Categoria: In primo piano
Bocciata la cartella notificata alla società estinta
11 Dicembre 2017
Il Sole 24 Ore lunedì 6 Novembre 2017 di Paola Maria Zerman
Procedimento. Nel regime precedente al decreto legislativo 175/2014, l’atto deve essere indirizzato anche agli ex soci
Invano una cartella di pagamento è notificata nei confronti di una società cessata: in tal caso, l’agenzia delle Entrate deve rivolgersi ai soci della stessa. Così la Ctr della Lombardia, con la sentenza 3321/24/2017 (presidente Liguoro, relatore Sacchi) ha annullato un atto di riscossione, notificato dal concessionario alla società successivamente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, in conformità alla ormai consolidata posizione della Cassazione in materia (si vedano da ultimo le ordinanze 23029 e 23626 del 2 e del 9 ottobre scorsi).
La cancellazione della società, avendo efficacia costitutiva (sin dalla riforma del diritto societario attuata dal Dlgs 6/2003), determina l’estinzione della stessa, sicché nessuna azione per il recupero dei crediti insoddisfatti, anche erariali, può essere intrapresa nei suoi confronti, assimilandosi, l’estinzione, alla morte della persona fisica. Ma ciò non significa che nessuno risponda dei debiti societari, considerato che questo sarebbe contrario agli elementari criteri di giustizia. Ne risponderanno i soci, in modo illimitato, se si tratta di società di persone, o nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione (in base all’articolo 2495 del Codice civile secondo comma) se invece si trattava di società di capitali. Il liquidatore ne risponde soltanto – sempre che, come nel caso concreto, non abbia anche la qualità di socio della società – se il mancato pagamento dei debiti è dipeso da sua colpa (e quindi può essere destinatario di un’autonoma azione risarcitoria).
La sentenza in commento ribadisce dunque che, per quanto concerne i debiti erariali, in seguito a cessazione della società, gli avvisi di accertamento e in genere gli atti impositivi e di riscossione dovranno essere notificati nei confronti dei soci. Si verifica, infatti, un fenomeno di tipo successorio sui generis, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono, per non sacrificare ingiustamente i diritti dei creditori sociali, ma si trasferiscono ai soci, che ne rispondono secondo il regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti quando la società era ancora in vita.
Correttamente dunque, la Ctr, dopo avere rilevato che la notifica della cartella di pagamento era stata effettuata solo nei confronti di una società cessata, si è limitata ad annullarla, «non essendovi spazio per ulteriori valutazioni circa la sorte dell’atto impugnato, per il fatto di essere stato emesso nei confronti di un soggetto già estinto» (così Cassazione 7989 del 28 marzo 2017 in caso similare).
La sentenza della Ctr lombarda non si cura della presenza della norma, l’articolo 28 comma 4 del Dlgs 175/2014, che prevede il differimento quinquennale dell’estinzione della società, operante nei soli confronti dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione. Infatti, conformemente all’orientamento assunto dalla Cassazione in proposito (si veda da ultimo l’ordinanza 20752 del 4 settembre 2017) la norma non si applica retroattivamente, ma solo dalla sua entrata in vigore (dal 13 dicembre 2014 in poi), e quindi non al caso di specie, essendo cessata la società nel 2009.
La ratio dell’intervento del legislatore in ordine alla fictio iuris del mantenimento in vita della società per il recupero dei crediti erariali, è riconducibile, a situazioni, assai frequenti nella pratica, analoghe al caso trattato dalla Ctr, laddove venga vanificata l’azione di accertamento o riscossione perché indirizzata a società medio tempore cessata.
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Un cantiere non è stabile organizzazione
11 Dicembre 2017
Il Sole 24 Ore 25 Novembre 2017 di Antonio Iorio
Accertamento. Non dimostrata la funzione strumentale
L’utilizzo del cantiere di una società italiana da parte di un’impresa estera per svolgere lavori nel nostro Paese, non configura una stabile organizzazione se non si prova la rilevanza degli strumenti rispetto all’attività svolta. Una volta, poi, che il giudice di merito ha svolto un accertamento di fatto al riguardo, immune da vizi logici, la Cassazione non può operare alcun differente sindacato. A chiarirlo è la Suprema corte con la sentenza 28059 depositata ieri.
