Categoria: In primo piano
Sequestrabili i beni messi nel trust familiare
10 Marzo 2017
Il Sole 24 Ore 21 Febbraio 2017 di Giovanni Negri
Frode. L’ammissibilità
Milano
La costituzione di un trust familiare può rappresentare una soluzione per blindare un patrimonio in frode ai creditori. Torna a sottolinearlo la Corte di cassazione con la sentenza n. 8041 della Quinta sezione penale depositata ieri. La pronuncia ha confermato il provvedimento di sequestro di una serie di immobili intestati a un trust (amministrato da un imputato per bancarotta preferenziale e dalla moglie).
La Cassazione ha sottolineato che l’utilizzo di uno strumento giuridico certamente lecito come il trust non può certo giustificare finalità di frode ai creditori sottraendo una quota dei beni del patrimonio. L’indagine va fatta sul campo da parte dell’autorità giudiziaria, indagine tanto più necessaria visto che si tratta delle modalità di utilizzo di uno strumento giuridico estraneo alla nostra tradizione.
E allora ci sono alcuni elementi da tenere presente in un’ottica sostanziale. È il caso delle conseguenze pratiche per cui, in seguito alla costituzione del trust familiare, i beni dell’indagato sono comunque rimasti nell’ambito familiare, con una disponibilità di fatto alla quale non può essere d’ostacolo una segregazione solo formale. L’effetto giuridico poi vede il trust essere classificato tra i negozi fiduciari con un’evidente assimilazione, ricorda la sentenza, con l’interposizone reale, rispetto alla quale è incontestabile l’ammissibilità del sequestro.
Per la Cassazione in ogni caso a testimonianza della limitata disponibilità dei beni da parte del trustee c’è la possibilità di contestare l’appropriaizone indebita quando non sono rispettate nella destinazione dei beni le indicazioni fatte proprie nel negozio fiduciario.
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DECRETO DELEGATO 18 gennaio 2017 n.7
8 Febbraio 2017
PROROGA INCENTIVI PER L’AUTOIMPRENDITORIALITÀ
Articolo Unico
1. Le disposizioni del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n.95 “Incentivi per l’autoimprenditorialità”, già prorogate con Decreto Delegato 22 luglio 2014 n.110 e con Decreto Delegato 21 luglio 2015 n.108, sono prorogate a tempo indeterminato.
2. Per tutta la durata dell’incentivo di cui al comma 1 è effettuata una costante verifica degli oneri economici derivanti dall’erogazione dell’Indennità Economica Speciale (I.E.S.) che, nel caso superino la soglia di euro 250.000,00 (duecentocinquantamila/00) per ogni esercizio finanziari0, sono, per l’eccedenza, a carico del cap. 1-3-2490 “Fondo di intervento” ai sensi dell’articolo 24 della Legge 18 febbraio 1998 n.30 ed eventualmente su specifico capitolo di spesa da istituirsi in sede di variazione al Bilancio di Previsione dello Stato.
3. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n.95 sono estesi anche ai percettori di indennità di disoccupazione di cui al Capo IV della Legge 31 marzo 2010 n.73 “Riforma degli ammortizzatori sociali e nuove misure economiche per l’occupazione e l’occupabilità”, con le modifiche indicate ai commi successivi.
4. L’articolo 2, comma 1, del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n.95 è così modificato:
“1. I beneficiari del trattamento economico previsto dalla Legge 31 marzo 2010 n.73 al Titolo II, Capo III “Indennità Economica Speciale per mobilità” e successive modifiche e del trattamento economico previsto al Titolo II Capo IV “Indennità di Disoccupazione” della medesima legge, che siano regolarmente iscritti alle liste di avviamento al lavoro di cui all’articolo 19 o 22 e beneficino del trattamento economico previsto dall’articolo 20 o 23 della stessa legge, ed anche alle liste previste dalla Legge 19 settembre 1989 n.95, possedendone i relativi requisiti di iscrizione, possono accedere agli incentivi per l’autoimprenditorialità previsti dal presente decreto delegato. Tali incentivi consistono nel pagamento delle somme dovute a titolo di ammortizzatore sociale in via anticipata rispetto alle scadenze previste dalla Legge n.73/2010 e successive modifiche con le modalità previste dai successivi articoli.”.
