Il «centro d’interesse» del residente all’estero

8 Marzo 2019

Il Sole 24 Ore del 18 Febbraio 2019 di Fabrizio Cancelliere

Dichiarazione dei redditi delle persone fisiche

Quando vengono meno i presupposti del “centro d’interesse” che impongono a un cittadino iscritto Aire (anagrafe degli italiani residenti all’estero) di presentare la dichiarazione dei redditi in Italia? Quali documentazioni sono necessarie per supportare il venir meno del centro d’interesse?
S.G.MILANO
Non esistono indicazioni puntuali, nella normativa, per definire il centro d’interesse che integra una delle tre circostanze fattuali che determinano la residenza fiscale in Italia, vale a dire il domicilio. A livello normativo, infatti, il Codice civile si limita a definire il domicilio di una persona come il luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. Nel dettaglio, il domicilio consta di due elementi: quello oggettivo, in riferimento ai rapporti economici, morali, sociali e familiari; quello soggettivo, derivante dall’intenzione del soggetto stesso di fissare in un determinato luogo il centro dei propri affari o interessi. A livello pratico e di prassi, la verifica sull’effettivo domicilio può essere svolta sulla base di molteplici indicatori, come ad esempio l’utilizzo di un abitazione e la relativa frequenza, desumibile dall’analisi delle utenze, l’analisi degli spostamenti da e verso l’estero, la presenza dei familiari, il luogo di lavoro, eccetera. Per rispondere alla domanda, dunque, possono in linea teorica rilevare gli elementi appena citati, anche in direzione contraria; vale a dire fornendo prova della prevalenza di tali elementi nello Stato estero, rispetto a quello italiano. Va comunque considerato che, salvo i casi di trasferimenti nei cosiddetti “paradisi fiscali”, l’onere della prova – con riferimento ai cittadini iscritti all’Aire – spetta all’amministrazione finanziaria; e che i casi di doppia residenza fiscale possono essere gestiti attraverso le regole previste dai trattati contro le doppie imposizioni, che fissano delle regole per stabilire quale dei due Stati debba considerarsi prevalente ai fini della residenza.

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Costo del lavoro spia dell’evasione

8 Marzo 2019

Il Sole 24 Ore 5 FEBBRAIO 2019 di Giuseppe Napoli e Raffaele Vitale

FONDAZIONE VISENTINI – CERADI

La Suprema Corte, con l’ordinanza 25290/2018, ha integrato il canone pretorio dell’antieconomicità ritenendo valido come elemento presuntivo la presenza di un dipendente con una retribuzione di poco inferiore al reddito del datore di lavoro. Nel caso di specie, il giudice di legittimità, ha esaminato un rilevante corredo istruttorio, costituito dal reddito del dipendente, dal tenore di vita del contribuente e dall’ubicazione dell’attività, ritenendolo indicativo di una incoerenza logica nella gestione imprenditoriale e, quindi, idoneo a disconoscere le scritture contabili e a consentire la determinazione induttiva del reddito. Invero, negli ultimi anni, i mass-media hanno commentato i dati del Mef sulle dichiarazioni dei redditi, evidenziando come la media delle retribuzioni dei dipendenti risulti spesso superiore a quanto dichiarato dagli imprenditori. Pur dando atto che ragionevoli scelte imprenditoriali o sfavorevoli contingenze economiche concorrano a determinare una siffatta incoerenza per alcuni degli interessati, per altri il dato appare sintomatico di evasione, tanto più grave quando il datore di lavoro goda anche di sussidi altrimenti non spettanti.
Orbene, si auspica un’opportuna riflessione de iure condendo, giacché la griglia normativa offerta dalle presunzioni tributarie semplici potrebbe presentare maglie troppo strette, ove il dato presuntivo non fosse accompagnato da nuovi elementi di prova, mettendo a rischio l’esito dell’accertamento, ovvero troppo larghe, così da esporre l’imprenditore a un caleidoscopio di valutazioni e scoraggiare politiche d’investimento sulle risorse umane. Nello stesso tempo, il quadro delle presunzioni legali esige un costante aggiornamento, per far emergere nuove condotte potenzialmente evasive e perfezionare gli strumenti in uso.
In ragione di tali esigenze potrebbe prevedersi una presunzione legale relativa, in base alla quale il reddito dell’imprenditore non dovrebbe essere inferiore al reddito medio dei suoi dipendenti. In modo analogo, in ipotesi di società a ristretta base societaria, la società dovrebbe dichiarare un reddito non inferiore a quello medio dei dipendenti, moltiplicato per il numero dei soci. La presunzione risponderebbe a un canone di ragionevolezza, riconoscendo al contribuente ampia facoltà di fornire prova contraria. La possibile censura di convenienza a pagare meno o in nero i propri dipendenti, è superabile, trattandosi di un aggiramento della norma oneroso, in ragione dei minori costi deducibili e delle sanzioni conseguenti alla relativa evasione contributiva. Nel frattempo, l’Amministrazione finanziaria avrebbe la possibilità di eseguire controlli più efficienti, concentrati su coloro non in linea con la presunzione, e più efficaci, nella misura in cui una maggiore ponderazione e la predeterminazione del criterio presuntivo, rendono l’esito dell’attività di verifica meno incerto.