A un imprenditore sloveno il fisco italiano contestava la costituzione di una stabile organizzazione e conseguentemente l’omessa presentazione delle varie dichiarazioni. In particolare l’imprenditore estero, specializzato in lavori di tubisteria e piccola carpenteria navale, aveva ottenuto un subappalto presso i cantieri della società italiana e sulle imbarcazioni in allestimento. I giudici di merito, in entrambi i gradi giudizio ritenevano infondati gli accertamenti.
Secondo la Ctr, era certamente possibile dedurre la stabile organizzazione solo con riferimento a soggetti per i quali la struttura materiale possa essere qualificata alla stregua di una risorsa strumentale in senso proprio o comunque funzionale alla produzione del reddito di impresa. Tuttavia nel caso particolare l’attività svolta presso i cantieri organizzati dalle committenti o sub committenti italiani non aveva alcuna rilevanza ai fini dell’individuazione della stabile organizzazione.
L’ufficio non aveva individuato, in altre parole, le ragioni per le quali i cantieri avrebbero assunto una rilevanza strumentale rispetto allo svolgimento dell’attività imprenditoriale e funzionale alla produzione del reddito.
L’Agenzia impugnava tale decisone in Cassazione, lamentando che in base al modello convenzionale Ocse, il fatto stesso di avere un cantiere configurava una stabile organizzazione. I giudici di legittimità hanno respinto il ricorso evidenziando che il pronunciamento della Ctr era immune da vizi logici e insindacabile presso la Suprema corte. Più in dettaglio i lavori svolti dagli operai della ditta estera presso i cantieri venivano eseguiti con modesti attrezzi che per comodità erano custoditi presso i cantieri stessi delle committenti. L’ufficio non aveva provato che tali cantieri assolvessero una rilevante funzione strumentale rispetto alle attività ivi eseguite dagli operai stranieri, mentre si era limitato alla semplice prospettazione, senza provarla, dell’esecuzione di lavori di complessità tale da richiedere un’attrezzatura diversa da quella in dotazione . Da qui il rigetto del ricorso
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Salve le detrazioni Iva per acquisti da San Marino
11 Dicembre 2017
Il Sole 24 Ore 21 Novembre 2017 di Giampaolo Giuliani
Adempimenti. Decisivo il momento del ricevimento della fattura
Con l’avvicinarsi della fine dell’anno gli operatori nazionali guardano con sempre maggiore preoccupazione al problema della detraibilità dell’imposta relativa ad acquisti effettuati nel 2017 a San Marino, per i quali riceveranno la fattura da parte dei fornitori sammarinesi successivamente al 15 gennaio 2018.
Tra l’altro, non è possibile farsi anticipare la fattura via fax o via mail dal proprio fornitore, come avviene per gli acquisti intracomunitari, perché il decreto che regola la disciplina Iva negli scambi di beni tra i due Stati – decreto ministeriale 24 dicembre 1993, prevede che l’acquirente nazionale per effettuare la liquidazione dell’imposta debba essere in materiale possesso della fattura originale munita dei visti dell’Ufficio tributario di San Marino.
La procedura di controllo e vidimazione da parte dell’Ufficio tributario ha dei tempi tecnici, per cui le fatture relative alle operazioni del mese di novembre/dicembre saranno inviate dal fornitore sammarinese con tutta probabilità oltre il citato termine di metà gennaio prossimo.
In effetti, per come sono formulati oggi gli articoli 19 – detrazione – e 25 – registrazione degli acquisti – della legge Iva, Dpr 633/1972, sembrerebbe che non sia possibile la detrazione per questo tipo di fatture se ricevute oltre termine del 15 gennaio 2018, data stabilita per effettuare la liquidazione dell’ultimo mese/trimestre 2017.
La detrazione dovrebbe dunque essere posticipata nella dichiarazione Iva per l’anno 2017 da presentare entro il 30 aprile 2018.
