Transfer pricing, niente sanzioni se c’è buona documentazione

13 Dicembre 2021

Il Sole 24 Ore 27 novembre 2021 di Alessandro Germani

La remissione in bonis è ammessa fino alle dichiarazioni 2022

La comunicazione tardiva alle Entrate può essere fatta entro 90 giorni dal termine

La circolare 15/E/2021 recepisce i commenti pervenuti a seguito della pubblica consultazione conclusasi il 12 ottobre scorso. La struttura della circolare resta invariata e per gli aspetti principali rimandiamo a interventi precedenti (si veda «Il Sole 24 Ore» del 21 e 22 settembre 2021). Di seguito invece ci concentriamo sugli aspetti nuovi che emergono dopo la consultazione.

Ricordiamo che per beneficiare della penalty protection, che consente la disapplicazione delle sanzioni in caso di verifica afferente al transfer pricing (articolo 110, comma 7, del Tuir), occorre predisporre (mera facoltà e non obbligo) una documentazione composta dal masterfile e dal countryfile in grado di dimostrare che i prezzi applicati sono di libera concorrenza, e che pertanto non vi è stato l’intento di spostare materia imponibile altrove all’estero.

Per ciò che concerne il master file, che si ricorda è obbligatorio per tutti i soggetti rispetto al previgente regime, qualora il periodo d’imposta del soggetto estero controllante diretto o indiretto non risulti coincidente con quello dell’entità locale, si ritiene possibile presentare il masterfile predisposto dal soggetto controllante diretto o indiretto riferito al periodo d’imposta la cui data di chiusura precede quella del periodo d’imposta dell’entità locale.

In ogni caso, se nel corso del controllo emerga l’esigenza di disporre di informazioni supplementari o integrative rispetto a quelle contenute nel documento, l’entità locale deve rendere disponibile su richiesta tali ulteriori informazioni, compreso, se del caso, il masterfile riferito al periodo d’imposta la cui data di chiusura segue quella del periodo d’imposta dell’entità locale.

Circa la documentazione nazionale è possibile descrivere anche le operazioni marginali. Se chiaramente queste non vengono descritte, in caso di contestazione per esse non varrà l’esimente sanzionatoria, ma questo non significa che l’esimente venga meno anche per le operazioni non marginali.

Per le operazioni afferenti a royalties e interessi passivi si guarda al principio di competenza, anche se in fase di verifica i controlli potranno essere effettuati sui pagamenti in base al criterio di cassa.

Per quanto riguarda i termini di consegna della documentazione, richieste ad hoc possono riguardare i master file afferenti alle divisioni dell’impresa o quelli riguardanti le altre attività, così come i casi in cui vi siano delle differenze nella chiusura dei periodi d’imposta fra le entità coinvolte.

Viene ribadita l’apertura alla remissione in bonis, così come previsto già per la documentazione del patent box. A titolo esemplificativo, quindi, la comunicazione riferita al periodo d’imposta 2020, da effettuare con il modello Redditi 2021, può essere effettuata presentando una dichiarazione integrativa al più tardi entro il termine di presentazione del modello Redditi 2022, versando, altresì, la sanzione prevista dall’articolo 11, comma 1, del Dlgs 471 del 1997.

Viene specificato che, ai fini dell’applicazione della disciplina della remissione in bonis, non rientrano tra le «altre attività amministrative di accertamento» le richieste informative e documentali eseguite nell’ambito del regime dell’adempimento collaborativo disciplinato dagli articoli 3 e seguenti del Dlgs 128/15.

In caso di rettifica del valore di libera concorrenza dei prezzi di trasferimento praticati dal contribuente, la sanzione amministrativa per infedele dichiarazione non si applica qualora la documentazione, validamente presentata, sia considerata idonea anche per la parte di reddito imponibile, ovvero di compensi, interessi e altre somme soggette a ritenuta, oggetto di dichiarazione integrativa a sfavore; nel diverso caso in cui la documentazione sia ritenuta non idonea, la determinazione della sanzione è rimessa alle valutazioni dell’ufficio competente per l’accertamento.

