Categoria: In primo piano
Il non iscritto Aire e la prova di residenza fiscale all’estero
10 Giugno 2025
l Sole 24 Ore di Emanuele Mugnaini
In caso di contestazione, da parte dell’agenzia delle Entrate, riguardante l’effettiva residenza fiscale estera di una persona fisica, non iscritta all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), l’Agenzia stessa è legittimata a chiedere l’esibizione del permesso di soggiorno nel Paese estero, dopo essere venuta già in possesso del certificato di residenza fiscale rilasciato dalle autorità fiscali di quel Paese?
Il certificato di residenza fiscale estera è un documento fondamentale per attestare la residenza fiscale di un contribuente in un Paese estero, consentendo l’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia.
Tuttavia, la sola presentazione di tale certificato potrebbe non essere sufficiente per determinare in modo definitivo la residenza fiscale alla luce delle convenzioni.
L’amministrazione finanziaria può chiedere ulteriori documenti o informazioni (ad esempio, il permesso di soggiorno nel Paese estero), per verificare l’effettività della residenza fiscale dichiarata. Questo avviene soprattutto in assenza di iscrizione all’Aire, poiché tale iscrizione è un elemento che contribuisce a comprovare il trasferimento della residenza fuori dall’Italia.
In conclusione, sebbene il certificato di residenza fiscale estera sia un elemento probatorio rilevante, l’agenzia delle Entrate – in sede istruttoria, secondo l’articolo 32 del Dpr 600/1973 – può chiedere l’esibizione del permesso di soggiorno nel Paese estero, e questo per accertare l’effettività della residenza fiscale dichiarata, in conformità con le disposizioni delle convenzioni contro le doppie imposizioni e con la normativa fiscale italiana.
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Quadro RW sempre da compilare anche senza tassazione in Italia
10 Giugno 2025
Il Sole 24 Ore 15 Maggio 2025 di Enrico Holzmiller
Le persone fisiche residenti in Italia devono indicare nel quadro RW della dichiarazione dei redditi gli investimenti all’estero, le attività estere di natura finanziaria e le criptoattività (Dl 167/90, articolo 4, comma 1). Se il concetto in teoria è chiaro, l’applicazione è spesso oggetto di criticità nell’interpretazione di cosa e come debba essere, in concreto, dichiarato fiscalmente. Al riguardo, due recenti sentenze di merito hanno affrontato aspetti del quadro RW meritevoli di attenzione, fornendo un’interpretazione da tenere in considerazione.
I giudici della Cgt di primo grado di Rimini, con la sentenza 63/2025 (presidente De Cono, relatore Gasperi) sono stati chiamati a decidere su un asserita non tassabilità di redditi in Italia e correlato obbligo dichiarativo. Il caso in questione vede un contribuente Italiano, persona fisica, che non ha compilato il quadro RW, a fronte di finanziamenti considerati iuris tantum fruttiferi (senza che il contribuente avesse fornito prova contraria) a favore di società da egli partecipate aventi sede in Francia e Usa. La giustificazione del ricorrente, circa la mancata compilazione del quadro RW, si basa sulla mancata tassabilità dei redditi derivanti dagli investimenti in questione in virtù delle convenzioni bilaterali Italia/Francia e Italia/Usa, secondo le quali gli interessi maturati su crediti da finanziamento soci risulterebbero tassati solo nei Paesi sedi delle due società.
I giudici arrivano ad una conclusione contraria: il contribuente era comunque tenuto alla compilazione del quadro RW. In linea di principio, infatti, tutti i proventi esteri attribuibili sarebbero attratti fiscalmente in Italia, secondo il principio del world wide taxation ex articolo 3, comma 1, del Tuir. Ove anche, in ipotesi, le convenzioni bilaterali consentano la tassazione nei Paesi esteri, il quadro RW va compilato ai fini del monitoraggio fiscale. Inoltre – conclude la Corte – il ricorrente avrebbe dovuto comunque inserire nella propria dichiarazione tali proventi, evidenziando il vantato credito fiscale ex articolo 165 del Tuir, ove maturato.
