L’autonomo in Italia che è dipendente in Svizzera

10 Giugno 2025

Il Sole 24 Ore 2 Giugno 2025 di Giuseppe Merlino

Un odontoiatra, residente in Italia e titolare di partita Iva, è stato assunto in Svizzera come “dipendente a chiamata” (lavoro subordinato). All’attività professionale viene, quindi, affiancata quella di lavoratore dipendente. Il salario percepito in Svizzera mantiene in Italia la qualifica di reddito di lavoro dipendente o viene assorbito da quello di lavoro autonomo?In base alla normativa fiscale italiana, e agli accordi internazionali tra Italia e Svizzera, il reddito da lavoro dipendente (considerando come tale anche il “lavoro a chiamata” o “intermittente”), svolto in Svizzera da un residente fiscale italiano, mantiene la sua natura di reddito da lavoro dipendente anche in Italia, senza essere assorbito nel reddito da lavoro autonomo.Quindi, anche se il soggetto in questione è titolare di partita Iva, il reddito percepito come dipendente in Svizzera non viene “assorbito”, né fiscalmente né contabilmente, nel reddito da lavoro autonomo.

Essendo residente in Italia, il contribuente è tenuto a dichiarare in Italia tutti i redditi ovunque prodotti (principio della worldwide taxation, si veda l’articolo 3 del Dpr 917/1986, Tuir), compresi quelli da lavoro dipendente svolto all’estero.

Tuttavia, in caso di redditi prodotti all’estero, occorre verificare quanto disposto in sede convenzionale. La convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Svizzera, ratificata con la legge 943/1978, all’articolo 15, in materia di redditi da lavoro subordinato, prevede che i redditi prodotti in uno Stato diverso da quello di residenza sono imponibili in entrambi gli Stati. In deroga a tale principio, la convenzione prevede che le remunerazioni che un soggetto residente in Italia riceve in corrispettivo di un’attività dipendente svolta in Svizzera sono imponibili soltanto in Italia (articoli 50 e 51 del Tuir) se, contemporaneamente:

– il soggetto soggiorna in Svizzera per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno fiscale considerato;

– le remunerazioni sono pagate da (o a nome di) un datore di lavoro che non è residente in Svizzera;

– l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha in Svizzera.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Dal bilancio prova del nove per il transfer pricing in Redditi

10 Giugno 2025

Il Sole 24 Ore 4 Giugno 2025 di Alessandro Germani

Approvati i bilanci, le imprese nazionali coinvolte nelle dinamiche di transfer pricing in quanto parte di un gruppo che si sviluppa anche all’estero debbono procedere a individuare i flussi da inserire in dichiarazione dei redditi e alla predisposizione della documentazione (master file, country file) necessaria a ottenere la disapplicazione delle sanzioni.

I bilanci

Un primo aspetto tutt’altro che scontato nasce dall’esame dei package di bilancio che sono stati ormai in larga parte approvati nei quali si ritrovano le prestazioni intercompany a livello di costi e di ricavi. In questo modo si ha una prima importante identificazione delle fattispecie interessate dall’analisi di transfer pricing. È opportuno, tuttavia, che vi sia anche un file di raccolta vera e propria di tali flussi, che servirà poi a compilare il rigo RS 106 della dichiarazione relativo ai componenti positivi e negativi, secondo varie finalità. In primo luogo, infatti, ciò serve a controllare la correttezza di quanto indicato in bilancio, perché non si può escludere che, anche per il semplice fatto che le transazioni possono essere molto numerose, qualcuna di queste non sia stata correttamente mappata come infragruppo in bilancio.

A ciò si deve aggiungere la circostanza per cui per le stabili organizzazioni in Italia di soggetti esteri, non avendo l’obbligo di depositare il bilancio locale presso la camera di commercio, vi sia una minore attenzione alla dinamica dell’intercompany e a maggior ragione è opportuno che si predispongano i flussi infragruppo destinati a confluire in dichiarazione.

