Categoria: Dall’Italia
Bocciati i patti parasociali che «vincolano» la gestione
6 Agosto 2021
Il Sole 24 Ore 26 Luglio 2021 di Angelo Busani
Confliggono con le norme che affidano la responsabilità esclusiva agli amministratori
Gli accordi che riguardano il sindacato di voto sono invece del tutto leciti
È di «dubbia liceità», per non dire che è del tutto illecito, il patto parasociale noto con l’espressione “patto di
gestione” della società le cui azioni sono conferite nel patto, il quale deve pertanto essere attentamente distinto dal
patto parasociale avente a oggetto l’esercizio del voto nell’assemblea dei soci (cosiddetto sindacato di voto),
perfettamente lecito anche in quanto espressamente contemplato dalla legge (e cioè all’articolo 2341-bis, comma 1,
lettera a) del Codice civile). Lo ha stabilito il Tribunale di Milano con decreto n. 3106 del 17 dicembre 2020, reso
noto di recente.
Il patto di gestione
Il patto di gestione è il patto parasociale stipulato al fine di influire sulle modalità con le quali l’organo
amministrativo deve gestire la società (ossia attuare l’oggetto sociale), impegnando in tal senso o direttamente i soci
amministratori oppure i soci non amministratori affinchè influiscano sull’organo amministrativo oppure impegnando
gli amministratori non soci: in altre parole, con il patto di gestione i pattisti si obbligano affinchè l’attività di
amministrazione della società sia effettuata in conformità a quanto deciso dal sindacato (con il voto favorevole di
tanti pattisti quanti ne occorrono ai sensi del contratto che contiene il patto parasociale).
Le ragioni di illiceità del patto di gestione risiedono nella considerazione (già espressa nella sentenza di Cassazione
n. 8221 del 24 maggio 2012) che gli obblighi derivanti dal patto parasociale di gestione pongono gli amministratori
della società in una potenziale contraddizione(tale da ledere il necessario rapporto fiduciario degli amministratori
con la società amministrata) tra il dovere di fedeltà nei confronti della società e quello nei confronti del patto di
sindacato.
Il sindacato di voto è legittimo in quanto vincola esclusivamente le parti contraenti e non può incidere direttamente
sull’attività sociale (Cassazione 14865/2001, 15963/2007, 10215/2010), a meno che il contenuto dell’accordo non si
ponga in contrasto con norme imperative o sia idoneo a consentire l’elusione di norme o principi generali
dell’ordinamento inderogabili (come accade nel caso in cui la pattuizione parasociale consista nell’esonerare gli
amministratori dall’azione di responsabilità: Cassazione 7030/1994 e 10215/2010).
Il conflitto degli amministratori
Invece, il sindacato di gestione pone gli amministratori in una situazione immanente di conflitto in quanto essi sono
investiti inderogabilmente dell’intera ed esclusiva responsabilità della gestione dell’impresa sociale, e ciò sia
nell’interesse della società che nell’interesse dei terzi che con essa vengano in vario modo in contatto.
Il Codice civile afferma esplicitamente questo ruolo degli amministratori sia nell’ambito della normativa dedicata
alla Spa che in quella dedicata alla Srl. Infatti:
O l’articolo 2380-bis, comma 1, sancisce, in tema di Spa, che la «gestione dell’impresa … spetta esclusivamente
agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale»;
O l’articolo 2475, comma 1, in tema di Srl, se invero non ripete l’avverbio “esclusivamente” con riguardo
all’affidamento agli amministratori della gestione dell’impresa (in quanto nella Srl l’amministrazione può essere
affidata, in tutto o in parte, anche ai soci), pur sempre dispone che «spetta esclusivamente agli amministratori» il «
dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni
dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità
aziendale».
A una diversa conclusione sulla probabile illegittimità di un patto di gestione non può giungersi nemmeno
osservando che il Codice civile contempla, sancendone indirettamente la liceità, i patti parasociali che «hanno per
oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante» sulla società le cui azioni sono oggetto
del patto parasociale (articolo 2341-bis, comma 1, lettera c) del Codice civile), poiché da tale patto non tanto deriva
un’etero-direzione della gestione della società, quanto un’influenza sull’assemblea dei soci.
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Il caos regna sovrano anche tra i regolatori delle cripto
6 Agosto 2021
Il Sole 24 Ore 24 luglio 2021 di Gianfranco Ursino
Fin dagli albori nel 2008, il Bitcoin ha registrato una controversa ascesa caratterizzata a livello globale da una sostanziale assenza di regole e controlli, almeno sino al 2017. C’era la convinzione che le criptovalute potessero sfuggire “legittimamente” alle norme. Un pensiero che si è via via dissolto per poi svanire del tutto con lo scoppio della bolla a fine 2017. E dopo le prime prese di posizione delle authority di mezzo mondo, successivamente abbiamo assistito a un confuso susseguirsi di regole.