5. L’articolo 4, comma 1, del Decreto Delegato 24 luglio 2013 n.95 è così modificato:
“1. Dalla data di rilascio della licenza per i soggetti di cui al comma 1, lettere a) e d), del precedente articolo 3, e dalla data del rilascio del Codice Operatore Economico per i soggetti cui al comma 1, lettere b) e c), dello stesso articolo, sussiste il diritto a ricevere le somme residue dovute da parte dell’ISS prendendo a riferimento:
a) nel caso dell’Indennità Economica Speciale, un periodo pari ad un massimo di sei mesi dalla data di rilascio della licenza, superando la durata indicata al comma 2 o al comma 3 dell’articolo 20 della Legge n.73/2010;
b) nel caso dell’Indennità di Disoccupazione, un periodo pari ad un massimo di sei mesi dalla data di rilascio della licenza, superando la durata indicata al comma 1, lettera a) o b), dell’articolo 23 della Legge n.73/2010.
A seguito della prosecuzione dell’attività oltre i primi sei mesi, l’ISS provvede con successivo pagamento entro il settimo mese di attività al pagamento delle residue somme dovute a titolo di Indennità Economica Speciale (I.E.S.) o di Indennità di Disoccupazione fino al termine previsto. Le somme non possono superare l’ammontare complessivo dell’indennità dovuta.”.
6. Con apposito decreto delegato viene stabilita la decadenza delle disposizioni previste dal Decreto Delegato 24 luglio 2013 n.95 qualora se ne ritenga superata la necessità.
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Servizi intragruppo, costi deducibili con analisi «pesanti»
8 Febbraio 2017
Il Sole 24 Ore lunedì 23 Gennaio 2017 di Massimo Bellini
Reddito d’impresa. Passo indietro della Ctp Milano
I costi per servizi intra-gruppo devono essere supportati da adeguata documentazione, anche se le operazioni sono poste in essere tra soggetti italiani. Il principio è espresso dalla sentenza della Ctp di Milano 5575/21/2016 (presidente Natola, relatore Marcellini), che ritorna sul tema delle management fees.
La pronuncia trae origine da una contestazione in base all’articolo 109 del Tuir, in merito alla deducibilità dei costi per servizi di natura direzionale, legale e finanziaria riaddebitati da una società controllante alla propria controllata, entrambe residenti in Italia e aderenti al consolidato fiscale.
Secondo i giudici milanesi la pretesa dell’ufficio è legittima in quanto il contribuente non è stato in grado di dettagliare e documentare la natura e l’utilità dei servizi ricevuti. In particolare ai fini della deducibilità fiscale sarebbe stato necessario verificare e documentare i requisiti di certezza, inerenza e congruità.
Il contribuente deve produrre documentazione attestante l’effettività dei servizi resi e non solo la loro contabilizzazione, in base alle ordinarie regole di ripartizione dell’onere della prova.
Quanto all’inerenza, va dimostrato il collegamento fra i servizi e l’attività svolta. In altri termini si deve provare che il servizio fornito genera un vantaggio per la società fruitrice e non solo (o comunque non prevalentemente) per il gruppo.
In aggiunta per supportare la congruità vanno analizzati (quanto meno) i seguenti fattori:
inclusione o meno del corrispettivo del servizio nel prezzo dei beni ceduti;
effettiva utilizzazione del servizio;
effettiva incidenza del servizio sulla riduzione dei costi;
rapporto tra l’utile di esercizio, la riduzione dei costi (in relazione alla prestazione resa) e il corrispettivo pagato;
vantaggi conseguiti.
I principi della sentenza fanno un “passo indietro” rispetto a molte delle recenti pronunce in tema di management fees che hanno adottato approcci più sostanziali, focalizzati sulla tipologia dei servizi resi e sul loro inquadramento all’interno dell’azienda, piuttosto che sul mero aspetto documentale (si vedano, ad esempio, le sentenze di Cassazione 6320/16 e 10319/15, e la Ctr Lombardia 123/36/15).
Il “passo indietro” risulta ancora più evidente, considerando che si tratta di operazioni poste in essere tra società italiane. La Ctp, infatti, richiede la predisposizione di analisi articolate e complesse, soprattutto per quanto riguarda le quantificazioni della riduzione dei costi, dell’impatto sull’utile e della prova che non vi è “duplicazione” nel prezzo dei beni ceduti. Concetti, peraltro, che richiamano principi di transfer pricing, anche se non direttamente applicabili trattandosi di operazioni domestiche.