L’analisi dei flussi

Questo lavoro di raccolta è anche necessario per verificare la corrispondenza in contabilità di tutti i costi e i ricavi interessati dal transfer pricing, per i quali al tempo stesso occorre comprendere la natura, verificare le relative fatture, individuare i contratti che sorreggono le transazioni in esame. Non ci si può basare infatti su quanto viene fornito dalla società, ma l’analisi deve essere approfondita per testare la completezza di tutte le informazioni richieste. Non si tratta di un’attività semplice soprattutto nei casi in cui l’entità italiana sia parte di un gruppo multinazionale con head quarter all’estero, perché non è escluso che tutte queste informazioni non siano prontamente a portata di mano e quindi sarà necessario avere delle interlocuzioni con le funzioni internazionali, oltre che con quelle locali. Discorso più agevole dovrebbe presentarsi laddove invece la testa del gruppo sia collocata in Italia.

I metodi utilizzati

Accanto alla mappatura dei flussi, l’occasione è valida anche per inquadrare quale possa essere il metodo che giustifica meglio la transazione. Da questo punto di vista ci può essere il ricorso al Cup (confronto di prezzo) che talvolta potrà essere esterno (ma occorrerà vedere se si hanno a disposizione i dati) piuttosto che interno, laddove dal confronto con transazioni con soggetti terzi si potrà trovare la giustificazione di quelle operate infragruppo e della bontà del relativo prezzo fissato. In altri casi potrà essere utile ricorrere ai metodi reddituali, primo fra tutti il Tnmm (transactional net margin method).

Questo metodo presuppone la scelta di un profit level indicator (Pli) che dipende dalla natura della tested party. Se questa, ad esempio, è una controllata commerciale estera, il Ros (return on sales) potrà essere un indicatore del tutto valido. È evidente poi che occorrerà fare ricorso ad una banca dati adeguata che consenta di ottenere, mediante la scelta del codice attività nonché del range di fatturato, tutti i potenziali competitor che, essendo spesso parecchie centinaia, necessitano poi di una ulteriore raffinazione anche guardando ai siti aziendali e alle altre informazioni disponibili.

L’approccio

L’approccio al transfer pricing non può risolversi in una mera raccolta di dati. Ma deve piuttosto essere il risultato di una logica di tipo tailor made che parte dalle caratteristiche della società, in primis del suo business e dalla comprensione dei fenomeni aziendali, per poi costruire la miglior documentazione possibile per l’ottenimento della penalty protection. Tenendo conto che non si tratta mai di un lavoro esclusivamente di tipo fiscale.

IL RIEPILOGO

Si deve partire dai dati intercompany presenti nei bilanci appena approvati e verificare che le transazioni siano state tutte individuate e riportate correttamente. Può essere utile costruire un file ad hoc che andrà ad alimentare le informazioni su costi e ricavi richieste dal rigo RS 106 della dichiarazione dei redditi e servirà per la redazione del master file e della documentazione nazionale

Andrà effettuata la quadratura con le evidenze contabili, raccolte le relative fatture, verificati gli addebiti e gli accrediti sulla base degli appositi contratti in essere

Accanto a tale attività andrà mappato il metodo per la determinazione del prezzo che è stato prescelto, fra quelli tradizionali (Cup, resale e cost plus) e quelli reddituali (Tnmm e profit split). La scelta del metodo dipende anche dalla natura delle informazioni a disposizione. Il ricorso a un Cup esterno non sempre è possibile, più agevole potrà essere il ricorso al Cup interno L’utilizzo del Tnmm presuppone l’accesso a banche dati in modo tale da poter reperire i dati reddituali dei comparables

L’attività dovrà essere perfezionata entro la scadenza dell’invio della dichiarazione dei redditi, prevista per il 31 ottobre

Management fees

Va condotta un’attenta analisi per i flussi riguardanti le cosiddette spese di regia addebitate dalla controllante alla controllata italiana o dalla casa madre alla stabile organizzazione locale

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Niente Iva sui distacchi gratuiti di personale

10 Giugno 2025

Il Sole 24 Ore 20 Maggio 2025 di Alessandro Germani

La circolare 5/E/2025 (si veda «Il Sole 24 Ore del 17 maggio 2025) interviene con opportuni chiarimenti sulle modifiche normative (articolo 16-ter del Dl 131/24) che hanno riguardato i distacchi di personale ai fini Iva e che prendono spunto dalla sentenza della Corte di giustizia Ue dell’11 marzo 2020 nella causa C-94/19. Così si supera la previgente disciplina per cui a fronte del riaddebito del puro costo le operazioni di distacco non rilevavano ai fini Iva, sancendo di fatto dal 1° gennaio 2025 l’assoggettamento a Iva di tali operazioni.

