Categoria: Dall’Italia
Social usati sull’auto aziendale: sì al recesso
12 Settembre 2022
Il Sole 24 Ore lunedì 15 agosto 2022 di Marisa Marraffino
Il giudice conferma che agli autisti è richiesta la massima attenzione
Usare i social network mentre si è alla guida di un veicolo aziendale può costare il licenziamento per giusta causa. Lo ha precisato il Tribunale di Cosenza (giudice Lo Feudo) con la sentenza 1240 pubblicata il 13 luglio scorso, a seguito del ricorso di un conducente di pullman licenziato per avere, in più occasioni, commentato post su Facebook durante un tragitto di lavoro.
A incastrarlo i fogli di viaggio sottoscritti e gli screenshot dei post pubblicati durante il servizio. Inoltre, un altro dipendente aveva reso una dichiarazione scritta in cui riferiva che, dopo la contestazione disciplinare, aveva sentito il collega, che aveva confermato l’addebito, minimizzando la gravità del fatto.
Il conducente aveva tentato di difendersi, eccependo genericamente che a scrivere i post fosse stata la figlia che viaggiava sul pullman con lui, ma la circostanza non aveva trovato riscontri ed era stata anzi smentita dalle altre risultanze istruttorie.
Così, per il Tribunale il licenziamento è giustificato vista la gravità della condotta, che mette a rischio la fedeltà, il rispetto del patrimonio e della reputazione del datore di lavoro. A nulla rileva la circostanza che il datore di lavoro non abbia affisso in bacheca il Codice disciplinare: la violazione delle norme e dei doveri fondamentali del lavoratore è talmente grave che non necessita di ulteriore specifica previsione.
Per il giudice chi guida un mezzo aziendale deve prestare un «grado massimo di attenzione, a protezione dell’incolumità degli utenti del servizio e più in generale della sicurezza della circolazione aziendale».
Il principio si applica a tutti i mezzi aziendali usati per ragioni di servizio e richiama i lavoratori al rispetto delle norme stradali. In caso di infrazioni non si rischiano solo sanzioni amministrative ma anche disciplinari, visto che legittimamente il datore di lavoro ripone nei dipendenti l’affidamento sul rispetto del Codice della strada.
Non è la prima volta infatti che le violazioni del Codice della strada legittimano un licenziamento. Era successo anche a Caltanissetta dove un addetto ai trasporti era stato licenziato, questa volta per giustificato motivo, perché aveva travolto e ucciso un pedone che stava attraversando le strisce pedonali. Nel verbale della polizia municipale il lavoratore aveva dichiarato di non essersi accorto della presenza del pedone perché distratto da una chiamata in arrivo sul cellulare. A prescindere dal fatto che il dipendente avesse risposto o meno al telefono senza auricolari o viva voce, la violazione delle norme di prudenza alla guida del mezzo aziendale è stata ritenuta tale da legittimare di per sé il licenziamento (Tribunale di Caltanissetta, decreto del 14 giugno 2019).
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Operazioni inesistenti di ditte individuali: contestazione in salita
12 Settembre 2022
Il Sole 24 Ore lunedì 22 agosto 2022 di Alessandro Borgoglio
Per la Ctp Torino non basta l’assenza di personale, sede e dotazioni strumentali
Il Fisco non può contestare l’inesistenza oggettiva di operazioni fatturate da titolari di ditte individuali, sulla base dell’assenza di dotazione personale e strumentale, di utenze, di locali sede dell’attività e di contratti di assicurazione, data la genericità di tali considerazioni formulate dall’ufficio. A queste conclusioni è pervenuta la Ctp di Torino (presidente Grimaldi e relatore Pierro), con la sentenza 520/1/2022.
Il Fisco aveva contestato a un impresario edile l’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse da tre soggetti, alcuni dei quali di nazionalità estera, recuperando a tassazione i relativi costi ritenuti indeducibili. La contestazione dell’ufficio muoveva dal fatto che gli imprenditori individuali non avevano presentato alcuna dichiarazione fiscale, non avevano dipendenti, non avevano alcuna utenza commerciale, non erano proprietari né conduttori di locali a uso commerciale e non avevano stipulato alcun contratto assicurativo o di finanziamento (tranne uno di loro, che aveva speso 220 euro per un’assicurazione contro gli infortuni). A fronte di tale articolato compendio indiziario, l’impresario edile si era limitato a esibire le fatture e i relativi pagamenti.
