Doppio rischio se non si rispetta la riservatezza dei dipendenti

6 Agosto 2025

Il Sole 24 Ore 3 Luglio 2025 di Giampiero Falasca

La gestione dei controlli a distanza sui dipendenti è un tema molto sensibile e complesso, che può determinare ricadute negative per i datori di lavoro su due fronti, quello della privacy e quello del rapporto di lavoro.

La centralità del primo aspetto è stata ribadita da una recente decisione del Garante per la protezione dei dati personali (provvedimento 10143261/2025) che ha riportato sotto i riflettori un tema delicato e strategico per ogni datore di lavoro: la corretta gestione dei controlli “digitali” sui lavoratori. Il caso riguarda un’azienda che, nel predisporre contestazioni disciplinari, ha utilizzato conversazioni tratte da Messenger e Whatsapp, nonché contenuti del profilo Facebook privato di una dipendente. Sebbene tali contenuti fossero stati «inoltrati» spontaneamente all’azienda da colleghi o soggetti terzi, il Garante ha comunque ritenuto illecito il trattamento dei dati, rilevando la violazione dei principi di liceità, finalità e minimizzazione (articolo 5 del Gdpr), oltre all’articolo 113 del Codice privacy.

Il provvedimento conferma che anche il solo utilizzo di dati personali ricevuti da terzi costituisce trattamento e impone al datore una verifica rigorosa della liceità e della pertinenza. La raccolta e l’impiego di screenshot di post o messaggi privati, se non sorretti da un’idonea base giuridica (ad esempio, un legittimo interesse effettivamente bilanciato), possono determinare gravi conseguenze sanzionatorie.

La gestione dei controlli a distanza (intesi, in senso ampio, come tutti quei controlli effettuati usando, direttamente o indirettamente, strumenti digitali) espone, quindi, a un rischio molto alto, che tuttavia non si esaurisce con il fronte del Garante privacy. L’altro rischio, parallelo e concorrente, riguarda l’utilizzabilità disciplinare delle informazioni. Come ribadito dalla giurisprudenza (tra le tante, Cassazione 25732/2021 e 5354/2025), i dati acquisiti in violazione della normativa privacy o dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori non possono essere validamente utilizzati in un procedimento disciplinare. Anche se l’informazione è vera, anche se il comportamento è grave, se il dato è stato raccolto in modo irregolare il licenziamento può essere annullato.

Questo perché l’articolo 4 della legge 300/1970 vieta controlli a distanza se non con accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato; a ciò si aggiunga il fatto che il Gdpr impone che i dati siano trattati per finalità determinate e in modo proporzionato (il già ricordato articolo 5), vietando il trattamento basato su generici “interessi aziendali” se non fondato su un reale test di bilanciamento. Inoltre chat e simili sono equiparate alla corrispondenza privata, tutelata dall’articolo 15 della Costituzione, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Alla luce di tutto questo, diventa chiaro che il rispetto delle regole sui controlli a distanza non è solo una precauzione formale. È un vero e proprio presidio strategico: tutela l’impresa da pesanti sanzioni economiche e reputazionali e, allo stesso tempo, previene errori difficilmente riparabili nella gestione dei rapporti con i dipendenti. Ogni datore di lavoro dovrebbe, quindi, interrogarsi non solo su “cosa” viene scoperto attraverso i controlli, ma su “come” queste informazioni sono state ottenute.

Il diritto alla riservatezza, anche e soprattutto nella dimensione digitale, resta un caposaldo del rapporto di lavoro; ignorarlo significa indebolire, anziché rafforzare, le politiche di gestione del personale.

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Il no del garante privacy alle impronte digitali per rilevare le presenze

6 Agosto 2025

Il Sole 24 Ore 1 Luglio 2025 di Federica Paolucci e Oreste Pollicino

Con il provvedimento 167 del 2025, il Garante per la protezione dei dati personali ha dichiarato illecito il trattamento dei dati biometrici effettuato da un Istituto di istruzione superiore, sanzionando l’ente scolastico con una multa di 4mila euro per violazione di alcune norme chiave del regolamento per la protezione dei dati personali.

Il caso riguarda, difatti, l’utilizzo, da parte dell’Istituto, di un sistema di rilevazione delle presenze basato sulla combinazione di badge e impronta digitale per il personale Ata.

Il sistema era stato introdotto a seguito di episodi di manomissioni e uso improprio dei badge da parte dei lavoratori. L’intento dichiarato della dirigenza scolastica era quello di prevenire condotte elusive, rafforzando i controlli interni. Il personale aveva prestato il consenso scritto al trattamento e, secondo l’Istituto, chi non aveva aderito poteva continuare a utilizzare esclusivamente il badge. Tuttavia, il Garante ha ritenuto che tale trattamento risultasse privo di una base giuridica idonea ed è stato, dunque, dichiarato illecito.