Ma il mercato delle cripto necessita prima possibile di regole certe per presidiare i rischi insiti di un’attività transnazionale, ma anche per far funzionare e far progredire la tecnologia sottostante. Ad oggi non c’è unità di intenti neanche nel definire e qualificare con un minimo di condivisione i più basilari concetti di valute virtuali, asset virtuali e cripto asset.
C’è grande confusione anche sulla terminologia utilizzata. Una vaghezza e superficialità nelle definizioni in cui le authority provano – per ora inutilmente – a porre rimedio. Per esempio, il legislatore italiano nel recepire in anticipo con solerzia (con il Dlgs 90/2017) la parte di disciplina in materia di cripto contenuta della V Direttiva Antiriciclaggio (Ue 2018/843), fa riferimento ai prestatori di servizi e portafogli relativi a “valute virtuali”. Nelle raccomandazioni internazionali Gafi-Fatf viene fatto riferimento ai fornitori di servizi relativi ad “asset virtuali”, un ambiente più ampio, anche se non ben definito, delle “valute virtuali”. In settimana la Commissione Ue ha presentato un pacchetto di proposte volto a consolidare le norme Ue per contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, nel tentativo di rendere più tracciabili le transazioni con le “cripto asset”: un universo ancora più allargato rispetto agli “asset virtuali”. Si coglie il tentativo di porre rimedio al disallineamento delle regole che si è creato, ampliando il campo di azione.
Un provvedimento, quest’ultimo, che fa espresso riferimento alla proposta di regolamento relativo ai mercati delle cripto-attività, emanata dalla Commissione Ue a settembre 2020 e meglio nota con l’acronimo inglese “MiCA” (Markets in Crypto-Assets). Una proposta che ha l’obiettivo dichiarato di garantire «la certezza del diritto per le cripto-attività non disciplinate dalla vigente legislazione dell’Ue in materia di servizi finanziari» e «stabilire norme uniformi per gli emittenti e i fornitori di servizi per le cripto-attività a livello Ue». Peccato, però, che in dottrina ci sono pareri contrastanti tra chi ritiene le valute virtuali nel campo di applicazione nel regolamento MiCa e chi le lascia fuori. MiCa ora giace nel Parlamento Ue dove sono state depositati ben 1.160 emendamenti. Una marea di proposte di correzioni che non lasciano ben sperare.
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Riciclaggio, Malta finisce nella lista grigia
6 Agosto 2021
Il Sole 24 Ore 13 luglio 2021 di Valerio Vallefuoco
La Valletta ha assunto l’impegno di rafforzare prevenzione e contrasto
Il 23 giugno il gruppo d’azione finanziaria internazionale (Gafi) o Financial action task force (Fatf) ossia l’organismo intergovernativo che ha per scopo l’elaborazione e lo sviluppo di strategie di lotta al riciclaggio dei capitali di origine illecita e di prevenzione del finanziamento al terrorismo ha aggiornato la sua lista “grigia” inserendo Haiti, le Filippine, il Sud Sudan ma per la prima è stato inserito un Paese membro dell’Unione europea: Malta.
Secondo quanto riportato proprio dalle fonti ufficiali Faft in concomitanza dell’inserimento nella grey list lo Stato di Malta ha comunque preso un impegno politico di alto livello per lavorare sia con il Gafi che con Moneyval (il Comitato permanente degli esperti antiriciclaggio presso il Consiglio d’Europa) per rafforzare l’efficacia della prevenzione del riciclaggio e della lotta al finanziamento al terrorismo Aml/Cft.
Dall’adozione del primo report di valutazione di Moneyval nel luglio 2019, la Repubblica di Malta ha fatto progressi su una serie di azioni raccomandate dal Comitato europeo per migliorare il suo sistema. Tra le principali raccomandazioni che si sta impegnando ad attuare e sta attuando si evidenziano: il rafforzamento della metodologia di approccio basato sul rischio e la supervisione delle Istituzioni finanziarie e dei soggetti obbligati alla normativa antiriciclaggio non finanziari come ad esempio i professionisti; un miglioramento del processo analitico e decisionale per sua intelligence finanziaria Fiau; la cooperazione con gli organi di polizia, i pubblici ministeri per le indagini di riciclaggio di denaro complesso in linea con il profilo di rischio di Malta; l’introduzione di una legge sulla confisca non basata solo sulla condanna; un sensibile aumento delle sanzioni relative al reato di finanziamento al terrorismo e la capacità di indagare sui movimenti di denaro transfrontalieri per la potenziale attività di contrasto al finanziamento del terrorismo.