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Socio unico iscritto Aire e base operativa in Italia: la Srl è esterovestita

9 Novembre 2021

Il Sole 24 Ore lunedì 18 ottobre 2021 di Giorgio Gavelli

Reperiti inoltre documenti extracontabili presso un’altra impresa italiana

Va considerata esterovestita (ossia solo formalmente con sede all’estero, ma di fatto con sede in Italia) la società con un amministratore unico (e socio unico) ufficialmente iscritto all’Aire ma, di fatto, operante stabilmente in Italia e in presenza di documentazione commerciale ed extracontabile reperita presso una società italiana. È la conclusione a cui giunge la Ctp Torino n. 706/02/2021 (presidente Cervetti, relatore Gurgone), che richiama alla mente alcuni casi eclatanti riguardanti il settore della moda.

In questo caso il settore interessato è quello (meno patinato) della cartellonistica pubblicitaria. Nel corso di una verifica presso una società con sede in Piemonte, la guardia di Finanza reperiva copiosa documentazione commerciale ed extracontabile riguardante altre due società, svolgenti la medesima attività e amministrate dallo stesso soggetto, con sede rispettivamente nel Regno Unito e nella Repubblica di San Marino.

All’esito delle indagini le due società sono state ritenute solo formalmente localizzate all’estero, ma di fatto con sede in Italia, presso la sede della società piemontese, dove venivano assunte le decisioni di natura manageriale e commerciale. Ciò anche se l’amministratore unico di tutte le strutture risultava, dal 2013, non più residente in Italia ma nel Regno Unito.

In base all’articolo 73, comma 1, Tuir, ai fini Ires si considerano residenti le società e gli enti commerciali che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato. Tuttavia, già dal 2016, il successivo comma 5-bis introduce la seguente presunzione: salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti che detengono partecipazioni di controllo in soggetti Ires residenti, se, in alternativa:

sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del Codice civile, da soggetti residenti nello Stato;

sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nello Stato.

Nel caso di specie tutti i requisiti per far scattare la presunzione non erano presenti. Tuttavia il collegio sembra collocare direttamente nel nostro Paese «la sede dell’amministrazione» (intesa come sede effettiva, Cassazione 16697/2019) e «l’oggetto principale» delle due società formalmente estere, le quali vengono quindi considerate esterovestite (Cassazione 19000/2021). Ne consegue la conferma di quanto contestato dall’ufficio, in relazione alla omessa presentazione delle dichiarazioni e all’evasione d’imposta.

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Bitcoin e rischio truffa: ecco tutte le difese (ma la sanzione è incerta)

9 Novembre 2021

Il Sole 24 Ore 2 novembre 2021 di Vittorio Carlini

Focus. La valuta regina è considerata un investimento di natura finanziaria Per i criptoasset legati a prodotti può richiamarsi il Codice del consumatore

AFP Boom di investimenti. Con il balzo delle quotazioni del bitcoin si assiste a un balzo degli investimenti: è opportuno conoscere regole e tutele per chi opera in criptovalute

«Fatta la legge, trovato l’inganno». Il proverbio è noto. Solo che rispetto al bitcoin, da un lato, la legge non c’è (perlomeno non esiste una norma ad hoc); e, dall’altro, gli inganni spesso già esistono dietro l’angolo. Un contesto in cui gli investitori, vittime di raggiri, possono quindi pensare di non avere alcuna tutela. Le cose, a ben vedere, non stanno così.

Eft o investimenti diretti

Dapprima bisogna distinguere tra chi opera direttamente sui criptoasset o chi, invece, utilizza Etf o Etn in Europa. In questa seconda ipotesi «se l’Etn è venduto da istituti tradizionali – afferma Andrea Conso, avvocato esperto di cryptocurrency di Conso&Annunziata – si ricade sotto l’ombrello dell’usuale regolamentazione dei prodotti finanziari». Certo: bisogna sempre fare attenzione al prospetto informativo. Buona prassi, ad esempio, è controllare dove sia situata la sede legale dell’emittente. Se è infatti vero che il foro competente, rispetto all’eventuale illecito di un emittente, è in linea di massima quello della residenza dell’investitore, l’esecuzione di un’ipotetica sanzione «diventa complessa, e onerosa, nel momento in cui debba essere realizzata in uno Stato “esotico”». Ciò detto, però, è chiaro che l’investitore fai-da-te, il quale sfrutta l’Exchange traded fund (o l’Etn), ha i mezzi per fare valere le sue ragioni.