Il nodo principale ha riguardato l’assenza di un’adeguata base giuridica. Il trattamento, difatti, concerne l’uso di dati biometrici, che sono caratteristiche uniche di ogni essere umano, come l’iride, il volto, e appunto l’impronta digitale. Tali dati appartengono alle categorie speciali ex articolo 9, paragrafo 1 del Gdpr, ossia quelle tipologie di dato per cui la norma impone un divieto generale di trattamento, salvo ricorrano specifiche eccezioni indicate al paragrafo 2, tra cui quella prevista alla lettera b), relativa al trattamento necessario per esercitare diritti e obblighi in materia di diritto del lavoro, purché autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri. Nel contesto esaminato, l’Autorità ha rilevato che nessuna norma nazionale vigente consente, né tantomeno impone, l’utilizzo di dati biometrici per la rilevazione delle presenze. Il riferimento all’articolo 2 della legge 56/2019, che prevedeva l’adozione generalizzata di sistemi biometrici e di videosorveglianza nel pubblico impiego, non è più invocabile, poiché tale disposizione è stata abrogata dalla legge di bilancio 2021 (legge n. 178/2020, articolo 1, comma 958). Pertanto, secondo il Garante, il trattamento posto in essere dalla scuola è avvenuto in totale assenza della necessaria previsione legislativa e delle misure di garanzia richieste dall’articolo 2-septies del Codice privacy.

Mancando una base giuridica idonea, un secondo aspetto viene in evidenza, ossia l’inidoneità del consenso a supplire e permettere il trattamento di dati biometrici in ambito lavorativo.

Il Garante ribadisce l’orientamento consolidato secondo cui il consenso del dipendente, anche se formalmente raccolto e accompagnato da modalità alternative, difficilmente può dirsi libero in presenza di un rapporto asimmetrico come quello lavorativo.

Né può ritenersi “necessario” un trattamento così intrusivo quando già esistevano modalità ordinarie di attestazione della presenza.

Il Garante qualifica la condotta dell’Istituto come “grave” in base alle Linee guida Edpb 4/2022 sul calcolo delle sanzioni. Sebbene i dati trattati non contenessero l’immagine dell’impronta, ma solo un template matematico, essi erano comunque sufficienti a identificare univocamente i lavoratori e dunque rientravano pienamente nella definizione di dato biometrico ai sensi dell’articolo 4,

punto 14 del Gdpr.

Il caso in esame si inserisce in una linea ben tracciata dal Garante, che ribadisce l’estrema cautela richiesta nell’adozione di tecnologie biometriche, specie nel settore lavorativo, dove, per l’appunto, il dipendente non può mai dirsi veramente libero di esprimere il proprio consenso. L’automazione del controllo presenze non può giustificare trattamenti sproporzionati, né la delega in bianco a fornitori tecnologici. Anche quando i dipendenti sembrano “chiedere” maggiore controllo, è il titolare del trattamento a dover garantire il rispetto della legalità e dei principi di necessità, proporzionalità e minimizzazione.

La sanzione in commento ha, dunque, il pregio di rammentare i limiti invalicabili tra efficientamento e controllo, specie in un momento storico in cui l’automazione si sta facendo sempre più strada nelle pratiche amministrative quotidiane, rischiando di normalizzare forme di sorveglianza sproporzionate e giuridicamente ingiustificate.

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L’imputazione immediata vale anche per il Fisco

6 Agosto 2025

Il Sole 24 Ore 17 Luglio 2025 di Luca Gaiani

REDDITO D’IMPRESA

Ricavi da licenze

La regola potrebbe valere anche per casi analoghi

Per i ricavi da licenze, l’imputazione immediata prevista dall’Oic 34 vale anche ai fini fiscali. Le società non possono ripartire il ricavo sulla durata della licenza se il cedente non fornisce servizi aggiuntivi e tale indicazione si estende alla dichiarazione dei redditi per chi è in derivazione rafforzata.

Tra le nuove regole contabili per la competenza temporale dei ricavi da prestazioni di servizi, assume particolare importanza (in quanto dotata di notevoli elementi di novità) quella prevista per i ricavi da concessione di licenze d’uso pluriennali.

Il caso riguarda in particolare la cessione di licenze d’uso di beni immateriali tutelati o non tutelati (marchi, brevetti, software e know-how), ma potrebbe estendersi, nel silenzio del documento 34 ad altre situazioni simili. Il ricavo, secondo quanto indicato nel paragrafo A.3 dell’Oic 34, si ripartisce sulla durata della licenza (regola generale) in base al criterio del tempo fisico (ratei e risconti), come per le locazioni, salvo che non vi siano altri criteri identificabili secondo quanto previsto nel contratto (cosa che spesso avviene per intangibili quali marchi e brevetti). Ad esempio, se il corrispettivo dovuto al concedente è legato ai volumi delle vendite del licenziatario (licenza di marchio), l’imputazione del ricavo si effettuerà secondo tale criterio.

La ripartizione temporale si effettua a prescindere dalle modalità di pagamento e dunque anche se viene prevista una somma una tantum che copre tutta la durata della licenza ovvero un minimo garantito iniziale (da ripartire sugli anni di durata) più una percentuale parametrata alle vendite. Qualora invece il cliente-licenziatario ottenga tutti i benefici derivanti dalla licenza, senza che si rendano necessarie ulteriori attività da parte del concedente, il ricavo viene rilevato a conto economico interamente al momento della consegna della licenza. Il ricavo è quantificato attualizzando i flussi finanziari futuri al tasso di interesse di mercato ai sensi del documento Oic 15.

