Nel leasing l’utilizzatore deve pagare il bollo auto

11 Giugno 2019

Il Sole 24 Ore 17 MAGGIO 2019 di Giacomo Albano

CASSAZIONE

Responsabilità solidale esclusa anche prima del 15 giugno 2016

Per i veicoli concessi in locazione finanziaria l’unico soggetto tenuto al pagamento della tassa automobilistica regionale è il soggetto utilizzatore, anche per i rapporti anteriori al 15 giugno 2016. Non è quindi configurabile alcuna responsabilità solidale della società di leasing in caso di mancato pagamento. È quanto stabilito dalla Cassazione che, con quattro sentenza identiche (13131, 13132, 13133 e 13135, tutte depositate ieri), scrive la parola fine a un contenzioso tra regioni e società di leasing che va avanti ormai da dieci anni a colpi di sentenze e modifiche normative.

Oggetto della questione è l’individuazione del soggetto passivo della tassa automobilistica per gli autoveicoli concessi in leasing. La controversia trae origine dalla legge 99/2009, che aveva rivisto gli obbligati al tributo regionale: prima del 15 agosto 2009 (data di entrata in vigore della norma), infatti, la normativa sulla tassa automobilistica prevedeva quale unico soggetto passivo il “proprietario” del bene (articolo 5 del Dl 953/82) e, quindi, per i veicoli concessi in leasing il soggetto tenuto al pagamento era la società di leasing, proprietaria del bene. La legge 99 del 2009 ha invece previsto che al pagamento della tassa automobilistica sono tenuti coloro che «risultano essere proprietari, usufruttuari, acquirenti con patto di riservato dominio, ovvero utilizzatori a titolo di locazione finanziaria».

Nonostante la modifica normativa avesse la finalità di imporre il pagamento della tassa esclusivamente ai soggetti utilizzatori, alcune Regioni (in testa la Lombardia) hanno continuato a chiedere alle società di leasing il pagamento dell’imposta sui veicoli in leasing, argomentando che il prelievo potesse avvenire indifferentemente sia in capo al concedente che all’utilizzatore in quanto solidalmente obbligati.

Per dirimere il contenzioso scaturito da tale lettura, era intervenuta una norma di interpretazione autentica (Dl 78/2015) che chiariva in modo inequivocabile che per i veicoli concessi in leasing, dal 15 agosto 2009, l’unico soggetto tenuto al pagamento della tassa è l’utilizzatore.

Poi è intervenuto il Dl 113/2016 (Dl Enti locali), che ha abrogato la norma interpretativa, stabilendo, contestualmente, una regola identica a quella abrogata – ovvero la responsabilità esclusiva dell’utilizzatore – dal 1° gennaio 2016.

L’abrogazione della norma interpretativa era stata letta dalle Regioni come volontà del legislatore di sostituire – con effetti retroattivi – la regola abrogata con una regola opposta, ovvero la responsabilità solidale del concedente nel pagamento della tassa. La Suprema corte, con le sentenze in commento, evidenzia tuttavia l’irrazionalità di una simile lettura, che peraltro si porrebbe in contrasto con lo Statuto del contribuente. Pertanto, l’evoluzione della normativa va letta come volontà del legislatore di ribadire il senso della disciplina fissata originariamente dalla legge 99/2009, ovvero che per i veicoli concessi in leasing l’unico soggetto passivo della tassa automobilistica è il soggetto utilizzatore.

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Decreto Delegato 3 maggio 2019 n.73 – Norme per le imprese ad alto contenuto tecnologico

11 Giugno 2019

Il Decreto introduce una serie di misure attuative per creare le condizioni favorevoli allo sviluppo  e alla nascita di imprese ad alto contenuto tecnologico.

DD073-2019

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Decreto Delegato 17 maggio 2019 n.77 (Ratifica Decreto Delegato 18 febbraio 2019 n.31) – Norme per la semplificazione delle procedure amministrative in materia di distacchi di lavoratori dipendenti

11 Giugno 2019

Si allega il testo ratificato del Decreto che semplifica le norme in materia di distacchi di lavoratori e di lavoro straordinario.

DD077-2019

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Exit tax non solo sui cambi di residenza delle imprese

11 Giugno 2019

Il Sole 24 Ore 22 MAGGIO 2019 di Marco Piazza

STABILI ORGANIZZAZIONI

Tassa dovuta anche per spostamenti in caso di fusioni e scissioni

Fanno eccezione i trasferimenti di aziende in neutralità fiscale

L’imposizione in uscita (exit tax) delle plusvalenze latenti nel momento in cui un’impresa residente o una stabile organizzazione di impresa non residente trasferisce all’estero, senza corrispettivo, aziende o rami d’azienda o singoli beni d’impresa, trova una sua organica disciplina nel nuovo articolo 166 del Testo unico, di attuazione dell’articolo 5 della direttiva 2016/1164.

La norma, ora, non riguarda più solo il trasferimento all’estero della residenza della società, ma anche:

gli eventuali trasferimenti di attività in occasione di fusione o scissione di una società residente in Italia in una società non residente o di conferimento di una stabile organizzazione all’estero a società non residente;

i trasferimenti di attivi a una stabile organizzazione all’estero in regime di «branch exemption» (ex articolo 168-ter del Testo unico);

i trasferimenti all’estero di attivi di una stabile organizzazione in Italia oppure dell’intera stabile organizzazione.

