La separazione fittizia per evitare il prelievo deve essere provata

13 Febbraio 2020

Il Sole 24 Ore 16 GENNAIO 2020 di Luigi Lovecchio

Abusi

La casa assegnata al coniuge con i figli non è soggetta a imposta

Esenzione per la casa assegnata in sede di separazione o divorzio solo se vi è affidamento dei figli minori. La modifica restrittiva approvata nella nuova Imu, volta a contrastare il fenomeno delle “separazioni fittizie”, non previene però del tutto possibili manovre abusive da parte dei contribuenti.

A decorrere da quest’anno, l’esenzione Imu per la casa familiare assegnata con provvedimento del giudice in sede di separazione o divorzio si applica solo se vi è affidamento dei figli minori. Lo stesso si dica per l’equiparazione del diritto dell’assegnatario al diritto di abitazione. In mancanza di figli minori, invece, non vi è alcuna esenzione automatica e si deve guardare all’effettiva titolarità della casa assegnata. Non era così nella vecchia Imu, in vigenza della quale tutte le attribuzioni avvenute in esito a separazione o divorzio davano diritto all’esenzione da imposta. La ratio della modifica, come si legge nelle schede illustrative, è quella di contrastare le separazioni fittizie. Non vi è dubbio che la presenza di figli minori rende più complesso e delicato l’iter giurisdizionale. La legge di Bilancio tuttavia non esclude del tutto l’utilizzo disinvolto dell’istituto in esame. Si ipotizzi il caso di due unità immobiliari ubicate nello stesso comune, l’uno di proprietà del marito e l’altro della moglie, in assenza di figli. A regime, una sola delle due unità può fruire dell’esenzione dell’abitazione principale. Se però si procede alla separazione legale, si è dell’avviso che l’esonero debba competere ad entrambe, in presenza dei requisiti della residenza anagrafica e della dimora abituale. A meno che non si provi, per l’appunto, la fittizietà della frattura del vincolo coniugale.

Sempre in tema di assegnazione in sede di separazione o divorzio, si ricorda che il Mef, con risoluzione n. 5 del 2013, ha chiarito che se l’immobile assegnato è detenuto in locazione, si applicano le regole ordinarie e non si ravvisa dunque il diritto di abitazione dell’assegnatario. Ne consegue che l’unità sarà regolarmente tassata ai fini Imu, anche se vi fosse l’affidamento dei figli minori. L’esenzione invece vale anche se la casa familiare è detenuta in comodato. In tale eventualità, quindi, in presenza di affidamento dei figli, sarebbe comunque ravvisabile il diritto di abitazione dell’assegnatario e con esso l’esenzione dell’unità abitativa. In sintesi, è corretto affermare che in tutti i casi in cui è configurabile la finzione giuridica del diritto di abitazione dell’assegnatario, l’immobile è esente da imposta.

Non è mai stata chiarita la disciplina applicabile nei casi in cui l’unità assegnata non costituiva la “casa familiare”. Si pensi al caso, non remoto, in cui uno dei due coniugi sia proprietario di più immobili e il giudice assegni all’altro coniuge un fabbricato diverso da quello in cui era stabilita la dimora familiare. Se si guarda alla lettera della norma, l’esenzione non dovrebbe trovare ingresso. Se però si guarda la ratio della previsione di favore, che è quella di conservare le agevolazioni anche dopo la divisione della famiglia, la conclusione è quella opposta.

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Per la dichiarazione fraudolenta bastano le note spese gonfiate

13 Febbraio 2020

Il Sole 24 Ore 17 GENNAIO 2020 di Antonio Iorio

DECRETO FISCALE

Il contribuente potrebbe incorrere nel delitto anche in modo inconsapevole

La condotta si concretizza con fatture e documenti per operazioni inesistenti

L’inasprimento delle sanzioni penali in caso di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di documenti per operazioni in tutto o in parte inesistenti e l’estensione della responsabilità amministrativa delle società in presenza di questo reato – previsti dal decreto fiscale – comporta un’attenta valutazione delle modalità attraverso cui potrebbe manifestarsi la condotta illecita.