Ciò vale indipendentemente dalla circostanza che l’imposta sia assolta con il metodo della cosiddetta Iva prepagata ovvero con il meccanismo dell’inversione contabile, adempimenti rispettivamente disciplinati dagli articoli 8 e 16 del Dm del 24 dicembre 1993.
Evidentemente una soluzione che preveda l’indetraibilità già a partire dal momento in cui l’acquirente nazionale riceve la fattura non può essere accettata, poiché determina gravi discriminazioni per gli operatori sammarinesi in stridente contrasto con gli accordi tra i due Stati in tema di scambi commerciali.
In attesa di una presa di posizione puntuale su questo argomento da parte dell’amministrazione finanziaria si ritiene che una soluzione esente da censure possa essere individuata agganciando la detraibilità dell’imposta al momento del ricevimento della fattura.
Del resto questo problema che si presenta oggi con San Marino si è già manifestato qualche anno fa con le modifiche della territorialità Iva nelle prestazioni di servizi realizzate da operatori Ue, per le quali l’agenzia delle Entrate con la circolare 20 settembre 2012 n. 35/E ha precisato che: «Alla luce delle disposizioni sopra richiamate, per motivi di certezza e di semplificazione, si deve ritenere che la fattura emessa dal prestatore comunitario non residente possa essere assunta come indice dell’effettuazione dell’operazione. È dunque al momento di ricezione della fattura che va ricondotta l’esigibilità dell’imposta (a cui è collegata la debenza e la detrazione dell’Iva) che deve essere assolta dal committente, a prescindere dall’effettuazione del pagamento.
Tale soluzione deve ritenersi un principio avente valenza generale che risolve una situazione altrimenti superabile soltanto con specifici interventi normativi.
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Fisco, «scudo» per chi ha lavorato all’estero
11 Dicembre 2017
Il Sole 24 Ore 15 Novembre 2017 di Carmine Fotina e Marco Mobili
Pagheranno il 3% frontalieri ed ex residenti – Ritirata la riforma delle Agenzie
Un mini-scudo fiscale del 3% per frontalieri ed ex residenti all’estero. Stop alle bollette telefoniche e pay tv a 28 giorni. Bonus fiscali sugli investimenti in campagne pubblicitarie anche per le testate online. Detrazioni più facili sugli affitti per studenti universitari fuori sede e detrazione al 19% per gli alimenti a fini speciali per chi ha malattie metaboliche o genetiche. Sono alcune delle principali modifiche apportate dalla Commissione Bilancio del Senato al decreto fiscale collegato alla manovra. Il voto finale e il mandato al relatore, Silvio Lai (Pd), dovrebbe arrivare in nottata, dopo il via libera ai correttivi del Governo su terremoto e del relatore sull’equo compenso (si vedano i servizi in pagina). Il provvedimento collegato alla manovra di bilancio passa così all’esame dell’Aula, su cui oggi sarà comunque chiesta la fiducia. Domani è atteso il via libera di Palazzo Madama per il passaggio in seconda lettura alla Camera, dove al momento non sono attese ulteriori modifiche.
A sorpresa, nella serata di ieri, il Governo ha ritirato la riforma delle agenzie fiscali. Il confronto tra maggioranza, Palazzo Chigi e la “stampella” di Ala, necessaria al Governo per superare i voti in Commissione (ieri solo con il voto del senatore Milo l’Esecutivo non è andato sotto su una modifica proposta da Forza Italia), ruotava soprattutto sulla durata del mandato del direttore e del comitato di gestione (la proposta presentata lunedì dal relatore la portava da tre a cinque anni), nonché sui concorsi per dirigenti, soprattutto degli ex incaricati. In Commissione, invece, non hanno superato il voto alcuni emendamenti di “peso”: la rottamazione degli avvisi bonari; la possibilità di detrarre l’Iva nell’anno successivo; l’istituzione delle Saf dei commercialisti. Via libera senza ritocchi, invece, all’affidamento diretto della concessione del Gratta e Vinci a Lottomatica, attuale concessionario, con il versamento di 50 milioni entro fine anno e 750 milioni nel 2018. Sull’ipotesi di una gara chiesta dai 5 stelle i pentastellati si sono però divisi. Da registrare il via libera anche a un emendamento di Forza Italia a firma Pellino che autorizza l’Arma dei Carabinieri ad assumere a tempo indeterminato 105 operai in 3 anni.