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Invio esterometro, i punti da chiarire prima del 30 aprile

8 Marzo 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 18 FEBBRAIO 2019 di Giampaolo Giuliani

ADEMPIMENTI

Dal concetto di operazioni «transfrontaliere» ai soggetti esonerati

L’annunciata proroga al 30 aprile dell’invio dell’esterometro dà un po’ di respiro agli operatori. In ogni caso, sarebbe bene sfruttare il tempo in più per puntualizzare alcuni aspetti critici di questa comunicazione (che prevede la trasmissione telematica dei dati Iva delle operazioni transfrontaliere, ex articolo 1, comma 3-bis, del Dlgs 127/2015). Anche perché in questo modo l’esterometro andrà a coincidere con la scadenza della presentazione della dichiarazione annuale Iva, e bisognerà arrivare preparati.
Pur presentando diverse similitudini con lo spesometro, l’esterometro ha comunque numerose peculiarità che ne rendono insidiosa la predisposizione.
Sotto questo profilo, il primo equivoco che è opportuno chiarire riguarda l’uso improprio del termine “transfrontaliero”, poiché l’esterometro riguarda tutte le operazioni in cui viene emessa una fattura cartacea e sono coinvolti soggetti non residenti. Si pensi, solo per fare un esempio, all’ipotesi in cui un’impresa di ristrutturazione sia chiamata da un privato inglese per recuperare il proprio casale acquistato in Toscana.
Premesso ciò, per quel che attiene la delimitazione del perimetro soggettivo, ci si chiede se debbano comunque compilare l’esterometro i cosiddetti soggetti passivi “minori” o che operano in franchigia – minimi e forfettari su tutti – e non sono tenuti a emettere fattura elettronica. Anche se il dato letterale potrebbe far sorgere qualche dubbio, si può ritenere che la risposta sia negativa. Altrimenti, avremmo il paradosso di soggetti esclusi dalla fatturazione elettronica, ma obbligati all’esterometro.
Al di là delle esclusioni di tipo soggettivo, poi, non dev’essere trasmesso l’esterometro per tutte quelle operazioni, realizzate tra soggetti passivi stabiliti e soggetti passivi non stabiliti o privati non residenti, nel caso in cui sia stata emessa fattura elettronica oppure bolletta doganale di esportazione o di importazione.
Un altro argomento meritevole di un chiarimento è quello legato alle fatturazioni per operazioni fuori campo Iva per carenza del presupposto territoriale. L’articolo 21, comma 6-bis, lettere a) e b), del Dpr 633/72 richiede l’emissione della fattura per tutte le operazioni fuori campo Iva, con esclusione di quelle finanziarie e assicurative che intervengono tra soggetti passivi stabiliti nella Ue. Ne dovrebbe conseguire che quelle escluse non hanno l’obbligo di essere indicate nell’esterometro.
Si consideri, ad esempio, il pagamento di interessi in favore di un soggetto passivo stabilito in Italia da parte di un operatore tedesco o di un operatore svizzero. Nel primo caso non dev’essere emessa fattura nei confronti dell’operatore tedesco, per esplicita previsione della lettera a) del citato comma 6-bis; mentre, al contrario, va emessa fattura all’operatore svizzero, in base alla successiva lettera b). Ne consegue che solo questa seconda operazione dev’essere indicata nell’esterometro.
È ammessa, comunque, l’emissione di una fattura elettronica nei confronti di soggetti non stabiliti, indicando nel codice destinatario sette «X» o sette «0», a seconda che l’intestatario della fattura elettronica sia, rispettivamente, il rappresentante fiscale o – tramite identificazione diretta – il soggetto non stabilito. Emettendo la fattura elettronica, non è più obbligatorio compilare l’esterometro.
Un ulteriore elemento degno di nota riguarda l’individuazione delle operazioni da rilevare in ogni singolo mese, che si basa sulla data del documento emesso o su quella di ricezione del documento comprovante l’operazione. Per data di ricezione deve intendersi la data di registrazione dell’operazione ai fini della liquidazione Iva.
Pertanto, nei rapporti con soggetti non residenti, l’assolvimento dell’imposta richiede spesso da parte del cessionario/committente stabilito in Italia il meccanismo dell’inversione contabile, anche con la predisposizione di un’autofattura; e dunque, il termine di riferimento per la compilazione dell’esterometro non può che essere il termine ultimo per la predisposizione di tale documento.
Diversamente, negli acquisti effettuati presso un operatore comunitario, la data di riferimento è la data di ricezione della fattura da cui derivano tutti gli adempimenti Iva per assolvere l’imposta.