Spesso, infatti, quando si parla di false fatturazioni si pensa all’ipotesi fraudolenta tipica rappresentata dalla contabilizzazione (e successiva utilizzazione in dichiarazione) di una fattura a fronte di un’operazione che non sia mai avvenuta. In realtà, tra le ipotesi più frequenti ci sono anche i casi di fatture soggettivamente inesistenti nelle quali l’imprenditore, che riceve i documenti fiscali è ignaro della frode in atto, risultando coinvolto solo perché non avrebbe utilizzato la normale diligenza e accortezza nei rapporti con il fornitore. A ciò si aggiungono altre ipotesi, nella prassi non rare, in cui si è in presenza non di fatture in senso tecnico, ma di meri documenti che hanno rilevanza ai fini fiscali e, in quanto tali, idonei a integrare l’illecito penale.

A norma dell’articolo 1 del Dlgs 74/2000 per «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» cui fanno riferimento i delitti di dichiarazione fraudolenta (articolo 2) e di emissione dei medesimi documenti (articolo 8) si intendono non solo le fatture in senso tecnico, ma anche gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie.

Per l’integrazione dei delitti in esame occorre poi che fatture e/o documenti siano emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’Iva in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.

Si pensi ad esempio alle note spese che vengono prodotte dagli amministratori in occasione di trasferte. Questi documenti vengono poi dedotti dalla società.

Nel caso in cui – a seguito di specifici riscontri – le spese chieste a rimborso (e dedotte) dovessero risultare non sostenute in tutto o in parte dall’interessato (nota spesa gonfiata), non vi è dubbio che si è in presenza di un documento avente rilevanza fiscale che riporta i corrispettivi in misura superiore a quella reale o addirittura relativo ad operazioni mai effettuate.

La società che riporta (tra i costi) in dichiarazione tali documenti potenzialmente sta integrando la condotta illecita di dichiarazione fraudolenta prevista dall’articolo 2 del Dlgs 74/2000. Va da sé che è il rappresentante legale responsabile in prima battuta di tale reato e potrebbe addurre a propria difesa l’assenza dell’elemento soggettivo non essendo a conoscenza della falsità (totale o parziale) del documento dedotto ove questo sia stato prodotto da altro soggetto. Tuttavia, se la nota spese è stata predisposta proprio dall’amministratore o da uno degli amministratori che si è recato in trasferta è evidente che la consapevolezza della commissione dell’illecito non è più in discussione.

La sanzione penale a seguito delle modifiche introdotte dal Dl 124/2019 per questo delitto è ora della reclusione da 4 a 8 anni se l’imponibile non veritiero dedotto supera i 100mila euro in un periodo di imposta o da 18 mesi a 6 anni se l’importo è inferiore.

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Membri del Cda responsabili in caso di infortunio, salvo formale atto di delega

13 Febbraio 2020

Il Sole 24 Ore 14 GENNAIO 2020 di Luca Cairoli e Alberto De Luca

La Corte di cassazione, consentenza n. 54, depositata il 3 gennaio 2020, è tornata a esprimersi sulla distribuzione delle responsabilità in materia di obblighi di prevenzione infortuni nelle società di capitali. Esprimendo un principio generale, la Corte ha prima di tutto evidenziato che nelle società di capitali gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro «gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso de delega, validamente conferita, della posizione di garanzia”. Nel caso in esame un consigliere delegato di una società di capitali aveva impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Firenze, di conferma della pronuncia di primo grado, con la quale era stato ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose, per avere, con condotta omissiva consistente nel non aver adeguatamente adempiuto agli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro, cagionato lesioni personali a un lavoratore infortunatosi nello svolgimento della prestazione lavorativa.