Ad esempio, in una cessione di una licenza di un software standardizzato senza ulteriori servizi da parte del concedente), il ricavo verrà iscritto interamente nell’anno di consegna del software e sarà determinato attualizzando i flussi finanziari.

In assenza di deroghe previste al riguardo nel Dm 27 giugno 2025, i criteri sopra illustrati sono immediatamente applicabili anche per determinare l’imponibile Ires delle società che rientrano nella derivazione rafforzata. Le altre imprese (società di persone e micro-imprese ex articolo 2435-ter del Codice civile), invece, imputano i ricavi da licenze pro rata temporis anche in assenza di servizi aggiuntivi.

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Maglie larghe per l’uso di foto con sistemi di Ia

6 Agosto 2025

Il Sole 24 Ore  28 Luglio 2024 di Giulia Casamento e Andrea Rinaldi

Marchi, brevetti, diritto d’autore 

Sono un fotografo che svolge attività professionale da 15 anni. Navigando in rete, ho scoperto che alcuni dei miei scatti fotografici sono stati utilizzati senza la mia autorizzazione. Ho cercato di approfondire la questione e sono risalito a una società titolare di un sistema di Ia (intelligenza artificiale). Posso fare qualcosa per tutelarmi e tutelare i miei scatti fotografici?

In base alla legge 633/1941, all’autore di un’opera fotografica sono riconosciuti diritti morali, che attengono alla paternità dell’opera, e diritti patrimoniali (e/o di sfruttamento economico), che attengono all’utilizzazione dell’opera.

Il riconoscimento di tali diritti è legato al carattere artistico dell’opera fotografica, ossia alla capacità della fotografia di rappresentare un’opera originale, in grado di rispecchiare la visione artistica e la creatività del suo autore. Diritti patrimoniali limitati (riproduzione, diffusione e distribuzione, la cui durata è circoscritta a un periodo di 20 anni dalla data di creazione dell’opera, a differenza dei diritti patrimoniali propri del diritto d’autore, la cui durata è pari a 70 anni dalla morte dell’autore) vengono riconosciuti anche all’autore di fotografie “semplici”, ossia prive di carattere artistico.

Il riconoscimento di diritti di sfruttamento economico è fondamentale per la tutela di una foto, poiché consente all’autore di contestare tutte quelle utilizzazioni che avvengano in assenza di una sua preventiva autorizzazione e in assenza del riconoscimento di una equa remunerazione per la specifica tipologia di utilizzo.

L’introduzione di strumenti tecnologici, come i sistemi di intelligenza artificiale, ha posto all’attenzione del legislatore la questione dell’utilizzo di contenuti protetti dal diritto d’autore, come le opere fotografiche, ai fini dell’addestramento di tali sistemi per la generazione di nuovi e molteplici contenuti. L’attività di “text and data mining”, ossia di estrazione di testo e di dati, intesa come qualsiasi tecnica di analisi automatizzata volta ad analizzare testi e dati in formato digitale, avente lo scopo di generare informazioni di differenti tipologie, è stata disciplinata dal legislatore europeo e conseguentemente dal legislatore italiano, il quale – per garantire un equo bilanciamento fra la necessità di tutelare i diritti degli autori e l’opportunità di impiegare i sistemi di intelligenza artificiale, anche a beneficio della collettività – ha incluso tale attività nell’ambito delle eccezioni al diritto d’autore, ossia forme di utilizzazione di un’opera protetta considerate eque e non lesive dei diritti d’autore.

Gli articoli 70-ter e 70-quater della legge 633/1941, in recepimento degli articoli 3 e 4 della direttiva europea 2019/790 (direttiva Copyright), qualificano infatti come valida e lecita l’attività di estrazione di dati da fonti e database, ai quali si abbia lecitamente accesso, senza necessità di autorizzazione da parte dei titolari dei diritti d’autore e/o delle banche dati.

Le due norme disciplinano, rispettivamente, l’attività di estrazione avente a oggetto finalità scientifiche da parte di organismi di ricerca e istituti di tutela del patrimonio culturale (articolo 70-ter) e l’attività di estrazione di dati non necessariamente legata a specifiche finalità, la quale è consentita laddove l’utilizzo delle opere e degli altri materiali eventualmente protetti dal diritto d’autore non sia stato espressamente riservato dai relativi titolari dei diritti e delle banche dati. Pertanto, in assenza di tale riserva espressa, l'”estrazione” avente a oggetto un’opera protetta dal diritto d’autore o una banca dati è da considerare lecita.

Nel caso prospettato, l’utilizzo di scatti fotografici da parte di un sistema di intelligenza artificiale in assenza dell’autorizzazione da parte del suo autore impone in primo luogo di valutare l’opera, la sua eventuale rilevanza artistica e, di conseguenza, l’estensione temporale dei diritti patrimoniali riconosciuti al fotografo, ai fini di una eventuale contestazione avente a oggetto l’utilizzazione non autorizzata.

