Categoria: Dall’Italia
Le novità previste dal 2022 per gli scambi con San Marino
13 Gennaio 2022
Il Sole 24 Ore 13 dicembre 2021 di Giampaolo Giuliani (L’Esperto Risponde)
Dal 2022, con l’abolizione dell’esterometro, tutte le fatture attive o passive transfrontaliere dovranno adottare il formato elettronico. Questo vale anche per operazioni intrattenute con San Marino?
Il decreto del ministero dell’Economia e delle finanze del 21 giugno 2021 sembra consentire il cartaceo, per certificare gli scambi di beni fino al 30 giugno 2022, esclusivamente con tale Paese. Invece, per i servizi, l’opzione analogica non ha limitazioni temporali. Significa che dal 2022 il Fisco rinuncia, parzialmente, all’informazione derivante dalle fatture estere con San Marino prima fornita con l’esterometro?
Per quel che riguarda i rapporti con San Marino, nel caso si adotti anche nei primi sei mesi del 2022 la fatturazione cartacea, il cedente italiano deve comunque emettere la fattura elettronica. A tale scopo sono previste due procedure.
La prima procedura, stabilita per tutte le cessioni nei confronti di operatori non residenti, prevede di indicare nel codice destinatario la sequenza di sette caratteri «XXXXXXX» specificando nel campo partita Iva del cessionario/committente il codice «OO99999999999» (due volte la lettera O e 11 volte il numero 9). Peraltro, nel caso in cui il cliente sia un privato consumatore, il campo dev’essere compilato con il codice numerico «0000000» (contenente sette volte il numero zero).
La seconda procedura, prevista dal decreto del giugno 2021, citato dal lettore, permette l’emissione della fattura elettronica, riportando il codice destinatario attribuito all’Ufficio tributario di San Marino – 2R4GTO8 – e il codice operativo del committente sammarinese.
Per quanto riguarda gli acquisti, analogamente a quanto avviene nel caso di operazioni di acquisto presso operatori unionali, l’acquirente dovrà inviare allo Sdi (sistema di interscambio) la fattura predisposta sulla base di quella ricevuta dal cedente sammarinese.
Infine, per quanto attiene alle prestazioni di servizi, dal 1° gennaio 2022, anche per le prestazioni di servizi realizzate in favore di committenti residenti nella Repubblica di San Marino, sarà sempre necessario predisporre la fattura in formato elettronico, con la possibilità di utilizzare le due procedure appena indicate. Tuttavia, la seconda procedura, che prevede l’utilizzo del codice destinatario dell’Ufficio tributario sammarinese, è consentita soltanto in presenza di prestazioni non rilevanti territorialmente, commissionate da operatori economici sammarinesi.
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Pagamenti in contanti con tetto a 999,5 euro
13 Gennaio 2022
Il Sole 24 Ore 4 gennaio 2022 di Valerio Vallefuoco
LOTTA AL NERO
Il nuovo limite, operativo dal 1° gennaio, va arrotondato ai 5 centesimi più vicini
Per gli stranieri opera una deroga fino a 15mila euro
Valerio Vallefuoco
L’anno nuovo comporta l’entrata in vigore in Italia dell’ennesima restrizione all’uso del contante. Dal 1° gennaio è infatti vietato il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, siano esse persone fisiche o giuridiche, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro (si confronti l’articolo 49 del Dlgs 231/2007). Quindi, sul territorio nazionale per i cittadini italiani sarà possibile eseguire pagamenti in contanti solo fino a 999 euro e 5 centesimi, cifra esatta figlia della circostanza che il divieto scatta dalla soglia di mille euro e dal 1° gennaio 2018, per motivi legati ai costi della produzione delle monetine da 1 e 2 centesimi, l’importo da pagare deve essere arrotondato per eccesso o per difetto ai 5 centesimi più vicini alla cifra dell’importo richiesto (si veda l’articolo 13 quater del Dl 50/2017).