Infine, non rileva il fatto che entrambe le società erano in perdita ed aderivano al consolidato. Essendo distinto per società il presupposto d’imposta che deriva dai servizi, non si verificano le condizioni per la doppia imposizione (articolo 163 del Tuir).
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Società dormiente, distacco falso
8 Febbraio 2017
Il Sole 24 Ore 17 Gennaio 2017 di Cristina Petrucci e Stefano Taddei
Lavoratori stranieri. I casi esaminati dall’Ispettorato nazionale
Con la circolare 1/2017 l’Ispettorato nazionale del lavoro ha fornito indicazioni al personale ispettivo in materia di distacco transnazionale di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. La materia è stata riformata con il Dlgs 136/2016, emanato in attuazione della direttiva 2014/67/Ue ed entrato in vigore il 22 luglio 2016.
La circolare si sofferma sul campo di applicazione del Dlgs 136/2016, esteso anche alle agenzie di somministrazione di lavoro stabilite in un altro Stato membro che distaccano lavoratori presso un’impresa utilizzatrice avente la propria sede o unità produttiva in Italia, oltre che alle ipotesi di cabotaggio nel settore del trasporto su strada.
In particolare viene posta in evidenza la configurabilità delle ipotesi di distacco non autentico ogniqualvolta il datore di lavoro distaccante e/o il soggetto distaccatario pongano in essere distacchi fittizi per eludere la normativa nazionale in materia di condizioni di lavoro e sicurezza sociale che deve essere applicata al lavoratore distaccato.
A titolo esemplificativo, viene individuato un distacco fittizio ove l’impresa distaccante sia una società a sua volta fittizia, ossia che non eserciti alcuna attività economica nel Paese di origine, ovvero ove l’impresa distaccante non presti alcun servizio ma si limiti a fornire solo il personale in assenza della relativa autorizzazione all’attività di somministrazione, ovvero ancora ove il lavoratore distaccato al momento dell’assunzione da parte dell’impresa straniera distaccante già risieda e lavori abitualmente in Italia, mancando in tal caso l’elemento della transnazionalità.
La circolare precisa, infine, che la fattispecie di distacco non autentico può coincidere con le ipotesi di interposizione illecita individuate dal Dlgs 276/2003 (appalto, distacco e somministrazione illeciti/non genuini), ma non deve necessariamente identificarsi con queste ultime.
Da evidenziare che il distacco non autentico viene sanzionato dal legislatore con l’espressa previsione di una presunzione della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’utilizzatore.
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«RW» PER AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ ESTERE
8 Febbraio 2017
Il Sole 24 Ore 9 Gennaio 2017 di G.M.
L’ESPERTO RISPONDE (nr 76 – 369297)
Un soggetto, fiscalmente residente in Italia per i periodi d’imposta 2014 e 2015, avendo solo il compenso di amministratore di una società italiana, non ha presentato alcuna dichiarazione dei redditi. Però, dal 2014, egli ha assunto la carica di amministratore anche in una società svizzera con la delega sul conto svizzero della società, e con la possibilità di prelevare, e non soltanto di operare in nome e per conto della società stessa. Si ritiene, pertanto, che il soggetto residente dovesse presentare la dichiarazione per il solo quadro RW. È così? Per il 2015, presentando la dichiarazione per il solo quadro RW, con il ravvedimento operoso si potrebbe sanare la situazione. Ma per il 2014 si può adottare la stessa soluzione? Se sì, quale sanzione verrebbe applicata?