Ulteriore raccomandazione che Malta si è impegnata ad attuare è l’aumento e quindi la forte sensibilizzazione delle comunicazioni immediate delle istituzioni finanziarie o altre entità segnalanti sulle sanzioni finanziarie mirate nel settore degli enti non profit.
Sempre secondo il Gafi-Faft Malta si è quindi impegnata a lavorare per attuare il suo piano d’azione raccomandato continuando a dimostrare che le informazioni sulla titolarità effettiva degli enti siano accurate e che, se del caso, sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, commisurate ai rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, siano applicate alle persone giuridiche se le informazioni fornite risultano inesatte.
Tra gli impegni ribaditi dallo Stato europeo anche la garanzia che sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive siano applicate ai soggetti vigilati quando non rispettano i loro obblighi di ottenere informazioni accurate e aggiornate sulla titolarità effettiva e sui beneficiari.
Infine la Repubblica di Malta si è impegnata a migliorare l’uso della sua intelligence finanziaria (Fiau) per sostenere le autorità che perseguono i casi di criminalità fiscale e di riciclaggio di denaro correlato, anche chiarendo i ruoli e le responsabilità amministrazione finanziaria e della Fiau, al fine di aumentare l’attenzione dell’analisi della propria Unità di informazione finanziaria su questi tipi di reati, aiutando le forze dell’ordine maltesi a individuare e indagare sui casi in linea con i rischi di riciclaggio di denaro identificati relativi all’evasione fiscale.
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Auto con targa straniera di un residente in Italia: va pagato il bollo auto
6 Agosto 2021
Il Sole 24 Ore lunedì 12 luglio 2021 di Alessia Urbani Neri
Ctp di Milano: non rileva la doppia cittadinanza italiana ed elvetica
I criteri del Dl sicurezza: imposizione per i veicoli presenti da oltre 60 giorni
È legittima la ripresa fiscale per mancato versamento del bollo auto elevata nei confronti del cittadino, residente in Italia, sorpreso alla guida di un veicolo con targa straniera. L’articolo 29-bis del Dl 113/18, convertito in legge 132/18 (cosiddetto decreto sicurezza), nel modificare gli articoli 93, 132 e 196 del Codice della strada, vieta a chi risiede in Italia da oltre 60 giorni di guidare un veicolo con targa estera. In tal senso, la Ctp di Milano con la sentenza 1812/5/2021 (presidente Nocerino, relatore Chiametti) ha respinto il ricorso del contribuente, con doppia cittadinanza italiana e svizzera, di impugnazione dell’avviso di accertamento con cui la Regione Lombardia aveva richiesto il pagamento del bollo auto da giugno 2016, stante la presenza del veicolo con targa estera nel territorio italiano da più di 60 giorni.
La prova sarebbe stata fornita dall’estratto Siatel, ossia dall’anagrafe tributaria, da cui emergeva che il cittadino aveva presentato modello F24, per il pagamento in Italia di imposte e tributi.
Irrilevante l’uso sporadico
In definitiva, secondo il giudice tributario, stante la formale residenza in Italia del contribuente ai sensi dell’articolo 2 del Tuir – iscritto all’anagrafe tributaria italiana dal 2016 – lo stesso è da ritenersi soggetto passivo d’imposta anche in relazione al versamento della tassa automobilistica sul veicolo di proprietà con targa svizzera.
A nulla rileva poi la doppia cittadinanza, italiana ed elvetica, dedotta dal contribuente, nonché l’utilizzo sporadico del mezzo, non solo non provato, ma del tutto irrilevante secondo la nuova normativa del 2018.
Il decreto sicurezza, infatti, impone una stretta in tema di circolazione stradale di veicoli con targa straniera, i quali saranno soggetti a sanzioni amministrative, nonché al pagamento del bollo auto se risultano di proprietà di un soggetto residente in Italia da oltre 60 giorni ovvero se il mezzo circoli in Italia da oltre sessanta giorni.
Le uniche eccezioni riguardano le vetture concesse in leasing o con noleggio a lungo termine o in comodato da società straniere dell’Unione europea a dipendenti o collaboratori dell’azienda, che non abbiano sedi secondarie o principale in Italia. In tale ipotesi la norma richiede espressamente che «a bordo del veicolo deve essere custodito un documento… dal quale risultino il titolo e la durata della disponibilità del veicolo. In mancanza di tale documento, la disponibilità del veicolo si considera in capo al conducente».