Per gli stranieri che spendono in Italia è prevista invece una deroga disciplinata dall’articolo 3 del Dl 16/2012, convertito nella legge 44/2012. Grazie a essa, per l’acquisto di beni e di prestazioni di servizi legati al turismo effettuati da persone con cittadinanza diversa da quella italiana e che abbiano residenza fuori del territorio dello Stato italiano il limite per il trasferimento di denaro contante è infatti elevato a 15mila euro. La deroga dei pagamenti è soggetta, tuttavia, ad alcuni adempimenti posti a carico del venditore del bene o del servizio acquistato, tra cui l’invio di una comunicazione all’agenzia delle Entrate e il deposito dell’incasso il giorno successivo presso un intermediario autorizzato.
I trasferimenti superiori ai limiti, indipendentemente dalla loro causa o dal loro titolo, sono vietati anche quando sono effettuati per mezzo di più pagamenti, inferiori alla soglia, che appaiono artificiosamente frazionati. I trasferiemnti superiori possono essere eseguito esclusivamente per il tramite di banche, Poste italiane Spa, istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento. La normativa antiriciclaggio definisce quale sia un’operazione frazionata, definendo come tale un’operazione unitaria sotto il profilo del valore economico, di importo pari o superiore ai limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai limiti, effettuate in momenti diversi e in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni. Resta ferma la sussistenza dell’operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale.
Per le violazioni delle disposizioni sulla limitazione del contante si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da mille a 50mila euro, con il minimo edittale ridotto anch’esso dal 1° gennaio 2022.
L’unica nota dolente è rappresentata dal fatto che questa restrizione tutta italiana inserita nella normativa antiriciclaggio potrebbe essere in contrasto con le norme dell’Unione europea che prevedono il parere obbligatorio della Bce sulla materia, la quale aveva peraltro sollecitato ufficialmente sia nel dicembre 2019, sia nel maggio 2020 un proprio coinvolgimento: richiesta inascoltata dal Governo dell’epoca.
Infine, una piccola riflessione: ma in un periodo in cui nell’Europa occidentale si è arrivati a un valore complessivo di scambio pari a 46.3 miliardi di dollari di transazioni in criptovalute, noi continuiamo invece a occuparci di limitare i pagamenti in moneta legale e non solo a monitorarli?
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Fattura in esenzione da Iva per la società di San Marino
13 Gennaio 2022
Il Sole 24 Ore 3 gennaio 2022 di Giampaolo Giuliani (L’Esperto Risponde)
Una società, che effettua trasporti per conto terzi, deve emettere una fattura per la prestazione di un servizio di trasporto nei confronti di una società di San Marino?
Si chiede conferma del fatto che l’operazione è esente da Iva e, in caso di risposta affermativa, si chiede altresì qual è l’articolo di legge da richiamare in fattura per l’esenzione. P.O. Pesaro
Quella descritta dal quesito è effettivamente una operazione fuori campo Iva, per carenza del presupposto territoriale, ex articolo 7–ter del Dpr 633/1972.
Pertanto dev’essere emessa fattura a norma dell’articolo 21, comma 6–bis, lettera b, del Dpr 633/1972, con l’indicazione che si tratta di un’operazione non soggetta a imposta sul valore aggiunto.
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Non imponibile la riparazione in Italia dell’auto extra–Ue
13 Gennaio 2022
Il Sole 24 Ore 13 dicembre 2021 di Giampaolo Giuliani (L’Esperto Risponde)
Se residenti in Svizzera, o in un altro Paese extra–Ue, fanno riparare un’auto (o fanno effettuare il cambio gomme) in Italia, si è in presenza di una operazione imponibile ai fini Iva? (F.T. Zurigo)
Le prestazioni di riparazione auto, così come il cambio degli pneumatici, sono rilevanti ai fini Iva se commissionate da privati residenti in Paesi extra–Ue (ex articolo 7–sexies, comma 1, lettera d, del Dpr 633/1972), mentre sono fuori campo Iva se commissionate da operatori economici, sempre residenti in Paesi extra–Ue (ex articolo 7–ter dello stesso Dpr).
Tuttavia, nel caso in cui le prestazioni siano rilevanti ai fini Iva, l’articolo 9, comma 1, n. 9, del Dpr 633/1972 prevede che operi il regime della non imponibilità.