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Il reato prescritto obbliga a revocare il sequestro di beni

8 Marzo 2019

Il Sole 24 Ore 19 FEBBRAIO 2019 di Laura Ambrosi

Corte di Cassazione

Il provvedimento deve essere contestuale alla pronuncia del giudice

Se il reato tributario è prescritto, il giudice che rileva l’estinzione del delitto deve revocare anche il sequestro o la confisca per equivalente disposta sui beni riconducibili all’imprenditore.
A confermare questo principio è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza 7260 depositata ieri.
Alcuni imprenditori ritenuti amministratori di fatto e di diritto di una società venivano condannati in primo grado per dichiarazione infedele dei redditi e occultamento di scritture contabili. Conseguentemente era disposta la confisca per equivalente dei beni precedentemente sequestrati.
La corte di appello, adita dagli imputati, riformava la pronuncia in quanto rilevava l’intervenuta prescrizione del reato di dichiarazione infedele e quindi diminuiva la pena precedentemente irrogata, ma confermava la confisca disposta sui beni in sequestro appartenenti a uno dei due imprenditori.
Era così proposto ricorso per cassazione lamentando tra l’altro che stante la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, essa non poteva essere confermata, come aveva erroneamente affermato la corte territoriale, una volta esclusa la rilevanza penale del fatto per intervenuta prescrizione.
I giudici di legittimità hanno accolto questo motivo di impugnazione: dichiarando il proscioglimento dell’imputato per il reato di dichiarazione infedele stante l’intervenuta estinzione per prescrizione del delitto, la corte di Appello oltre a rideterminare la pena da irrogare doveva anche revocare l’avvenuta confisca dei beni sequestrati
In altre parole il giudice nel momento in cui rileva l’intervenuta prescrizione non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che hanno costituito il prezzo o il profitto del reato.
Di conseguenza se dichiara l’estinzione del reato per prescrizione deve contestualmente revocare la confisca per equivalente, essendo venuto meno il sequestro cautelare per effetto della decisione, e disporre la restituzione all’avente diritto dei beni erroneamente vincolati
La sentenza è interessante perché i procedimenti per reati tributari si caratterizzano di sovente sia per il sequestro per equivalente, nella fase delle indagini preliminari, nei confronti dell’imprenditore di un importo pari al profitto del reato, sia per la loro (non rara) estinzione per intervenuta prescrizione.
In queste ipotesi la Cassazione chiarisce in modo netto che la confisca, e quindi il precedente sequestro, diventa illegittima e deve essere disposta la restituzione dei beni.

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Licenziamento esteso ai fatti extra-lavoro