G.M.MILANO
Come specificato anche nelle istruzioni alla compilazione del quadro RW, «sono tenuti agli obblighi di monitoraggio non solo i titolari delle attività detenute all’estero, ma anche coloro che ne hanno la disponibilità o la possibilità di movimentazione», con l’ulteriore precisazione che «qualora un soggetto residente abbia la delega al prelievo su un conto corrente estero è tenuto alla compilazione del quadro RW, salvo che non si tratti di mera delega ad operare per conto dell’intestatario, come nel caso di amministratori di società». Su queste basi, parrebbe corretto che l’obbligo di compilazione del quadro RW non sussista nei casi in cui l’operatività sia strettamente correlata allo svolgimento del proprio incarico di amministratore, restando esclusa ogni altra ipotesi di detenzione “diretta” e per conto proprio della disponibilità sul conto corrente intestato alla società. Va tuttavia osservato che la circolare 27/E/2015, proprio con riferimento alla fattispecie riguardante gli amministratori di società di capitali, ha escluso l’obbligo di compilazione del quadro RW in ragione del fatto che il soggetto titolare effettivo delle attività estere, vale a dire la società, è un soggetto obbligato alla tenuta delle scritture contabili. Trattandosi, nel caso di specie, di una società estera, non è da escludere che l’amministrazione finanziaria limiti la portata di questo passaggio alle sole società italiane. Seguendo questo comportamento, ispirato a ragioni di maggiore prudenza, l’amministratore può fruire del ravvedimento per sanare sia il 2015, versando una sanzione fissa di 250 euro, ridotta di un decimo o un nono a seconda che si tratti di dichiarazione tardiva o infedele, sia il 2014 (a condizione che la dichiarazione non sia omessa), versando la sanzione proporzionale del 3% sull’ammontare della giacenza media del conto corrente, anch’essa opportunamente ridotta a un settimo per effetto del ravvedimento. Questa modalità di autoregolarizzazione pare finanziariamente più favorevole rispetto a quella, altrettanto percorribile ma che prevede minori “sconti” sugli anni più recenti, prevista dalla “voluntary disclosure bis”.
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Vantaggi fiscali anche per la holding «statica»
8 Febbraio 2017
Il Sole 24 Ore 03 Gennaio 2017 di Luca Miele
Cassazione. Riconosciuta a una società francese, ritenuta di comodo dai giudici di merito, la posizione di beneficiario effettivo
L’interpretazione della nozione convenzionale di “beneficiario effettivo” dei dividendi percepiti deve tenere conto della natura e delle funzioni svolte dalle holding statiche di partecipazione. La sentenza della Corte di cassazione n. 27113 del 28 dicembre 2016 rappresenta un significativo tassello nell’ambito del tema del beneficiario effettivo, spesso oggetto di controversie fiscali e tuttora in cerca di stabilità a livello legislativo.
Il caso è quello di una società francese che percepisce dividendi dalla propria controllata italiana fruendo dei benefici previsti dalla convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Francia. I benefici sono contestati in quanto la società francese non sarebbe l’effettiva beneficiaria dei dividendi poiché controllata da una società Usa; l’entità francese costituirebbe quindi una società di comodo avente l’unica funzione di fruire dei benefici fiscali e di trasferire gli utili all’effettivo beneficiario in Usa. In altre parole, la società francese non disporrebbe, giuridicamente ed economicamente, dei dividendi percepiti e la destinataria reale sarebbe la società Usa il cui ordinamento non prevede analoghi vantaggi fiscali.
I giudici di merito individuano nella società francese una mera “scatola”, espressione di abuso del diritto, creata al solo scopo di beneficiare di vantaggi fiscali, constatando l’assenza di una reale organizzazione della società francese, la presenza di ingenti partecipazioni azionarie e modesti crediti operativi, mancanza di dipendenti, assenza di fatturazione per servizi gestionali alla controllata italiana e assenza in Francia di una direzione effettiva intesa quale sede amministrativa di reale svolgimento di attività gestorie.
La Cassazione respinge tale ricostruzione in quanto, in caso di holding o sub-holding statiche, gli indici sopra indicati, normalmente riferiti alle società operative, possono non essere significativi. Ciò che deve rilevare è «la padronanza ed autonomia della società-madre percipiente sia nell’adozione delle decisioni di governo e indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattamento e impiego dei dividendi percepiti (in alternativa alla loro traslazione alla capogruppo sita in un Paese terzo)». Per le holding statiche, quindi, rileva il compito istituzionale di mero indirizzo e direzione unitaria, la partecipazione alle assemblee delle controllate e la riscossione dei dividendi. E nel caso della società francese, la qualità di beneficiario effettivo è dimostrata dal fatto che è la reale proprietaria della partecipazione e destinataria effettiva dei dividendi regolarmente iscritti in bilancio, aggredibili dai creditori e liberamente da essa utilizzabili.
Per quanto riguarda il requisito della direzione effettiva, secondo la Cassazione non si può parlare di fittizietà della sede francese in quanto la ricorrente ha sede legale e amministrativa in Francia, è assoggettata a imposizione in quel paese, gli amministratori persone fisiche risiedono in Francia e ivi vengono prese le fondamentali decisioni concernenti la società.