Le Entrate forniscono un’opportuna chiave di lettura per cui la gratuità del distacco consentirebbe di bypassare l’assoggettamento a Iva, ma è importante che ciò possa valere anche per le dirette, senza creare spiacevoli sorprese.

La diffusione nei gruppi

La pratica dei distacchi di personale è molto diffusa nella prassi aziendale, soprattutto nei gruppi societari perché risponde a esigenze di business mediante un’opportuna flessibilità. Laddove i soggetti interessati beneficino di un pieno diri+tto alla detrazione la circostanza per cui i nuovi distacchi dovranno essere assoggettati a Iva non dovrebbe comportare inconvenienti. Differente appare la situazione laddove il diritto alla detrazione è limitato, se non addirittura precluso quando si svolge in maniera preponderante attività esente (ad esempio bancaria, assicurativa, servizi medici e postali) trovandosi spesso in dispensa da adempimenti ex articolo 36-bis del Dpr 633/72. In questo contesto la risposta più efficace è stata dal 2019 l’adesione al gruppo Iva che, non considerando all’interno del gruppo stesso come tali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, di fatto rende irrilevanti ai fini Iva queste operazioni infragruppo. E tende a salvaguardare un principio che sin dalla legge 133/99 ha consentito di collocare determinate strutture nel gruppo evitando che le scelte aziendali comportassero un inasprimento ai fini Iva per i soggetti con diritto alla detrazione limitato. Laddove la circolare menziona tali operazioni a latere del requisito soggettivo conferma un principio (l’irrilevanza Iva delle transazioni all’interno del gruppo Iva) che di per sé è scontato, ma che attiene a un elemento oggettivo più che soggettivo. Tuttavia non sono quelle le situazioni che destano perplessità. Perché in presenza di un gruppo Iva questo consente di operare come si vuole: se la direzione HR propende lavoristicamente per il distacco si potrà andare per quella strada, sennò si formalizzerà una prestazione di servizi che comunque non sarà soggetta a Iva.

L’apertura della circolare

Le problematiche sorgono piuttosto nei casi in cui non vi sia un gruppo Iva. Fino a ieri la risposta di un distacco con rimborso del mero costo senza mark up (con relativa irrilevanza ai fini Iva) poteva essere una soluzione valida. Ora a seguito delle modifiche normative che seguono la sentenza della Corte di giustizia Ue la strada non parrebbe più percorribile. Qui sta invece l’apprezzabile apertura delle Entrate con la circolare 5/E/2025, perché si afferma che «qualora il personale, per esigenze produttive della distaccante, fosse, invece, distaccato (o prestato) presso altra impresa, utilizzatrice dello stesso, senza che per l’operazione sia previsto uno specifico corrispettivo – neanche il rimborso, seppur parziale, del costo sostenuto dal datore di lavoro per il personale distaccato – l’operazione effettuata a titolo gratuito nell’interesse d’impresa della distaccante è da ritenersi fuori dal campo di applicazione dell’Iva per mancanza del presupposto oggettivo, in quanto non qualificabile come prestazione di servizi a titolo oneroso».

In sostanza se il distacco, che risponde a esigenze produttive della distaccante, è gratuito non si è in presenza di una prestazione di servizi e quindi non c’è rilevanza Iva. Non c’è alcun dubbio, infatti, che nell’economia dei gruppi di imprese sia abbastanza comune ravvisare l’interesse della distaccante legato a proprie esigenze produttive. In tali casi, pertanto, l’aggravio Iva per i soggetti con detrazione limitata non ci sarebbe.