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Dal Tar Lazio sì alle valute virtuali nel quadro RW

13 Febbraio 2020

Il Sole 24 Ore 1 FEBBRAIO 2020 di  Giuseppe Latour

La scelta delle Entrate ha una base solida nelle norme antiriciclaggio

Le valute virtuali possono rientrare nel campo del quadro RW ed essere tassate attraverso l’inserimento in questa parte delle dichiarazioni. La soluzione ha un fondamento solido nella legge italiana, a partire dal recepimento della Quarta e della Quinta direttiva antiriciclaggio (decreti legislativi 90/2017 e 125/2019).

È questa la posizione presa dal Tar Lazio, con la sentenza 1077/2020, che conferma come l’impostazione data dall’agenzia delle Entrate nel corso degli ultimi mesi sia corretta. E che, quindi, l’impiego delle criptovalute sia rilevante dal punto di vista fiscale qualora generi «materia imponibile».

La vicenda

La sentenza nasce da un ricorso di alcune associazioni attive nella blockchain in Italia contro il modello Redditi 2019 e le relative istruzioni dell’agenzia delle Entrate. Le associazioni contestavano «l’inserimento della valute virtuali nell’ambito degli obblighi di monitoraggio fiscale». E, in particolare, la previsione, nelle istruzioni relative al quadro RW, dell’obbligo di indicare anche «le altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali».

Secondo le associazioni, questo inserimento delle valute virtuali negli obblighi dichiarativi sarebbe «privo di titolo e contrastante» con alcune norme, come il recepimento della Quarta direttiva antiriciclaggio (decreto legislativo 90/2017), dove i prestatori di servizi relativi a valute virtuali vengono classificati tra gli operatori «non finanziari». La sottoposizione delle criptovalute a imposizione sarebbe irragionevole e discriminatoria, perché queste non hanno natura finanziaria o di investimento.

La decisione

Il Tar respinge il ricorso, evidenziando in particolare che il trattamento fiscale dell’impiego della moneta elettronica non dipende solo dalle istruzioni dell’agenzia delle Entrate impugnate dalle associazioni, ma anche da alcune norme,come il decreto legislativo 125/2019 dove la valuta virtuale viene definita come una rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica.

In questo quadro, secondo il Tar, l’impiego di moneta virtuale rientra a pieno titolo nel perimetro dell’articolo 67 del Tuir e, quindi, è soggetto a tassazione quando genera «materia imponibile».

Il Tar, invece, ha scelto di non pronunciarsi su un’altra questione: la “non territorialità” delle criptovalute che impedirebbe di ravvisare un elemento di collegamento geografico con il titolare.

Secondo i giudici amministrativi, questo elemento riguarda l’attuazione del rapporto di imposta ed è per questo appannaggio della giurisdizione tributaria.

Il Sole 24 Ore 1 FEBBRAIO 2020 di  Giuseppe Latour

La scelta delle Entrate ha una base solida nelle norme antiriciclaggio

Le valute virtuali possono rientrare nel campo del quadro RW ed essere tassate attraverso l’inserimento in questa parte delle dichiarazioni. La soluzione ha un fondamento solido nella legge italiana, a partire dal recepimento della Quarta e della Quinta direttiva antiriciclaggio (decreti legislativi 90/2017 e 125/2019).

È questa?la posizione presa dal Tar Lazio, con la sentenza 1077/2020, che conferma come l’impostazione data dall’agenzia delle Entrate nel corso degli ultimi mesi sia corretta. E che, quindi, l’impiego delle criptovalute sia rilevante dal punto di vista fiscale qualora generi «materia imponibile».

La vicenda

La sentenza nasce da un ricorso di alcune associazioni attive nella blockchain in Italia contro il modello Redditi 2019 e le relative istruzioni dell’agenzia delle Entrate. Le associazioni contestavano «l’inserimento della valute virtuali nell’ambito degli obblighi di monitoraggio fiscale». E, in particolare, la previsione, nelle istruzioni relative al quadro RW, dell’obbligo di indicare anche «le altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali».