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Scambi con San Marino, rimangono le regole Iva per i beni e alcuni servizi
13 Gennaio 2022
l Sole 24 Ore lunedì 27 dicembre 2021 di Giampaolo Giuliani
Doppio binario da seguire per le fatture elettroniche obbligatorie e facoltative
Il Dm 21 giugno 2021 che regola i rapporti di interscambio con la Repubblica di San Marino, ai fini Iva dispone soltanto in ordine alle operazioni in cui vi è un materiale trasferimento dei beni da un Paese all’altro: operazioni per le quali dal 1° luglio 2022 le fatture dovranno essere emesse e accettate in formato elettronico (mentre fino al 30 giugno la e-fattura resta facoltativa). Ne consegue che, in tutte le operazioni in cui manca questo trasferimento fisico dei beni, la soluzione per applicare l’imposta non può essere individuata nel regolamento ministeriale, ma nelle disposizioni generali che regolano la disciplina Iva.
Ciò non toglie che la scadenza del 1° gennaio potrebbe essere utilmente sfruttata dalle aziende che intendono realizzare tutti i propri processi di fatturazione solamente in formato elettronico, sia pure tenendo presente che le fatture elettroniche obbligatorie hanno un percorso differente da quelle facoltative.
Asimmetrie e differenze
L’articolo 20 del Dm consente (si tratta dunque di una possibilità e non di un obbligo) di trasmettere fatture elettroniche al Sdi, per prestazioni di servizi fuori campo Iva per carenza del presupposto territoriale, con il codice destinatario dell’ufficio tributario della Repubblica di San Marino e il codice operativo del committente operatore economico sammarinese. Ma ciò non deve trarre in inganno. Questa possibilità è infatti una deroga concessa solo agli operatori italiani quando effettuano operazioni non rilevanti Iva per carenza del presupposto territoriale nei confronti di operatori economici sammarinesi. E non è ammessa per le prestazioni di servizi rilevanti ai fini Iva, né per le prestazioni realizzate da operatori sammarinesi.
L’evidente mancanza di simmetria tra le prestazioni eseguite dagli operatori dei due Paesi e le differenze poste per le prestazioni eseguite da operatori nazionali determinano numerose incertezze operative.
A tale riguardo, è bene puntualizzare che dagli operatori sammarinesi non potranno mai pervenire a committenti italiani fatture in formato elettronico trasmesse tramite il Sdi, come avviene per le importazioni di beni provenienti da San Marino. Peraltro, per le prestazioni di servizi i documenti emessi da operatori sammarinesi non hanno alcuna valenza ai fini Iva e sono in tutto parificabili a quelli emessi da operatori di altri Paesi extra Ue.
In sostanza, si tratta di documenti rilevanti civilisticamente tra prestatore estero e committente nazionale, emessi per determinare l’operazione e per il conseguente pagamento, ma non acquisiscono alcuna valenza fiscale, ai fini dell’assolvimento dell’Iva.
Fatture e rilevanza Iva
Per assolvere l’imposta, è necessario che siano osservate le procedure stabilite all’articolo 17, comma 2, del Dpr 633/72 che richiedono l’emissione di un’autofattura e la sua annotazione nel registro delle fatture emesse e in quella degli acquisti: quel che è comunemente denominato reverse charge o doppia annotazione o inversione contabile.
Nelle prestazioni di servizi realizzate da operatori sammarinesi, potrebbe creare qualche equivoco la circostanza che sui documenti sono spesso presenti delle attestazioni (tramite timbrature) dell’ufficio tributario di San Marino, ma – a differenza di quanto avviene per le cessioni di beni – queste non hanno alcuna rilevanza nei rapporti con l’Italia.
L’unico caso in cui gli operatori sammarinesi sono obbligati a emettere fattura riguarda le prestazioni realizzate in favore di privati o soggetti assimilati che siano territorialmente rilevanti in Italia. In questo caso, al pari di tutti gli operatori non stabiliti in Italia, essi devono nominare un proprio rappresentante fiscale, secondo le disposizioni dell’articolo 17, comma 3, del Dpr 633/72.
La circostanza che chi emette la fattura sia un rappresentante fiscale consente l’emissione di una fattura cartacea anziché elettronica.