Diverso, invece, il discorso nel primo caso. Cioè quando si effettuano compravendite direttamente nella criptosfera, in particolare sulle piattaforme di scambi accentrati. Qui le cose si complicano. «In assenza di norme specifiche -riprende Conso – sarebbe opportuno operare tramite exchange con alcune minime caratteristiche». Quali? Tra le altre: la loro configurazione, o riconducibilità, a società commerciali e con la domiciliazione o sede legale in Stati contraddistinti da un sistema normativo evoluto. «Questo perché, in primis, la presenza di un veicolo societario consente, ad esempio, l’avvio di procedure concorsuali in caso di fallimento». E, poi, perché, «al di là dell’antiriciclaggio, dove la legge ormai comprende i criptoasset, la tutela dell’investitore finora passa attraverso l’applicazione per analogia della norma». Vale a dire: sono richiamate, analizzando ogni singolo caso, regole pensate per altre situazioni. Un meccanismo che, evidentemente, è più facile realizzare in sistemi giuridici evoluti.

Le difese in concreto

Fin qui alcune suggestioni generali: quali, tuttavia, considerazioni più concrete? «Il bitcoin -afferma Conso – è corretto oggi ricondurlo ad un investimento di natura finanziaria». La stessa proposta di regolamento Ue MiCa (atteso per il 2024), creando e applicandosi ad una disciplina residuale per tutte le cripto attività non qualificabili quali strumenti finanziari (tra gli altri le stable coin o gli utility token), sembra avvalorare l’impostazione in oggetto. A fronte di ciò è chiaro che, riguardo alla cryptocurrency regina, possono attivarsi le norme e difese già esistenti collegate alla sollecitazione del pubblico risparmio: dalla presenza di un minimo di prospetto informativo fino alla necessità del consenso informato.

E rispetto, invece, al cosiddetto utility token? Questo, risalendo alla stessa indicazione della Finma (la Consob svizzera), è un criptoasset che legittima, a chi ne è in possesso, di ricevere, a titolo gratuito od oneroso, un bene o un servizio. «Riguardo ad esso, di conseguenza, non è errato pensare alle varie tutele che sono previste nel Codice del consumatore».

Il Codice del consumatore

Già, le tutele del Codice del Consumatore. Ma di cosa si sta parlando? Per rispondere è utile ricordare il fenomeno, ricompreso negli utility token e molto di moda in questo periodo, dei Non fungible token (Nft). Cioè: gettoni digitali, creati su blockchain, che da un lato non possono essere sostituiti con altri token (non fungibilità); e che, dall’altro, certificano e garantiscono, su un bene digitale o fisico (un’opera d’arte) un diritto. Ad esempio: la proprietà.

Ebbene: simili gettoni digitali sono oggetto di compravendita, soprattutto su piattaforme online. In un simile contesto, diversi esperti, sottolineano che all’operatività negli exchange dovrebbe applicarsi l’art. 35 del Codice del consumo. Questo prevede che le clausole del contratto di compravendita siano redatte in modo chiaro e comprensibile. Non solo: dev’essere prevista la garanzia del diritto di recesso. O ancora che non possa essere esclusa all’acquirente la possibilità, a priori, di adire l’autorità giudiziaria nei casi in cui lo si ritenga opportuno. «Simili valutazioni – riprende Conso -sono corrette. Ciò detto, però, bisogna fare i conti con la realtà». Vale a dire? «Molte piattaforme, nelle loro formulazioni contrattuali, spesso disconoscono i diritti in oggetto». È vero! Rimangono in astratto rivendicabili. «Ma gli exchange, frequentemente, non indicano di chi è la titolarità della piattaforma, dove è la sede legale, qual è l’entità giuridica contro cui agire». Insomma: la norma, individuata per analogia, esiste. E, però, la sua concreta applicazione non è scontata.

Alla fine si affronta il consueto problema legato all’evoluzione tecnologica nella finanza. Da un lato le novità, e le speculazioni, corrono velocemente. Dall’altro, il legislatore fatica a tenere il passo. Anche perché, inutile nasconderlo, il nuovo business che si va creando fa gola a molti.