Riguardo all’utilizzo dello scatto fotografico in un sistema di intelligenza artificiale, è necessario valutare se tale uso rientri o meno nell’ambito delle eccezioni previste dalla normativa in tema di diritto d’autore, sopra considerate. Se tale uso è avvenuto per finalità di ricerca scientifica e/o in assenza di una espressa riserva da parte dell’autore all’utilizzazione dell’opera protetta dal diritto d’autore finalizzata all’attività di estrazione di dati da parte di sistemi di intelligenza artificiale, esso risulterebbe lecito e non contestabile.

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Le verifiche complesse sul fornitore esulano dai poteri del cessionario

6 Agosto 2025

Il Sole 24 Ore lunedì 28 Luglio 2025 di Lorena Di Fiore e Gennaro Nunziato

L’infedeltà fiscale e l’assenza di elementi caratterizzanti la struttura del fornitore (dipendenti, locazioni immobili, eccetera) non sono validi indizi per dimostrare l’inesistenza delle operazioni e il coinvolgimento nella frode fiscale del cessionario/committente, perché questi non può verificarli, non essendo dotato degli strumenti di indagine di cui dispone l’amministrazione finanziaria. È l’interessante decisione della Cgt di primo grado di Reggio Emilia (sentenza 129/2/2025; presidente e relatore Montanari).

L’Agenzia contesta l’oggettiva inesistenza delle operazioni intercorse tra Tizio e tre imprese operanti nel campo dell’edilizia. Le operazioni consistevano in semplici prestazioni di mano d’opera edile e sono state realizzate con il meccanismo dell’inversione contabile. L’Agenzia considera cartiere le tre imprese, perché prive di una struttura organizzativa (assenza di beni strumentali, mancanza di dipendenti, eccetera) e a causa dei loro inadempimenti fiscali/contabili. La prova della consapevolezza di Tizio di partecipare alla frode fiscale sarebbe data dall’elevato grado di “infedeltà fiscale” delle imprese, rilevabile dalla consultazione dello spesometro. Tra l’altro, l’Agenzia applica la sanzione Iva prevista in caso di reverse charge per operazioni inesistenti in ipotesi di provata consapevolezza del committente, come stabilito dal “nuovo” articolo 6, comma 9-bis.3, del Dlgs 471/97 entrato in vigore il 1° gennaio 2023, nonostante i fatti fossero precedenti.

Il contribuente impugna gli accertamenti e osserva che le operazioni contestate riguardano semplici prestazioni di mano d’opera eseguite dai titolari e/o soci dei fornitori, per cui non assume rilievo la mancanza di una struttura organizzativa e di personale dipendente; produce documentazione (rilievi fotografici, cronoprogrammi, corrispondenza, attestazione di esecuzione dei lavori) volta a dimostrare l’esecuzione. Quanto al profilo della diligenza, il ricorrente eccepisce che la conoscenza della “infedeltà fiscale” dei fornitori esorbita dalle cautele che si richiede che il cessionario sia tenuto ragionevolmente ad adottare e fa presente di aver ottenuto da loro sempre un Durc regolare.

La Cgt di Reggio Emilia accoglie i ricorsi riuniti richiamando la giurisprudenza di legittimità conforme e valorizzando la documentazione prodotta a prova dell’esecuzione delle operazioni. Per i giudici, «ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova della conoscenza o conoscibilità (…) dell’esistenza di una frode Iva consumata a monte della catena produttiva o distributiva», le cautele richieste al cessionario e/o committente – perché si escluda il suo coinvolgimento, anche solo per colpevole ignoranza, nella frode commessa a monte – «non possono attingere a verifiche complesse e approfondite», analoghe a quelle che l’amministrazione finanziaria avrebbe i mezzi per effettuare (Cassazione, 14102/2024).

La decisione è conforme al recente orientamento di legittimità per cui al contribuente non può essere richiesto di effettuare verifiche complesse sui fornitori, in quanto egli non dispone degli strumenti di indagine necessari, in possesso invece del Fisco.

 

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Scadenziario Settembre 2025

1 Agosto 2025

entro il 20 Settembre

  • Scade il termine per il pagamento dei contributi previdenziali /assistenziali I.S.S.  F.S.S. e FONDISS per lavoratori dipendenti relativi al mese di agosto

entro il 27 Settembre

  • Termine ultimo i sensi della Legge n. 129 del 23/07/2010 art. 26 per il pagamento della tassa di licenza. Le società che non adempiranno entro il 27/09 saranno revocate d’ufficio

entro il 30 Settembre

  • Termine per l’aggiornamento dei libri cartacei vidimati con i dati contabili anno precedente per contabilità ordinaria e semplificata (Art. 96 Legge 166/2013).
  • Termine ultimo per la trasmissione delle scritture ausiliarie di magazzino per i soggetti obbligati.

Circ. Prot nr 82190/2017

entro il 2 Ottobre

  • Scade il termine per la presentazione della Dichiarazione delle attività patrimoniali, finanziarie e quote societarie detenute all’estero (DAPEF) (0,2% sulle attività finanziarie  detenute all’estero) di cui al comma 2 art.3 D.D. nr 29 del 7 03 22
  • Versamento dell’imposta per il riequilibrio delle attività finanziarie estere (IRAFE) di cui all’articolo 4 della Legge 22 dicembre 2021 n.207

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Società, test di residenza con criteri alternativi

8 Luglio 2025

Il Sole 24 Ore lunedì 23 Giugno 2025 di Luca Gaiani

Società estere controllate da soggetti italiani al test “esterovestizione”, con occhi puntati alla sede di direzione effettiva e al luogo di gestione ordinaria in via principale.