Secondo il collegio di merito, però, non convince la ricostruzione operata dall’ufficio, fondata sulla indisponibilità di attrezzature e/o personale, senza che sia stato accertato in concreto se il tipo di prestazioni richieste, effettuate e fatturate ne richiedessero l’impiego, atteso che i tre soggetti sono artigiani la cui manodopera è stata impiegata per svolgere l’attività di cantiere. La natura e l’esercizio di queste attività, stante l’articolo 53 Tuir, potrebbe essere qualificata attività artigianale di lavoro autonomo che non richiede per il suo esercizio la disponibilità di beni strumentali, né di personale alle proprie dipendenze. Neppure era poi rilevante – per i giudici torinesi – che i tre soggetti avessero omesso di presentare le dichiarazioni reddituali. Da qui la bocciatura dell’accertamento.
Diversamente, per la consolidata giurisprudenza di legittimità, in caso di ripresa per operazioni oggettivamente inesistenti, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva, del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, e successivamente spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; il Fisco, per assolvere al suo onere probatorio, può avvalersi anche di elementi indiziari e presuntivi, consistenti nell’assenza di personale (Cassazione 36749/2021) e nella mancanza di una struttura organizzativa (Cassazione 28451/2021), non potendo la prova contraria del contribuente consistere nella esibizione delle fatture o dei mezzi di pagamento (Cassazione 10568/2022, 25079/2021, 15217/2021, 12303/2021).
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Via libera al Dl Semplificazioni: registri contabili solo telematici
12 Settembre 2022
Il Sole 24 Ore 3 agosto 2022 di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce
Ieri l’ok definitivo al Senato con 168 voti favorevoli, 23 contrari e 2 astenuti
Operazioni da comunicare nell’esterometro con soglia di 5mila euro
La conversione del Dl 73/2022 (ieri l’ok definitivo dell’Aula del Senato con 168 voti favorevoli, 23 contrari e 2 astenuti) contiene importanti novità in materia di fisco telematico e di obblighi collegati alla gestione informatica dei registri contabili. In particolare, per i registri contabili, gli stessi si considerano regolarmente tenuti e conservati con sistemi elettronici anche se non trasposti su supporti cartacei ovvero se non versati a un sistema di conservazione elettronica a norma, a condizione che il contribuente a richiesta degli organi di verifica provveda a stamparli dimostrando di averli aggiornati secondo le regole imposte dalle regole fiscali.
Inoltre, per quanto riguarda gli obblighi, molto importante è l’introduzione di una soglia di 5.000 euro, per le operazioni che pur essendo carenti del requisito territoriale (articoli da 7 a 7 octies del Dpr 633/72), andrebbero comunicate con l’esterometro. In pratica tali operazioni (limitatamente al lato passivo) per importo non superiore alla soglia sono state escluse dall’adempimento.
Entrambe le previsioni perseguono un principio di semplificazione e sono sostanzialmente in linea con lo scopo del legislatore di far si che i registri e la dichiarazione Iva siano in futuro creati e precompilati dalle Entrate in forza delle informazioni che vengono acquisite con fatture elettroniche, corrispettivi telematici e operazioni con l’estero. Entrambe le previsioni, però, per motivi diversi aprono dei profili di criticità operativa che non possono essere fin da subito sottaciuti.
Registri tenuta e conservazione
L’intervento del legislatore consiste in una modifica dell’articolo 7, comma 4 quater del decreto 357/1997 in cui viene espressamente indicato che i soli registri contabili (libro giornale, libro degli inventari, registri prescritti ai fini Iva) possono essere tenuti e archiviati elettronicamente senza trasposizione su stampa ovvero senza attivazione del relativo processo di conservazione a norma secondo le regole previste dal Cad e dai connessi regolamenti di attuazione quindi anche oltre la scadenza dei tre mesi dal termine di presentazione della dichiarazione dei redditi a condizione che a richiesta dei verificatori vengano stampati su supporto cartaceo.