Stabile permanenza in Italia
Nel caso in esame, il cittadino italiano, che pure conservava la cittadinanza elvetica, essendo residente nello Stato italiano da oltre 60 giorni e versando le imposte in Italia, come risulta dai dati registrati nell’anagrafe tributaria, non poteva circolare con un mezzo munito di targa estera, avendo l’obbligo di procedere alla sua immatricolazione nel territorio italiano. Ciò che rileva, nella fattispecie, è la residenza del titolare della vettura nel territorio italiano e lo svolgimento di attività lavorativa in Italia, che ne fanno presumere la sua stabile permanenza nella penisola, compresa la vettura di cui è proprietario.
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È valida la vendita perfezionata anche via telefono o WhatsApp
5 Luglio 2021
Il Sole 24 Ore 23 giugno 2021 di Luca Davini
I REQUISITI DI FORMA
Ma i singoli Stati aderenti alla Convezione di Vienna possono imporre la forma scritta anche per i contratti internazionali
Esaminando i requisiti di forma del contratto di vendita internazionale di merci sulla base delle disposizioni della Convenzione di Vienna (Cisg), si nota che essa ha introdotto un sistema uniforme di regole sulla vendita internazionale a vantaggio degli scambi commerciali tra imprese, che si trovano quindi a operare in un quadro legale comune in cui vigono norme più appropriate per il commercio internazionale rispetto alle singole normative nazionali.
Tra tali regole vi è la libertà di forma del contratto: infatti, secondo la convenzione il contratto di vendita, le sue modifiche e perfino il suo scioglimento non sono soggetti a requisiti di forma (articoli 11 e 29 della Cisg), il che costituisce senza dubbio una regola tra le più adatte al modo di fare affari delle imprese. Tale assoluta libertà di forma (la cosiddetta informalità del contratto) copre sia i requisiti di validità del contratto sia la prova del contratto stesso, che non è quindi soggetta ai limiti processuali delle normative nazionali. Per esempio, in Italia sono posti limiti alla prova testimoniale in materia di contratti nazionali.
Si tenga presente tuttavia che alcuni Stati hanno posto riserve sulla libertà di forma (ad esempio la Russia) richiedendo in sostanza che venga rispettata la loro forma nazionale per concludere una vendita internazionale (normalmente si tratta della forma scritta). Per questo motivo, occorrerà di volta in volta verificare la presenza di queste riserve, poiché in tal caso il contratto per essere valido dovrà tassativamente essere concluso secondo la forma prevista dalla legge nazionale della parte avente sede nel Paese che ha espresso la riserva.
Ne consegue che, secondo gli articoli 11 e 29 della convenzione, un contratto di vendita internazionale potrà essere validamente perfezionato verbalmente, telefonicamente, via email e perfino attraverso uno scambio di brevi messaggi di testo (sms) o tramite le app che offrono servizi di messaggistica istantanea (ad esempio WhatsApp), modalità questa molto diffusa in certi settori merceologici. Pertanto, per fare un caso pratico, una vendita di vini perfezionata via telefono o tramite WhatsApp sarà pienamente valida, ma solo nel caso in cui la convenzione si applichi pienamente al rapporto commerciale tra le parti. Per quanto la forma del contratto di vendita internazionale sia libera, occorre tuttavia evidenziare che la Cisg non regola i requisiti soggettivi delle parti contrattuali, vale a dire la loro capacità a contrarre, a stipulare il contratto. Questa capacità, costituita in particolare (ma non solo) dal disporre del potere di firmare il contratto, andrà verificata secondo il diritto nazionale applicabile caso per caso insieme alla convenzione (e cioè, come visto in precedenza, secondo la legge applicabile al contratto scelta dalle parti o secondo la legge applicabile al contratto in mancanza di scelta espressa dalle parti nel testo dell’accordo).
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Dalla Germania arriva la nuova lista Dubai
5 Luglio 2021
Il Sole 24 Ore 17 giugno 2021 di Alessandro Galimberti
Il Fisco tedesco compra da una fonte anonima un dossier con milioni di dati
Altre liste, altri dati fiscali in libero commercio nel mercato sempre più “globale”. Il governo tedesco ha confermato ieri le anticipazioni giornalistiche di Der Spiegel dichiarando di aver acquistato da una fonte anonima i dati di «milioni» di persone con beni a Dubai. Acquisto portato a termine (legittimamente secondo le leggi tedesche) non solo per perseguire illeciti di cittadini e residenti in Germania, ma anche a vantaggio di altre amministrazioni fiscali che ne faranno richiesta. Questo dossier, spiega una nota ministeriale, «contiene informazioni su milioni di contribuenti in tutto il mondo e diverse migliaia di tedeschi con attività a Dubai». Le informazioni, che sarebbero state pagate 2 milioni di euro, sono già state trasmesse ai Länder di competenza. I dati relativi ai contribuenti stranieri saranno ugualmente «messi a disposizione dei paesi interessati», ha detto Maren Kohlrust-Schulz, direttore delle autorità fiscali tedesche.