In conclusione, ciò che è necessario verificare è il luogo di effettiva adozione delle decisioni direttive, amministrative e di coordinamento delle partecipazioni possedute dalla società madre percipiente, secondo l’attività tipica di holding da quest’ultima esercitata.
La sentenza si innesta in un panorama interpretativo e legislativo in divenire, anche a livello internazionale, dalla lettura del quale non sempre si perviene a una univoca definizione del fenomeno. Anche perché il tema del beneficiario effettivo si sovrappone con quello delle forme di interposizione in cui il percettore del reddito ha l’obbligo di retrocederlo a terzi e con altre forme di abuso dei Trattati che non sono direttamente collegate al tema del beneficiario effettivo. E la stessa definizione di holding passiva e di costruzione artificiosa si ricava, anche indirettamente, in diversi provvedimenti a livello comunitario e internazionale, con forti incertezze.
L’instabilità legislativa (e giurisprudenziale) determina anche un non perfetto coordinamento della prassi amministrativa nazionale e degli approcci adottati dai verificatori (Assonime, Note e Studi n. 17/2016) con relative responsabilità dei sostituti d’imposta chiamati ad applicare norme “incerte”.
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Esterovestizioni, costruzioni artificiose sotto tiro
8 Febbraio 2017
Il Sole 24 Ore 10 Gennaio 2017 di Davide Cagnoni e Alessandro Germani
Sedi estere. Già la Cassazione aveva sottolineato la liceità dell’attività di direzione e coordinamento nei confronti di uffici oltrefrontiera
Nell’attuale economia globale i gruppi sono strutturati con headquarter molto articolati, che accentrano funzioni no core quali finanza, legale, audit, compliance e con strutture periferiche “leggere” nei mercati di sbocco. Spesso, poi, vi sono entità ad hoc in determinati Paesi dove si concentrano attività quali la ricerca e sviluppo. Tutto ciò genera molteplici transazioni intercompany, che richiedono la definizione di prezzi di trasferimento a valore di mercato. In questi casi, l’amministrazione fiscale tende a contestare l’esterovestizione di società estere appartenenti a gruppi italiani o la stabile organizzazione occulta di gruppi esteri con controllate italiane.
Per ciò che concerne il fenomeno dell’esterovestizione, i rilievi riguardano i due seguenti profili:
la residenza fiscale (articolo 73, comma 3 del Tuir) di società estere, con onere della prova a carico dell’amministrazione, ricondotte a tassazione in Italia in base alla sede di direzione effettiva (place of effective management);
l’esterovestizione vera e propria (articolo 73 comma 5-bis), con onere della prova a carico del contribuente, qualora la società estera controlli una società italiana e sia a sua volta controllata da soggetti residenti o amministrata da residenti.
In ambo i casi, la presenza di subholding passive, relegate ad una detenzione statica delle partecipazioni, determina la contestazione dell’attività di direzione e coordinamento della holding italiana. In tali ipotesi può essere di aiuto la prevalenza di asset esteri in portafoglio (Assonime n. 67/07). Tuttavia lo stesso rilievo viene talvolta utilizzato anche nei confronti di società operative. Ciò porterebbe al paradosso estremo che tutte le consociate di una multinazionale siano da considerarsi residenti nello Stato di stabilimento della capogruppo (Assonime nota 17/16). Nell’ambito del contenzioso relativo a queste tematiche è quindi da tenere in debita considerazione quanto affermato dalla Cassazione (sentenza n. 43809/15), che ha per la prima volta posto l’accento sulla liceità – e normalità – dell’attività di direzione e coordinamento (articolo 2497 Codice civile) introdotta con la Riforma Vietti. Pertanto, è del tutto fisiologico che gli impulsi sulla controllata non residente promanino dalla controllante italiana, in quanto ciò che rileva ai fini della contestazione di esterovestizione sono solo le costruzioni di puro artificio. Di conseguenza, la semplice nozione di ufficio che, ai sensi dell’articolo 162 del Tuir, ha i connotati per configurare una stabile organizzazione, potrà essere positivamente valutata altresì come luogo di effettivo esercizio dell’attività d’impresa.