In alternativa alla nomina del rappresentante fiscale, agli operatori stabiliti nell’Unione europea è concessa la possibilità di identificarsi direttamente; ma ciò non è consentito agli operatori sammarinesi che devono nominare necessariamente un proprio rappresentante fiscale, quando sono obbligati ad assolvere l’imposta in Italia.
Quanto all’esterometro, si ricorda che esso è obbligatorio laddove l’operazione non sia supportata da una fattura elettronica. Evidentemente ciò vale anche nelle operazioni attive e passive realizzate con residenti della Repubblica di San Marino.
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Il Lussemburgo brinda alla Brexit, approdo per i capitali in fuga
13 Gennaio 2022
Il Sole 24 Ore 15 dicembre 2021 di Simone Filippetti
Flussi. Nel Granducato 500 miliardi usciti dalla City a caccia di un passaporto europeo. Il Paese è già diventato nuova capitale di private equity e venture
La ragazza dietro al bancone del Florence Cafè, un minuscolo bar con due tavolini, serve cappuccini a una clientela intirizzita. Fuori è una gelida e nebbiosa giornata di novembre, dove un grigio tetro avvolge tutta la città di Lussemburgo. Viene dal Canada e ha aperto la sua piccola attività appena 4 mesi fa: gli affari vanno benissimo e non se lo aspettava. Quello del Florence Cafè non è un caso isolato: il Lussemburgo è in pieno boom economico. Esempi più macroscopici sono le decine di gru e i cantieri di immobili di lusso nella zona. Per le strade gelide la gente tira dritto, tra restrizioni pesanti e utilizzo smodato delle mascherine, ma anche se fosse più socievole nessuno ammetterebbe una verità, per pudore: la Brexit è un grande regalo per il Lussemburgo. Dopo l’uscita dalla Ue a Capodanno e il mancato accordo di giugno sull’industria finanziaria, molti capitali sono arrivati nel GranDucato da Londra. Senza “passaporto” finanziario, banche e intermediari sono stati costretti a spostare una parte di attività e flussi sul continente. E tra tutti i paesi europei molti hanno scelto quello più simile alla Gran Bretagna.
Da quando è scattata la Brexit, il Lussemburgo è diventato un approdo sicuro. A Kirchberg, la City finanziaria del Granducato, l’agenzia pubblica LFF-Luxembourg For Finance esordisce con una frase diplomatica: «Con la Brexit tutti ci perdono», osserva il ceo Nicolas Mackel. Ma poi il funzionario ammette che nella nuova geofinanza europea «il Lussemburgo sta beneficiando dell’addio di Londra». I numeri parlano di un afflusso di capitali notevole: ha fatto clamore il caso di M&G che ha spostato 42 miliardi di euro da Londra nel paese europeo.
Non esistono cifre ufficiali, ma l’authority lussemburghese stima che dal Tamigi siano affluiti circa il 10% delle masse gestite nel paese: 500 miliardi su un totale oltre 5.500 miliardi di euro. «Grazie agli inglesi, ma non ci cambia la vita» commenta Mackel. «La fuga dei capitali da Londra al Lussemburgo? Sì c’è, ma è in atto da tempo, da prima del 2021» osserva un banchiere italiano. Il 2020 era già stato l’anno del sorpasso del Granducato: il paese ha superato il Regno Unito come domicilio più popolare per venture capital e private equity europeo.
La Brexit si sta manifestando in due effetti: il primo, più immediato lo si è visto il 2 gennaio 2021 quando tutti i derivati in Euro hanno lasciato la Borsa di Londra per trasferirsi ad Amsterdam e la piazza olandese superò la City come controvalore giornaliero. Ma quello è stato un fenomeno immediato e unico, già metabolizzato dal sistema. Nel Lussemburgo è in corso, invece, un processo carsico: è un flusso meno appariscente, ma costante, che non fa notizia. È un fenomeno molto più ampio della sola Brexit: da paradiso fiscale dentro la Ue, con una reputazione discutibile, in 10 anni si è riconvertita alla finanza ufficiale, uscendo dal sommerso del segreto bancario. Avendo già infrastrutture giuridico-finanziaria efficiente ha attratto i capitali dichiarati e alla luce del sole.