Deve essere chiaro che la nuova regola che, in qualche modo disattende le interpretazioni fornite nel tempo dalle Entrate, riguarda solo i registri e non gli altri documenti che non essendo inclusi nella disposizione devono rispettare le normali regole di conservazione. Si pensi alle fatture elettroniche che, per legge devono essere conservate in modalità elettronica ovvero i contratti e i documenti a rilevanza fiscale che non configurandosi quali registri contabili non possono essere conservati in modalità elettronica senza essere debitamente stampati ovvero conservati elettronicamente.
Esterometro
L’articolo 12 del Dl 73/2022, come modificato in sede di conversione, estende il novero delle operazioni con clienti e fornitori non residenti escluse dall’obbligo di comunicazione dei dati, cosiddetto esterometro.
Si amplia, infatti, il novero delle operazioni per le quali non sussiste l’obbligo di esterometro, ricomprendendovi non solo quelle già oggetto di certificazione fiscale con dichiarazione doganale o con fattura elettronica in formato xml transitata da SdI, ma anche quelle che non solo non rilevano a fini Iva in Italia per carenza del requisito territoriale ma che, per singola operazione, non superano i 5.000 euro. Si tratta di quelle operazioni non rilevanti territorialmente in Italia, e cioè di acquisti di beni e prestazioni di servizi da un fornitore estero e che, di conseguenza, non determinano la necessità di adempiere all’obbligo di integrazione del documento passivo ricevuto o di emissione di una autofattura. Le operazioni interessate sono, ad esempio, quelle relative a immobili all’estero, ovvero acquisti di carburanti o pernottamenti all’estero.
Anche in questo caso l’esistenza di una soglia (anche se per lo più sufficientemente elevata) comporta l’obbligo per il contribuente di distinguere le operazioni da segnalare da quelle da escludere che per un sistema completamente automatizzato crea sicuramente un’alternativa da gestire con ulteriore interventi gestionali.
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Le criptovalute favoriscono l’autoriciclaggio
5 Agosto 2022
Il Sole 24 Ore 14 luglio 2022 di Giovanni Negri
La Cassazione sottolinea l’opacità delle transazioni per il grado di anonimato
La fisionomia del sistema di acquisto di bitcoin «si presta ad agevolare condotte illecite», visto che consente di assicurare un grado elevato di anonimato. Via libera quindi alla custodia cautelare per truffa e autoriciclaggio.
Lo afferma la Corte di cassazione con la sentenza 27023 della Seconda sezione penale depositata ieri. Nel confermare la misura cautelare anche per il reimpiego dei proventi dei delitti di truffa aggravata in attività speculative come l’acquisto di criptovalute la Corte ha così respinto il ricorso della difesa con il quale si sosteneva che le operazioni non avevano finalità speculative e che, in ogni caso, le regole del mercato di riferimento non permettono di nascondere l’identità dell’acquirente perché sono improntate alla massima trasparenza.
La Cassazione tuttavia non è stata di questo parere e ha innanzitutto affermato che l’indicazione normativa fornita dall’articolo del Codice penale sull’autoriciclaggio (648 ter.1) sulle attività in cui il denaro frutto del reato presupposto può essere impiegato o trasferito non costituisce un elenco formale, ma piuttosto individua delle macroaree, tutte collegate dalla caratteristica dell’impiego finalizzato a ottenere un utile, inquinando in questo modo il circuito economico. In questa prospettiva nella nozione di «attività speculative» può essere ricondotta una pluralità di attività.
Per quanto riguarda le valute virtuali, la sentenza sottolinea che queste possono essere utilizzate per scopi diversi dal pagamento e comprendere prodotti di riserva di valore per obiettivo di risparmio e di investimento. E allora , a differenza di quanto sostenuto dalla difesa che aveva valorizzato in termini di trasparenza le registrazioni sulla blockchain e sul distribuited ledger, è invece possibile garantire il massimo «anonimato (sistema permissionless), senza previsione di alcun controllo sull’ingresso di nuovi “nodi” e sulla provenienza del denaro convertito».
Inoltre, afferma la Cassazione, che è «ormai noto» il numero elevato di criptovalute utilizzate nel darkweb proprio per le caratteristiche di opacità: alcune di esse, soprattutto per l’uso di tecniche crittografiche avanzate garantiscono infatti un eccellente grado di privacy sia con riferimento alla persona dell’utente sia in rapporto all’oggetto delle compravendite.