Le imposte dirette

È importante, tuttavia, che il principio illustrato dalle Entrate valga anche ai fini delle dirette. Se un distacco è stato operato a titolo gratuito, e ciò vale ai fini Iva, non vi dovrebbero essere contestazioni nemmeno ai fini delle dirette, legate al fatto che la distaccante non ha evidenziato i necessari ricavi. Andrebbe evitato, in altre parole, che si azioni quel sindacato di merito legato al filone dell’antieconomicità, che secondo ondivaghe pronunce giurisprudenziali è stato altresì ricollegato all’inerenza, per avere la certezza che il distacco gratuito non determini sorprese in campi differenti dall’Iva. Su questo una conferma dell’Agenzia non guasterebbe.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Il socio unico può controllare l’operato dell’amministratore

10 Giugno 2025

Il Sole 24 Ore 26 Maggio 2025 di Cristina Odorizzi

È giuridicamente ammissibile, e legittimamente esperibile, da parte di un socio, detentore del 100% del capitale sociale di una società a responsabilità limitata, l’azione prevista dall’articolo 2476, secondo comma, del Codice civile, essendoci un amministratore unico nominato da tale unico socio?

L’articolo 2476 del Codice civile, rubricato «Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci», dispone, al secondo comma, che «i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione».

Si ritiene che tale disposizione sia applicabile in tutti i casi di soci non amministratori, compresa l’ipotesi di socio unico. Infatti, la ratio della norma è quella di consentire l’accesso ai documenti sociali da parte dei soci, che, diversamente, non avrebbero modo di ottenere notizie e informazioni, non facendo parte dell’organo amministrativo. Non si vede la ragione per cui tale diritto debba essere sottratto al socio unico che non è partecipe dell’organo amministrativo.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Superminimo mantenuto se il lavoratore è promosso

10 Giugno 2025

Il Sole 24 Ore 29 Maggio 2025 di Marcello Bonomo e Enrico D’Onofrio

L’ordinanza 11771/2025 della Corte di cassazione si innesta nell’annosa questione dell’assorbimento del superminimo, ossia l’eccedenza della retribuzione rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito.

Secondo la giurisprudenza consolidata, infatti, il superminimo è soggetto al principio generale dell’assorbimento, ad esempio a fronte dei miglioramenti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva o in caso di passaggio del lavoratore a livelli d’inquadramento superiori.

Le eccezioni al principio dell’assorbimento si possono verificare:

per effetto della contrattazione collettiva, ove quest’ultima escluda l’assorbimento relativamente a determinati istituti;

se l’emolumento è stato attribuito per particolari meriti del dipendente o per specifiche caratteristiche della sua prestazione lavorativa, con onere probatorio a suo carico;

ove le parti abbiano diversamente stabilito nella pattuizione individuale.

È proprio con riferimento a quest’ultima ipotesi che, nel caso deciso dalla Corte di legittimità, è stato escluso l’assorbimento del superminimo in relazione al riconoscimento al lavoratore di un superiore livello di inquadramento.

Infatti la pattuizione individuale aveva circoscritto l’assorbimento ai casi di futuri aumenti retributivi previsti dal Ccnl, senza alcun riferimento all’ipotesi del riconoscimento di un livello d’inquadramento superiore. Per la Corte, dunque, il contenuto del patto individuale – interpretato restrittivamente e per il suo significato letterale – ha assunto rilievo decisivo nel limitare il principio di assorbimento alle sole ipotesi espressamente indicate dalle parti.

Nella prassi sono molto frequenti clausole, contenute nelle lettere di assunzione o di riconoscimento del superminimo, che correlano l’assorbimento ai futuri aumenti dei minimi tabellari, così derogando al principio generale di assorbimento ed escludendolo (ad esempio) in caso di progressione del trattamento economico derivante da un superiore inquadramento contrattuale.

Gli operatori, dunque, prima di correlare l’assorbimento del superminimo a fattispecie specifiche, dovranno valutare attentamente se ciò corrisponda all’effettiva volontà delle parti e, ove queste ultime intendano invece applicare la regola dell’assorbimento generale, sarebbe preferibile astenersi dal circoscrivere i casi di assorbimento o, quantomeno, avere l’accortezza di indicarli a titolo meramente esemplificativo.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Il non iscritto Aire e la prova di residenza fiscale all’estero

10 Giugno 2025

l Sole 24 Ore di Emanuele Mugnaini

In caso di contestazione, da parte dell’agenzia delle Entrate, riguardante l’effettiva residenza fiscale estera di una persona fisica, non iscritta all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), l’Agenzia stessa è legittimata a chiedere l’esibizione del permesso di soggiorno nel Paese estero, dopo essere venuta già in possesso del certificato di residenza fiscale rilasciato dalle autorità fiscali di quel Paese?