8 Marzo 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 25 FEBBRAIO 2019 di Marcello Floris

CONTENZIOSO

Il comportamento estraneo alla prestazione può ledere la fiducia del datore

Contano anche le azioni commesse in passato o in altri periodi professionali

Le condotte estranee all’attività lavorativa che il lavoratore ha tenuto persino prima dell’assunzione possono essere tali da giustificare il licenziamento per giusta causa. È quanto ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 428 del 10 gennaio 2019. Nel caso specifico, un dipendente, già licenziato in seguito a un procedimento penale, era stato riassunto dopo un accordo conciliativo, ma poi era stato raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare per fatti differenti, sempre commessi prima del nuovo rapporto. Il lavoratore è stato dunque licenziato di nuovo e il suo ricorso è stato infine respinto dalla Corte.
Analogamente, con la sentenza 4804 del 19 febbraio 2019, la Corte ha ritenuto che una condotta gravemente lesiva delle norme dell’etica e del vivere civile possa costituire giusta causa di licenziamento, anche se il riflesso sul rapporto di lavoro è solo potenziale.
La lesione del vincolo fiduciario
Da sempre la giusta causa di licenziamento si verifica quando è irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario che è alla base del rapporto di lavoro. La fiducia è quindi condizione per la permanenza del rapporto e può essere compromessa non solo da specifici inadempimenti contrattuali, ma anche da condotte extralavorative che, non riguardanti direttamente l’esecuzione della prestazione, possano comunque ledere il vincolo fiduciario, qualora abbiano un riflesso sulla funzionalità del rapporto e compromettano le aspettative di un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa.
I comportamenti passati
Sulla base di questo ragionamento – secondo la Corte – a maggior ragione ha rilevanza la condotta tenuta dal lavoratore in un precedente rapporto, tanto più se omogeneo a quello in cui il fatto viene in considerazione. In questo caso, può essere riconosciuta una giusta causa di licenziamento, poiché essa non si riferisce solo alla condotta disciplinare, ma anche a quella che, estranea al rapporto lavorativo, si riveli incompatibile con il permanere di quel vincolo fiduciario sul quale lo stesso si fonda.
Le condotte extralavorative che possono essere rilevanti ai fini dell’integrazione della giusta causa di licenziamento riguardano tutti gli ambiti nei quali si esplica la personalità del lavoratore e non devono essere necessariamente successive all’instaurazione del rapporto, sempre che si tratti di comportamenti appresi dal datore dopo la conclusione del contratto e non compatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate.
Il rilievo disciplinare
Con la sentenza 21958 del 10 settembre 2018, la Cassazione aveva ritenuto che anche una condotta illecita extralavorativa del prestatore potesse avere rilievo disciplinare, e pertanto anche dar luogo alla più grave delle sanzioni, poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche a evitare, fuori dell’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da compromettere il rapporto fiduciario. Tuttavia, in quel caso, la Corte ha ritenuto che tali principi non fossero applicabili nel caso di maltrattamenti nei confronti di familiari da parte del dipendente, anche se accertate con sentenze penali di condanna, poiché costui non aveva mai tenuto comportamenti aggressivi o violenti in ambito lavorativo.
Con la sentenza 30328 del 18 dicembre 2017, invece, la Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento di un lavoratore, condannato penalmente per avere indotto alla prostituzione una sua collega di lavoro in condizioni di minorazione psichica. I principi applicati sono simili a quelli già illustrati.
La condotta illecita extralavorativa può avere rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non mettere in atto, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso. Nel caso specifico, la condotta complessiva del lavoratore era stata ritenuta di gravità tale da rescindere con effetto immediato il vincolo fiduciario.
Come si vede da questo rapido excursus la giurisprudenza ha applicato con costanza, sostanzialmente, gli stessi parametri interpretativi.
Gli esiti però sono variati in modo significativo, in seguito alla differente valutazione che i giudici hanno dato della condotta di ciascun lavoratore e dell’impatto che la stessa ha avuto sul vincolo fiduciario e, conseguentemente, sul rapporto di lavoro.

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Circolare 1 e Circolare 2 – 2019 Ufficio Attività Economiche – Disposizione in materia di e-commerce – Modifiche alla L 58 del 29 maggio 2013

13 Febbraio 2019

Si ricorda che  entro il 1 Marzo 2019 gli operatori economici titolari di attività commerciali condotte tramite comunicazioni elettroniche, devono rimuovere dal proprio sito di E-commerce il marchio identificativo (logo E-Commerce) come stabilito dalla Circolare nr 1/2019 Ufficio Attività Economiche

e dalla Circolare nr 2/2019 Ufficio Attività Economiche

che si allegano. Il mancato rispetto della norma  comporta una sanzione pari a € 500,00 e trascorsi ulteriori 30 giorni dal termine di cui sopra, l’inibizione alla vendita a mezzo commercio elettronico.

