La nuova rotta sui costi inerenti non coinvolge l’antieconomicità

9 Novembre 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 3 SETTEMBRE 2018 di Gianfranco Ferranti

LA CASSAZIONE

Le spese devono riferirsi all’attività d’impresa, anche se in proiezione futura

Le Entrate possono tuttavia contestarne la congruità se risultano antieconomiche

La Cassazione ha cambiato idea sul fondamento del principio di inerenza, ma ne ha lasciata invariata la nozione e confermato l’orientamento in materia di antieconomicità.
È stato, infatti, affermato che, anche se tale principio non è stabilito normativamente ma è “immanente” alla nozione di reddito e implica comunque un giudizio solo qualitativo in ordine alle spese dedotte, gli uffici delle Entrate mantengono il potere di sindacarne la congruità in caso di comportamenti antieconomici.
Il nuovo orientamento
La Suprema corte ha per la prima volta smentito, nelle ordinanze 450 e 3170 del 2018, il precedente costante orientamento interpretativo secondo il quale il principio di inerenza sarebbe stabilito dall’articolo 109, comma 5, del Tuir. In base a tale norma, le spese e gli altri componenti negativi, diversi dagli interessi passivi, «sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi». La Cassazione ha ora correttamente affermato che questa disposizione si riferisce al «diverso principio dell’indeducibilità dei costi relativi a ricavi esenti» e che il principio di inerenza è, invece, «inespresso» e immanente alla nozione di reddito d’impresa e la sua valutazione impone un giudizio «qualitativo» e non “quantitativo”. Nella sentenza 3198/2015 era stata già adottata un’interpretazione analoga ai fini del reddito di lavoro autonomo (sempre in mancanza di una espressa previsione normativa).
Ad analoghe conclusioni sono successivamente pervenute le ordinanze 6288, 8893, 10242, 12416, 13882 e 20113 del 2018.
L’antieconomicità
L’affermazione che l’inerenza non implica una valutazione «quantitativa» delle spese ha fatto sorgere il dubbio che non fosse più possibile per gli uffici sindacare la congruità delle stesse.
Nella ordinanza 450/2018 era stato, però, già affermato che l’antieconomicità, pur non essendo espressione dell’inerenza, costituisce un indice rilevatore della mancanza della stessa. Nella sentenza 14579/2018 (relativa ai costi infragruppo) è stato precisato che tale criterio, apparentemente estromesso, continua comunque ad assumere rilevanza.
Nella sentenza 18904/2018 (concernente la concessione di un rilevante sconto a una società cliente appartenente allo stesso gruppo) è stato poi stabilito che:
ai fini delle imposte sui redditi la valutazione di antieconomicità «legittima e fonda il potere dell’Amministrazione finanziaria di accertamento ex art. 39, primo comma, lett. d, dPR n. 600 del 1973», anche se l’ufficio non può sindacare le scelte imprenditoriali;
in base alla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Cassazione l’inerenza del costo ai fini Iva «non può essere esclusa in base ad un giudizio di congruità della spesa, salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo e attività d’impresa».
L’orientamento giurisprudenziale sopra illustrato non appare del tutto coerente e sarebbe stato preferibile stabilire che il potere di sindacare la congruità dei corrispettivi non può mai essere ricondotto al principio di inerenza. Il comportamento antieconomico può, invece, continuare ad assumere rilevanza in presenza di altre circostanze o argomentazioni probatorie che consentono di effettuare l’accertamento analitico-induttivo di cui all’articolo 39, dimostrando, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che il corrispettivo diverge da quello contabilizzato (come peraltro confermato dalla stessa Cassazione nelle recenti ordinanze 3285/2018 e 16635/2018 e nella sentenza 13596/2018).

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

La presunzione dell’esterovestizione può diventare indizio di un reato

9 Novembre 2018

Il Sole 24 Ore 27 SETTEMBRE 2018 di Laura Ambrosi

CASSAZIONE

È necessario che la natura fittizia della sede in Italia sia ricostruita con dati di fatto