Nei gruppi di imprese che operano in ambito internazionale è opportuno procedere periodicamente alla verifica della struttura delle società partecipate con sede legale estera, al fine di riscontrare se sussistono elementi che possono far scattare contestazioni di residenza fiscale italiana da parte dell’Agenzia. Con la dichiarazione dei redditi 2025 prende il via il nuovo criterio di residenza fiscale introdotto dal Dlgs 209/2023.

Nuovi criteri dal 2024

L’articolo 2 del Dlgs 209/2023 – con la riscrittura dell’articolo 73, comma 3, del Tuir – prevede nuovi criteri per individuare la residenza fiscale delle società e degli enti con decorrenza dal periodo di imposta 2024. I nuovi criteri si differenziano notevolmente, quanto meno in termini letterali, da quelli previsti dalla norma precedente e in relazione ai quali sono sorti in passato contrasti interpretativi tra Fisco e contribuenti.

La revisione dei criteri suggerisce un aggiornamento delle procedure utilizzate per svolgere i “test di residenza”, in modo da poter individuare eventuali situazioni in cui potrebbero presentarsi rischi di contestazioni di “esterovestizione”, in particolare nei casi di legal entity estere controllate e sottoposte alla direzione e coordinamento di imprese italiane (nella scheda in pagina alcuni dei test che possono essere svolti).

La norma ora prevede la rilevanza di due criteri, che operano in via alternativa (nel senso che è sufficiente la verifica anche di uno solo di essi per qualificare la società come residente in Italia):

ubicazione della sede di direzione effettiva

luogo di esercizio della gestione ordinaria in via principale.

Direzione effettiva

La sede di direzione effettiva coincide con il luogo ove vengono adottate in via continuativa e coordinata le decisioni strategiche riguardanti la società nel suo complesso. In sostanza, la direzione effettiva coincide (Assonime, circolare 15/2024) con l’area delle decisioni di più alto livello strategico e dunque con le persone (una o più) che hanno il potere e la responsabilità di assumere tali decisioni e che nei fatti le assumono.

Nella analisi volta all’individuazione del soggetto che esercita la direzione effettiva (e conseguentemente del luogo ove si svolge tale direzione) non devono considerarsi – secondo quanto precisato dalla relazione ministeriale – le decisioni prese dai soci, diverse da quelle di effettiva gestione, e neppure le attività di supervisione o di monitoraggio svolte dagli stessi.

La scarna indicazione ministeriale impone però di svolgere, nei test sulla struttura estera, alcuni approfondimenti alla luce di quanto effettivamente avviene nell’ambito della gestione di gruppi di società, soprattutto se in ambito multinazionale.

Gestione ordinaria

Il secondo e alternativo elemento è costituito dal luogo in cui viene svolta la gestione ordinaria in via principale, cioè il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società nel suo complesso. Si tratta del luogo in cui si esplicano il normale funzionamento della società di diritto estero e gli adempimenti che attengono alla ordinaria amministrazione della stessa.

Anche per questo criterio, come già per la direzione effettiva, l’agenzia delle Entrate (circolare 20/E/2024) non ha fornito esemplificazioni o istruzioni valide in astratto per le diverse casistiche. La compresenza necessaria di tali due elementi caratterizzanti (quello riferito alla gestione in via principale e alla società nel suo complesso) ha indotto la dottrina (Assonime, circolare 15/2024) a ritenere che si debba avere riguardo a una operatività non meramente routinaria, ma a un livello superiore, cioè intermedio tra quello della forza lavoro e quello di chi effettua la direzione effettiva.

ESEMPI DI TEST

Sede di direzione effettiva

Decisioni strategiche

Chi (amministratore unico, Cda, ceo, direttore con responsabilità strategiche, oppure manager della controllante), e dove, assume le decisioni che attengono all’area strategica e non meramente routinaria della società estera?

Decisioni continuative e coordinate

Le decisioni sottoposte al test vengono assunte non occasionalmente e in modo sporadico, ma continuativamente e in modo coordinato tra i diversi attori?

Decisioni riguardanti la società nel suo complesso

Si sono considerate solo decisioni che definiscono oppure modificano le strategie della società estera e non invece solamente su alcune divisioni aziendali che operano in un determinato territorio?

Esempi di decisioni strategiche

Lancio di nuovi prodotti o di prodotti rinnovati con investimenti in rete commerciale e comunicazione.

Modifica delle modalità di approvvigionamento dei prodotti (lancio degli acquisti in base al venduto oppure formazione di uno stock di rimanenze).

Individuazione del piano di investimenti in beni strumentali (mantenimento oppure espansione della capacità produttiva o modificazione

dei processi).

Definizione delle politiche riguardanti le risorse umane (assunzioni, livelli retributivi, bonus) con i relativi investimenti.

Predisposizione dei budget che prevedono obiettivi di ricavi e risultato e vincoli di spesa per la gestione operativa del management.