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Hacker contro San Carlo, l’azienda salva i dati

9 Novembre 2021

Il Sole 24 Ore 27 ottobre 2021

CYBER RISK

L’azienda ha deciso di non pagare il riscatto e ha denunciato i fatti

Si tratta di un tipico attacco Ransomware quello messo a segno venerdì scorso ai danni della azienda milanese di patatine San Carlo. Un attacco dopo il quale gli hacker hanno richiesto un riscatto per restituire la piena funzionalità al sistema informatico aziendale. Da quanto si è saputo, però, è stato possibile aggirare l’attacco e l’azienda ha ripristinato subito la piena funzionalità senza subire danni.

Alla San Carlo sarebbero però stati trafugati documenti relativi al budget e alcuni documenti sensibili come copie di passaporti, patenti e documenti di identità di alcuni dipendenti. Autori dell’attacco sarebbero gli hacker del celebre gruppo internazionale Conti, a quanto ha rivelato su Twitter il ricercatore di sicurezza informativa ‘Odisseus’. Questa mattina sul dark web sarebbero già stati diffusi alcuni dei documenti trafugati, che in tutto peserebbero 53 mega bite.

La San Carlo, a quanto si è saputo, non è stata l’unica azienda milanese ad aver subito attacchi informatici in questa settimana, tutti non andati pienamente a segno.

La Polizia Postale, che è subito intervenuta, sta stilando una relazione che consegnerà nelle prossime ore al procuratore aggiunto Alberto Nobili, a capo del pool antiterrorismo e contro i reati informatici della Procura di Milano. Dopo la richiesta del riscatto da parte degli estorsori informatici l’azienda ha deciso di non pagare la somma richiesta anche in ragione del fatto che i dati sottratti erano già stati messi al sicuro con un back up di sistema.

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Le molteplici vie da seguire per il passaggio generazionale

9 Novembre 2021

Il Sole 24 Ore 23 ottobre 2021 di G.G.F.

PIANIFICAZIONE

Spesso il passaggio generazionale, cioè il processo che conduce al passaggio alla generazione successiva di capitali e patrimonio, e anche di responsabilità legate all’impresa, non viene affrontato per tempo o in modo adeguato. «Forse il concetto stesso di passaggio generazionale può essere fuorviante, inducendo alcuni a ritenere che si tratti di un “passaggio del testimone” definitivo ed assoluto, da compiersi in età molto avanzata», osserva Massimiliano Campeis, senior partner dello Studio Avvocati Campeis. «È invece un tema che riguarda tutte le famiglie, nella prospettiva di conferire al proprio patrimonio maggiore ordine, efficienza e protezione, e – in ottica di pianificazione successoria – di fare in modo che in futuro sia equamente diviso, scongiurando l’insorgere di divergenze, e che sia impiegato nella maniera più utile per fare fronte ai bisogni concreti dei beneficiari», spiega l’avvocato.

Se all’interno del patrimonio c’è una società commerciale, la pianificazione aiuta a preservare la stabilità degli assetti proprietari, evitando situazioni che possono danneggiare la continuità dell’azienda e il suo valore. Inoltre, dal punto di vista fiscale, «operare attribuzioni in vita può significare cristallizzare la normativa vigente, mettendo il patrimonio al riparo da futuri inasprimenti dell’imposta di successione e donazione (in Italia oggi particolarmente favorevole)», argomenta Campeis.

Esistono vari strumenti per il passaggio generazionale. Oltre al trust, è possibile ricorrere alla donazione, trasferendo beni o quote societarie al beneficiario; alle polizze vita, che oltre a offrire vantaggi fiscali sono impignorabili e vengono escluse dall’asse ereditario; al patto di famiglia, un contratto tra tutti i legittimari, che anticipa il trasferimento dell’azienda o delle quote nelle mani delle persone più idonee a occuparsene, evitando liti tra gli eredi, nonché i problemi di continuità aziendale. O all’istituzione di una holding tra gli eredi. «Non è facile indicare quali siano i migliori strumenti», riflette Campeis, aggiungendo che «spesso una buona pianificazione ne utilizza diversi, in maniera tra loro coordinata».