Secondo le associazioni, questo inserimento delle valute virtuali negli obblighi dichiarativi sarebbe «privo di titolo e contrastante» con alcune norme, come il recepimento della Quarta direttiva antiriciclaggio (decreto legislativo 90/2017), dove i prestatori di servizi relativi a valute virtuali vengono classificati tra gli operatori «non finanziari». La sottoposizione delle criptovalute a imposizione sarebbe irragionevole e discriminatoria, perché queste non hanno natura finanziaria o di investimento.

La decisione

Il Tar respinge il ricorso, evidenziando in particolare che il trattamento fiscale dell’impiego della moneta elettronica non dipende solo dalle istruzioni dell’agenzia delle Entrate impugnate dalle associazioni, ma anche da alcune norme,come il decreto legislativo 125/2019 dove la valuta virtuale viene definita come una rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica.

In questo quadro, secondo il Tar, l’impiego di moneta virtuale rientra a pieno titolo nel perimetro dell’articolo 67 del Tuir e, quindi, è soggetto a tassazione quando genera «materia imponibile».

Il Tar, invece, ha scelto di non pronunciarsi su un’altra questione: la “non territorialità” delle criptovalute che impedirebbe di ravvisare un elemento di collegamento geografico con il titolare.

Secondo i giudici amministrativi, questo elemento riguarda l’attuazione del rapporto di imposta ed è per questo appannaggio della giurisdizione tributaria.

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Decreto Delegato 2 dicembre 2019 nr 160 – Regolamentazione dei flussi di migrazione per motivi di lavoro e per esigenze straordinarie per l’anno 2020

13 Gennaio 2020

Si allega testo completo del Decreto che regolamenta i permessi speciali di soggiorno che potranno essere rilasciati a stranieri nell’anno 2020 per motivi di lavoro e per esigenze straordinarie.

DD160-2019

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Circolare nr 146875 del 30/12/2019 – Disposizioni attuative riguardanti il Titolo IV, Capo II della Legge n. 166/2013 “Incentivi fiscali per il sostegno all’occupazione”

13 Gennaio 2020

Si allega Circolare nr 146875 dell’Ufficio Tributario riguardante alcune precisazioni circa gli incentivi fiscali per il sostegno all’occupazione segnalando che  eventuali variazioni sui profili dei dipendenti ai fini del diritto all’incentivo, riguardanti l’anno di incremento, possono essere effettuate entro e non oltre il 31 marzo dell’anno successivo .

Circolare_art 70_L166-2013_BIS

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Circ. Ufficio Tributario nr 146812 del 30/12/2019 – Modalità di richiesta superamento limiti deducibilità dei costi, così come previsti dall’art. 50 Legge n.166/2013

13 Gennaio 2020

Si allega la Circolare nr 146812 del 30/12/2019 dell’Ufficio Tributario che prevede la modalità di richiesta di superamento dei limiti alla deducibilità dei costi previsti dall’art. 50 L166/2013 (pubblicità e sponsorizzazioni max 8% dei ricavi; elaborazione dati e ricerche di mercato max 10% dei ricavi; spese di rappresentanza max 5% dei ricavi) presentando  apposita  domanda per ogni periodo fiscale per il quale s’intenda chiedere deroga completa di alcuni documenti, agli sportelli della Segreteria dell’Ufficio Tributario  entro il 31 maggio.

Circolare_art 50_L166-2013

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Il ravvedimento blocca il penale se c’è uso di fatture per operazioni inesistenti

13 Gennaio 2020

Quotidiano del Fisco 5 DICEMBRE 2019 di Lorenzo Lodoli e Benedetto Santacroce

Non punibilità penale per il reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti con ricorso al ravvedimento operoso che estingue il debito tributario e conferma implicita dell’ammissibilità dello specifico strumento deflattivo per sanare le connesse violazioni amministrative.
Queste sono due importanti conseguenze che derivano dalle modifiche introdotte dalla Commissione Finanze della Camera all’articolo 39 del Dl 124/2019.
In particolare, l’intervento legislativo introduce una ulteriore lettera q-bis) con cui viene ampliata la platea dei reati non punibili prevista dall’articolo 13 del Dlgs 74/2000 ricomprendendo, in caso di integrale pagamento del debito, anche le fatture inesistenti.
Inoltre, dà, legislativamente, conferma della possibilità di fruire del ravvedimento operoso per sanare le violazioni fiscali amministrative derivanti dall’utilizzo di fatture inesistenti.