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Decreto Delegato 28 Gennaio 2019 nr 19 – Semplificazione per la presentazione del bilancio degli operatori economici

13 Febbraio 2019

Si allega testo completo

Decreto Delegato 28 Gennaio 2019 nr 19

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Legge 25 Gennaio 2019 nr 15

13 Febbraio 2019

– Norme in materia di imprese e settori innovativi, di residenza semplificata, di residenza per motivi economici, di permesso di soggiorno per motivi imprenditoriali, di facilitazione delle attività economiche ed in materia di attività varie d’impresa.

Si allega il testo completo

Legge 25 Gennaio 2019 nr 15

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Esenzione a chi certifica la non residenza in Italia

13 Febbraio 2019

Il Sole 24 Ore 9 GENNAIO 2019 di Marco Piazza

il regime di extraterritorialità

Il fatto che dal 1° gennaio 2019 le plusvalenze relative a partecipazioni qualificate abbiano lo stesso regime fiscale di quelle non qualificate ha effetti anche sulla tassazione dei non residenti che cedano partecipazioni non relative a stabili organizzazioni in Italia. Il nuovo scenario può così essere sintetizzato.
Come regola generale, le plusvalenze (e minusvalenze) relative a partecipazioni in società residenti in Italia si considerano in ogni caso prodotte in Italia. Sono quindi soggette all’imposta sostitutiva del 26% che, nel caso in cui la plusvalenza sia realizzata in regime amministrato o gestito, sarà applicata dall’intermediario che ha i titoli in custodia, amministrazione o gestione (articolo 23, comma 1, lettera f del testo unico). Altrimenti l’intermediario, o in assenza, il notaio o il commercialista che ha perfezionato l’atto di cessione o, in ultima istanza, l’emittente al momento dell’eventuale iscrizione del trasferimento nel libro soci deve comunicare l’operazione nel quadro SO del modello 770 (articolo 10, comma 1, Dlgs 461/1997).
Tuttavia, non si considerano prodotte in Italia le plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate in società residenti con azioni negoziate in mercati regolamentati (articolo 23, comma 1, lettera f, n. 1 del Testo unico); il regime di extraterritorialità opera a favore di qualsiasi non residente in Italia. In base alla circolare 207/E del 1999 è sufficiente presentare all’intermediario residente (o al notaio, il commercialista o l’emittente) un’autocertificazione nella quale si dichiari di non essere residenti in Italia. L’intermediario eviterà di applicare i regimi sostitutivi o di comunicare la cessione nel quadro SO.
Le plusvalenze (e minusvalenze) relative a partecipazioni in società non residenti in Italia si considerano prodotte nel territorio dello Stato se le azioni sono detenute in Italia (è il caso delle azioni estere affidate dal contribuente in custodia, amministrazione o gestione ad intermediari residenti (circolare 207/E del 1999) a prescindere dal luogo in cui gli intermediari le abbiano subdepositate (nota 954/171158 del 14 ottobre 2004) e a prescindere dal fatto che si tratti o meno di azioni di società negoziate in mercati regolamentati. Questa norma è certamente in conflitto con l’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea perché discrimina i non residenti che investono nel capitale di società non residenti rispetto a quelli che investono nel capitale di società residenti.
Se, però il contribuente risiede in uno Stato che consente un adeguato scambio d’informazioni (l’elenco è contenuto nel Dm 4 settembre 1996) le plusvalenze e le minusvalenze sono in ogni caso escluse da imposizione sia nel regime dichiarativo, sia nel regime amministrato o gestito (articolo 5, comma 5, Dlgs 461/1997). L’esclusione opera solo per le cessioni di partecipazioni non qualificate. Il non residente in questo caso dovrà attestare il proprio Stato di residenza fiscale. A tal fine potrà adottare lo schema di autocertificazione varato con il Dm 12 dicembre 2001, con gli opportuni adattamenti.
Nei casi in cui non siano verificate le condizioni di extraterritorialità o di esclusione da imposizione sopra descritte, la non rilevanza fiscale del reddito può derivare dall’applicazione dei trattati contro le doppie imposizioni che – se conformi al modello Ocse – prevedono, di norma all’articolo 13, che le plusvalenze siano tassate solo nel Paese di residenza del beneficiario del reddito. In questo caso il contribuente dovrà esibire un’attestazione delle autorità fiscali dello Stato estero di residenza (può essere utilizzato il modello approvato con il provvedimento delle Entrate del 10 luglio 2013, protocollo n. 2013/84404 – modello D).

