitale del cliente, detenuta da una persona fisica;
- b)indiretta: la titolarità di una percentuale di partecipazioni superiore al 25% del capitale del cliente, posseduto per il tramite di società controllate, fiduciarie o per interposta persona.
Se dall’assetto proprietario non è possibile individuare univocamente la persona fisica cui attribuibire la proprietà diretta o indiretta dell’ente, il titolare effettivo coincide con la persona fisica cui, in ultima istanza, è attribuibile il controllo del medesimo in forza:
- a)del controllo della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria;
- b)del controllo di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante in assemblea ordinaria;
- c)dell’esistenza di particolari vincoli contrattuali che consentano di esercitare un’influenza dominante.
Nel caso invece di persona giuridica privata rilevano:
- a)i fondatori, ove in vita;
- b)i beneficiari, quando individuati o facilmente individuabili;
- c)i titolari di funzioni di direzione e amministrazione.
Qualora l’applicazione dei citati criteri non consenta l’univoca individuazione di uno o più titolari effettivi, il titolare effettivo coincide con i titolari di poteri di amministrazione o direzione della società. L’individuazione del beneficiario compete agli amministratori. Questi, in prima battuta, acquisiscono le informazioni sulla base delle scritture contabili e dei bilanci, dal libro dei soci, dalle comunicazioni relative all’assetto proprietario o al controllo dell’ente, nonché dalle comunicazioni ricevute dai soci e da ogni altro dato a loro disposizione. Se dovessero permanere dubbi sulla titolarità effettiva, gli amministratori devono richiedere specifici chiarimenti ai soci.
Analoghi adempimenti incombono:
sui fondatori se in vita o su chi ha rappresentanza e amministrazione delle persone giuridiche private;
sul fiduciario di trust e istituti giuridici affini tenuti all’iscrizione nella sezione speciale, delle informazioni sulla titolarità effettiva del trust o dell’istituto giuridico affine, e sulle relative variazioni.
L’inerzia o il rifiuto del socio ovvero l’indicazione di informazioni palesemente fraudolente rendono inesercitabile il relativo diritto di voto e comportano l’impugnabilità delle deliberazioni assunte con il loro voto determinante.
A questo punto, stante le potenziali conseguenze dannose che potrebbero derivare in presenza di inerzia o rifiuto di fornire informazioni o di dichiarazioni mendaci da parte del socio, quali l’impossibilità di esercitare il diritto di voto, l’impugnabilità delle deliberazioni ecc. appaiono evidenti le responsabilità anche dell’organo di controllo della società.
Per tali ragioni, l’organo di controllo dovrà svolgere un’attenta vigilanza sia sugli adempimenti da porre in essere da parte degli amministratori, sia su eventuali condotte omissive del socio a seguito delle richieste degli amministratori stessi.