Intanto, già un testamento redatto con attenzione è meglio di niente. Meglio ancora, però, se combinato con un’attenta pianificazione “in vita”. «Quando nel patrimonio ci sono una o più società, con un attento utilizzo delle previsioni statutarie in combinazione con la donazione o il patto di famiglia (avente a oggetto la nuda o piena proprietà di partecipazioni), può essere costruito l’assetto più idoneo agli interessi della famiglia», aggiunge Campeis.

Mentre in caso di esigenze particolari, come la necessità di disporre attribuzioni di beni o redditi diluite nel tempo (per esempio per persone in giovane età), o di garantire una governance all’azienda di famiglia, si può appunto ricorrere al trust, che consente «di operare una programmazione dinamica del patrimonio per gli anni, o i decenni, futuri», conclude Campeis.

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La frode del fornitore non contagia tutti i clienti in modo automatico

9 Novembre 2021

Il Sole 24 Ore 25 ottobre 2021 di Massimo Sirri e Riccardo Zavatta

Ctp Milano: l’ufficio ha raccolto indizi privi di valore probatorio

Non regge la tesi per cui il fornitore coinvolto in una frode carosello e quello che abbia ricevuto fatture per operazioni inesistenti altro non potrebbero fare se non diffondere lo stesso “male” a tutti coloro con cui entrano in contatto, con l’effetto che anche le fatture emesse da detti fornitori dovrebbero inserirsi in un circuito fraudolento e, in definitiva, qualificarsi come relative a operazioni oggettivamente inesistenti. Così non è secondo la sentenza 3641/7/2021 della Ctp Milano (presidente e relatore Mainini), la quale, sostituendosi all’ufficio accertatore nello svolgimento del vaglio critico degli elementi meramente indiziari raccolti in istruttoria, evidenzia come questi siano privi di valore probatorio e, in realtà, «senza fondamento e indimostrati». Soprattutto, se messi a confronto con la struttura della cliente (ricorrente in giudizio), con le rigorose procedure di selezione e verifica dei fornitori e gli accurati protocolli di acquisizione documentale (certificazioni-autorizzazioni), nonché con i controlli fisici e contabili che caratterizzano l’intero processo di approvvigionamento. Tutti presidi di regolarità e correttezza dei comportamenti che, peraltro, sarebbero assai difficilmente aggirabili nell’ambito di un’organizzazione aziendale delle dimensioni di quella della contribuente, se non con il coinvolgimento di un numero di dipendenti tale «da rendere impraticabile la sola eventualità». In conclusione, il collegio mette in luce l’inconsistenza e la stessa verosimiglianza delle costruzioni accusatorie (che talora connotano questa tipologia d’accertamenti), evidenziando altresì la disinvoltura con la quale, nel caso di specie, l’ufficio ha trasformato «inspiegabilmente e senza avvio di ulteriori indagini o prove» una possibile contestazione (almeno per uno dei fornitori) d’inesistenza soggettiva in un rilievo per utilizzo di fatture relative a operazioni oggettivamente inesistenti, inserite in un accordo fraudolento. Il che porta a sottolineare come la natura della contestazione sia destinata a riflettersi sull’onere probatorio degli uffici e sugli strumenti a disposizione della difesa. Se si discute d’inesistenza soggettiva, occorre far valere la propria buona fede e diligenza. Se il rilievo concerne l’inesistenza oggettiva dell’operazione (inserita o meno in un carosello), il fisco può ricorrere a presunzioni, ma devono essere gravi, precise e concordanti. Nelle frodi in cui la merce è effettivamente acquistata, ma qualcuno non versa l’Iva, non può parlarsi di operazioni inesistenti. Rileva però la conoscenza-conoscibilità della frode. Nel caso di specie, la prima non è stata provata, nemmeno per presunzioni, e la seconda stride apertamente con la normale diligenza del cessionario.

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Dall’emissione all’Iva, la fattura elettronica cambia le operazioni tra Italia e San Marino

8 Ottobre 2021

Il decreto 21 giugno 2021 del ministero dell’Economia ha dato attuazione all’articolo 12 del Dl 34/2019, che prevedono che gli adempimenti relativi ai rapporti di scambio con la Repubblica di San Marino debbano essere eseguiti in via elettronica.
Le regole tecniche hanno trovato collocazione nel provvedimento 211273 delle Entrate datato 5 agosto 2021, emanato in osservanza dell’articolo 21 del Dm del 21 giugno.