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Negli scambi con San Marino vive la copia di carta

13 Febbraio 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 21 GENNAIO 2019 di Giampaolo Giuliani

Le procedure speciali

Nella disciplina Iva le operazioni di interscambio con San Marino sono contraddistinte da procedure del tutto simili, ma non identiche, a quelle previste in ambito comunitario e, al pari di queste, non subiscono delle variazioni con l’introduzione della fatturazione elettronica.
Fatture cartacee
Dal 1° gennaio gli operatori nazionali che intrattengono rapporti di interscambio di beni con operatori sammarinesi devono continuare a ricevere o a emettere fatture cartacee su cui l’ufficio tributario della Repubblica di San Marino appone il proprio timbro.
L’acquisizione da parte dell’operatore italiano della fattura di vendita o di acquisto munita del visto dell’ufficio tributario sammarinese costituisce infatti prova inconfutabile dell’avvenuta importazione o esportazione dei beni tra Italia e San Marino. Chiaro in questo senso il decreto ministeriale del 4 dicembre 1993.
Gli scambi di beni
Non essendo obbligati all’emissione delle fatture elettroniche, gli operatori nazionali quando realizzano vendite o acquisti con residenti in San Marino devono predisporre il cosiddetto esterometro, previsto dall’articolo 1, comma 3-bis, del Dlgs 127/2015.
Tuttavia, quest’ultimo adempimento è superabile, almeno per quanto riguarda la fatturazione attiva. Infatti nel provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 30 aprile 2018, al paragrafo 9.4, è previsto che è possibile evitare la compilazione dell’esterometro inviando al Sistema di interscambio una fattura elettronica con i dati del cliente estero (nel nostro caso dell’operatore sammarinese) apponendo nel codice destinatario «XXXXXXX».
Ovviamente, il soggetto non residente non potrà ricevere dal Sistema di interscambio la fattura elettronica, né potrà prenderne visione nell’area riservata dell’agenzia delle Entrate a cui non può accedere, per cui è necessario che gli sia inviata una della fattura in formato cartaceo (oppure in un formato elettronico che il destinatario tradurrà su carta, ad esempio in Pdf), così da poterla presentare in triplice copia all’ufficio tributario di cui una copia (munita di visti) dovrà essere riconsegnata al cedente italiano.
Al contrario, per gli acquisti presso operatori sammarinesi, gli operatori italiani non possono evitare la compilazione dell’esterometro. Al massimo, nel caso in cui assolvano l’imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile, possono inviare al Sistema di interscambio un documento elettronico realizzato sulla base della fattura ricevuta dal fornitore sammarinese munita del visto dell’ufficio tributario sammarinese; non si tratta comunque di un obbligo ma di una semplice possibilità.
Iva prepagata
È bene tuttavia ricordare come negli acquisti da San Marino il decreto del 24 dicembre 1993 contempla anche la possibilità di assolvere l’imposta mediante fatture con Iva prepagata che, se munite del timbro dell’ufficio tributario e dell’agenzia delle Entrate di Pesaro, sono parificate ai fini degli adempimenti a fatture emesse da operatori italiani. Ciononostante, l’operatore italiano sarà tenuto a compilare l’esterometro.
Le prestazioni di servizi
Diversamente dalle operazioni di interscambio di beni, per quel che attiene le prestazioni di servizi, le transazioni con operatori sammarinesi devono essere trattate alla stregua delle operazioni realizzate con altri operatori extracomunitari.
Pertanto, analogamente a quanto può accadere ad esempio con operatori svizzeri, il prestatore italiano può emettere la fattura elettronica nei confronti del committente operatore sammarinese con «XXXXXXX» nel codice destinatario per evitare la compilazione dell’esterometro.
In questo caso è sufficiente l’invio di una sola copia cartacea, posto che il prestatore italiano non deve acquisirne una copia vistata dall’ufficio tributario.
Allo stesso modo, nel caso in cui il committente soggetto passivo stabilito in Italia riceva una prestazione di servizi ivi territorialmente rilevante, non avendo la necessità di acquisire una fattura proveniente dal prestatore sammarinese, in quanto è obbligato ad autofatturarsi, potrà emettere un documento elettronico da inviare al sistema di interscambio. Ad ogni modo non potrà evitare di compilare l’esterometro.

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