Il quadro RW è spesso foriero di complessità compilative: su tale aspetto è intervenuta la Cgt di Cremona con la sentenza n. 36/2025 (presidente Vacchiano, relatore Grimaldi). Nel caso esaminato, la ricorrente (persona fisica italiana) avente un conto corrente cointestato all’estero, aveva indicato nel rigo RW1 (modello redditi Pf 2018), la giacenza media «pro-quota». L’agenzia delle Entrate, richiamando le circolari n. 45/E/2010 e 38/E/2013 contestava la modalità e l’ammontare dichiarato, precisando che, in caso di attività finanziarie in comunione o cointestate, l’obbligo di compilazione del quadro RW deve ritenersi gravante su ciascun soggetto intestatario con riferimento all’intero valore delle attività e con l’indicazione della percentuale di possesso. Per l’effetto, l’Ufficio aveva eccepito l’infedele dichiarazione del quadro RW.
I giudici rilevano innanzi tutto una contraddizione tra le due circolari richiamate dalle Entrate, sottolineando come la 45/E/2010 sembri fare riferimento a un’indicazione «pro-quota», differentemente dal tenore della 38/E/2013, che esplicita l’indicazione dell’intero valore. Ci sono quindi i presupposti, secondo la Corte, per richiamare le obiettive condizioni di incertezza rilevanti in base all’articolo 6, comma 2, del Dlgs 472/1997 avuto riguardo alle indicazioni, contraddittorie, nella prassi sopra richiamata.
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Decreto Delegato 20 Maggio 2025 nr 75 – Aggiornamento dei coefficienti di trasformazione e rivalutazione per i trattamenti pensionistici a regime contributivo
10 Giugno 2025
Il Decreto Delegato nr 75, che abroga il precedente D.D. nr 140/2024, ha aggiornato i coefficienti di trasformazione e rivalutazione per i trattamenti pensionistici a regime contributivo della Repubblica di San Marino.
Viene allegata una tabella che sarà aggiornata con cadenza biennale, in ottemperanza all’articolo 6, comma 1 della Legge del 5 ottobre 2011 numero 158, su proposta del Comitato Esecutivo dell’Istituto Sicurezza Sociale.
Coefficienti I Pilastro
Età Divisore Coefficiente
57 24,2822 4,1182%
58 23,6993 4,2195%
59 23,1094 4,3272%
60 22,5167 4,4412%
61 21,9091 4,5643%
62 21,2965 4,6956%
63 20,6826 4,8350%
64 20,0596 4,9851%
65 19,4377 5,1446%
66 18,8096 5,3164%
67 18,1802 5,5005%
68 17,5487 5,6984%
69 16,9105 5,9135%
70 16,2675 6,1472%
71 15,6289 6,3984%
72 14,9676 6,6811%
73 14,3043 6,9909%
74 13,6378 7,3326%
75 12,9724 7,7087%
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Regolamento 30 maggio 2025 nr 6 – Regolamento per l’esternalizzazione delle funzioni legate alla tenuta e all’aggiornamento del Registro delle Imprese
10 Giugno 2025
E’ entrato a regime il Regolamento nr 6 del 30 Maggio 2025 che dal 1 giugno 2025, affida:
- all’ Agenzia per lo Sviluppo Economico- Camera di Commercio (ASE-CC) la gestione del Registro delle Imprese con relativo aggiornamento, tenuta dei dati e rilascio delle relative certificazioni
- all’ Ufficio Attività Economiche (UAE) il Registro delle Società con relativo rilascio delle certificazioni di vigenza, la gestione delle pratiche relative agli incentivi, le istanze al Congresso di Stato e quelle per la concessione delle Residenze Economiche. L’Ufficio Attività Economiche continua la sua attività in materia di vigilanza, controllo e ispezione nei confronti delle attività economiche nel territorio sammarinese.
Dal punto di vista operativo, non vi sono modifiche procedurali e le pratiche continueranno ad essere gestite con il sistema operativo OPEC ma se si necessitano maggiori informazioni e per ricevere assistenza tecnica è possibile utilizzare i recapiti indicati dalla Circolare dell’UAE del 28 Maggio 2025 qui di seguito allegata.
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Legge nr 64 del 28 Aprile 2025 – Interventi straordinari per emergenza casa
10 Maggio 2025
La Legge 64/2025 prevede interventi urgenti per l’“emergenza abitativa” volti ad incrementare l’offerta di abitazioni disponibili per garantire a tutti il diritto alla casa, con particolare riguardo alle fasce più vulnerabili.