L’effetto pratico di tali novità è che le regole che disciplinano gli scambi tra Italia e San Marino, contenute nel decreto del ministro delle Finanze 24 dicembre 1993, troveranno a breve applicazione, facoltativamente dal 1° ottobre 2021 e obbligatoriamente dal 1° luglio 2022, nell’ambito della fatturazione elettronica che già conosciamo, con qualche ulteriore specificità che di seguito esaminiamo.

Dal punto di vista dell’assolvimento dell’imposta, il decreto prevede che:

  • le cessioni effettuate da parte dei soggetti passivi mediante trasporto o consegna dei beni nel territorio della Repubblica di San Marino (Italia-San Marino) e i servizi connessi, sono non imponibili ai sensi degli articoli 8 e 9 del Dpr 633/1972. Sono assimilate a tali cessioni l’invio di beni mediante trasporto o spedizione a cura del soggetto passivo nel territorio dello Stato o da terzi per suo conto;
  • le cessioni effettuate da operatori sanmarinesi mediante l’introduzione dei beni nel territorio dello Stato (San Marino-Italia) assolvono l’imposta ai sensi dell’articolo 71 del Dpr 633/1972, ossia sono tenuti al pagamento dell’imposta i contribuenti per i quali o per conto dei quali essa è effettuata;
  • momento di effettuazione dell’operazione sono l’emissione della fattura o il pagamento del corrispettivo, ovvero l’inizio del trasporto o della spedizione.
  • In quest’ultimo caso, se gli effetti traslativi o costitutivi si producono in un momento successivo, le operazioni si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti e comunque dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione.

    Dal punto di vista dell’emissione della fattura elettronica, il decreto prevede che:

    • per le cessioni di beni Italia-San Marino, la fattura elettronica non imponibile trasmessa dal cedente italiano al cessionario sanmarinese (tramite lo Sdi) sia verificata dall’ufficio tributario di San Marino, che ne convalida la regolarità e comunica l’esito del controllo al competente ufficio dell’agenzia delle Entrate attraverso un apposito canale telematico.
    • per le cessioni di beni San Marino-Italia, la fattura elettronica emessa dall’operatore sanmarinese viene trasmessa dall’ufficio tributario di San Marino allo Sdi, il quale la recapita al cessionario italiano che può visualizzare l’esito dei controlli, oltre ai dati fiscali della fattura, attraverso canale telematico messo a disposizione dalle Entrate sul sito «Fatture e corrispettivi».

    Permane, per le cessioni di beni San Marino-Italia:

    • la possibilità di addebitare l’imposta nella fattura elettronica, nel qual caso l’imposta è versata dall’operatore sammarinese all’ufficio tributario di San Marino. L’esito positivo del controllo da parte dell’Agenzia è reso noto telematicamente al cessionario, che da tale momento può operare la detrazione dell’imposta, ai sensi degli articoli 19 e seguenti;
    • la possibilità di non indicare l’imposta nella fattura elettronica, nel qual caso l’operatore italiano al quale la fattura è stata recapitata tramite Sdi assolve l’imposta in reverse charge, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, indicando l’ammontare dell’imposta dovuta con le modalità previste dall’Agenzia per l’integrazione delle fatture elettroniche.

    Le regole contenute nel provvedimento del 5 agosto

    Il provvedimento contiene specifiche regole tecniche per l’emissione e la ricezione delle fatture elettroniche. Dal contenuto del provvedimento e sulla base delle informazioni ricevute da AssoSoftware, possiamo affermare che per l’operatore italiano cedente o cessionario non cambia nulla rispetto alle attuali modalità di invio e ricezione delle fatture elettroniche, salvo indicare lo specifico codice destinatario dell’hub di San Marino per quanto riguarda le fatture emesse.

    Per l’operatore sanmarinese, invece, che invia o riceve le fatture elettroniche, valgono le nuove regole tecniche emesse dal ministero delle Entrate di San Marino che prevedono specifiche e tracciati ad hoc per l’interfacciamento con l’hub dell’Ufficio tributario dello Stato di San Marino.