Il certificato di residenza fiscale estera è un documento fondamentale per attestare la residenza fiscale di un contribuente in un Paese estero, consentendo l’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia.

Tuttavia, la sola presentazione di tale certificato potrebbe non essere sufficiente per determinare in modo definitivo la residenza fiscale alla luce delle convenzioni.

L’amministrazione finanziaria può chiedere ulteriori documenti o informazioni (ad esempio, il permesso di soggiorno nel Paese estero), per verificare l’effettività della residenza fiscale dichiarata. Questo avviene soprattutto in assenza di iscrizione all’Aire, poiché tale iscrizione è un elemento che contribuisce a comprovare il trasferimento della residenza fuori dall’Italia.

In conclusione, sebbene il certificato di residenza fiscale estera sia un elemento probatorio rilevante, l’agenzia delle Entrate – in sede istruttoria, secondo l’articolo 32 del Dpr 600/1973 – può chiedere l’esibizione del permesso di soggiorno nel Paese estero, e questo per accertare l’effettività della residenza fiscale dichiarata, in conformità con le disposizioni delle convenzioni contro le doppie imposizioni e con la normativa fiscale italiana.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Quadro RW sempre da compilare anche senza tassazione in Italia

10 Giugno 2025

Il Sole 24 Ore 15 Maggio 2025 di Enrico Holzmiller

Le persone fisiche residenti in Italia devono indicare nel quadro RW della dichiarazione dei redditi gli investimenti all’estero, le attività estere di natura finanziaria e le criptoattività (Dl 167/90, articolo 4, comma 1). Se il concetto in teoria è chiaro, l’applicazione è spesso oggetto di criticità nell’interpretazione di cosa e come debba essere, in concreto, dichiarato fiscalmente. Al riguardo, due recenti sentenze di merito hanno affrontato aspetti del quadro RW meritevoli di attenzione, fornendo un’interpretazione da tenere in considerazione.

I giudici della Cgt di primo grado di Rimini, con la sentenza 63/2025 (presidente De Cono, relatore Gasperi) sono stati chiamati a decidere su un asserita non tassabilità di redditi in Italia e correlato obbligo dichiarativo. Il caso in questione vede un contribuente Italiano, persona fisica, che non ha compilato il quadro RW, a fronte di finanziamenti considerati iuris tantum fruttiferi (senza che il contribuente avesse fornito prova contraria) a favore di società da egli partecipate aventi sede in Francia e Usa. La giustificazione del ricorrente, circa la mancata compilazione del quadro RW, si basa sulla mancata tassabilità dei redditi derivanti dagli investimenti in questione in virtù delle convenzioni bilaterali Italia/Francia e Italia/Usa, secondo le quali gli interessi maturati su crediti da finanziamento soci risulterebbero tassati solo nei Paesi sedi delle due società.

I giudici arrivano ad una conclusione contraria: il contribuente era comunque tenuto alla compilazione del quadro RW. In linea di principio, infatti, tutti i proventi esteri attribuibili sarebbero attratti fiscalmente in Italia, secondo il principio del world wide taxation ex articolo 3, comma 1, del Tuir. Ove anche, in ipotesi, le convenzioni bilaterali consentano la tassazione nei Paesi esteri, il quadro RW va compilato ai fini del monitoraggio fiscale. Inoltre – conclude la Corte – il ricorrente avrebbe dovuto comunque inserire nella propria dichiarazione tali proventi, evidenziando il vantato credito fiscale ex articolo 165 del Tuir, ove maturato.