Causa di non punibilità

Nel corso dell’esame in sede referente è stata prevista un’integrazione del comma 2 dell’articolo 13 del Dlgs 74/2000, che consente la non punibilità di alcuni reati tributari a fronte del tempestivo pagamento del debito tributario. In particolare l’articolo 13, al comma 2, prevede la non punibilità dei reati di dichiarazione infedele (articolo 4) e omessa dichiarazione (articolo 5) se i debiti tributari (comprese sanzioni e interessi), sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, purché ciò avvenga prima che il contribuente abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o penale.
Il provvedimento interviene sul comma 2 per aggiungere – tra i reati che si estinguono con l’integrale pagamento del debito tributario prima che l’interessato abbia notizia dell’apertura del procedimento a suo carico – il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2) e il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3).
Si tratta di fattispecie di reato che sino ad oggi, per la loro intrinseca gravità, erano soggette, in caso di versamento integrale del dovuto, solo ad una riduzione di pena (articolo 13-bis) e che invece diventano non più punibili.
Ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità non si chiede solo il pagamento integrale del debito tributario, essendo altresì necessaria l’ulteriore condizione della volontaria resipiscenza, in quanto il contribuente non deve essere a conoscenza di accessi o ispezioni. Solo in presenza di tali circostanze, infatti, il legislatore ha escluso la necessità dell’applicazione di una sanzione.

Ravvedimento per le fatture inesistenti

Con le modifiche al comma 2 dell’articolo 13 il legislatore ha altresì confermato che è possibile usufruire del ravvedimento operoso per sanare la violazione fiscale derivante dalla deduzione di costi e/o dalla detrazione dell’Iva su fatture inesistenti. Sul punto ricordiamo che l’agenzia delle Entrate (circolare 180/1998 e Telefisco 2018) e la Guardia di Finanza (circolare 1/2018) hanno un approccio negativo in quanto non si rientrerebbe nel concetto di “errore od omissione” rilevante ai sensi dell’articolo 13 del Dlgs 472/97 ma si tratterebbe di un comportamento connotato da intrinseca antigiuridicità. La questione era stata, di recente, affrontata anche dalla Corte di cassazione (sentenza 5448/2018) che, invece, partendo dall’evoluzione normativa proprio del Dlgs 74/2000 ed evidenziando l’importanza riconosciuta al ravvedimento ai fini del riconoscimento dei benefici penali (ad esempio, patteggiamento e riduzione pena articolo 13-bis), aveva concluso che tale istituto doveva avere rilevanza anche per il reato di cui all’articolo 2.

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I beni in natura sono da tassare

13 Gennaio 2020

Il Sole 24 Ore 17 DICEMBRE 2019 di Giovanni Renella

L’INTERPELLO

Niente categoria omogenea se solo un amministratore su tre riceve dei soldi

Non fa realizzare una categoria omogenea la presenza di amministratori (due su tre) che per l’incarico svolto percepiscono esclusivamente compensi in natura. In questo caso, i benefit assolvono infatti una funzione essenzialmente remunerativa da assoggettare a tassazione come reddito di lavoro dipendente.

È questa una delle risposte fornite dall’agenzia delle Entrate – risposta 522 del 13 dicembre 2019 – ad un interpello presentato da una società di consulenza che intende attivare un piano di welfare aziendale on top, da riservare a due categorie di beneficiari costituite da:

alcuni lavoratori dipendenti;

i tre membri del CdA, di cui un componente percepisce compensi in danaro inquadrabili tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (articolo 50, comma 1, lettera c-bis, Tuir) mentre gli altri due amministratori svolgono l’incarico a titolo gratuito.