Ora, come già in passato, si ripropone il tema dei rischi per contribuenti italiani potenzialmente coinvolti in questo nuovo caso di spying internazionale (sostanzialmente, l’utilizzabilità dei dati acquisiti). Detto che in Italia l’acquisto di dati fiscali da fonti anonime, da gole profonde, da collaboratori di giustizia etc. non ha una base giuridica – e quindi l’agenzia delle Entrate non lo ha mai fatto né prevedibilmente lo farà in futuro – cosa diversa è l’acquisizione rituale e formale dalle autorità estere di atti di provenienza pur non chiarissima. Su questo punto la giurisprudenza di Cassazione è stabilissima, nel senso di permettere un utilizzo pieno come «indizio» (ma non come «prova») a partire dal 2015, quando la Sezione tributaria con due sentenze agostane gemelle (16950 e 16951) sdoganò definitivamente le liste Falciani. A legittimare i dati provenienti da un’autorità straniera, sostiene da allora la Cassazione, è la Direttiva 77/799/CE del Consiglio sull’assistenza nel settore delle imposte. Fermo restando che il giudice nazionale «apprezza liberamente» i dati ricevuti, e che il contribuente può contestarli nel contraddittorio, resta il fatto che la semplice trasmissione “autentica” non può purgare eventuali vizi o illegittimità originari. Ma il tema, oggi come e più di allora, è che il segreto bancario non costituisce un principio inderogabile e, al dovere di segretezza della banca, «non corrisponde nei singoli clienti delle banche una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, nè un diritto della personalità» poiché quel segreto, semmai, tutela «l’obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici commerciali, che non può spingersi però fino al punto di farne un ostacolo» al dovere (costituzionale) di ogni cittadino di «contribuire alle spese pubbliche». Per la giurisprudenza europea che pur ipotizza l’operatività dell’articolo 6 della Cedu (diritto a un equo processo) anche in materia fiscale «l’utilizzazione processuale di prove illegalmente acquisite non costituisce di per se stessa violazione, dovendosi valutare se l’intero giudizio, nel suo complesso e nel concreto, sia improntato al giusto processo».
Peraltro la stessa giurisprudenza costituzionale tedesca – sul caso della “lista Vaduz” – escluse l’utilizzabilità della prova illegittimamente acquisita «soltanto nei casi in cui viene invaso il nucleo incomprimibile dell’organizzazione della vita privata».
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E-commerce, controlli incrociati a Pescara
5 Luglio 2021
Il Sole 24 Ore 26 giugno 2021 di Simona Ficola Benedetto Santacroce
Il Centro operativo di Pescara (Cop) è individuato quale ufficio competente a svolgere le attività connesse ai regimi speciali Oss, Ue e non Ue, e Ioss per le attività di e-commerce.
Lo ha chiarito l’agenzia delle Entrate con il provvedimento di ieri con cui ha dato attuazione all’articolo 7 del Dlgs 83/2021 di recepimento della direttiva unionale sul commercio elettronico.
In particolare, nel provvedimento sono individuati gli Uffici competenti a svolgere le attività di registrazione, liquidazione della dichiarazione, accertamento e rimborsi relative ai rapporti con i soggetti che aderiscono a uno dei regimi speciali previsti per l’attività di e-commerce.
La direttiva 2017/2455/Ue ha apportato significative modifiche alla direttiva Iva con riferimento alle norme applicabili all’e-commerce transfrontaliero (B2C), con l’intento di semplificare l’adempimento degli obblighi Iva per le imprese impegnate nell’e-commerce e assicurare alle imprese Ue la «fair competition» nel mercato unionale rispetto alle imprese non-Ue.
Le nuove norme prevedono un sistema europeo di assolvimento dell’Iva, centralizzato e digitale, che ricomprende i servizi elettronici e le cessioni a distanza intracomunitarie di beni, le vendite a distanza di merci importate da territori o Paesi terzi, le cessioni domestiche di beni facilitate da piattaforme e le forniture di servizi da parte di soggetti passivi non stabiliti nella Ue o da soggetti passivi stabiliti all’interno della Ue, ma non nello Stato membro di consumo.
Nel provvedimento delle Entrate sono individuate le competenze relative i controlli Iva per i soggetti passivi stabiliti in Italia ed ivi identificati ai fine dei regimi speciali. Tali controlli non sono finalizzati all’accertamento della maggiore imposta dovuta, che è un’attività di competenza dello Stato membro di consumo, ma rientrano tra le disposizioni in materia di cooperazione amministrativa e lotta contro la frode in materia di Iva.