In sintesi:
- è stato introdotta la formula della coabitazione intergenerazionale CIT, la regolamentazione degli affitti brevi (DML) e l’introduzione dell’affitto con riscatto (Rete)
- il mutuo prima casa è stato reso più accessibile: è stato aumentato il contributo dello Stato in conto interessi per il mutuo prima casa
- le coppie si possono ora cointestare l’immobile con più facilità, e sono previste garanzie anche per i single. Viene reintrodotta la garanzia dello Stato sul mutuo prima casa per i giovani under 45 con un reddito pro capite inferiore a 18.000 euro annui (circa 2.300 euro netti mensili) ed è previsto anche un tetto massimo allo spread applicabile dalle banche convenzionate: Euribor + 2%.
- bonus ristrutturazione intelligente per chi ristruttura o migliora energeticamente il proprio immobile. Il contributo in conto interessi è modulato in base al reddito: più basso è il reddito, più alto il beneficio. Il bonus è vincolato all’utilizzo o all’affitto dell’immobile, per combattere il degrado e lo spreco abitativo.
- è prevista la creazione di una banca dati degli immobili sfitti, utile per sviluppare future politiche mirate e interventi sul patrimonio abitativo inutilizzato.
- vengono previsti nuovi parametri per poter ottenere la residenza atipica da parte dei pensionati (un reddito annuale dimostrabile non inferiore ad euro 120.000,00 lordi annui e un patrimonio mobiliare, detenuto nel sistema bancario sammarinese, dimostrabile per tutta la durata della residenza, non inferiore ad euro 300.000,00)
Si segnalano inoltre i due articoli di interesse fiscale (art. 10 e art. 11) riguardanti rispettivamente la determinazione dei redditi da fabbricati e l’imputazione dei redditi relativa all’effettiva percezione del canone di locazione.
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Decreti Delegati nr 53 e 54 del 10 Aprile 2025 – Aggiornamento canone di locazione degli Immobili adibiti ad uso abitativo o destinati ad attività professionali, imprenditoriali e sociali
10 Maggio 2025
In merito alla rivalutazione dei canoni di locazione per l’anno 2025
- non sono oggetto di rivalutazione i canoni di locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo
- sono oggetto di rivalutazione dello 0,5% i canoni di locazione degli immobili destinati ad attività professionali, imprenditoriali e sociali
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Antiriciclaggio Usa: sospeso il registro dei titolari effettivi
10 Maggio 2025
Il Sole 24 Ore 8 Aprile 2025 di Antonio Martino Ernesto Carile
Deregulation. Dopo un solo anno dall’entrata in vigore, il Corporate transparency act non si applicherà più alle società statunitensi
Una marcia indietro che cambia lo scenario della trasparenza societaria negli Stati Uniti. Il 21 marzo scorso il Financial Crimes enforcement network (FinCEN) ha annunciato la rimozione dell’obbligo, introdotto poco più di un anno fa, di comunicare al registro centrale i dati sui beneficiari effettivi delle società statunitensi. La misura, che sospende di fatto l’applicazione del Corporate transparency act per i soggetti americani, è coerente con la nuova linea politica dell’amministrazione Trump, ispirata a una profonda revisione del sistema antiriciclaggio.
«Troppa burocrazia per le Pmi»
Il dipartimento del Tesoro, con un comunicato firmato dal segretario Scott Bessent, ha motivato la decisione come un intervento a tutela delle piccole e medie imprese, ritenute eccessivamente gravate da obblighi formali. Ma la lettura più ampia collega la scelta direttamente al Project 2025: The conservative promise, il manifesto programmatico elaborato dalla Heritage foundation, uno dei think tank conservatori più influenti di Washington.
Nel documento – che supera le 900 pagine e ha ispirato molte delle prime misure del nuovo esecutivo – viene delineata una riforma radicale delle istituzioni federali e una strategia di deregulation estesa, con particolare enfasi sulla revisione del sistema antiriciclaggio. In tale ottica, l’abolizione degli obblighi di trasparenza per i beneficiari effettivi rappresenta un passaggio chiave.