Il quadro RW è spesso foriero di complessità compilative: su tale aspetto è intervenuta la Cgt di Cremona con la sentenza n. 36/2025 (presidente Vacchiano, relatore Grimaldi). Nel caso esaminato, la ricorrente (persona fisica italiana) avente un conto corrente cointestato all’estero, aveva indicato nel rigo RW1 (modello redditi Pf 2018), la giacenza media «pro-quota». L’agenzia delle Entrate, richiamando le circolari n. 45/E/2010 e 38/E/2013 contestava la modalità e l’ammontare dichiarato, precisando che, in caso di attività finanziarie in comunione o cointestate, l’obbligo di compilazione del quadro RW deve ritenersi gravante su ciascun soggetto intestatario con riferimento all’intero valore delle attività e con l’indicazione della percentuale di possesso. Per l’effetto, l’Ufficio aveva eccepito l’infedele dichiarazione del quadro RW.

I giudici rilevano innanzi tutto una contraddizione tra le due circolari richiamate dalle Entrate, sottolineando come la 45/E/2010 sembri fare riferimento a un’indicazione «pro-quota», differentemente dal tenore della 38/E/2013, che esplicita l’indicazione dell’intero valore. Ci sono quindi i presupposti, secondo la Corte, per richiamare le obiettive condizioni di incertezza rilevanti in base all’articolo 6, comma 2, del Dlgs 472/1997 avuto riguardo alle indicazioni, contraddittorie, nella prassi sopra richiamata.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Antiriciclaggio Usa: sospeso il registro dei titolari effettivi

10 Maggio 2025

Il Sole 24 Ore 8 Aprile 2025 di Antonio Martino Ernesto Carile

Deregulation. Dopo un solo anno dall’entrata in vigore, il Corporate transparency act non si applicherà più alle società statunitensi

Una marcia indietro che cambia lo scenario della trasparenza societaria negli Stati Uniti. Il 21 marzo scorso il Financial Crimes enforcement network (FinCEN) ha annunciato la rimozione dell’obbligo, introdotto poco più di un anno fa, di comunicare al registro centrale i dati sui beneficiari effettivi delle società statunitensi. La misura, che sospende di fatto l’applicazione del Corporate transparency act per i soggetti americani, è coerente con la nuova linea politica dell’amministrazione Trump, ispirata a una profonda revisione del sistema antiriciclaggio.

«Troppa burocrazia per le Pmi»

Il dipartimento del Tesoro, con un comunicato firmato dal segretario Scott Bessent, ha motivato la decisione come un intervento a tutela delle piccole e medie imprese, ritenute eccessivamente gravate da obblighi formali. Ma la lettura più ampia collega la scelta direttamente al Project 2025: The conservative promise, il manifesto programmatico elaborato dalla Heritage foundation, uno dei think tank conservatori più influenti di Washington.

Nel documento – che supera le 900 pagine e ha ispirato molte delle prime misure del nuovo esecutivo – viene delineata una riforma radicale delle istituzioni federali e una strategia di deregulation estesa, con particolare enfasi sulla revisione del sistema antiriciclaggio. In tale ottica, l’abolizione degli obblighi di trasparenza per i beneficiari effettivi rappresenta un passaggio chiave.

Gli Usa «sistema non conforme»

L’istituzione del registro centrale dei titolari effettivi era stata introdotta nel 2024 in risposta alle pressioni del Financial action task force (Fatf), che già nel 2016 aveva criticato duramente il sistema statunitense, giudicato «non conforme» rispetto agli standard internazionali in materia di trasparenza societaria. Il Cta (Corporate transparency act) aveva colmato una storica lacuna del sistema americano, imponendo per la prima volta obblighi stringenti di comunicazione alle società domestiche ed estere.

Ma la nuova norma in consultazione da parte del FinCEN prevede che solo le entità estere registrate per operare negli Usa siano soggette all’obbligo di comunicazione dei titolari effettivi. Le società costituite negli Stati Uniti – e i loro beneficiari, anche se cittadini stranieri – ne sarebbero esentate. Un ritorno, in sostanza, all’opacità del passato.

Se da un lato il provvedimento è presentato come un gesto a favore della competitività e della semplificazione per le imprese americane, dall’altro rischia di compromettere l’efficacia del sistema di prevenzione dei reati finanziari, proprio nel momento in cui a livello globale si rafforza l’azione per contrastare i flussi illeciti e le strutture societarie schermate.