Tra le novità di maggior rilievo di ieri spicca, certamente lo scudo per frontalieri ed ex residenti all’Estero iscritti all’Aire o che hanno lavorato all’estero in via continuativa. Si potranno regolarizzare le attività e le somme depositate in conti correnti esteri, in violazione degli obblighi di monitoraggio del quadro RW della dichiarazione, pagando il 3% del valore delle attività e delle giacenze al 31 dicembre 2016. Un mini-scudo fiscale con il pagamento di una somma forfettaria su imposte, sanzioni e interessi dovuti ben lontano dalle voluntary disclosure dove, per ottenere uno sconto sulle sanzioni, i contribuenti che avevano capitali e attività finanziarie all’estero non dichiarate venivano chiamati a versare tutte le imposte evase. L’emendamento approvato e che porta la firma del senatore Claudio Micheloni (Pd) si applica anche alle somme e alle attività derivanti dalla vendita di beni immobili detenuti all’estero dove si è prestata l’attività lavorativa. Sarà sufficiente presentare istanza di regolarizzazione fino al 31 luglio 2018 e poi saldare il conto spontaneamente in un’unica soluzione entro il 30 settembre 2018 o in tre rate mensili consecutive a partire dalla stessa data. Lo scudo al 3% non potrà essere utilizzato per somme già oggetto di collaborazione volontaria.
L’altra novità annunciata è quella sullo stop alle bollette a 28 giorni che riguarderà anche i piani tariffari in modalità prepagata e per la clientela business, grandi clienti affari e partite Iva. L’emendamento approvato ieri, a firma del relatore Lai, stabilisce l’obbligo di fatturazione mensile o con multipli di un mese. Per adeguarsi gli operatori avranno 120 giorni dalla data di conversione in legge del decreto, previsti indennizzi ma solo per il futuro. Sono escluse le promozioni con durata inferiore al mese e non rinnovabile. La misura, inoltre, non riguarda gas ed elettricità in quanto già regolati sul punto da una delibera dell’Autorità per l’energia. Nell’emendamento è stato inserito anche un obbligo di trasparenza per la commercializzazione delle offerte in banda ultralarga con fibra ottica.
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Dividendi black list, conta l’esercizio
11 Dicembre 2017
Il Sole 24 Ore lunedì 6 Novembre 2017 di Francesco Avella e Andrea Iannaccone
Gruppi internazionali. Come applicare correttamente il regime di imposizione parziale degli utili al posto di quella integrale
Va verificata la qualificazione del Paese al momento di formazione e incasso degli utili
Cresce l’attenzione del Fisco per i dividendi “provenienti” da Stati a fiscalità privilegiata (i cosiddetti Stati black list). Sempre più spesso l’amministrazione finanziaria verifica se tali elementi di reddito sono stati assoggettati ad imposizione integrale in capo al socio residente, come previsto dagli articoli 47, 59 e 89 del Tuir, in contrapposizione al regime di esclusione parziale generalmente applicabile ai dividendi.
La ratio della disposizione
L’esclusione parziale dei dividendi ai fini delle imposte sui redditi risponde alla logica di attenuare la doppia imposizione economica che altrimenti si manifesterebbe sugli utili societari, se fossero di nuovo tassati in misura piena in capo al socio quando distribuiti sotto forma di dividendi.
Tale esclusione non si applica se gli utili si qualificano come “provenienti” da soggetti black list e, in tal caso, essi sono soggetti integralmente a tassazione (se non risulta applicabile la normativa Cfc di cui all’articolo 167 del Tuir, nel qual caso la disciplina varia completamente). Ciò nel presupposto concettuale che gli utili societari da cui derivano non hanno scontato una imposizione congrua e non si manifesta quindi una concreta doppia imposizione economica da eliminare.