Venendo, invece, alla stabile organizzazione, nei gruppi multinazionali si assiste sempre di più alla tendenza di insediarsi all’estero non attraverso strutture societarie (subsidiaries), bensì con stabili organizzazioni (branch), che rispondono all’esigenza di una maggiore flessibilità e semplificazione societaria. Questa è la situazione fisiologica che trova ampio riscontro. Differente è il caso patologico in cui un soggetto non residente nasconde la propria attività economica al fisco italiano, in quanto viene celato il soggetto passivo e la sua conseguente produzione di reddito in Italia. Nella pratica, la controllata residente mette a disposizione del soggetto non residente attrezzature e personale, ospitando al proprio interno una stabile organizzazione occulta come fosse una “enclave”.
Tra le due situazioni estreme esiste poi la normalità di subsidiaries svuotate di funzioni allocate nelle capogruppo o in altre entità (principal companies) deputate alla ricerca e sviluppo o alla gestione degli intangibles. Ciò, tuttavia, non deve condurre alla semplicistica conclusione che tutte le entità locali di un gruppo multinazionale siano stabili occulte (Assonime, nota 17/16). Occorrerebbe, infatti, considerare il livello di tassazione della controllante non residente, in quanto se la stessa non è localizzata in un Paese a fiscalità privilegiata né beneficia di regimi agevolativi o di ruling, non vi è motivo per erodere la base imponibile italiana. Quindi, la semplice contestazione legata alla limitata autonomia e sostanziale dipendenza della controllata italiana non può essere sufficiente, di per sé, a configurare una stabile occulta. Né tantomeno basta l’individuazione di fumose funzioni ultronee rispetto al business (Cassazione n. 3773/12).
In un contesto che dovrebbe incentivare l’afflusso di investimenti esteri sarebbe, pertanto, opportuno un approccio che contrasti le sole costruzioni di puro artificio.
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La prestazione del professionista segue il fabbricato
17 Gennaio 2017
Il Sole 24 Ore 27 Dicembre 2016 di Michele Brusaterra, Matteo Mantovani e Benedetto Santacroce
LA RICLASSIFICAZIONE DELLE PRATICHE
Le nuove regole sulle prestazioni relative ai beni immobili mettono definitivamente fuori gioco alcune interpretazioni nazionali tra cui quelle relative alle prestazioni dei professionisti collegate agli atti di compravendita, ovvero le attività di sorveglianza degli immobili ovvero alcune tipologie di contratti di deposito. Il regolamento 1042/2013 specifica che solo uno stretto e diretto collegamento con i beni immobili qualifica le prestazioni di servizio tra quelle per i quali l’Iva si applica nello Stato in cui il bene stesso è situato (articolo 7-quater, Dpr 633/72).
Le prestazioni
In base alla nuova disciplina e (Regolamento 1042/2013/Ue) si considerano relativi a beni immobili:
i servizi nei confronti dei quali il bene immobile è un elemento costitutivo del servizio ed è essenziale e indispensabile per la sua prestazione;
i servizi erogati o destinati a un bene immobile, aventi per oggetto l’alterazione fisica o giuridica di tale bene.
La definizione d’ordine generale è poi supportata nel regolamento attraverso una dettagliata elencazione, in positivo e in negativo, dei servizi riconducibili (o meno) alla categoria immobiliare. In termini pratici, è questa la parte più importante dell’intervento Ue ed è quello che evidenzia proprio i contrasti con l’interpretazione interna.
In particolare, il regolamento include fra le prestazioni immobiliari anche i servizi legali riguardanti cessione o trasferimento di proprietà di immobili (e connessi diritti), quali le pratiche notarili o la stesura di contratti di compravendita (anche se l’operazione non va a buon fine). Le Entrate, al contrario, nella circolare 37/E/2011 hanno adottato un approccio più restrittivo, escludendo tout court dalle prestazioni in questione – con implicito rinvio ai servizi generici – l’attività dell’avvocato relativa alla predisposizione dell’atto di vendita di un immobile o l’attività del tributarista relativa alla valutazione dei profili fiscali dell’operazione, ancorché riferiti a un immobile specificamente individuato; questo perché, in generale, esulano dall’ambito applicativo dell’articolo 7-quater del Dpr 633/72. Vanno considerati di natura immobiliare, inoltre, l’elaborazione di planimetrie per un fabbricato destinato a un particolare lotto di terreno, a prescindere dal fatto che lo stesso sia costruito; il rilevamento e la valutazione del rischio e dell’integrità di beni immobili e la loro valutazione, anche a fini assicurativi, nonché le opere agricole (in particolare servizi quali il dissodamento, la semina, l’irrigazione e la concimazione), i servizi di pulizia e i servizi di sorveglianza e sicurezza (ai quali, al contrario, nella circolare Assonime n. 1 del gennaio 2013, è attribuita natura generica).