Gli Usa «sistema non conforme»
L’istituzione del registro centrale dei titolari effettivi era stata introdotta nel 2024 in risposta alle pressioni del Financial action task force (Fatf), che già nel 2016 aveva criticato duramente il sistema statunitense, giudicato «non conforme» rispetto agli standard internazionali in materia di trasparenza societaria. Il Cta (Corporate transparency act) aveva colmato una storica lacuna del sistema americano, imponendo per la prima volta obblighi stringenti di comunicazione alle società domestiche ed estere.
Ma la nuova norma in consultazione da parte del FinCEN prevede che solo le entità estere registrate per operare negli Usa siano soggette all’obbligo di comunicazione dei titolari effettivi. Le società costituite negli Stati Uniti – e i loro beneficiari, anche se cittadini stranieri – ne sarebbero esentate. Un ritorno, in sostanza, all’opacità del passato.
Se da un lato il provvedimento è presentato come un gesto a favore della competitività e della semplificazione per le imprese americane, dall’altro rischia di compromettere l’efficacia del sistema di prevenzione dei reati finanziari, proprio nel momento in cui a livello globale si rafforza l’azione per contrastare i flussi illeciti e le strutture societarie schermate.
Il Project 2025 di Heritage foundation
Il messaggio che arriva da Washington è chiaro: meno vincoli, più autonomia. E il Project 2025, pubblicato dalla Heritage foundation in vista delle elezioni presidenziali e già riferimento politico della nuova amministrazione, contiene indicazioni molto esplicite sulla necessità di “riformare” – ovvero ridurre – le funzioni del FinCEN e l’impianto normativo dell’Aml statunitense. Proprio nel paragrafo dedicato al Tesoro si auspica la rimozione degli obblighi di trasparenza e una profonda revisione dei poteri dell’autorità di contrasto ai flussi illeciti.
La decisione statunitense è destinata a creare frizioni anche con l’Unione europea, che con la nuova direttiva Aml sta rafforzando l’architettura antiriciclaggio continentale, prevedendo un registro centralizzato europeo e obblighi stringenti per le imprese. Il rischio è quello di un disallineamento normativo tra i due blocchi, con ricadute sui meccanismi di cooperazione e sulle procedure di due diligence per gli operatori transatlantici.
In attesa dell’entrata in vigore della norma definitiva, prevista entro fine anno, appare chiaro che gli Stati Uniti si stanno allontanando da un sistema multilaterale di lotta al crimine economico.
Una scelta che, pur nel nome della semplificazione, potrebbe riaprire spazi a opacità e arbitraggi regolatori, in un contesto globale che richiederebbe, al contrario, più coordinamento e trasparenza.
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Assegni per conto altrui, paga chi firma se manca l’indicazione della delega
10 Maggio 2025
Il Sole 24 Ore lunedì 28 Aprile 2025 di Antonino Porracciolo
Il delegato alla firma di un assegno bancario risponde in proprio se al momento della sottoscrizione non aggiunge la dicitura «nella qualità», e dunque non può liberarsi dall’obbligazione cartolare prospettando di aver agito in forza di una delega che gli aveva conferito il potere di emettere il titolo.
Lo afferma la Corte di cassazione nella sentenza 8426/2025 pubblicata lo scorso 31 marzo.
La vicenda giudiziaria prende le mosse dall’opposizione a un precetto del maggio 2002, con il quale il prenditore di diversi assegni bancari aveva intimato il pagamento dei relativi importi sia alla società titolare del conto corrente, sia alla persona che aveva sottoscritto quei titoli. L’opposizione era stata proposta dal sottoscrittore, che aveva affermato che la pretesa creditoria avrebbe potuto essere avanzata solo nei confronti della società titolare del conto corrente, risultato peraltro incapiente, ma non poteva essere diretto nei suoi confronti perché semplice delegato della società.
Il Tribunale aveva accolto l’opposizione, ma la Corte d’appello aveva ribaltato la decisione, ritenendo che la mancanza del timbro della società o comunque dell’inciso «quale delegato» (o «nella qualità» o similari) comportasse l’obbligo di pagamento della persona fisica firmataria degli assegni.