Sede della gestione ordinaria in via principale

Continuità e coordinamento

Il test ha ad oggetto lo svolgimento continuativo e coordinato degli atti e delle operazioni di gestione?

Gestione della società nel suo complesso

Ci si è focalizzati sull’intera attività della società e non invece sulla localizzazione di singole divisioni, funzioni o linee di business?

Analisi della struttura aziendale e organigramma

Il test deve individuare i soggetti rilevanti (al di sotto del top management) per lo svolgimento della gestione ordinaria e, a seguire,

da dove partono le istruzioni che essi forniscono continuativamente ai dipendenti o ai collaboratori

per la gestione del business (es.: fissazione dei prezzi e delle altre condizioni per vendite di particolare importanza).

Servizi a basso valore aggiunto della controllante

Vi sono servizi prestati da parte della controllante? Sono servizi nell’area del core business che possono configurare gestione in via principale? Oppure si tratta di servizi a basso valore aggiunto?

I principali elementi da considerare nella valutazione dei criteri di direzione effettiva o gestione ordinaria

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Iva, per i rappresentanti fiscali scatta l’ora delle garanzie

8 Luglio 2025

Il Sole 24 Ore lunedì 9 Giugno 2025 di Matteo Balzanelli e Massimo Sirri

Mancano pochi giorni per l’attestazione dei requisiti e la prestazione della garanzia per coloro che già operano come rappresentanti fiscali. Dopodiché sarà concesso un extra-time di 60 giorni per evitare che la procedura di cessazione d’ufficio della partita Iva si concluda. Un’ulteriore garanzia dev’essere poi rilasciata dai soggetti extra Ue “rappresentati” che effettuino operazioni intracomunitarie.

L’obbligo dei rappresentanti

Il termine è fissato al 16 giugno (60 giorni dalla pubblicazione del provvedimento 186368/2025) per coloro che già operano in qualità di rappresentanti fiscali alla data del 17 aprile scorso, i quali devono presentare alla Direzione provinciale delle Entrate, competente in funzione del loro domicilio fiscale, la dichiarazione attestante il possesso dei requisiti soggettivi (quelli dei responsabili dei Caf) e, ove previsto, un’apposita garanzia.

In caso contrario, l’agenzia delle Entrate invierà tramite Pec o tramite raccomandata a/r comunicazione di avvio della procedura di cessazione d’ufficio delle partite Iva dei soggetti rappresentati. Tuttavia, la cessazione non sarà immediata. Il rappresentante avrà infatti a disposizione ulteriori 60 giorni entro cui fornire la dichiarazione e l’eventuale garanzia.

La prestazione di quest’ultima, della durata di almeno 48 mesi e con massimali crescenti in funzione del numero di soggetti rappresentati, non è infatti sempre dovuta. È richiesta a partire da due rappresentati. Nella sostanza, coloro che rappresentano un solo soggetto sono tenuti alla presentazione della dichiarazione di possesso dei requisiti ma non alla garanzia.

Per coloro che al 17 aprile scorso non gestivano alcun mandato, dichiarazione e garanzia vanno invece presentate contestualmente al modello di inizio/variazione ai fini Iva per la comunicazione dei dati del rappresentante fiscale, il quale diviene effettivamente operativo dalla comunicazione dell’esito dei controlli sulla garanzia da parte delle Entrate.

Extra Ue rappresentati

Non è finita qui. Infatti, la nomina di un rappresentante fiscale è l’unica via per l’assolvimento degli obblighi Iva per le operazioni in ambito intracomunitario da parte di un soggetto extra Ue di uno Stato non aderente allo Spazio economico Europeo (senza stabile organizzazione in Italia). In questi casi, per poter accedere/restare nel Vies, è necessario che il rappresentato presti una garanzia che potrebbe aggiungersi a quella del rappresentante, con un massimale minimo di 50mila euro e durata di almeno 36 mesi. Per i soggetti già inclusi nella banca dati Vies al 14 aprile scorso, la garanzia va prestata entro il 13 giugno, fermi restando ulteriori 60 giorni dalla comunicazione delle Entrate per provvedere ed evitare l’esclusione “forzata” dal Vies. Entrambe le garanzie non vanno rinnovate al termine del periodo iniziale.

La gestione dell’Iva

Attraverso la nomina del rappresentante fiscale – istituto alternativo all’identificazione diretta, azionabile dai soli soggetti Ue e dai residenti di Norvegia (risoluzione 44/E/2020) e Regno Unito (risoluzione 7/E/2021) – il soggetto non residente adempie gli obblighi ed esercita i diritti previsti dalla normativa Iva.

In particolare, mentre per le operazioni interne verso “privati” il soggetto non residente addebita in rivalsa l’imposta e la versa tramite la posizione Iva italiana del rappresentante, per quelle verso soggetti passivi nazionali trova applicazione il reverse charge (articolo 17, comma 2, Dpr 633/1972). In più occasioni è stato ribadito che, per le operazioni effettuate da soggetti non residenti (ancorché dotati di identificazione diretta o di rappresentante fiscale in Italia) rilevanti nel territorio dello Stato, l’imposta va assolta dal cessionario/committente soggetto passivo residente. Pertanto, la fattura deve sempre “provenire” dal soggetto estero (e non dalla sua posizione Iva italiana) e l’operatore residente emette autofattura (fornitore extra Ue) o effettua l’integrazione (fornitore Ue). L’eventuale documento emesso dalla partita Iva italiana è irrilevante ai fini dell’imposta (risoluzione 21/E/2015).