Nel provvedimento, inoltre, sono disciplinate le modalità operative per la registrazione ai regimi speciali e gli adempimenti dichiarativi e sono approvati gli schemi dei dati relativi alle fasi di registrazione e dichiarazione, individuati in dettaglio negli allegati al provvedimento.
Peraltro, è espressamente previsto che i dati e le informazioni connesse ai regimi speciali sono resi disponibili anche agli Uffici centrali delle Entrate che svolgono contrasto alle frodi.
Per rendere i nuovi regimi Oss e Ioss effettivamente operativi dal prossimo 1° luglio, l’Agenzia ha già reso disponibili sul sito istituzionale le funzionalità telematiche che consentono ai soggetti passivi, residenti e non residenti che intendono aderire ai regimi speciali Oss e Ioss, di effettuare la registrazione online dallo scorso 1° aprile 2021.
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Savona: criptovalute fuori controllo
5 Luglio 2021
Il Sole 24 Ore 15 giugno 2021 di Laura Serafini
La relazione Consob. Secondo il presidente dell’Authority, «l’informatica finanziaria è una lampada prodigiosa dalla quale è uscito il genio». Il problema è come riportarlo dentro. Denunciati gli effetti dello scarso coordinamento internazionale e gli eccessi speculativi
La relazione digitale. Per il secondo anno Paolo Savona ha tenuto la sua relazione al mercato in via telematica
La capacità di mettere da parte i soldi delle famiglie italiane durante la pandemia è aumentato, con un saggio di risparmio rispetto al reddito disponibile salito del 50%. Peccato che il rendimento sia stato prossimo allo zero. Se invece ci fosse stata la capacità di mettere a reddito quel risparmio, anche solo con una remunerazione di un punto percentuale, le famiglie avrebbero guadagnato complessivamente 30 miliardi, quasi il 2% del prodotto interno lordo.
Certo i tassi di interessi sono ormai al lumicino e investire diventa sempre più difficile: i soldi vanno ad alimentare i depositi che in Italia hanno superato quota 1.700 miliardi. Ma è proprio un simile contesto che rende il risparmiatore più vulnerabile e ad essere attratto dalle “sirene” delle criptovalute ,come i Bitcoin. Nella sua relazione annuale della Consob, la terza, il presidente Paolo Savona continua a prediligere un approccio macroeconomico rispetto alle realtà che è chiamato a vigilare. Così ieri ha concentrato gran parte del suo intervento sui rischi connessi alla crescita tumultuosa e senza regole delle criptovalute (oltre 5mila quelle in circolazione, anche se in gran parte sono “stablecoin”, ovvero espressione digitale di valute tradizionali).
Il presidente ha messo in guardia dai rischi di «creare moneta via computer». Essa offre «a chi la effettua la possibilità di disporre di un potere di acquisto» al quale però non c’è una corresponsione del valore di ciò che viene acquistato. Nel bitcoin non c’è un creditore al quale corrisponde un debitore e non c’è trasparenza di informazioni, perché esse sono in possesso solo di coloro che fanno parte della blockchain. «La blockchain originaria è impenetrabile – ha detto -. L’uso di questi strumenti nelle forme chiuse all’esterno ai partecipanti preclude una vigilanza privata o pubblica» con gli inevitabili effetti sulla trasparenza e la possibilità di «schermatura di attività criminali, come l’evasione, il riciclaggio, il finanziamento del terrorismo».
In un discorso ampio e articolato Savona fa balenare il rischio di destabilizzazione politica quando dice che «la funzione redistributrice, propria della democrazia, e quella produttivo-commutativa, propria del mercato, risultano alterate dalla creazione di potere di acquisto di digitalizzato». La diffusione delle piattaforme digitali, poi, ha permesso di utilizzare questi strumenti alla stregua di altre valute, sviluppando prodotti finanziari e il loro utilizzo come collateral per altri finanziamenti. Una situazione che a Savona ricorda la speculazione sui mutui subprime che ha portato alla crisi del 2008.
Per il presidente Consob «l’informatica finanziaria è una lampada prodigiosa dalla quale è uscito il genio. Le autorità non riusciranno a riportarlo dentro, perché esso agisce nella sfera immateriale controllabile solo cambiando il protocollo delle informazioni». Per questo motivo molte banche centrali stanno sperimentando proprie valute digitali: per seguire e arginare questi fenomeni con le stesse loro armi. Savona auspica un coordinamento e una collaborazione internazionale arrivando ad immaginare nuovi accordi di Bretton Woods per le criptovalute. Forse non è un concetto così peregrino se il Comitato di Basilea sta introducendo un forte giro di vite in termini di accantonamento per le banche che investono in Bitcoin. E ancora, in Italia, serve un maggiore coordinamento tra Banca d’Italia, Consob, Ivass e Covip. Alla fine della relazione l’economista Savona mette in guardia sugli effetti di un “laissez faire” e di uno scarso coordinamento internazionale. «Uno squilibrio quantitativo e qualitativo tra moneta legale e moneta privata farebbe scattare la Legge di Gresham, secondo cui la moneta cattiva scaccia la moneta buona». Questo scatenerebbe «il collasso fiduciario sul quale si regge la stabilità sistemica del mercato mobiliare». L’innesco «si potrebbe presentare se si concretizzassero i recenti timori di inflazione insorti in alcune economie e si affermassero in misura prolungata diversi ritmi di crescita tra grandi aree geopolitiche-economiche».