Gli indizi utilizzati ai fini fiscali per presumere l’esterovestizione di una società possono essere idonei anche ai fini penali se consentono, in base ad un ragionamento logico e non contraddittorio, di concludere che la sede effettiva della impresa non sia all’estero ma in Italia. Ne consegue che la titolarità di un rapporto di conto corrente in Italia utilizzato per gran parte delle operazioni, l’assenza di un contratto di locazione dei locali della sede estera per tutto il periodo di operatività della società, lo svolgimento in Italia da parte del rappresentante legale di una contemporanea attività, possono legittimamente contribuire al convincimento del giudice penale circa la natura solo fittizia della sede all’estero.
A fornire questa rigorosa interpretazione è la Corte di cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 41683 depositata ieri.
Nei confronti di una società sammarinese veniva ipotizzata l’effettiva sede in Italia: oltre alle conseguenze di natura fiscale, il legale rappresentante era perseguito penalmente per omessa presentazione della dichiarazione e per occultamento o distruzione di scritture contabili. In particolare, quest’ultimo delitto derivava dal rinvenimento di alcuni documenti fiscali della società presso terzi che non erano stati invece forniti all’amministrazione finanziaria né erano reperibili presso la sede estera.
Il rappresentante legale era assolto per l’omessa dichiarazione, stante il mancato superamento della soglia di punibilità, mentre era condannato nei due gradi di giudizio per l’occultamento delle scritture contabili. Ricorreva pertanto in cassazione lamentando, tra l’altro, che per giungere alla condanna il giudice penale di fatto aveva applicato le presunzioni tributarie previste dalla normativa fiscale in tema di esterovestizione prive di valore in sede penale.
La Cassazione ha respinto il ricorso rilevando che la decisione della Corte di appello in realtà aveva desunto la natura fittizia della sede legale della società da precisi dati di fatto: la titolarità di rapporti di conto corrente bancario sia in Italia che a San Marino, con l’utilizzo di quelli accesi in Italia per la gran parte delle operazioni; la testimonianza dell’unica dipendente della società che aveva riferito di aver avuto esclusivamente contatti con un avvocato e non con il legale rappresentante; il contemporaneo svolgimento da parte dell’imputato di un’attività in Italia ove era stata aperta una seconda sede; l’esibizione di un contratto di locazione finanziaria di soli due anni di un capannone a San Marino a fronte di una operatività societaria di circa nove anni; la documentazione mancante non depositata presso la sede estera della società.
I giudici di legittimità hanno così rilevato che, ai fini della contestazione della esterovestizione, non erano state utilizzate presunzioni tributarie di matrice civilistica, ma indizi di matrice penalistica. In altre parole, il giudice di merito non aveva fatto ricorso ad alcuna presunzione tributaria, ma aveva ricostruito in modo autonomo e dettagliato i fatti, desumendo con ragionamento per nulla contraddittorio né illogico che la sede effettiva della società sammarinese fosse situata in Italia. Da qui la conferma della condanna.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

L’Iva è collegata all’immobile

9 Novembre 2018

Il Sole 24 Ore 25 SETTEMBRE 2018 di Gian Paolo Tosoni

il Principio di diritto n. 2 delle entrate

Il caso riguarda un soggetto non residente che organizza congressi o eventi simili

Un soggetto non residente che organizza un congresso o eventi simili in Italia, che richieda l’utilizzo di un immobile, assolve l’Iva in Italia. Lo precisano le Entrate con il «Principio di diritto n. 2» pubblicato ieri nella nuova sezione del sito internet. Il caso riguarda la concessione a titolo oneroso dell’uso di beni immobili situati in Italia destinati alla attività congressuale e alla organizzazione di eventi; inevitabilmente tale attività richiede anche la prestazione di servizi. Immaginiamo l’accoglienza e l’assistenza anche con personale dedicato. La nota cita i servizi in occasione di eventi sportivi che si presumono forniti sempre unitamente alla concessione in uso di immobili.
L’Agenzia, sulla base del regolamento Ue n. 1042/2013, articolo 31 bis, ha precisato che qualora la prestazione di servizio abbia come elemento essenziale e indispensabile la concessione in uso dell’immobile e i servizi prestati sono in via accessoria, scatta l’applicazione dell’Iva nello Stato in cui si trova l’immobile in base all’articolo 7-quater del decreto Iva. L’accessorietà dei servizi, che presentano un nesso diretto con l’immobile, è misurata anche in relazione al loro valore economico. In sostanza, deve emergere che la concessione in uso del fabbricato è fondamentale per la prestazione del servizio, mentre le prestazioni accessorie devono essere funzionali (ancillari) alla concessione in uso dell’immobile. Essendo quindi la prestazione territorialmente rilevante in Italia, il soggetto non residente che deve assolvere l’Iva a favore del prestatore nazionale potrà chiedere il rimborso ai sensi dell’articolo 38 bis 2 o 38 ter del Dpr 633/72 a seconda che il committente sia un operatore economico residente nella Ue oppure in altri Stati extra Ue. Queste prestazioni presentano similitudini con l’organizzazione di fiere che però con le modifiche del regolamento Ue 1042, sono soggette a Iva nel Paese del committente rientrando nei servizi generici (circolare 26/6/2014).

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

La fattura elettronica non prova il contratto

9 Novembre 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 24 SETTEMBRE 2018 di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

La giurisprudenza ha negato al documento un valore probatorio dei rapporti giuridici costituiti: essendo una dichiarazione potrà rappresentare solo l’indizio dell’esistenza di una relazione commerciale