Del resto, la disciplina antiriciclaggio ha provato a fare fronte alla nuova situazione anticipando la V direttiva in materia di criptovalute, valute virtuali e destinatari degli obblighi di prevenzione, affiancando queste misure a quelle penali previste dal Codice su riciclaggio e autoriciclaggio.
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Imposte sui dividendi: i fondi esteri restano discriminati
5 Agosto 2022
Il Sole 24 Ore 28 luglio 2022 di Maurizio Leo
RISPARMIO E FISCO
Con alcune sentenze appena pubblicate (21454, 21475, 21480, 21481, 21482 e 21598) la Cassazione ha affermato importanti principi in materia di tassazione degli organismi di investimento collettivo del risparmio (Oicr) esteri, idonei a estendersi ben oltre le vicende ivi trattate (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri).
I giudizi traevano origine da istanze di rimborso presentate da alcuni fondi extra-Ue (nella specie Usa) e comunitari (per esempio un fondo tedesco), i quali lamentavano un trattamento impositivo deteriore sui dividendi loro distribuiti da società residenti in Italia, rispetto a quello destinato ai fondi italiani in periodi d’imposta ante 2010.
La Suprema corte ha accolto le loro doglianze e riconosciuto il diritto al rimborso, ritenendo il trattamento discriminatorio a essi riservato una palese violazione del principio di libera circolazione dei capitali di cui all’articolo 63 Tfue. E ciò, anche con riguardo al caso di fondi extra-Ue, tenuto conto della costante giurisprudenza comunitaria (su tutte, si veda la decisione emerging markets) e del condivisibile principio secondo cui un regime fiscale meno favorevole è idoneo a dissuadere i fondi esteri dall’assumere partecipazioni in società comunitarie e viceversa.
Il tema della discriminazione dei fondi esteri rispetto a quelli nazionali è noto e non costituisce di certo una specificità del nostro ordinamento, come dimostrano le molteplici sentenze comunitarie in materia. Ciò è stato pure oggetto di un’indagine della Commissione Ue, nell’ambito dell’Eu Pilot 8105/15 che ha anche condotto il nostro legislatore ad allineare, dal 1° gennaio 2021, il trattamento fiscale dei dividendi distribuiti a Oicr istituiti nell’Ue a quello previsto per i fondi residenti in Italia, in termini di esenzione. A tale intervento, contenuto nella legge di Bilancio 2021, è dato ampio spazio nell’iter argomentativo che ha condotto la Cassazione a sancire la discriminazione tra fondi esteri e nazionali.
Eppure, proprio le pronunce in rassegna denotano le criticità di quest’ultima disciplina, la quale ha affrontato e risolto il tema della discriminazione in modo solo parziale, sia dal punto di vista temporale, che territoriale. Infatti, la legge di Bilancio 2021 riferisce l’esenzione ai soli dividendi distribuiti da quest’ultimo anno (così anche la risposta ad interpello 327/2021) a Oicr comunitari, con ciò ponendosi in contrasto – in relazione a entrambe le suddette limitazioni – con la commentata giurisprudenza di legittimità, a sua volta interpretativa del diritto Ue.
Sul piano territoriale, infatti, le sentenze in parola qualificano, alla stregua di violazione dell’articolo 63 Tfue, ogni discriminazione dei fondi esteri (rispetto a quelli nazionali), sia quelli istituiti nel territorio Ue, che fuori da esso.
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Reato di sfruttamento del lavoro se il contratto part-time è fittizio
5 Agosto 2022
Il Sole 24 Ore 5 luglio 2022 di Enzo De Fusco
Condannata l’impresa i cui dipendenti seguivano orari da tempo pieno
Sussiste l’ipotesi di reato di sfruttamento del lavoro di cui all’articolo 603 bis del Codice penale nel caso di impiego a tempo pieno di lavoratori assunti formalmente a part time e retribuiti come tali. Il principio innovativo è stato stabilito dalla IV Sezione penale della Cassazione con la sentenza 24388/22 del 24 giugno. La Corte chiarisce anche quale sia il momento di perfezionamento del reato, ribadendo cosa debba intendersi per «stato di bisogno» del lavoratore.