Tornando all’economia italiana, Savona prende atto del nuovo clima di fiducia ma mette in guarda da un alto indebitamento pubblico che non ha avuto la capacità di far partire i consumi, ma nemmeno di ridare spinta a una redistribuzione del reddito alla quale potrebbe contribuire una riforma fiscale che guardi anche alle istanze etiche e non solo a quelle produttive. Altro punto di attenzione l’incentivazione del capitale di rischio, leggi ricapitalizzazioni, per aiutare le imprese ad innescare la ripresa.
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Iva, soglia unica per la tassazione a destino
5 Luglio 2021
Il Sole 24 Ore 15 giugno 2021 di Benedetto Santacroce Simona Ficola
Atteso oggi in «Gazzetta» il Dlgs sulle regole in vigore dal prossimo 1° luglio
Atteso per oggi in «Gazzetta Ufficiale» il decreto di recepimento della direttiva e-commerce che dal 1° luglio modificherà le procedure nazionali e unionali per la gestione Iva delle operazioni commerciali on line. Il decreto, che per una volta, sarà tempestivo rispetto alla scadenza imposta dall’Ue adeguerà l’ordinamento interno alla direttiva 2017/2455/Ue, con l’introduzione di norme ad hoc e la parziale modifica di talune già esistenti, sia all’interno del decreto Iva Dpr 633/1972, nonché del decreto relativo alle operazioni intraunionali e ancora modifiche che interessano il decreto che regolamenta le sanzioni amministrative.
La disciplina che si applicherà dal 1° luglio 2021 riguarda le operazioni di vendite a distanza intracomunitarie di beni, le vendite a distanza di merci importate da territori terzi o Paesi terzi, le cessioni domestiche di beni da parte di soggetti passivi non stabiliti all’interno della Ue a soggetti consumatori privati facilitate tramite l’uso di interfacce elettroniche e le forniture di servizi a consumatori privati da parte di soggetti passivi non stabiliti nella Ue ovvero stabiliti nella Ue, ma non nello Stato membro di consumo.
Al fine di chiarire la portata delle misure applicabili alle vendite a distanza intracomunitarie di beni, alle vendite a distanza di beni importati da paesi o territori terzi e alle operazioni realizzate tramite piattaforme elettroniche, tali operazioni sono state puntualmente definite all’interno del decreto Iva. Riguardo a tali ultime operazioni, per esempio, è stato introdotto il nuovo articolo 2-bis che individua le cessioni di beni facilitate dalle interfacce elettroniche e le ipotesi in cui tali interfacce sono considerate quali «fornitori presunti», con tutti gli adempimenti ad essi collegati.
L’esigenza di modificare le disposizioni della direttiva unionale e, conseguentemente della normativa interna, nascono dalla valutazione del Moss, procedura avviata sin dal 2015, e dalla crescita esponenziale delle attività di commercio elettronico e delle vendite a distanza dei beni, con le conseguenti esigenze di ridurre al minimo gli oneri gravanti sulle imprese di ridotte dimensioni e di proteggere, al contempo, il gettito fiscale dei diversi Stati membri.
Anzitutto, per ridurre gli adempimenti, è stata introdotta una soglia a livello unionale al di sotto della quale le operazioni restano imponibili ai fini Iva nello Stato di stabilimento del fornitore. Detta soglia, ad oggi già operativa per i servizi Tbe, entrerà in vigore il prossimo 1° luglio 2021 per le vendite a distanza intracomunitarie di beni.
Il decreto appena pubblicato, quindi, interviene direttamente nell’articolo 7-ocites del decreto Iva, introdotto lo scorso anno quale primo step per il recepimento della direttiva e-commerce, ampliando il novero delle operazioni per cui le regole sulla territorialità debbono tener conto della soglia dei 10mila euro, sia con riferimento alle prestazioni di servizi che con riferimento alle vendite a distanza intracomunitarie di beni. Altro intervento di semplificazione riguarda l’eliminazione dell’obbligo di emissione della fattura per le operazioni effettuate nell’ambito del regime speciale e, qualora il fornitore/prestatore decida comunque di emetterla, è stato stabilito il criterio per cui lo stesso debba applicare le norme in materia di fatturazione dello Stato membro di identificazione.