In linea generale sia gli emolumenti in denaro che i valori corrispondenti ai beni, ai servizi e alle opere percepiti dal dipendente in relazione al rapporto di lavoro costituiscono redditi imponibili e concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente (cd. principio di onnicomprensività).

Come già chiarito in altre documenti di prassi (circolare 28/E/2016) condizione per l’applicazione del regime di non imponibilità (articolo 51, comma 2, Tuir) è che l’erogazione in natura non si traduca in un aggiramento degli ordinari criteri di determinazione del reddito di lavoro dipendente e in una violazione dei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione. In altri termini non devono essere alterati nè le regole di tassazione dei redditi di lavoro dipendente (e assimilati) nè il connesso principio di capacità contributiva che comunque attrae nella base imponibile anche le retribuzioni erogate in natura.

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Le fotografie non bastano per dedurre la sponsorizzazione

12 Gennaio 2020

Quotidiano del Fisco  03/01/2020 di Alessandro Borgoglio

Qualora il Fisco contesti l’inesistenza della sponsorizzazione, i cui costi sono stati dedotti dal contribuente, a quest’ultimo non basta opporre la dimostrazione dei pagamenti e l’allegazione delle fotografie dell’evento sponsorizzato per contrastare la contestazione dell’Erario. Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza 29707/2019 .

Secondo il costante orientamento di legittimità, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, ovvero che sia mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere, e quindi, contesti anche l’indebita detrazione dell’Iva e la deduzione dei costi, ha l’onere di provare che l’operazione fatturata non è mai stata effettuata, indicando, a tal fine, elementi anche indiziari; a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate: tale ultima prova non può, tuttavia, consistere nell’esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (da ultimo, Cassazione 6865/2019).

Sulla base di tali principi, qualche tempo fa i giudici di merito avevano stabilito che, ai fini della prova di cui il Fisco è onerato, è necessario che vengano forniti precisi elementi di prova, o quantomeno indizi precisi e concordanti, che possano chiarire se vi sia stata sovrafatturazione e in che quantità; all’assenza di tali elementi indiziari o probatori dell’Ufficio non può supplire il richiamo a verifiche e a dichiarazioni formulate nel corso di accertamenti verso altre società clienti di quella che avrebbe reso le prestazioni, e la mancanza di elementi gravi, precisi e concordanti rende l’avviso di accertamento illegittimo (Ctr Venezia, sentenza 35/3/18 del 10 gennaio 2018).

In merito alla prova contraria di cui è gravato il contribuente, invece, altri giudici di merito hanno recentemente stabilito che, qualora l’Ufficio contesti l’inesistenza delle sponsorizzazioni, con conseguente recupero a tassazione delle relative spese dedotte, il contribuente può validamente dimostrare l’esistenza delle operazioni e la legittimità della deduzione attraverso l’esibizione dei contratti di sponsorizzazione, delle fotografie e degli articoli della stampa specializzata attestanti la sponsorizzazione, dei bonifici di pagamento e della regolare documentazione contabile, atteso che tali elementi sono sufficienti a provare la concreta effettuazione delle prestazioni di sponsorizzazione richieste (Ctr Bologna, sentenza 627/01/19 del 28 marzo 2019).

Non pare essere, però, dello stesso avviso la Cassazione, che, con la sentenza qui commentata, ha bocciato la decisione dei giudici di merito a favore della società sponsor, in quanto basata su elementi totalmente privi di valenza presuntiva, quali i documenti bancari attestanti il versamento del corrispettivo in denaro dell’operazione, inoltre richiamando genericamente le riproduzioni fotografiche dell’evento sponsorizzato, senza individuarne il contenuto e specificarne il contesto e la collocazione spazio temporale, tralasciando invece di considerare la genericità del contenuto dei contratti di sponsorizzazione stipulati e la presenza di precedenti sentenze emesse contro la associazione sportiva dilettantistica sponsorizzata, concernenti la violazione degli obblighi dichiarativi e l’emissione di fatture false per altre sponsorizzazioni.

 

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