La fatturazione elettronica è adatta a migliorare le capacità di controllo e contrasto all’evasione, ma è anche e soprattutto un utile strumento di semplificazione amministrativa, contabile e gestionale, mantenendo tra le parti un ruolo servente rispetto alla costituzione del rapporto giuridico. Questo dovrebbe essere un aspetto di assoluto interesse per i contribuenti, chiamati a sfruttare un obbligo per trasformarlo in un’opportunità.
Molte delle domande inviate dai lettori alla casella email efattura@ilsole24ore.com si interrogano sul valore giuridico della fattura eleettronica. Ebbene, il valore giuridico di una fattura non cambia in ragione dello strumento di produzione, cartaceo o elettronico che sia. Tuttavia molti dei processi aziendali a rilevanza civilistica e commerciale sono stati strutturati e ruotano intorno al momento di emissione o di ricezione del documento contabile fattura. Si pensi all’erogazione di finanziamenti o all’avvio di pagamenti rateali o all’invididuazione del momento da cui decorrono termini di versamento o di esecuzione della prestazione contrattuale.
La circostanza che la fattura dovrà essere gestita – in ricezione e in emissione – in modalità esclusivamente elettronica determina come conseguenza quella della tracciabilità completa e automatizzata a fini fiscali di tutte le fasi del ciclo dell’ordine, ricordando comunque che nessun adempimento prescritto da norma di matrice fiscale è stato modificato.
Ad esempio, le regole circa la liquidazione dell’imposta, la contabilizzazione e la registrazione dei documenti, oppure l’esercizio del diritto alla detrazione, non sono cambiate rispetto alla gestione cartacea del documento. L’utilizzo di strumenti elettronici aumenta solamente il grado di compliance fiscale rispetto a tali regole operative. Prescindono quindi dalla natura analogica o elettronica del documento non solo le fasi del ciclo attivo e passivo, ma anche eventuali ulteriori processi allo stesso correlati di natura civilistica e commerciale.
Al riguardo è pacifica la posizione riscontrabile nella giurisprudenza di legittimità, oltre che di merito, circa il valore probatorio della fattura in relazione alla valida costituzione del rapporto giuridico certificato dal documento fiscale. La Cassazione, con la sentenza n.9542 del 18 aprile 2018, ha riconfermato da ultimo il proprio consolidato orientamento secondo cui la fattura commerciale – in quanto documento a formazione unilaterale e alla sua funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto – si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo: in pratica, consiste nella dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito. Quando tale rapporto è in contestazione, la fattura non può costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio. La fattura non è quindi costitutiva di un rapporto commerciale ma, al contrario, dal punto di vista civilistico è una dichiarazione, a formazione peraltro unilaterale, di fatti relativi ad un rapporto già costituito. In altri termini non è la fattura di per sé a determinare sussistenza e validità di un rapporto commerciale di per sé già formato e giuridicamente vincolante.
Queste considerazioni generali possono essere declinate rispetto alla fattura elettronica su due livelli.
Da un lato l’emissione in formato elettronico tramite un’infrastruttura pubblica evita incertezze sui tempi di ricezione del documento o sulla stessa ricezione.
Dall’altro lato, però, il valore giuridico della fattura resta quello di un atto unilaterale. Quindi, con l’occasione della fatturazione elettronica, è opportuno riconsiderare anche l’impatto e la rilevanza attribuita al documento fattura in determinati processi commerciali, i quali trovano fondamento e origine nell’accordo e nel contratto che le parti, a monte dell’operazione, hanno raggiunto e di cui la fattura costituisce solamente attestazione a rilevanza fiscale.
Subordinare l’avvio di processi aziendali e commerciali alla valida emissione della fattura vuol dire sottoporre ad una sorta di condizione sospensiva alcune attività che invece di per sé, in quanto originano da un contratto o da un accordo, sono già valide ed efficaci.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica

Scadenziario Ottobre 2018

HLB San Marino

Scadenziario entro il 20 Ottobre

  • Scade il termine per il pagamento dei contributi previdenziali /assistenziali I.S.S.  F.S.S. e FONDISS per lavoratori dipendenti relativi al mese di settembre.

Scadenziario entro il 31 Ottobre

  • Scade il termine per il pagamento delle ritenute a titolo d’acconto per lavoro dipendente e autonomo relativi al bimestre di luglio-agosto 2018;
  • scade il termine per il versamento della ritenuta del 5% sugli utili  (anche eventualmente accantonati a Riserva) prelevati nel bimestre di luglio- agosto (ritenuta da applicarsi sulla distribuzione utili formatisi dall’anno 2014  in avanti);
  • il pagamento dell’imposta speciale di bollo sui servizi di agenzia e rappresentanza (3% e 6%) relativi al bimestre di luglio e agosto 2018;
  • pagamento dell’imposta speciale di bollo su servizi di elaborazione dati e pubblicità relativa al bimestre luglio – agosto 2018.
  • termine ultimo per l’invio telematico della dichiarazione mod. IPS (IMPOSTA PATRIMONIALE STRAORDINARIA) ai fini del calcolo dell’imposta straordinaria sui patrimoni immobiliari e mobiliari. PROROGATO AL 30/11/2018 
  • termine ultimo per il pagamento  in un’unica soluzione dell’IMPOSTA PATRIMONIALE STRAORDINARIA se di importo inferiore a € 1.000,00. Qualora la stessa fosse di importo superiore a € 1.000,00 il contribuente può optare per un versamento in due rate di pari importo, da effettuarsi entro il 31/10/18 (PROROGATO AL 30/11/2018) ed entro il 20/12/2018.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica
Get in touch
x
x

Share to:

Copy link:

Copied to clipboard Copy