Gli eredi del traente hanno quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo che era incorso in errore il giudice di secondo grado nel ritenere che l’articolo 14 della legge assegni (regio decreto 1736/1933) imponesse al loro dante causa, per andare esente da responsabilità, di specificare di agire in forza di delega. Inoltre, hanno dedotto che lo stesso articolo 14 non richiede che la spendita del nome avvenga mediante una formale dichiarazione di agire in nome e per conto di un terzo, e comunque che la delega all’emissione di assegni in nome altrui non presuppone l’esistenza di un atto scritto o di una procura a favore del delegato.
Nel respingere il ricorso, il giudice di legittimità ricorda che l’essenza dei titoli astratti, qual è l’assegno bancario, sta nel fatto che essi non recano alcuna menzione della causa che ha dato luogo alla loro emissione; aggiunge che il diritto incorporato nel titolo di credito si trasferisce secondo le regole sulla circolazione dei beni mobili, sicché la proprietà del titolo si può acquistare anche a titolo originario in forza del possesso di buona fede, secondo la regola generale dell’articolo 1153 del Codice civile.
Da ciò discendono due (tra loro connesse) conseguenze in tema di assegni bancari tratti da conto corrente intestato a società e risultato sprovvisto di fondi.
La prima: il prenditore ha facoltà di agire esecutivamente in danno del traente che abbia apposto in calce agli assegni la sua personale sottoscrizione, a meno che dal titolo risulti che il firmatario abbia «espressamente e univocamente dichiarato di agire in nome e per conto della società correntista».
La seconda: il sottoscrittore dell’assegno che non abbia agito in nome e per conto del correntista spendendo esplicitamente il nome di quest’ultimo «è cartolarmente obbligato e non può liberarsi né allegando i rapporti causali sottostanti, né prospettando di aver agito in forza di una delega che gli aveva conferito il potere di emettere il titolo nell’interesse del terzo».
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Fisco. Italia appetibile per i ricchi e per l’arte
10 Maggio 2025
Il Sole 24 Ore 5 Aprile 2025 di Marilena Pirrelli
La flat tax attrae i miliardari stranieri, sono collezionisti che amano il bello
Perché ora l’Italia dovrebbe modificare il suo sistema normativo e fiscale legato all’arte? Perché si è a un momento di non ritorno? Il BelPaese e, in particolare, Milano è diventata una destinazione privilegiata per i migranti di lusso grazie alla flat tax sul reddito introdotta nel 2017, che prevede una tassa forfettaria annuale sui redditi esteri per i nuovi residenti, all’inizio fissata a 100mila euro e nel 2024 raddoppiata a 200mila.
Briciole per i ricchi miliardari stranieri in fuga da Londra dopo l’abolizione del regime fiscale dei «non-domiciliati», che permetteva di non pagare tasse britanniche sui redditi esteri. Il governo laburista ha poi posto termine anche all’uso di trust off hore per evitare di pagare la tassa britannica sulle successioni, pari al 40%. Insomma per i miliardari stranieri è la fine del paradiso fiscale britannico.
È aperta la caccia a paesi fiscalmente vantaggiosi. Il magnate indiano dell’acciaio Lakshmi Mittal, potrebbe trasferirsi in Italia, in competizione con destinazioni come Emirati Arabi Uniti e Svizzera. Il nostro Paese si stima abbia già attratto 4.500 Hnwi: è sotto gli occhi di tutti la domanda di immobili di lusso e l’impatto sui prezzi, con effetto domino sino alla periferia a Milano. Questi ricchi signori spessissimo amano l’arte e ne collezionano e sarebbero disposti a trasferire in Italia le loro collezioni. Anche il grande collezionista Bernard Arnault, presidente e ceo di Lvmh, ha acquisito la storica Casa degli Atellani a Milano in Corso Magenta e potrebbe, secondo i ben informati, trasferire qui residenza e domicilio fiscale. Anche la sua collezione? Chissà.