La vicenda vede coinvolta una azienda i cui dipendenti, nonostante la formale modifica del contratto da full a part time, avevano continuato a lavorare per un numero di ore corrispondenti al contratto a tempo pieno, percependo la retribuzione prevista dal Ccnl per i part time. Era stato altresì accertato che i lavoratori non usufruivano delle ferie, della riduzione dell’orario lavoro, dei giorni di assenza e permesso previsti dalla contrattazione collettiva, lavorando tutti i giorni e per 48 ore settimanali in alta stagione.
In tale contesto, la Cassazione, a cui era stato fatto ricorso contro l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro, ha ritenuto sussistente il requisito del fumus commissi delicti, avendo il Tribunale fatto corretto riferimento alle modalità di impiego. Viene così confermato il sequestro di somme corrispondenti alle retribuzioni non corrisposte ai lavoratori, facendoli falsamente figurare a part time, e che i giudici considerano un ingiusto profitto acquisito illegittimamente dagli indagati.
La difesa dei due imprenditori indagati eccepiva la non sussistenza del reato per essere i rapporti di lavoro sorti prima del 4 novembre 2016, data di entrata in vigore della legge 199/2016 che ha modificato l’articolo 603-bis del Codice penale e distinto l’ipotesi di intermediazione illecita, il cosiddetto caporalato, da quella di sfruttamento del lavoro, condotta invece propria del datore di lavoro.
Sul punto, la Corte ha chiarito che il Tribunale correttamente aveva fatto riferimento, quale momento iniziale di commissione del reato, al 4 novembre 2016, visto che esso si perfeziona attraverso modalità alternative che riguardano non solo l’assunzione, ma anche l’utilizzazione o l’impiego di manodopera. Per la Cassazione si tratta dunque di un reato istantaneo con effetti permanenti, il cui perfezionamento si realizza anche attraverso l’impiego o l’utilizzazione della manodopera in condizioni di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno, restando irrilevante il momento in cui si sia instaurato il rapporto di lavoro.
Del pari irrilevante, ai fini della conferma del sequestro, è stata ritenuta la circostanza che un soggetto terzo, non indagato, si fosse occupato del reclutamento dei dipendenti e di concordare con loro le condizioni di lavoro e retribuzione, visto che ciò non incide sulla configurabilità del reato a carico dei datori di lavoro.
Da ultimo la Corte, quanto al requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno, condivide il giudizio del Tribunale di Catanzaro, secondo cui i lavoratori erano stati di fatto costretti ad accettare le condizioni imposte per la necessità di mantenere un’occupazione, non esistendo possibili reali alternative di lavoro. Precisa infatti la Cassazione che, ai fini del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non va inteso come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitare la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose.
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Operazioni con l’estero, dati dettagliati in fattura
5 Agosto 2022
Il Sole 24 Ore 5 luglio 2022 di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce
Diventa obbligatorio inserire natura, qualità e quantità di beni e servizi
Possibile la conservazione analogica dei documenti verso e da non residenti
Per il nuovo esterometro l’incontro con l’agenzia delle Entrate organizzato ieri da Confindustria conferma l’imminente arrivo di una circolare e l’aggiornamento della guida alla fattura elettronica. Inoltre, nelle relazioni e nelle numerose risposte fornite alle domande proposte dalle imprese collegate, i funzionari dell’Agenzia anticipano il contenuto dei documenti di prassi sia per quanto riguarda le modalità che per la tempistica in cui è necessario effettuare il nuovo adempimento. Infine, l’Agenzia annuncia l’arrivo a breve di nuovi servizi web per la gestione dei registri precompilati con maggiori funzionalità.
Per le operazioni effettuate dal 1° luglio 2022 nei confronti e da soggetti non residenti gli operatori nazionali devono trasmettere allo Sdi (Sistema di interscambio) con il formato Xml della fattura elettronica i dati delle singole operazioni. Il cambiamento comporta, in primo luogo, rispetto alla vecchia comunicazione trimestrale, l’inserimento di maggiori dettagli relativi alle singole operazioni. In particolare, per la prima volta viene richiesto di inviare la descrizione dell’operazione con puntuale indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi.
Per le operazioni attive il contribuente, come suggerisce l’Agenzia, dovrà produrre il file Xml con il normale processo di fatturazione inserendo tutti gli elementi propri della fattura elettronica. L’unica differenza rispetto alle fatture nazionali è costituita dal fatto che il codice del destinatario da utilizzare, a meno che il cliente non si sia registrato allo Sdi, è quello convenzionale a sette ics.