È stata confermata anche la possibilità di emettere una “fattura” tramite Sdi, sempre ai soli fini contabili, per necessità organizzative o anche solo per una migliore e più trasparente gestione dei rapporti tra le parti. In questa eventualità, il documento emesso dal soggetto estero con la partita Iva italiana deve recare – oltre all’indicazione che l’imposta afferente all’operazione sarà assolta dal cessionario ex articolo 17, comma 2, del decreto Iva – il codice natura “N2.2” (risposta 58/2024). Nell’ipotesi in cui sia erroneamente emessa fattura con Iva dalla posizione italiana, come risulta da una risposta delle Entrate fornita in occasione di Telefisco 2024, sembrerebbe comunque possibile detrarre l’imposta addebitata, ferma restando l’applicazione della sanzione fissa (da 250 a 10mila euro).

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Il traffico d’oro tra Italia e Svizzera: il nuovo boom di operazioni clandestine

8 Luglio 2025

Il Sole 24 Ore 21 Giugno 2025  di Stefano Elli

Tensioni e guerre spingono gli affari del mercato nero sul metallo giallo

Berna.  La sede dell’Ufficio Federale della Dogana e della Sicurezza dei Confini

Nascondeva l’oro rubato nell’increspata capigliatura rasta, certo che nessuno vi si sarebbe mai avventurato per perquisirla. “Prelevava” il metallo dall’azienda di raffinazione del mendrisiotto (Svizzera, Canton Ticino) in cui lavorava come frontaliere. Una volta varcato il confine, scioglieva le treccine, staccava le lamine d’oro e le posava sui banconi dei compro oro italiani. Andava avanti così da anni: due chili d’oro in totale. Mal contati 150mila euro.

L’ultimo viaggio del rasta lariano si è interrotto con l’intervento degli agenti del commissariato di Rho Pero che, durante un controllo in un compro oro locale, si sono imbattuti nell’uomo e hanno scoperto tutto. La vicenda del Rasta (quantomai pittoresca) si inserisce in un contesto generale che vede i traffici di oro tra l’Italia e la Svizzera, leciti o meno, intensificarsi anno dopo anno.

È ancora in pieno svolgimento l’inchiesta, partita dai Nuclei di Polizia economico finanziaria della Gdf di Torino e di Como, in seguito “doppiata” dall’Ufficio Federale della Dogana e della Sicurezza dei Confini Svizzero, su un giro di contrabbando d’oro che in un quinquennio ha portato all’esportazione clandestina di 7 tonnellate d’oro. Un solo cittadino italiano risulta indagato dalle autorità svizzere, ma la rete di spalloni operativa sia sul confine del Verbano sia dei valichi comaschi era assai più vasta e articolata. Le cronache ticinesi (e comasche) sono sempre ricche di storie e e di casi che vedono al centro giri di spalloni e di autovetture modificate da carrozzerie specializzate nel creare vani clandestini atti a occultarvi lamine, lingotti e altra oggettistica di valore. Noto il caso di tre pensionati della provincia di Como di età variabile tra i 76 e i 79 anni pizzicati dalla Guardia di Finanza locale: avevano fondato una fiorente attività di esportazione clandestina di oro e preziosi che andava avanti da anni. Esito: sequestro di 14 lingotti, oltre 150 monete d’oro, denaro contante e un’ottantina di lamine d’oro per un controvalore di centinaia di migliaia di euro.

E ancora sull’oro (questa volta solo millantato) era basata una truffa messa in scena dalla Swiss Gold Treuhand quantificata in 84 milioni di franchi svizzeri (800 le vittime svizzere, tedesche ed austriache): i procacciatori facevano credere alle vittime di investire in oro grezzo proveniente dal Mali che sarebbe stato fuso in due raffinerie del Ticino con sedi a Bedano e a Rancate. Tutto falso. La promessa iniziale era di rendimenti minimi del 5% annuo. Uno scherzo rispetto ai valori attuali raggiunti dal metallo giallo. Ora sulla vicenda sta indagando il procuratore pubblico di Lugano.

Tutto questo accade in un fase paradossale in cui all’euforia per il nuovo che avanza (valute digitali, criptoasset, blockchain, Non fungible token), fa da contrappunto la riscoperta del caro vecchio lingotto: come in un recupero di concretezza e solidità, anche psicologica. A questo si aggiungano la situazione geopolitica e le escalation militari in Europa e in Medio Oriente che stanno provocando una crescita del valore di scambio del metallo giallo tanto che recenti stime di Goldman Sachs parlano di un’oncia a 4mila dollari nel 2026. Un crescendo di operatività notato anche dall’Unità di informazione finanziaria, branch anti riciclaggio di Banca d’Italia, che nell’ultimo rapporto presentato dal direttore Enzo Serata ha quantificato le operazioni in oro dichiarate dagli operatori del settore in 557,9 tonnellate. L’anno precedente erano state 467,5. E viene da chiedersi a quanto ammontino quelle che non sono state dichiarate affatto.