Una lenta erosione attacca Londra e di altri centri europei: tutte le piazze finanziarie del continente sono solo centri per servire i mercati domestici (Borsa Italiana è il caso più eclatante). Dopo Londra, solo il Lussemburgo è l’unico hub internazionale della finanza. Nessuno, però, qui si fa troppe illusioni: non sarà certo il Granducato a detronizzare il Regno Unito. Londra rimarrà la capitale della finanza in Europa: l’anno scorso i fondi di investimento alternativo hanno totalizzato 866 miliardi di euro in gestione, a cui si aggiungono altri 581 miliardi di fondi “speculativi”. La Brexit non è l’Apocalisse paventata da molti, specie nell’industria della finanza. I banchieri che si sono mossi sono stati pochi: si calcola circa 7mila su un totale di 200mila addetti nel mondo della finanza. Briciole, dunque: appena il 3% del settore. Il grande e temuto esodo non c’è finora stato né ci sarà. «Chi doveva spostare personale lo ha ormai fatto, il fenomeno si è già esaurito» nota Stefano Vecchi, capo del Private Banking di Unicredit in Lussemburgo. Non si è esaurito, invece, quello dei capitali: «L’impatto della Brexit è sulle attività più che sulle persone – prosegue Mackel – in uno scenario a 5-10 anni, molta parte del business si sposterà da Londra sull’Europa» ma tra le righe si intende il Lussemburgo. C’è già il caso di Singapore: il private banking della città-stato avrebbe dovuto aprire a Londra il suo quartier generale europeo; poi si è dirottata sul Granducato. Il paese sta diventando l’hub europeo di gestione del risparmio delle banche mondiali, per le attività intra Ue: la stessa Intesa SanPaolo, la più grande banca italiana, ha appena comprato un grande immobile nel complesso di Cloche D’Or, la seconda City dove trasferirà tutti i suoi uffici. A spiegare il successo non c’è solo la Brexit: molti capitali affluiscono da dentro i confini di Eurolandia. A partire dall’Italia: Roma ha un rating Tripla B, mentre il Granducato, sempre area euro, è un paese Tripla A, un bunker inespugnabile. È un arbitraggio interno: molti patrimoni che sono in euro e che non vogliono lasciare la moneta unica, preferiscono però spostarsi da paesi ad alta instabilità o ad alto rischio fiscale ad altri più sicuri, sempre dentro la divisa comunitaria. Il Lussemburgo prende il meglio dei due mondi: attira da una parte capitali Ue e dall’altra capitali da Londra. «Siamo figli del padre Jacques Delors, del suo libro bianco sul mercato unico; e siamo figli della madre Margaret Tatcher, con le sue privatizzazioni e una macchina statale snella» conclude Mackel. Il non detto, ma intuito, è che il Granducato e la City cresceranno entrambe, a scapito di tutti gli altri paesi. La Brexit non sposterà gli equilibri geo-economici su larga scala, ma intanto il Lussemburgo brinda a un felice Natale.
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Non imponibilità solo con requisiti oggettivi, soggettivi e territoriali
13 Gennaio 2022
Il Sole 24 Ore 1 dicembre 2021 di Alessandra Caputo
CESSIONI INTRA-UE
L’operazione deve comportare un passaggio di proprietà del bene a titolo oneroso e il trasferimento dall’Italia ad altro Stato Ue
Le cessioni intracomunitarie sono operazioni non imponibili ai fini Iva; tuttavia, affinché la non imponibilità trovi applicazione, è necessario il rispetto di specifiche condizioni. L’articolo 41, comma 1, lettera a) del Dl 331/93, che recepisce l’articolo 138 della direttiva 112/2006/Ce, definisce cessioni intracomunitarie le operazioni, poste in essere tra due operatori identificati ai fini Iva in due Stati membri dell’Ue, che comportino il trasferimento fisico dei beni da un territorio all’altro dell’Ue e il passaggio di proprietà o di un altro diritto reale, a titolo oneroso.
Dalla definizione presente nella norma, si desume che una operazione può correttamente configurarsi come cessione intracomunitaria (e quindi beneficiare della non imponibilità) solo se risultano verificati un presupposto soggettivo, un presupposto oggettivo e uno territoriale.