La tassazione integrale può tuttavia essere evitata facendo valere la circostanza esimente prevista dalla normativa (sulla quale si veda l’altro articolo nella pagina).
Il novero degli Stati black list
I criteri per individuare gli Stati black list sono cambiati nel corso degli anni. Sino a tutto il periodo d’imposta 2014, gli Stati a regime fiscale privilegiato erano individuati su base casistica dal Dm 21 novembre 2001 e alcuni di essi avevano carattere “ibrido”, nel senso che erano considerati black list solo in relazione ad alcuni regimi fiscali (significativo era il caso della Svizzera, considerata black list soltanto per le società non soggette alle imposte cantonali e municipali).
Per tali Stati “ibridi”, dimostrare che la società non ha beneficiato di regimi fiscali privilegiati negli esercizi di maturazione degli utili consente di per sé di escludere la natura black list del dividendo e di evitare, quindi, la sua tassazione integrale (Ctp di Novara, sentenza 145/01/2017 del 6 luglio 2017, commentata sul Quotidiano del Fisco dell’8 settembre 2017).
A decorrere dal periodo d’imposta 2015, la legge di Stabilità 2015 ha definito il livello di tassazione “sensibilmente inferiore” (anche in virtù di regimi speciali) se inferiore di oltre il 50% rispetto a quello applicato in Italia, avendo a mente sia l’Ires che l’Irap, e per l’effetto è stato poi modificato l’elenco di cui al Dm 21 novembre 2001.
Infine, la legge di Stabilità 2016 ha riscritto l’articolo 167 del Tuir con decorrenza 2016, prevedendo che: «I regimi fiscali, anche speciali, di Stati o territori si considerano privilegiati laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia», anche qui avendo a mente sia l’Ires che l’Irap, ed escludendo espressamente dagli Stati black list, anche ai fini della tassazione dei dividendi, gli Stati Ue e See che consentono lo scambio di informazioni (circolare 35/E/2016).
Aspetti temporali
In concreto, è necessario verificare tanto la normativa applicabile al momento dell’incasso, in cui si verifica il presupposto impositivo, quanto al momento di formazione degli utili, in cui possono essersi verificati i presupposti per conseguire il vantaggio tributario che la normativa vuole contrastare (circolare 35/E/2016).
Se, al momento della percezione del dividendo, il soggetto estero si qualifica come a fiscalità privilegiata, i dividendi sono black list e il contribuente avrà la possibilità di dimostrare l’eventuale sussistenza di una circostanza esimente; diversamente, i dividendi non sono black list, a condizione che tale requisito fosse integrato anche nel periodo di loro formazione.
L’esercizio è di una certa complessità, soprattutto se si considera che anche le modifiche del livello di tassazione applicabile in Italia possono incidere sul perimetro degli Stati black list.
La riduzione di tre punti percentuali dell’aliquota Ires a decorrere dal periodo d’imposta 2017 si riverbera sull’aliquota nominale estera di riferimento, rendendo privilegiata, dal 2017, l’aliquota inferiore al 13,95% (50% di 28,9%) rispetto alla precedente 15,7% (50% del 31,4%), così “riabilitando” ad esempio Stati come l’Albania e la Georgia (con aliquota nominale pari al 15%).
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Il prelievo bancario non prova i ricavi
9 Novembre 2017
Il Sole 24 Ore 5 Ottobre 2017 di Laura Ambrosi
Accertamenti. Annullata la contestazione a un lavoratore autonomo con attività artigianale
Il privato che svolge un’attività in nero, al pari del lavoratore autonomo, non può subire la presunzione legale di ricavo desumibile dai prelevamenti bancari non giustificati. A chiarirlo è la Corte di cassazione con la sentenza 23162 depositata ieri.
L’Agenzia emetteva un avviso di accertamento nei confronti di un contribuente fondato sulle risultanze delle indagini finanziarie. In particolare, l’interessato svolgeva l’attività di assemblaggio di articoli per l’infanzia senza alcun dipendente presso l’abitazione della madre e non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi.
Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario eccependo anche l’illegittimità della pretesa sui prelevamenti: nel ricorso era affermato che l’Ufficio non aveva provato la riconducibilità degli stessi ad acquisti relativi all’attività svolta.
Il giudice di appello accoglieva la domanda annullando l’accertamento sulla parte riferita ai prelevamenti e confermandolo solo sui versamenti. L’Agenzia ricorreva in Cassazione sostenendo che era onere del contribuente dimostrare l’estraneità dei beneficiari dei prelievi all’attività di impresa.
I giudici di legittimità hanno innanzitutto rilevato che la Ctr, in base alle caratteristiche dell’attività svolta, aveva qualificato il contribuente come lavoratore autonomo. La sentenza ricorda che la Consulta (sentenza 228/2014) ha ritenuto la presunzione relativa ai prelevamenti, nei confronti dei professionisti, lesiva del principio di ragionevolezza e capacita? contributiva.
In conseguenza di tale decisione, secondo la Suprema Corte è venuta meno la presunzione legale sui prelevamenti operati sui conti bancari effettuata dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale. Si sposta così sull’amministrazione l’onere di provare che tali prelevamenti ingiustificati siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti la produzione del reddito. La decisione, a ben vedere, attiene un privato che svolgeva di fatto attività di impresa artigiana e non era un professionista (cui invece fa riferimento la Consulta)
E se l’irrilevanza dei prelevamenti, secondo la Cassazione, sia conseguente all’assimilazione della ditta individuale senza dipendenti al lavoratore autonomo, il principio potrebbe trovare un’ampia Accertamentiestensione all’interno del reddito di impresa e non soltanto più del lavoro autonomo.
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Operazioni inesistenti, prova a carico delle Entrate
9 Novembre 2017
Il Sole 24 Ore 28 Ottobre 2017 di A.I.
Frodi. La Cassazione
Nell’ipotesi in cui sia contestata l’inesistenza soggettiva dell’operazione, grava sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche in via presuntiva, l’interposizione fittizia del cedente, ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell’operazione, eventualmente da altri soggetti, nonché la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa. Spetta, invece, al contribuente che intende esercitare la detrazione dimostrare l’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale ingenerato dalla condotta del cedente. È questo il principio ribadito ieri da due ordinanze 25538 e 25545 della Cassazione in tema di fatture soggettivamente inesistenti. In entrambe le pronunce la Corte ha rigettato i ricorsi delle Entrate secondo cui, contrariamente alle decisioni dei giudici di merito, l’Iva assolta dai contribuenti, che avevano ricevute fatture soggettivamente inesistenti, non poteva essere detratta.
In entrambe le vicende i contribuenti interessati avevano acquistato merce da soggetti che poi erano stati ritenuti “cartiere” con la conseguenza che, stante l’oggettiva effettuazione dell’operazione commerciale e risultante fittizio il cedente, veniva richiesta l’Iva detratta a fronte di tali acquisti.
I giudici di merito ritenevano dimostrata l’inconsapevolezza degli acquirenti e quindi la loro buona fede, con la conseguenza che non potevano ritenersi coinvolti nella frode commessa dai fornitori. In simili circostanze, la buona fede diventa centrale per evitare il coinvolgimento negli illeciti Iva. Tale concetto è stato in un qualche modo introdotto nel nostro ordinamento dalla Corte di giustizia, intervenuta sul tema. Un soggetto, infatti, non può avvalersi delle norme del diritto Ue quando nell’ambito di un’evasione o di un abuso, sapeva o avrebbe potuto sapere di partecipare ad una frode. A tal fine, è legittimo pretendere che l’operatore adotti tutte le misure (che gli si possono ragionevolmente chiedere) per assicurarsi che l’operazione non comporti una propria partecipazione all’evasione.
La Cassazione ha così confermato che spetta alle Entrate dimostrare che il contribuente «sapeva o avrebbe dovuto sapere» che con il proprio acquisto partecipava ad una frode.