 

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Transfer pricing e controlli: le aree nel mirino del Fisco

8 Luglio 2025

Il Sole 24 Ore lunedì 30 Giugno 2025 di Walter Di Rosa e Roberto Monasterolo

Nell’ambito delle verifiche fiscali sui rapporti infragruppo, è possibile osservare un crescente interesse da parte dell’amministrazione finanziaria verso le operazioni di ristrutturazione aziendale (business restructuring), le transazioni finanziarie e la remunerazione dei beni immateriali (intellectual property, IP), nonché un rilevante aumento degli accertamenti in materia di beneficiario effettivo, oltre al sempre attuale tema della deducibilità dei costi per servizi infragruppo. Queste nuove aree di interesse si sono di recente aggiunte alle “classiche” valutazioni operate dall’amministrazione finanziaria in riferimento alle società in perdita, all’analisi della congruità del profitto e all’idoneità delle società comparabili.

Business restructuring

Nel campo delle business restructuring, una delle aree di maggiore attenzione nei controlli fiscali è la misura (o l’eventuale assenza) di compensazione per la società “ristrutturata” italiana (si vedano le Linee guida Ocse in materia di transfer pricing, capitolo IX). Le casistiche critiche si riferiscono al trasferimento di funzioni e/o rischi presso altre società del gruppo; alla perdita di profitto potenziale o alla rinuncia a opportunità di business a favore di altre parti correlate; al sostenimento di costi di ristrutturazione in capo alla società italiana non riaddebitati alle controparti estere; al trasferimento di beni immateriali, quali la lista clienti o i contratti infragruppo, tra gli altri. È proprio in tali fattispecie che il Fisco tende a contestare il mancato pagamento dell’indennizzo e/o la congruità di quanto eventualmente riconosciuto.

Accordi di finanziamento

Le operazioni finanziarie infragruppo costituiscono un altro nodo critico. Sempre più spesso, sotto esame dell’amministrazione vi sono le condizioni degli accordi di finanziamento e cash pooling, dove una frequente attività di controllo si concentra sulla verifica della natura arm’s length dei tassi di interesse.

Si insinua, al contempo, una particolare attenzione per la prevalenza della sostanza economica sulla struttura formale. Critici gli schemi in cui la società italiana è l’entità beneficiaria del finanziamento e presenta un rapporto debt/equity non conforme al principio di libera concorrenza, risultando sottocapitalizzata. In presenza di tali strutture, si assiste, sempre più di frequente, alla riclassificazione del prestito in conferimento di capitale, con le conseguenti implicazioni fiscali in termini di indeducibilità degli interessi passivi.

Attenzione crescente è inoltre rivolta agli accordi di cash pooling, ampiamente diffusi per gestire in modo centralizzato la liquidità nei gruppi multinazionali. Se i saldi dei conti di cash pooling rimangono invariati nel tempo (con costanti posizione creditorie, ad esempio) o vengono utilizzati per esigenze diverse dalla gestione della liquidità a breve termine, il Fisco tende a riclassificare tali rapporti in prestiti infragruppo a lungo termine, con conseguente applicazione di tassi di interesse più elevati, come usuale per tali tipologie di finanziamenti.

Royalty sui marchi

Sulle licenze infragruppo di IP sono in progressivo aumento i rilievi per la mancata applicazione di royalty sui marchi licenziati da società italiane, anche in contesti di business in cui il valore percepito dell’intellectual property è ridotto, se non nullo. È il caso, ad esempio, di società operanti nel B2B o in particolari settori (come quelle degli intermedi chimici), che cedono i prodotti su cui è applicato il marchio e di cui sono titolari, a consociate estere. In tali fattispecie, a dispetto della scarsa rilevanza economica del valore del marchio, avviene non di rado che il Fisco ritenga dovuta una remunerazione.

Nel mirino anche l’analisi delle funzioni Dempe (acronimo di “Development, enhancement, maintenance, protection and exploitation”), per individuare le entità del gruppo che effettivamente contribuiscono a determinare il valore economico dell’IP, in casi ad esempio come il pagamento di royalty verso consociate estere, titolari giuridiche dell’IP, o in cui la società italiana opera come prestatore di servizi di ricerca e sviluppo (R&S) a beneficio della consociata estera titolare dell’IP, ponendo la necessità di effettuare un’attenta analisi fattuale di ciascuna fattispecie.

Il beneficiario effettivo

Parimenti, analoga prova rigorosa viene richiesta dall’amministrazione finanziaria in riferimento alla qualifica di beneficiario effettivo, inteso come il soggetto che, nell’ambito della corresponsione di flussi reddituali transfrontalieri (dividendi, interessi e royalties), dispone non solo della titolarità formale ma anche di un autonomo potere dispositivo e di un effettivo reale godimento in relazione ai redditi interessati, in quanto non vincolato da obblighi legali o contrattuali di ritrasferimento dei flussi reddituali a terzi soggetti.

La verifica della condizione di beneficiario effettivo viene condotta attraverso un approccio sostanziale e non meramente formale, volto a fornire piena prova in merito ai requisiti individuati dalla recente giurisprudenza di legittimità: substantive business activity testdominion test e business purpose test.

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