Il presupposto soggettivo si considera verificato se l’operazione è posta in essere tra due operatori soggetti passivi identificati in due Stati membri; è, quindi, necessario che la transazione avvenga tra un cedente italiano e un acquirente stabilito in uno Stato membro diverso dall’Italia. Affinché possa considerarsi verificato il presupposto oggettivo è necessario:
1 che l’operazione sia onerosa;
2 che comporti il passaggio di proprietà, o di un altro diritto reale di godimento, dal cedente al cessionario;
3 l’effettiva movimentazione del bene dall’Italia ad un altro Stato membro, ciò indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione avvengano a cura del cedente, del cessionario o di terzi per loro conto.
I presupposti devono essere contemporaneamente verificati; l’assenza anche solo di uno tre qualifica l’operazione come “interna” con la conseguente applicazione dell’Iva secondo le regole contenute nel Dpr 633/1972.
La direttiva 2018/1910
Sul punto occorre poi ricordare che a decorrere dal 1° gennaio 2020, a seguito delle modifiche previste dalla direttiva Ue 2018/1910 all’articolo 138 della direttiva Iva, il numero di identificazione Iva del cessionario e il modello cessioni intra-Ue diventano requisiti sostanziali per poter applicare la non imponibilità Iva alle cessioni intracomunitarie. Nel nuovo articolo 138 della direttiva 2006/112/Ce è previsto che gli Stati esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Ue, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, a condizione che:
i beni siano ceduti a un altro soggetto passivo, o a un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio;
il soggetto passivo o un ente non soggetto passivo destinatario della cessione sia identificato ai fini dell’Iva in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio e ha comunicato al cedente tale numero di identificazione Iva.
È previsto che l’esenzione non si applichi qualora il cedente non abbia rispettato l’obbligo di presentare un elenco riepilogativo o l’elenco riepilogativo da lui presentato non riporti le informazioni corrette riguardanti la cessione. Per effetto delle modifiche di cui si è appena detto, il fornitore italiano dovrà chiedere al proprio cliente l’identificativo Iva e controllare nel Vies l’esistenza e la validità del numero fornito e provvedere alla compilazione e all’invio dell’elenco Intrastat riepilogativo delle cessioni intra-Ue.
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Dipendente e presidente cda ruoli incompatibili
13 Dicembre 2021
Il Sole 24 Ore 24 novembre 2021 di Laura Ambrosi Antonio Iorio
Indeducibili i compensi da lavoro in assenza di una vera subordinazione
Nelle imposte sui redditi è incompatibile la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali con la carica di presidente del cda o di amministratore unico con conseguente indeducibilità del costo del lavoratore.
Il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza e di disciplina rende, infatti, impossibile la diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni necessaria invece per l’elemento della subordinazione. In ipotesi, invece, di membro del cda anche lavoratore dipendente, per la deducibilità del costo, occorre un concreto accertamento della sussistenza del vincolo di subordinazione gerarchica, del potere direttivo e, in particolare, lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita. A fornire questi principi è la Cassazione con la sentenza n. 36362 di ieri.
Due soci e amministratori di una scarl oltre al compenso quali componenti del cda (uno dei due era anche presidente) avevano percepito anche compensi da lavoro dipendente. L’Agenzia contestava la deducibilità di queste ultime somme. In particolare, per uno, godendo di autonomia decisionale, risultava mancante il vincolo di subordinazione, per l’altro, trattandosi di presidente del cda, non era ammessa la contemporanea presenza dell’attività di lavoro subordinato. Veniva intrapreso il contenzioso e la Ctr riteneva inerenti e deducibili tali costi. L’Agenzia ricorreva quindi per cassazione.
Secondo la Suprema Corte, può coesistere nella stessa persona la posizione di socio di società e/o componente del suo cda e quella di lavoratore subordinato, purché sia in concreto assoggettata a un potere disciplinare e di controllo dagli altri componenti dell’organo cui appartiene. In mancanza, l’osservanza di un orario di lavoro e una regolare retribuzione non sono sufficienti a far ritenere sussistente il lavoro subordinato. Nel caso di amministratore unico non è invece configurabile il vincolo di subordinazione perché manca la soggezione del prestatore ad un potere sovraordinato di controllo e disciplina. Nella specie, un socio era presidente del cda, di conseguenza, non poteva svolgere un’attività di lavoro subordinato. L’altro, invece, era componente del cda, e occorreva verificare in concreto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, fondato o meno sul potere direttivo, gerarchico e disciplinare nei suoi confronti.