    Rimangono da verificare le modalità con cui saranno resi disponibili gli esiti dei controlli sull’esigibilità dell’Iva e se questi saranno accessibili anche agli operatori collegati tramite intermediari accreditati (i.e. hub privati). A breve sarà possibile conoscere, grazie alle attività di coordinamento di AssoSoftware, le esatte modalità operative concretamente utilizzabili con i software gestionali.

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Contanti senza riscontro ai fornitori? Legittimo presumere ricavi in nero

8 Ottobre 2021

Il Sole 24 Ore 4 ottobre 2021 di Davide Settembre

Non risultano prelievi pari al saldo delle fatture e mancano prove contrarie

La Cassazione.  Indice di «nero» il mancato riscontro tra fatture e prelievi bancari

È legittimo l’operato dell’ufficio fiscale che accerta i ricavi “in nero” nel caso in cui un imprenditore paghi i fornitori in contanti senza provare che tali somme siano state prelevate dal proprio conto corrente, su cui vengono incassati i ricavi contabilizzati. È quanto hanno stabilito, in sintesi, i giudici della Commissione tributaria provinciale di Torino con la sentenza 708/2/2021, depositata il 7 settembre scorso (presidente Bianconi, relatore Gurgone).

Nell’ambito di alcuni controlli ai sensi del Dl 78/2010, convertito nella legge 122/2010 (spesometro), l’ufficio aveva chiesto al contribuente di esibire tutta la documentazione contabile relativa al 2015. In particolare, dall’analisi della documentazione era emerso che i ricavi contabilizzati venivano versati sul conto corrente del contribuente (un imprenditore) che provvedeva invece a pagare i fornitori in contanti.

Tuttavia, dal conto corrente risultavano prelievi di importo decisamente inferiore alle somme utilizzate per pagare i fornitori. Da ciò, l’ufficio aveva presunto che tali provviste erano state pagate (almeno in parte) con ricavi non contabilizzati e aveva pertanto notificato al contribuente un atto di accertamento per recuperare a tassazione tali somme. L’imprenditore aveva tuttavia impugnato l’avviso dinanzi i giudici di primo grado.

I giudici piemontesi hanno respinto il ricorso. In particolare, hanno evidenziato nella sentenza che, dall’analisi della documentazione (fatture, estratti conto bancari eccetera), era emerso che gli incassi contabilizzati erano versati sul conto corrente dell’imprenditore che pagava molto spesso in contanti i fornitori.

Tuttavia, dal conto corrente non risultavano prelievi pari al saldo delle fatture in contanti. Pertanto, doveva dedursi che le stesse erano state pagate con somme che non erano transitate dal conto corrente e che quindi erano “in nero”.

Secondo i giudici l’ufficio, nell’ambito dell’accertamento analitico-induttivo, aveva operato sulla scorta di dati oggettivi forniti dallo stesso contribuente che non aveva provato come aveva saldato il debito esposto nelle fatture contabilizzate. I giudici hanno richiamato una sentenza della Cassazione in base alla quale il fatto che un’azienda adempia le proprie obbligazioni in contanti costituisce indice di reddito sul quale basare una rettifica presuntiva (sentenza 19902/2008).

In particolare, hanno ricordato i giudici, per la Cassazione è legittima la presunzione relativa alla sussistenza di una contabilità parallela non denunciata, qualora le uscite di cassa non abbiano trovato riscontro nelle scritture contabili: ove le fatture non trovino riscontro nei dati bancari, si deve concludere che la provvista utilizzata provenga da ricavi non contabilizzati, in assenza di prova contraria da parte del contribuente.

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Il datore può controllare il pc usato dal dipendente

8 Ottobre 2021

Il Sole 24 Ore 23 settembre 2021 di Giampiero Falasca

Deve esistere un fondato sospetto di illecito prima di avviare la verifica

L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori si applica sui controlli collettivi

Il datore di lavoro può svolgere controlli tecnologici su un singolo lavoratore se emerge un fondato sospetto circa la commissione di un illecito anche in assenza delle condizioni previste dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, a patto che sussistano alcune condizioni: deve essere assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione dei beni aziendali e la tutela della dignità personale, e il controllo deve riguardare dati acquisiti dopo l’insorgenza del sospetto.