Per le fatture passive la creazione dell’Xml quale integrazione della fattura ovvero, in riferimento alle fatture relative ai servizi extra Ue, quale autofattura dovrà essere realizzato in base al documento estero ricevuto. Da questo punto di vista la compilazione dei campi relativi a natura, qualità e quantità dei beni e servizi ricevuti, potrà essere semplificata in ragione del fatto che il documento ricevuto verrà conservato dal cessionario/committente insieme alla documentazione di base delle singole operazioni.
Proprio in ragione della conservazione dei documenti emessi e dei documenti ricevuti, è importante il chiarimento proposto per il quale questi documenti vanno conservati non obbligatoriamente in elettronico. L’unica eccezione potrebbe essere costituita dal caso in cui o il cliente o il fornitore estero si sia registrato allo Sdi perché in questo caso la fattura emessa dall’operatore nazionale ovvero la fattura emessa dall’operatore estero transiterebbe tramite Sdi come fattura elettronica e, in quanto tale sarebbe direttamente registrata dai sistemi dell’Agenzia e rimessa a disposizione del cliente nell’area dedicata del portale fatture e corrispettivi. In questo caso la conservazione dovrebbe essere fatta obbligatoriamente in elettronico.
Un altro aspetto ribadito dall’agenzia delle Entrate riguarda le operazioni incluse ed escluse dal nuovo adempimento. Sotto questo profilo è stato evidenziato che sono escluse dall’esterometro le operazioni documentate da dichiarazione doganale (import ed export) ovvero da fatture elettroniche e dalle fatture emesse nei confronti dei viaggiatori in base all’articolo 38-quater del Dpr 633/72 tramite il sistema doganale Otello.
Sono ulteriormente esclusi, in base alla nuova versione dell’articolo 1, comma 3-bis, del Dlgs 127/2015 (Dl 73/2022) anche gli acquisti di beni e servizi non rilevanti ai fini Iva per carenza del requisito territoriale e di importo non superiore a 5mila euro.
Sulle operazioni doganali un suggerimento fornito a chi volesse trasmetterle anche se escluse, è di evitare di farlo perché l’invio potrebbe produrre una duplicazione del dato nelle basi dati del fisco creando un evidente problema nella compilazione dei registri precompilati.
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Esterometro, è sufficiente l’uso della bolletta doganale
5 Agosto 2022
Il Sole 24 Ore 15 luglio 2022 di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce
Novità dall’aggiornamento della Guida alla compilazione e dalla risposta a interpello 379
Anche la fattura elettronica esclude l’obbligo ulteriore della trasmissione dei dati
Indicazioni operative e ulteriori chiarimenti in materia di esterometro con la versione aggiornata della Guida alla compilazione e della risposta a interpello 379/E, entrambe pubblicate ieri 14 luglio dall’agenzia delle Entrate, facendo seguito alle risposte fornite agli operatori con la circolare 26/E.
Più in dettaglio, con la risposta 379/E è stato precisato come anche le amministrazioni pubbliche, analogamente agli enti del terzo settore, non sono tenute all’obbligo di comunicazione dei dati delle operazioni passive estere che rientrano nella loro sfera istituzionale e, quindi, quando gli acquisti vengono effettuati non agendo come soggetti passivi di imposta.
Inoltre, con la versione 1.7 della Guida sono state rese ulteriori precisazioni per rendere più chiare alcune indicazioni sulle modalità di compilazione e gestione anche delle comunicazioni “esterometro”, dettagliando le informazioni che devono popolare specifici campi del tracciato.
Un approfondimento ulteriore meritano inoltre le posizioni rese dalle Entrate con la circolare 26/E relativamente alle esportazioni e alle importazioni documentate con bolletta doganale e alle operazioni con San Marino.