Da qui l’accoglimento del ricorso e il principio di diritto secondo cui nelle imposte sui redditi sussiste incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente e la carica di presidente del cda. Per la compatibilità della qualità di socio amministratore, membro del cda, con quella di lavoratore dipendente non è sufficiente, invece, una verifica formale (statuto e delibere), ma occorre un concreto accertamento della sussistenza del vincolo di subordinazione, del potere direttivo e disciplinare nonché lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale.
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Nel quadro RW vanno indicate le criptovalute anche se detenute nei wallet con chiavi private
13 Dicembre 2021
Il Sole 24 Ore 25 novembre 2021 di Valerio Vallefuoco
Tassazione dei proventi da cessioni onerose come per le monete estere
La giacenza media va verificata sull’insieme dei portafogli detenuti
Le criptovalute vanno indicate nel quadro RW anche se detenute in wallet con chiave privata. L’agenzia delle Entrate non cambia linea su tassazione e obblighi dichiarativi riferiti alle valute virtuali. La risposta a interpello 788/2021 tratta, infatti, gli obblighi di monitoraggio riferiti alla detenzione di valute virtuali in digital wallet e ribadisce quanto già precisato dall’Amministrazione finanziaria in precedenti documenti di prassi. Una posizione che giunge a pochi giorni dalla scadenza del 30 novembre per la trasmissione telematica delle dichiarazioni dei redditi.
Ma vediamo nel dettaglio. La risposta a interpello riprende come punto di riferimento la sentenza della Corte di giustizia Ue 22 ottobre 2015, causa C-264/14, che assimila le operazioni in valute virtuali a quelle «relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio»; ciò anche se ormai è stato chiarito da più parti – ad iniziare dalla Banca Centrale Europea, ma anche nell’ambito dei lavori del G20 – che questi «beni virtuali» non debbano più essere considerati “valute” ma attività virtuali (crypto-assets).
Sulla base di questo inquadramento civilistico, l’Agenzia trae una serie di conseguenze sul piano fiscale. Intanto, agli eventuali redditi si applica quanto stabilito dall’articolo 67, comma 1-ter, del Tuir per le valute estere, ossia tassazione dei proventi ma solo se derivano da una cessione a titolo oneroso di valute detenute su conti correnti e depositi con giacenza media superiore, per almeno sette giorni lavorativi continui, a 51.645,69 euro; a tal fine, il prelievo da un wallet equivale ad una cessione a titolo oneroso e la giacenza media va verificata rispetto all’insieme dei wallet detenuti dal contribuente, indipendentemente dalla tipologia dei wallet.
Poi, costituisce una cessione anche la conversione di una valuta virtuale in un’altra valuta virtuale o in euro o in un’altra valuta avente corso legale. Va notato che questo chiarimento, per quanto condivisibile, ci differenzia da quanto previsto in altri Paesi, come la Francia, dove la conversione da un crypto-asset ad un altro non dà luogo a redditi imponibili.
Ancora la risposta a interpello conferma gli obblighi di monitoraggio a favore dei quali si è pronunciato anche il Tar del Lazio con la sentenza n. 1077 del 27 gennaio 2020: le valute virtuali vanno indicate nel quadro RW ogni anno, ma non sono soggette a Ivafe (imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero).
Infine in relazione alle valute virtuali per le quali il contribuente abbia la disponibilità della chiave privata del wallet, l’amministrazione finanziaria richiamandosi alla sua precedente circolare 38/E/2013 (paragrafo 1.3.1.) ha precisato che trattandosi di attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia sussiste comunque l’obbligo di indicazione nel quadro RW della dichiarazione.