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Beni situati in Paesi black list: raddoppio dei termini limitato
9 Novembre 2017
Il Sole 24 Ore lunedì 30 Ottobre 2017 di Giorgio Gavelli
Fisco internazionale. Il giro di vite del Dl 78/2009 non è retroattivo ed esclude i periodi ante 2010
Secondo la decisione 1085/4/2017 della Commissione tributaria provinciale di Genova (presidente Del Vigo, relatore Silvano), depositata lo scorso 25 agosto, il raddoppio dei termini di accertamento previsto dall’articolo 12 del Dl 78/2009 per i beni situati in Paesi black list e non oggetto di monitoraggio non può operare per i periodi d’imposta anteriori al 2010. Si tratta di un tema che assai spesso ricorre nel contenzioso tributario (si veda Il Sole 24 Ore del 23 agosto scorso).
Il caso trattato dalla Commissione genovese riguarda una polizza emessa da una società con sede nelle Isole Bermuda, sottoscritta nel 2007 dal contribuente e mai riportata (come del resto i relativi guadagni) in dichiarazione dei redditi.
L’articolo 12 del Dl 78/09 prevede, in sintesi, che:
gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, in violazione degli obblighi di monitoraggio, ai soli fini fiscali si presumono costituite, salvo prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione (comma 2, prima parte);
in tale ipotesi le sanzioni ordinariamente previste per le violazioni dichiarative sono raddoppiate (comma 2, seconda parte);
per l’accertamento di tale presunzione gli ordinari termini sono raddoppiati (comma 2-bis), così come i termini per accertare le violazioni in tema di monitoraggio (comma 2-ter).
L’agenzia delle Entrate ha sempre ritenuto la “stretta” operata dal Dl 78/2009 come «di natura procedimentale» e, quindi, sostanzialmente retroattiva (circolari 19/E/2017, 6/E/2015 e 27/E/2015) e su questo ragionamento ha impostato la procedura di voluntary disclosure.
Tuttavia, la dottrina prevalente e buona parte della giurisprudenza hanno sempre nutrito perplessità sulla retroattività della presunzione sulla costituzione “in nero” di investimenti ed attività nei paradisi fiscali e sull’applicabilità ai periodi d’imposta anteriori al 2010 del raddoppio dei termini per le violazioni del monitoraggio e dei termini e delle sanzioni per quelle dichiarative.
Nel caso di specie, la presunzione di aver costituito provvista all’estero “in nero” non si applicava, avendo il contribuente documentato l’esistenza del capitale impiegato nella polizza già in anni anteriori. Restavano validi, tuttavia, secondo l’ufficio il raddoppio della sanzione sul monitoraggio ed il prolungamento dei termini di accertamento sul reddito non dichiarato. La Commissione genovese, tuttavia, non è di questo avviso. Da un lato appare indubbio che la norma «esplica effetti sostanziali in punto di determinazione del reddito» e, di conseguenza, non può applicarsi a fattispecie anteriori la sua entrata in vigore (così Ctr Lombardia 1865/1/2017, Ctp Rimini 42/1/2017 e Ctp Milano 3933/7/2017). Dall’altro, il raddoppio appare strettamente collegato alla operatività della presunzione sul capitale (Ctr Lombardia 4382/27/2015).
Nel merito, peraltro, il non aver allegato all’atto di accertamento la documentazione della Guardia di finanza consolida, secondo la Ctp, l’illegittimità dell’accertamento impugnato.
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Licenziato chi copia i dati aziendali
9 Novembre 2017
Il Sole 24 Ore 26 Ottobre 2017 di Giampiero Falasca
Cassazione. Anche se non protetti da password e non sono divulgati all’esterno
È legittimo il licenziamento del dipendente che copia su una pen drive personale, senza autorizzazione del datore di lavoro, alcuni dati aziendali riservati, anche se queste informazioni non vengono divulgate a terzi.
La violazione dei doveri contrattuali, infatti, si verifica anche quando una certa condotta, pur non producendo un danno concreto, ha una intrinseca potenzialità lesiva degli interessi del datore di lavoro.
La Corte di cassazione (sentenza 25147/2017), con un ineccepibile rigore interpretativo, ricostruisce alcuni principi importanti in tema di sicurezza dei dati aziendali, una questione sempre più rilevante per le imprese nell’attuale contesto tecnologico, dove è molto facile sottrarre e spostare grandi quantità di informazioni riservate.