Bolletta doganale
Con la risposta n. 2.3. il documento di prassi chiarisce come, alla luce di quanto indicato nel provvedimento direttoriale 293384 del 28 ottobre 2021, non esiste alcun divieto, né vi è un obbligo, di trasmettere i dati delle operazioni per le quali risulta emessa una bolletta doganale. Per espressa previsione di legge circa l’adempimento dell’esterometro dettata dall’articolo 1, comma 3-bis del decreto 127 del 2015, la presenza infatti di una bolletta doganale o di una fattura elettronica via Sdi escludono l’obbligo ulteriore di assolvere alla trasmissione dei relativi dati. La finalità è infatti quella di evitare duplicazioni delle informazioni trasmesse e poi messe a disposizione dei contribuenti. Proprio per questa ragione, le Entrate evidenziano come può sussistere un potenziale rischio di duplicazione delle operazioni nei sistemi informatici a carico di coloro che inviano nuovamente i dati, nonostante la non obbligatorietà della trasmissione degli stessi. Quindi, sebbene la trasmissione dell’esterometro già in presenza di fattura elettronica o bolletta doganale non determina alcuna violazione sanzionabile, il contribuente si pone nelle condizioni di dovere rispondere ad eventuali lettere di compliance alla luce dei disallineamenti che risulterebbero, in ragione della duplicazione dei dati, nei sistemi informatici delle Entrate stesse.
San Marino
Considerando l’avvio dell’obbligatorietà della fatturazione elettronica da e verso San Marino dal 1° luglio 2022, tutti i flussi tracciati via Sdi dovrebbero escludere di per sé la necessità di comunicare nuovamente i relativi dati con l’adempimento dell’esterometro. Sul punto, tuttavia, con la risposta 2.4., oltre a ricordare come integrazione e autofattura, da un lato, ed esterometro dall’altro, costituiscano adempimenti tra loro autonomi, anche se con la trasmissione dei flussi TD17, TD18 e TD19 sia possibile soddisfarli entrambi, le Entrate si soffermano sulle operazioni passive con San Marino documentate con fattura elettronica attraverso Sdi ma sena addebito di imposta da parte dell’operatore sanmarinese. In questo caso, la norma contenuta nell’articolo 8, comma 1 del decreto ministeriale 21 giugno 2021 impone comunque al soggetto italiano di assolvere l’imposta con il meccanismo del reverse charge trasmettendo a SdI un file con tipo documento TD19, compilando l’aliquota e l’imposta da registrare in contabilità.
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È lecito trasferire la sede del noleggio per ridurre la tassa auto regionale
5 Agosto 2022
Il Sole 24 Ore 18 luglio 2022 di Maurizio Caprino e Dario Deotto
Non c’è elusione in caso di trasloco da Roma a Bolzano: il risparmio è legittimo
Rileva tra l’altro il progetto di aprire più sedi in Italia, anche per la clientela tedesca
Non costituisce ipotesi di abuso del diritto il trasferimento della sede legale da Roma a Bolzano di una società di noleggio veicoli, trasferimento che ha consentito il pagamento di una minore tassa automobilistica regionale (Tar). È questo l’aspetto di maggiore rilievo che si coglie da una davvero articolata e approfondita sentenza della Ctp di Roma, sezione 21, n. 6016/2022, depositata il 19 maggio scorso (presidente e relatore Papa).
La regione Lazio aveva contestato a una società di noleggio l’assenza di valide ragioni economiche (sembra davvero non sia cambiato nulla rispetto al passato, come più volte riportato sulle pagine de Il Sole 24 Ore) che l’avevano portata a trasferire la sede legale da Roma a Bolzano con un notevole risparmio della Tar che, secondo la regione, risultava indebito.
Un caso non certo isolato, dopo i due inasprimenti susseguitisi nel 2011 sull’Ipt (Imposta provinciale di trascrizione), che avevano indotto buona parte dei noleggiatori a trasferire la sede da Roma a Bolzano o a Trento perché le province autonome possono continuare ad applicare il tributo secondo le vecchie regole. Così Roma Capitale e la Regione Lazio (danneggiata perché il trasferimento aveva comportato la perdita del gettito del bollo auto pagato per le flotte aziendali, fino al 2020 dovuto in base alla sede del noleggiatore) avevano inviato accertamenti a cinque operatori.
La Ctp di Roma boccia proprio una di queste iniziative. Osservando che nel caso di specie la società non aveva costituito a Bolzano una sede di puro artificio: il trasferimento risultava parte di un ampio progetto aziendale che aveva portato a creare delle sedi anche in altre zone d’Italia, come a Palermo, rientrante anch’essa in una regione a statuto speciale. Lo spostamento della sede legale a Bolzano, peraltro, risultava funzionale al fatto che il maggior cliente della società fosse una società tedesca, la quale dirottava sulla società ricorrente, al fine di stipulare i contratti di noleggio auto, i propri clienti che si recavano in Italia.