La gestione
L’attività di gestione immobiliare è connessa all’immobile solo quando non è mera gestione del portafoglio di investimenti. Il regolamento consente di eliminare anche i dubbi attorno alla qualificazione delle prestazioni di deposito merci. Per le Entrate (circolare 28/E/2011) sarebbero sempre di natura generica, mentre l’Ue – in linea con la sentenza della Corte di giustizia C-155/12 – adotta un canone di valutazione connesso alle caratteristiche del contratto sottostante, per cui il deposito integra una prestazione relativa agli immobili laddove sia prevista l’attribuzione di una parte specifica dell’edificio ad uso esclusivo del committente/depositante ovvero, in mancanza di siffatta attribuzione, una prestazione generica.
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Tra Svizzera e San Marino scambio automatico delle informazioni
17 Gennaio 2017
Il Sole 24 Ore 2 Dicembre 2016 di Paolo Bernasconi e Alessandro Galimberti
Lotta all’evasione. L’accordo sottoscritto ieri a Roma dalle delegazioni
Nel giorno in cui Svizzera e San Marino firmano (a Roma) un accordo per lo scambio automatico di informazioni fiscali, il governo di Berna annuncia che a breve (2019) estenderà lo standard di trasparenza tanto caro all’Ocse ad altri 19 paesi, da Andorra all’Argentina, a Barbados, Bermuda, Brasile, Cile, Groenlandia, Isole Caiman, Isole Faroe, Isole Turcks e Caicos, Isole Vergini britanniche, India, Israele, Maurizio, Messico, Monaco, Nuova Zelanda, Seychelles e Uruguay.
Per la piazza finanziaria alpina, e per migliaia di investitori italiani ancora “coperti” attraverso “veicoli” transitati dalla Confederazione verso i paradisi un tempo remoti, è un’altra notizia destabilizzante. Il Parlamento aveva già approvato lo scambio con i 28 dell’Unione Europea ed anche con l’Australia. Ora però, sensibilizzato dalla lista Falciani, il governo svizzero va ad aprire persino numerose piazze off shore caraibiche che hanno fornito migliaia di società paravento alle fiduciarie elvetiche, e persino quel Brasile da cui la marea di centinaia di milioni corruttori di Petrobras ha inquinato una quarantina di banche rossocrociate.
Stupisce la motivazione della apertura di “credito”: si tratterebbe di Paesi il cui sistema legale e amministrativo viene riconosciuto da Berna tale da fornire sufficienti garanzie di rispetto della confidenzialità e di protezione dei dati finanziari che saranno trasmessi tramite il fisco. In caso di violazioni, però, come potranno difendersi i clienti di banca sottoposti alla sovranità fiscale di Paesi spesso disamministrati e in testa alla lista dei corrotti ?
Ci si attendeva un periodo di sperimentazione dello scambio automatico, per sondare il meccanismo, almeno cinque anni di rodaggio, con gli Stati membri dell’Ue,dove figurano Paesi di rating CCC dal punto di vista dell’integrità ed efficienza della Pa.Ad accelerare il corso (o la rincorsa) di allineamento della Svizzera è forse l’ennesima minaccia da parte del Global Forum. La partita sembra chiusa, anche se qualcuno confida ancora nella proverbiale prudenza del Parlamento svizzero che dovrà ratificare ad uno ad uno questi accordi, sottoposti tra l’altro alla clausola referendaria popolare.
Il futuro della piazza bancaria svizzera, in ogni caso, sarà sottoposto alla difficile coesistenza fra le forme più diverse di cooperazione fiscale: scambio automatico, segnalazione spontanea o su domanda,comprese le domande raggruppate, cooperazione fra autorità autoriciclaggio, ma anche fra autorità penali nell’interesse di procedimenti penali esteri per riciclaggio del provento di frodi fiscali,oltre alle 500 rogatorie trattate ogni anno dalla Finma (la Consob svizzera).