La pronuncia dell’Agenzia, per quanto coerente con i precedenti documenti di prassi, mette in luce il limite principale di questo come di altri documenti, ossia l’assenza di norme di diritto civile che diano una definizione univoca e omnicomprensiva (per quanto possibile) dei cripto assets, almeno in attesa che si concluda il processo legislativo comunitario riguardante il regolamento «Mica» (regulation on markets in crypto assets), su cui il Consiglio europeo ha appena raggiunto un accordo.
Ma la soluzione migliore, che conferirebbe certezza agli investitori e agli intermediari, ponendo le basi per uno sviluppo ordinato del mercato di queste attività in Italia, risiederebbe nell’introduzione, come avvenuto in altri Paesi, di una normativa tributaria ad hoc sui cripto-assets, che ne riconoscesse le peculiarità e ne evitasse l’assimilazione a beni e a discipline tributarie che poco si attagliano al fenomeno della finanza digitale.
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Sottrarre dati dal pc aziendale comporta il licenziamento
13 Dicembre 2021
Il Sole 24 Ore 20 novembre 2021 di Marina Olgiati Francesco Torniamenti
Il lavoratore colpevole commette illecito civile e reato di danneggiamento
L’azienda per provare la condotta può produrre documenti personali
I dati contenuti nel pc aziendale in dotazione al dipendente e utilizzati per lo svolgimento dell’attività lavorativa sono patrimonio aziendale. Pertanto, il dipendente che cancelli o manipoli o trasferisca all’esterno tali dati attua una condotta disciplinarmente rilevante, commette illecito civile e penale e può essere tenuto al risarcimento dei danni. Per dimostrare la condotta illecita del dipendente, il datore di lavoro può legittimamente acquisire e produrre in giudizio i messaggi privati inviati dal lavoratore a soggetti terzi. Così ha stabilito la Cassazione nella pronuncia 33809/2021 che ha affrontato il tema anche sotto il profilo della privacy e dei controlli difensivi.
Il caso esaminato ha riguardato un dirigente con mansioni di direttore commerciale, il quale, dopo essersi dimesso, aveva restituito il pc aziendale, previamente cancellando e/o asportando dati di contenuto lavorativo (e-mail, numeri di telefono, informazioni su prodotti e metodi di produzioni). La società datrice, con un intervento tecnico sull’hard disk del pc, aveva recuperato taluni dati cancellati, tra cui una password personale del dirigente, di cui si era poi avvalsa per accedere a messaggi privati del medesimo dirigente. Da tale corrispondenza aveva scoperto che quest’ultimo si era appropriato di informazioni riservate contenute nel pc aziendale, per diffonderle all’esterno. Accertati i fatti, la società aveva convenuto in giudizio l’ex dipendente, proponendo nei suoi confronti una cospicua domanda di danni.
Il giudice di primo grado aveva accolto la domanda, mentre la Corte d’appello l’aveva respinta sul presupposto che la società aveva prodotto prove non utilizzabili (messaggi privati), perché acquisite in violazione del diritto alla riservatezza e alla segretezza della corrispondenza. La Suprema corte ha cassato la sentenza d’appello, con rinvio alla corte territoriale, che dovrà decidere attenendosi ai seguenti principi: il lavoratore che cancella dati contenuti nei dispositivi aziendali lede il patrimonio aziendale e commette illecito civile, a cui consegue il diritto del datore al risarcimento dei danni; commette, altresì, il reato di “danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici”, previsto dall’articolo 635 bis del Codice penale. Il reato sussiste anche se la cancellazione non è definitiva. La Cassazione ha osservato che la condotta è disciplinarmente rilevante e giustifica il licenziamento per giusta causa per infrazione degli obblighi di diligenza e fedeltà.
La produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita quando sia necessaria per esercitare il diritto di difesa e non è preclusa dalla normativa sulla privacy che permette il trattamento di dati personali altrui, senza il consenso del titolare, quando il trattamento è diretto alla tutela di un diritto in sede giudiziaria. La società, al fine di accertare l’illecito utilizzo dei dati aziendali, ben poteva controllare la sua messagistica privata dell’ex dipendente, poiché tale controllo è “difensivo” e può essere adottato senza il rispetto delle garanzie di cui all’articolo 4 della legge 300/1970.