Legittimo risparmio d’imposta
La Ctp rileva, inoltre, che il trasferimento della sede della società rientra nel principio del legittimo risparmio d’imposta in quanto l’ente che ha deciso di immatricolare le autovetture presso il Pra di Bolzano – dove è stata trasferita la sede legale – «sta scegliendo legittimamente nel rispetto dell’impianto della normativa». Ulteriormente la Ctp di Roma ricorda che «le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi perché non sono vincolanti neppure per la stessa autorità che l’ha emanata».
Il confine tra abuso ed evasione
Tornando specificatamente all’abuso del diritto, si è sempre sostenuto su queste pagine che non si può realizzare un’ipotesi elusiva laddove il contribuente, per conseguire un determinato risultato, scelga l’opzione più conveniente offerta dall’ordinamento. E questo a prescindere da valide ragioni economiche o meno (in termini aggiornati, dalla sostanza economica o meno).
Senza contare che non si può realizzare abuso del diritto quando si è in presenza di fenomeni di simulazione, di dissimulazione, di interposizione fittizia e, più in generale, di fenomeni finzionistici. Se, ad esempio, per la regione Lazio la sede della società a Bolzano risultava fittizia, ciò non può risultare un fenomeno di abuso del diritto, ma, semmai, di evasione.
Nell’elusione/abuso del diritto non vi è mai un’asimmetria tra la situazione formale e quella reale: le operazioni poste in essere sono assolutamente valide ed efficaci. È soltanto il vantaggio ottenuto che risulta indebito.
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Risponde di sanzioni e imposte il beneficiario della società schermo
5 Agosto 2022
Il Sole 24 Ore 27 luglio 2022 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio
L’ufficio deve dimostrare che l’interponente ha il possesso del reddito
L’amministratore di fatto che beneficia dei redditi della società schermo risponde non solo delle sanzioni ma anche delle imposte dovute dall’ente. Il principio vale anche ai fini Iva perché si crea un rapporto di mandato senza rappresentanza tra l’interposto e l’interponente. A precisarlo è la Cassazione con la sentenza 23231. La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società ritenuta cartiera e a cinque amministratori di fatto. In particolare le persone fisiche avevano agito per conto della società per realizzare una frode unionale.
La Suprema corte ha rilevato che per l’articolo 7 del Dl 269/2003 la società risponde della sanzione ed è escluso che sia irrogabile la penalità alla persona fisica materialmente autrice della violazione. La disposizione è applicabile solo a condizione che l’ente sia l’effettivo beneficiario degli illeciti, poiché qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore della società abbiano agito nel proprio unico interesse, utilizzando l’ente come schermo, le persone fisiche risultano sanzionabili.
Se l’amministratore di fatto ha utilizzato lo schermo sociale nel suo esclusivo interesse sorge la presunzione che ha avuto beneficio anche dei relativi proventi. In materia di imposte dirette, infatti, applicando l’articolo 36 del Dpr 602/73, può ritenersi che l’amministratore di fatto di una “cartiera” abbia incamerato i proventi dell’evasione e conseguentemente egli debba fornire la prova contraria.
Dinanzi a una società schermo, esiste un soggetto che fa proprie le attività, i redditi e i proventi. Secondo l’articolo 37, comma 3 del Dpr 600/73, sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti, quando sia dimostrato anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli è l’effettivo possessore per interposta persona.
Secondo la Cassazione il principio è applicabile anche al reddito di impresa e all’ipotesi in cui l’interposto sia una società di capitali. Ai fini probatori non occorre individuare la natura fittizia o ingannevole della titolarità, bensì l’effettività del possesso del reddito. L’Ufficio dovrà dimostrare che l’amministratore di fatto dispone delle risorse dell’ente.
La traslazione del reddito d’impresa dall’interposto all’interponente è così idonea ad assicurare il recupero delle imposte in capo ai terzi persone fisiche. Tale principio vale anche ai fini Iva: tra interponente e interposto si instaura un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore e la mandante è la società. Ne consegue che ove le prestazioni di servizi cui il mandatario abbia partecipato per conto della società siano soggette a Iva, pure il rapporto del mandato è soggetto all’imposta.