Non a caso diverse gallerie straniere hanno fiutato l’aria e stanno aprendo a Milano, dov’è in corso Miart con l’Iva sulle transazioni al 22% e al 10% sull’import. E se da queste pagine abbiamo sempre sostenuto che l’Iva ridotta sull’arte è una richiesta sacrosanta perché l’arte è un prodotto culturale (i libri hanno l’Iva al 4%), è bene anche non nascondere le evidenze: la flat tax, la nuova politica britannica e l’esercizio della Delega di rimodulazione dell’Iva (dall’ordinaria alla ridotta) che scade ad agosto. Ecco la necessità di rendere subito la circolazione dell’arte più libera in Italia – ne entrerebbe tanta – e di ridurre l’Iva sugli scambi (si chiede il 5%) per essere più competitivi in Europa – la Francia l’ha ridotta al 5,5% e la Germania al 7% – promuovendo valore e volumi delle transazioni e di riflesso del gettito. Il Ministro della Cultura Alessandro Giuli ha dichiarato la scorsa settimana che la riforma si farà, ci sono le copertura e la convergenza con il Mef. La maggioranza al suo interno pare compatta. Si sta cercando il veicolo dove inserire la riforma, sperando sia ampia. Gli operatori del mercato dell’arte sono fiduciosi. Se il governo ha deciso di rendere l’Italia appetibile fiscalmente ai ricchi perché non renderla tale anche per l’arte. Coerenza lo richiederebbe, questo sì che porterebbe lavoro e risorse al sistema dell’arte, artisti e musei compresi.
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Prestazione di servizi, il pagamento determina il termine per versare l’Iva
10 Maggio 2025
Il Sole 24 Ore 25 Aprile 2025 di Anna Abagnale e Benedetto Santacroce
Nelle prestazioni di servizi, il pagamento del corrispettivo non identifica il fatto generatore dell’Iva, che si è già verificato al momento dell’esecuzione, ma determina l’esigibilità dell’imposta, ovvero il termine ultimo entro il quale l’Iva va pagata all’erario e occorre fatturare. Se l’Amministrazione finanziaria contesta al prestatore l’omessa fatturazione dei servizi in questione deve anche provare che il pagamento, pure per equivalente, è avvenuto oppure che il contribuente ha l’intenzione di evadere l’imposta.
Con la sentenza n. 10693 di ieri la Cassazione pone un ulteriore tassello all’interpretazione dell’articolo 6, comma 3, del decreto Iva sulla dicotomia fatto generatore-esigibilità dell’imposta in riferimento ai servizi. La norma secondo cui «le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo» aveva posto un problema di compatibilità con la disciplina unionale che, identificando il fatto generatore dell’imposta con l’esecuzione della prestazione, consente agli Stati membri di stabilire che l’imposta diventi esigibile con l’incasso del corrispettivo. L’interpretazione della giurisprudenza unionale e interna ha fatto salva la norma interna, intendendo la stessa con esclusivo riferimento all’esigibilità dell’imposta, in quanto ove la norma si riferisse al fatto generatore dovrebbe considerarsi incompatibile con il diritto UE (Corte UE, sentenza C-144/94 e Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 8059/16).
In altre parole, sul piano Iva esistono due momenti: i) il fatto generatore dell’imposta (che determina l’imponibilità dell’operazione che è indice di capacità contributiva) da cui scaturisce l’obbligazione tributaria e gli altri obblighi, compreso quello di fatturazione, a essa collegati; ii) l’esigibilità, da intendersi come momento ultimo in cui l’erario ha diritto a riscuotere l’imposta (estremo limite temporale per l’adempimento). Se, in teoria, questi due momenti dovrebbero coincidere, nella pratica, in riferimento alle prestazioni di servizi, il fatto generatore dell’imposta sorge con l’esecuzione della prestazione anche se il versamento dell’imposta, nonché la fatturazione, è possibile fino al pagamento del corrispettivo.
Ma quali effetti sull’obbligo di versamento dell’Iva può avere il mancato pagamento? In questo caso – ed è forse questo il punto che richiede maggiore attenzione della sentenza – se il Fisco non dà prova, anche solo sulla base di elementi presuntivi, che il pagamento in realtà è stato compiuto, anche per equivalente, oppure che esiste un intento del contribuente di sottrarsi all’adempimento dell’obbligo di fatturare e di assolvere l’Iva, non può contestarsi l’omessa fatturazione. Il fatto che dalla contabilità emergano prestazioni di servizi, dapprima in un conto «fatture da emettere» e poi in un conto relativo a crediti da riscuotere, non è un elemento sufficiente per riscuotere l’Iva non versata mancando l’incasso del corrispettivo.