Il Project 2025 di Heritage foundation

Il messaggio che arriva da Washington è chiaro: meno vincoli, più autonomia. E il Project 2025, pubblicato dalla Heritage foundation in vista delle elezioni presidenziali e già riferimento politico della nuova amministrazione, contiene indicazioni molto esplicite sulla necessità di “riformare” – ovvero ridurre – le funzioni del FinCEN e l’impianto normativo dell’Aml statunitense. Proprio nel paragrafo dedicato al Tesoro si auspica la rimozione degli obblighi di trasparenza e una profonda revisione dei poteri dell’autorità di contrasto ai flussi illeciti.

La decisione statunitense è destinata a creare frizioni anche con l’Unione europea, che con la nuova direttiva Aml sta rafforzando l’architettura antiriciclaggio continentale, prevedendo un registro centralizzato europeo e obblighi stringenti per le imprese. Il rischio è quello di un disallineamento normativo tra i due blocchi, con ricadute sui meccanismi di cooperazione e sulle procedure di due diligence per gli operatori transatlantici.

In attesa dell’entrata in vigore della norma definitiva, prevista entro fine anno, appare chiaro che gli Stati Uniti si stanno allontanando da un sistema multilaterale di lotta al crimine economico.

Una scelta che, pur nel nome della semplificazione, potrebbe riaprire spazi a opacità e arbitraggi regolatori, in un contesto globale che richiederebbe, al contrario, più coordinamento e trasparenza.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Assegni per conto altrui, paga chi firma se manca l’indicazione della delega

10 Maggio 2025

Il Sole 24 Ore lunedì 28 Aprile 2025 di Antonino Porracciolo

Il delegato alla firma di un assegno bancario risponde in proprio se al momento della sottoscrizione non aggiunge la dicitura «nella qualità», e dunque non può liberarsi dall’obbligazione cartolare prospettando di aver agito in forza di una delega che gli aveva conferito il potere di emettere il titolo.

Lo afferma la Corte di cassazione nella sentenza 8426/2025 pubblicata lo scorso 31 marzo.

La vicenda giudiziaria prende le mosse dall’opposizione a un precetto del maggio 2002, con il quale il prenditore di diversi assegni bancari aveva intimato il pagamento dei relativi importi sia alla società titolare del conto corrente, sia alla persona che aveva sottoscritto quei titoli. L’opposizione era stata proposta dal sottoscrittore, che aveva affermato che la pretesa creditoria avrebbe potuto essere avanzata solo nei confronti della società titolare del conto corrente, risultato peraltro incapiente, ma non poteva essere diretto nei suoi confronti perché semplice delegato della società.

Il Tribunale aveva accolto l’opposizione, ma la Corte d’appello aveva ribaltato la decisione, ritenendo che la mancanza del timbro della società o comunque dell’inciso «quale delegato» (o «nella qualità» o similari) comportasse l’obbligo di pagamento della persona fisica firmataria degli assegni.

Gli eredi del traente hanno quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo che era incorso in errore il giudice di secondo grado nel ritenere che l’articolo 14 della legge assegni (regio decreto 1736/1933) imponesse al loro dante causa, per andare esente da responsabilità, di specificare di agire in forza di delega. Inoltre, hanno dedotto che lo stesso articolo 14 non richiede che la spendita del nome avvenga mediante una formale dichiarazione di agire in nome e per conto di un terzo, e comunque che la delega all’emissione di assegni in nome altrui non presuppone l’esistenza di un atto scritto o di una procura a favore del delegato.

Nel respingere il ricorso, il giudice di legittimità ricorda che l’essenza dei titoli astratti, qual è l’assegno bancario, sta nel fatto che essi non recano alcuna menzione della causa che ha dato luogo alla loro emissione; aggiunge che il diritto incorporato nel titolo di credito si trasferisce secondo le regole sulla circolazione dei beni mobili, sicché la proprietà del titolo si può acquistare anche a titolo originario in forza del possesso di buona fede, secondo la regola generale dell’articolo 1153 del Codice civile.

Da ciò discendono due (tra loro connesse) conseguenze in tema di assegni bancari tratti da conto corrente intestato a società e risultato sprovvisto di fondi.