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San Marino, stop all’invio per le fatture ricevute dal 2017
17 Gennaio 2017
Il Sole 24 Ore lunedì 12 Dicembre 2016 di Giampaolo Giuliani
Comunicazioni Iva. Il Dl fiscale abolisce l’adempimento
Ha i giorni contati la comunicazione all’agenzia delle Entrate tramite il modello polivalente delle importazioni dalla Repubblica di San Marino per quanto riguarda l’Iva. La legge di conversione del decreto fiscale (Dl 193/2016) ha infatti introdotto una disposizione (articolo 7-quater, commi 21 e 22) che abolisce questo adempimento dalle «annotazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2017».
In particolare, il decreto fiscale cancella l’articolo 16, lettera c), del decreto ministeriale del 24 dicembre 1993, che impone all’acquirente italiano, nel caso di importazioni da San Marino con fattura senza addebito d’imposta, di comunicare i dati della transazione all’agenzia delle Entrate utilizzando il modello di comunicazione polivalente e compilando il quadro SE. L’invio deve essere fatto telematicamente tramite il modello polivalente entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di annotazione nei registri.
L’abrogazione della comunicazione dalle «annotazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2017» merita un approfondimento, perché, per come è formulato il decreto ministeriale del 1993, vi sono margini di incertezza su quando sarà operativa l’abolizione della lettera c) dell’articolo 16.
Il decreto che regola i rapporti di scambio con la Repubblica di San Marino non è stato aggiornato rispetto ai cambiamenti introdotti nelle disposizioni generali previste dal Dpr 633/72, e questo costringe spesso operatori e interpreti a trovare delle soluzioni “fai-da-te”. Così, in questo caso, si rilevano due discrasie nel decreto ministeriale che rendono necessario forzare l’applicazione delle vecchie norme.
Il primo problema riguarda l’articolo 16, lettera a), il quale prevede che gli operatori italiani corrispondano «l’imposta a norma dell’articolo 17, terzo comma del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633 indicandone l’ammontare sull’originale fattura rilasciatagli dal fornitore sammarinese». Considerate le modifiche introdotte a partire dal 2010 all’articolo 17, è evidente che l’imposta non possa essere materialmente assolta secondo le disposizioni contenute nel terzo comma, ma sulla base di quanto stabilito nel secondo comma. Infatti, attualmente Il terzo comma disciplina l’istituto del rappresentante fiscale.
Il secondo problema riguarda le modalità di registrazione della fatture da cui dipende la compilazione del modello polivalente. L’articolo 16, lettera b), del decreto ministeriale del 1993 stabilisce infatti che le fatture siano annotate «nei registri previsti dagli articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633 e successive modifiche e integrazioni, secondo le modalità e i termini in essi stabiliti». Ma i termini di registrazione stabiliti nell’attuale versione dell’articolo 23 non contemplano quelli per le annotazioni di fatture emesse da fornitori non residenti per l’acquisto di beni. Si ritiene comunque di poter seguire le indicazioni generali dettate dal comma 1 dell’articolo 23, per cui «il contribuente deve annotare entro 15 giorni le fatture emesse nell’ordine della loro numerazione e con riferimento alla data della loro emissione». Nel caso di acquisti da San Marino, la data di emissione è la data di ricevimento della fattura originale, munita del visto apposto dall’ufficio tributario della Repubblica di San Marino e rilasciata dal cedente sammarinese.
In definitiva, chi ha effettuato acquisti da San Marino, senza che il fornitore abbia addebitato l’imposta, deve inserire nel modello polivalente, da inviare per l’ultima volta entro il 31 gennaio 2017, tutte le fatture ricevute entro il 31 dicembre 2016 che possono essere annotate nel registro delle fatture emesse entro il 15 gennaio, ma con riferimento al mese di dicembre. L’annotazione nel registro degli acquisti va effettuata prima della liquidazione periodica o della dichiarazione annuale nella quale si detrae l’imposta.
Dovendo ricevere fatture originali munite di visto, l’acquirente italiano deve attendere il documento pervenuto tramite posta, corriere o consegnato dal fornitore o per suo conto. Non valgono copie inviate tramite fax o mail. Quindi, considerati i ritardi delle poste per le festività natalizie, è facile ipotizzare che molti acquisti effettuati nell’ultimo periodo dell’anno presso fornitori sammarinesi non dovranno essere oggetto di comunicazione.