Inoltre, il regime del Oss è stato esteso anche alle vendite a distanza di beni importati da territori o Paesi terzi, prendendo il nome di regime speciale Ioss, cui si affianca la previsione di una esenzione da Iva per i beni dichiarati nell’ambito di questo regime speciale.
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Posta europea al rush finale, l’Italia farà da battistrada
5 Luglio 2021
Il Sole 24 Ore 14 giugno 2021 di Antonelli Cherchi
LA DATA CHIAVE IL 18 GIUGNO FINE DEI TEST
Ancora qualche giorno e la Pec diventerà europea. Il 18 giugno termineranno i test per dare alla posta elettronica certificata un profilo comunitario, così che si possa utilizzare non solo in ambito nazionale ma anche per avere certezza delle comunicazioni nei confronti di pubbliche amministrazioni e privati che operano nella Ue. Un passaggio che deve tutto al nostro Paese.
È stato il regolamento europeo 910/2014 – più conosciuto come Eidas (Electronic identification authentication and signature), nato con l’obiettivo di fornire una base normativa comunitaria ai servizi fiduciari (tra cui la Pec) e alle identità digitali – che ha posto le basi per la posta elettronica certificata dell’Unione. Questo in teoria. Per quanto riguarda la Pec è, infatti, accaduto che le buone intenzioni del legislatore si siano poi scontrate per anni con la mancanza degli standard tecnici necessari per tradurre in pratica quell’obiettivo. D’altra parte, il fatto che la posta certificata sia poco diffusa o addirittura sconosciuta negli altri Paesi dell’Unione, non ha aiutato.
L’Italia, invece, ha fatto da battistrada e ora detiene il primato di tecnologia e diffusione delle mail certificate. Per questo, nel 2019 Agid (Agenzia per l’Italia digitale) e Assocertificatori – l’associazione che riunisce 8 dei 18 gestori di posta elettronica – si sono riuniti per mettere a punto gli standard della Pec europea. «Un’iniziativa – spiega Carmine Auletta, presidente di Assocertificatori – che ha subito trovato il favore di Etsi (European telecommunications standards institute), l’organismo indipendente che definisce gli standard europei nel settore delle telecomunicazioni. L’anno scorso il gruppo di lavoro ha assunto una dimensione europea con la partecipazione dei rappresentanti di diversi Paesi Ue e a gennaio di quest’anno Etsi ha approvato gli standard, che sono stati messi a disposizione degli sviluppatori. Il 31 maggio sono iniziati i test, che termineranno il 18 giugno. Dopodiché gli standard, una volta approvati dalla Commissione europea, potranno dar vita alla Pec europea e così consentire, per esempio, di inviare in modo sicuro una mail alla pubblica amministrazione, all’impresa o al cittadino di un altro Paese Ue. Dialogando con la Pec ci si potrà iscrivere in un’università europea o aprire un conto corrente oppure acquistare un prodotto assicurativo».
Se per la maggior parte degli altri Paesi dell’Unione si tratterà di partire da zero (o quasi), l’Italia dovrà più semplicemente adeguare l’attuale struttura della posta elettronica certificata ai nuovi standard.
«Il nostro Paese – aggiunge Auletta – sta già lavorando per dare alla Pec un profilo europeo, che prevede, tra l’altro, l’associazione con l’dentità digitale. Il messaggio non avrà solo la certificazione circa il momento dell’invio e della ricezione, ma tutto questo sarà accompagnato dalla certezza sull’identità del mittente e del destinatario».
Il meccanismo prevede che si acceda al servizio di Pec attraverso un sistema di identità digitale – che nel nostro caso sarà, considerata la sua diffusione, soprattutto Spid, ma potrà essere anche la Cie – per cui chi riceverà la mail certificata avrà anche certezza sull’identità di chi l’ha inviata. Allo stesso modo, il mittente conoscerà l’identità del destinatario.
Uno meccanismo che rafforza la sicurezza della Pec e che dà ulteriore garanzia nel momento in cui ci si prepara all’interoperabilità europea e, dunque, a un uso allargato che moltiplicherà lo scambio di messaggi. «La posta elettronica certificata – sottolinea Auletta – in tutti questi anni ha dimostrato di essere molto sicura. E questo grazie all’uso di protocolli che presuppongono algoritmi particolari. Gli attacchi di hacker o i fenomeni di phishing che, soprattutto in questi ultimi mesi di smart working, hanno colpito le mail tradizionali, nel caso della Pec non sono possibili. Sicurezza che dovrà essere ancora più forte ora che la Pec si prepara a diventare europea».