La vicenda riguarda il licenziamento di un dipendente che ha trasferito su una pen drive di sua proprietà (poi smarrita e ritrovata casualmente nei locali aziendali) un numero rilevantissimo di dati appartenenti all’azienda. Il dipendente ha contestato la legittimità del licenziamento, sostenendo di essersi limitato a copiare i dati, senza diffonderli in alcun modo; il lavoratore, inoltre, ha evidenziato che i file in questione non erano protetti da password e non erano coperti da specifici vincoli di riservatezza.
La Suprema corte ha rigettato queste argomentazioni, ritenendo che la condotta del dipendente sia riconducibile all’ipotesi – sanzionato dall’articolo 52 del Ccnl del settore aziende chimiche con il licenziamento – della grave infrazione alla disciplina o alla diligenza del lavoro. Il Ccnl riconduce a tale fattispecie alcune condotte quali il furto, il danneggiamento volontario del materiale di impresa e il trafugamento di schede, disegni, utensili e materiali affini.
In coerenza con questa impostazione, la Corte ha escluso che la semplice copiatura dei file aziendali sia collocabile nell’ipotesi meno grave dell’utilizzo improprio degli strumenti di lavoro aziendali (per la quale il Ccnl prevede solo sanzioni conservative).
Ciò in quanto la condotta del dipendente è comunque connotata dalla finalità di sottrarre informazioni a prescindere dall’effettiva divulgazione dei dati, mentre la fattispecie dell’uso improprio si può applicare a condotte nelle quali manca tale finalità.
La sentenza chiarisce anche che è irrilevante, ai fini della valutazione disciplinare, la circostanza che i dati sottratti siano protetti oppure no da specifiche password; il fatto che l’accesso ai dati sia libero, precisa la Corte, non autorizza un dipendente ad appropriarsene per finalità proprie, né consente di farli uscire dalla sfera di controllo del datore di lavoro.
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Stabile organizzazione anche «personale»
9 Novembre 2017
IL Sole 24 Ore 24 Ottobre 2017 di Benedetto Santacroce
Modelli Ocse. Sterilizzata la frammentazione delle attività
L’Italia con la legge di bilancio cerca di recepire la nuova versione dell’articolo 5 del modello Ocse, in materia di stabile organizzazione così come modificato a seguito dell’Action 7 del Beps. In effetti, l’intervento, almeno nella bozza disponibile, riforma l’articolo 162 del Tuir sotto tre profili:
rivede integralmente il comma 4, inserendo il concetto di disponibilità dei beni e dei luoghi, concetto presente nel nuovo commentario Ocse. Il comma 4 definisce i casi in cui la sede fissa d’affari non è considerata stabile organizzazione. La nuova norma utilizza un’espressione diversa, in quanto viene previsto che il termine «stabile organizzazione» non comprende tutti i casi in cui l’impresa non residente dispone in Italia di luoghi destinati al mero deposito, ai soli fini di acquistare beni o merci o di raccogliere informazioni per l’impresa o per svolgere attività preparatorie o ausiliarie;
introduce nel nostro ordinamento il nuovo paragrafo 4.1 dell’articolo 5 dell’Ocse che è diretto a sterilizzare gli effetti della frammentazione delle attività anche nell’ambito dei gruppi ai fini della valutazione del carattere preparatorio o ausiliarie delle medesime. In particolare, costituisce stabile organizzazione una sede d’affari utilizzata o gestita da un’impresa se la stessa impresa o un’impresa strettamente correlata svolge la sua attività nello stesso luogo o in un altro luogo del territorio dello Stato;
viene modificato il concetto di stabile organizzazione personale e viene stabilito che se un soggetto agisce nel territorio dello Stato per conto di un’impresa non residente e abitualmente conclude contratti o porta a conclusione contratti senza modifiche sostanziali essa costituisce stabile organizzazione del soggetto non residente. In questo caso l’Italia si conforma con la convenzione multilaterale.