Con l’affermazione di questo principio di diritto, la Cassazione (sentenza 25732/21 pubblicata ieri) ricostruisce i principi da applicare in tema di controllo a distanza dei lavoratori nel caso in cui sussista il sospetto della commissione di un illecito.

La controversia riguarda una Fondazione che ha subito un danno alla rete informatica per via di un virus. A seguito di accertamenti effettuati sul computer di una dipendente, l’ente ha appurato che tale virus era stato introdotto nella rete aziendale attraverso un file scaricato dalla lavoratrice da siti web visitati per ragioni private, estranee all’attività lavorativa. La dipendente è stata licenziata, sia per aver utilizzato i mezzi informatici messi a disposizione dal datore di lavoro per fini privati, sia per i danni causati al patrimonio aziendale dalla sua condotta; oltre ha impugnare il licenziamento, la lavoratrice ha ottenuto un provvedimento del Garante Privacy con il quale è stata intimata al datore di lavoro l’immediata interruzione di qualsiasi ulteriore trattamento dei dati personali.

Dopo diverse pronunce contrastanti, la vicenda è finita in Corte di cassazione, dove i giudici di legittimità, con la sentenza 25732, hanno fatto ordine sui principi guida da applicarsi su un tema così delicato, anche tenendo conto delle innovazioni all’articolo 4 dello Statuto apportare nel 2015 dal Jobs Act.

La Suprema corte ha, innanzitutto, fatto chiarezza sul tema dei cosiddetti “controlli difensivi”, ricordando che è necessario distinguere tra i controlli che vengono svolti a difesa del patrimonio aziendale e che riguardano tutti i dipendenti, e i controlli relativi a singoli lavoratori verso i quali sussiste il fondato sospetto della commissione di un illecito. La prima tipologia di controlli, secondo la sentenza della Corte, rientra pienamente nel campo di applicazione dell’articolo 4 dello Statuto e, come tale, è soggetta alle regole e alle procedure previste da tale norma, a pena di illegittimità dei controlli medesimi. La seconda tipologia di controlli, invece, deve ritenersi estranea al perimetro applicativo dell’articolo 4, in quanto scaturisce dalla necessità di accertare e sanzionare gravi illeciti di un singolo lavoratore: questo vuol dire che se un datore di lavoro sospetta che un dipendente stia commettendo un illecito, può effettuare controlli a distanza utilizzando strumenti tecnologici senza seguire le rigide procedure previste dallo Statuto dei lavoratori.

Questa facoltà, secondo i giudici, incontra un limite importante: il controllo difensivo dovrebbe essere attuato ex post, ossia dopo che il datore di lavoro abbia avuto il fondato sospetto che sia stato compiuto un illecito da parte di uno o più lavoratori. Questo tipo di controllo può, inoltre, estendersi solo alla raccolta delle informazioni acquisite dal quel momento in poi, non potendo invece abbracciare le informazioni e i dati acquisiti senza il rispetto dell’articolo 4 prima di quel momento: in tal modo, infatti, si finirebbe per estende a dismisura l’area del controllo difensivo.

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Operazioni Ue–San Marino con un doppio passaggio

8 Ottobre 2021

Il Sole 24 Ore 20 Settembre 2021 di Giampaolo Giuliani

Iva Ue–extra Ue

Una società, con sede nella Repubblica di San Marino e con codice operatore economico, acquista all’interno della Ue beni (senza compilare il documento di transito T2) tramite il suo rappresentante fiscale in Italia con partita Iva. Questi acquisti vengono assoggettati a Iva mediante l’applicazione del meccanismo del reverse charge. I beni in questione possono essere rivenduti dal rappresentante fiscale in Italia alla società con sede nella Repubblica di San Marino con codice operatore economico?

W.B.RIMINI

L’operazione descritta dal lettore è possibile, a condizione che il trasporto dei beni non avvenga direttamente dal Paese Ue a San Marino, ma avvenga in due tratte distinte: la prima con partenza dal Paese Ue e arrivo in Italia, la seconda con partenza dall’Italia e arrivo a San Marino. Si veda al riguardo la risoluzione 123/E/2009.

Doing business in San Marino

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