La prima: il prenditore ha facoltà di agire esecutivamente in danno del traente che abbia apposto in calce agli assegni la sua personale sottoscrizione, a meno che dal titolo risulti che il firmatario abbia «espressamente e univocamente dichiarato di agire in nome e per conto della società correntista».

La seconda: il sottoscrittore dell’assegno che non abbia agito in nome e per conto del correntista spendendo esplicitamente il nome di quest’ultimo «è cartolarmente obbligato e non può liberarsi né allegando i rapporti causali sottostanti, né prospettando di aver agito in forza di una delega che gli aveva conferito il potere di emettere il titolo nell’interesse del terzo».

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Fisco. Italia appetibile per i ricchi e per l’arte

10 Maggio 2025

Il Sole 24 Ore 5 Aprile 2025 di Marilena Pirrelli

La flat tax attrae i miliardari stranieri, sono collezionisti che amano il bello

Perché ora l’Italia dovrebbe modificare il suo sistema normativo e fiscale legato all’arte? Perché si è a un momento di non ritorno? Il BelPaese e, in particolare, Milano è diventata una destinazione privilegiata per i migranti di lusso grazie alla flat tax sul reddito introdotta nel 2017, che prevede una tassa forfettaria annuale sui redditi esteri per i nuovi residenti, all’inizio fissata a 100mila euro e nel 2024 raddoppiata a 200mila.

Briciole per i ricchi miliardari stranieri in fuga da Londra dopo l’abolizione del regime fiscale dei «non-domiciliati», che permetteva di non pagare tasse britanniche sui redditi esteri. Il governo laburista ha poi posto termine anche all’uso di trust off hore per evitare di pagare la tassa britannica sulle successioni, pari al 40%. Insomma per i miliardari stranieri è la fine del paradiso fiscale britannico.

È aperta la caccia a paesi fiscalmente vantaggiosi. Il magnate indiano dell’acciaio Lakshmi Mittal, potrebbe trasferirsi in Italia, in competizione con destinazioni come Emirati Arabi Uniti e Svizzera. Il nostro Paese si stima abbia già attratto 4.500 Hnwi: è sotto gli occhi di tutti la domanda di immobili di lusso e l’impatto sui prezzi, con effetto domino sino alla periferia a Milano. Questi ricchi signori spessissimo amano l’arte e ne collezionano e sarebbero disposti a trasferire in Italia le loro collezioni. Anche il grande collezionista Bernard Arnault, presidente e ceo di Lvmh, ha acquisito la storica Casa degli Atellani a Milano in Corso Magenta e potrebbe, secondo i ben informati, trasferire qui residenza e domicilio fiscale. Anche la sua collezione? Chissà.

Non a caso diverse gallerie straniere hanno fiutato l’aria e stanno aprendo a Milano, dov’è in corso Miart con l’Iva sulle transazioni al 22% e al 10% sull’import. E se da queste pagine abbiamo sempre sostenuto che l’Iva ridotta sull’arte è una richiesta sacrosanta perché l’arte è un prodotto culturale (i libri hanno l’Iva al 4%), è bene anche non nascondere le evidenze: la flat tax, la nuova politica britannica e l’esercizio della Delega di rimodulazione dell’Iva (dall’ordinaria alla ridotta) che scade ad agosto. Ecco la necessità di rendere subito la circolazione dell’arte più libera in Italia – ne entrerebbe tanta – e di ridurre l’Iva sugli scambi (si chiede il 5%) per essere più competitivi in Europa – la Francia l’ha ridotta al 5,5% e la Germania al 7% – promuovendo valore e volumi delle transazioni e di riflesso del gettito. Il Ministro della Cultura Alessandro Giuli ha dichiarato la scorsa settimana che la riforma si farà, ci sono le copertura e la convergenza con il Mef. La maggioranza al suo interno pare compatta. Si sta cercando il veicolo dove inserire la riforma, sperando sia ampia. Gli operatori del mercato dell’arte sono fiduciosi. Se il governo ha deciso di rendere l’Italia appetibile fiscalmente ai ricchi perché non renderla tale anche per l’arte. Coerenza lo richiederebbe, questo sì che porterebbe lavoro e risorse al sistema dell’arte, artisti e musei compresi.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica
Get in touch
x
x

Share to:

Copy link:

Copied to clipboard Copy