Sono però effettuati in regime di neutralità fiscale (ex articolo 179 del Tuir):

i trasferimenti di attivi, aziende e rami d’azienda che, in occasione di operazioni di fusioni e scissione fra società Ue non appartenenti a uno stesso Stato, confluiscono in una stabile organizzazione in Italia (già esistente o neo costituita) di una beneficiaria residente nella Ue o in una società residente in Italia;

i trasferimenti di aziende e rami d’azienda che, in occasione di operazioni di conferimento fra società Ue non appartenenti a uno stesso Stato, confluiscono in una stabile organizzazione in Italia (già esistente o neo costituita) di una beneficiaria residente nella Ue o in una società residente in Italia.

Peraltro, la neutralità dei trasferimenti di attivi riguarda anche:

le fusioni e scissioni non disciplinate dall’articolo 179 (fra società residenti in uno stesso Stato Ue o con beneficiaria extraUe) sempreché, secondo la legge regolatrice dell’operazione, il beneficiario «succeda a titolo universale» nella titolarità dei diritti e degli obblighi già facenti capo alla società fusa o scissa e, gli attivi confluiscano in una stabile organizzazione in Italia della società beneficiaria (articoli 172 e 173 del Tuir e Dre Emilia Romagna, 21 febbraio 2000, n. 8996; Assonime, circolare 51 del 2008, paragrafo 32; risoluzioni 42 e 470 del 2008)

trasferimenti di aziende o rami d’azienda in occasione di conferimenti non disciplinati dall’articolo 179 (fra società residenti in uno stesso Stato Ue oppure alcuna delle quali sia extraUe) sempreché il conferimento abbia ad oggetto aziende situate in Italia (articolo 176 del Tuir).

Il caso di trasferimento di una stabile organizzazione all’estero da una società residente a una società non residente che avvenga nell’ambito di un trasferimento di residenza all’estero o di una fusione, scissione o conferimento presenta una particolarità: se la beneficiaria risiede nella Ue e anche la stabile organizzazione si trova nella Ue, il dante causa, pur essendo soggetto all’imposizione in uscita, beneficia del cosiddetto notional tax credit di cui all’articolo 179, commi 3 e 5, del Testo unico (interpello 73 del 2018 conforme alla sentenza della Corte di giustizia Ue C-292/16). Il notional tax credit non spetta, invece, quando la stabile organizzazione non si trovi nella Ue o sia trasferita a un soggetto extraUe (Assonime, circolare 51 del 2008, paragrafi 1.3.3 e 2.4).

Nel caso in cui – nell’ambito di una fusione, scissione o conferimento – una stabile organizzazione all’estero venga trasferita da una società residente a altra società residente, la neutralità del trasferimento è assicurata dagli articoli 172, 173 e 176 del Testo unico che si applicano a prescindere dalla localizzazione dell’azienda (Assonime, circolare 51 del 2008, paragrafo 1.3.3).

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Crolla l’appeal per i capitali esteri

11 Giugno 2019

Il Sole 24 Ore 11 MAGGIO 2019 di Morya Longo

l’indice aibe-censis

Per il 60% degli investitori l’Italia nel corso del 2018 è diventata meno attraente

L’asfissiante peso della burocrazia e dell’apparato normativo. I tempi biblici della giustizia civile. L’efficacia dell’azione di Governo. Per gli investitori internazionali – ascoltati dall’Aibe con il Censis – sono soprattutto questi nodi a rendere l’Italia poco “sexy”, ai loro occhi, per gli investimenti industriali. Così poco da relegare il Paese all’ottavo posto tra le maggiori economie mondiali per la capacità di attirare gli investitori. Dopo la Spagna, meglio solo di Brasile e Russia. «Il Paese è poco attraente per chi vuole fare investimenti perché ha problemi strutturali che lo penalizzano», osserva il presidente dell’Associazione italiana banche estere, Guido Rosa. «Problemi che l’Italia si trascina da anni». Problemi che andrebbero affrontati.

Mentre in tanti guardano ai mercati finanziari e allo spread tra BTp e Bund per misurare l’opinione che gli investitori hanno dell’Italia, l’Aibe Index è andato a censire uno «spread» ancora più importante: quello degli investimenti industriali. Quello che spinge le industrie estere ad aprire uno stabilimento, un ufficio o un sito produttivo in un Paese piuttosto che in un altro. Ebbene: l’Italia, tra i principali Paesi del mondo, è quasi il fanalino di coda. L’indicatore di attrattività Aibe-Censis è infatti sceso quest’anno a 42,9 (su una scala che va da zero a 100), rispetto a 43,3 del 2018. Se si confronta il sondaggio di quest’anno con quello del 2018, si scopre infatti che diminuisce dal 31% al 6,3% la percentuale di investitori industriali che ritiene più attraente l’Italia, mentre aumenta in maniera clamorosa (dal 16,7% al 60,4%) la percentuale di chi ritiene che il Paese sia diventato meno attraente.

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Decreto Delegato 12 aprile 2019 nr 65 – Indicatore della Condizione Economica per l’Equità – ICEE

9 Maggio 2019

Si allega testo completo del Decreto Delegato nr 65 del 12 Aprile 2019 che riporta i criteri per determinare l’ICEE, ossia l’Indicatore della Condizione economica per l’equità, per i nuclei familiari che necessitino di prestazioni agevolate atte a garantire il raggiungimento di una condizione economica sufficiente a soddisfare i bisogni primari.

DD065-2019+All 

 

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Decreto Delegato 29 Aprile 2019 nr 69 – Norme di semplificazione burocratica per le imprese

9 Maggio 2019

Si allega il testo completo del Decreto Delegato nr 69 del 29 Aprile 2019 che tratta la semplificazione burocratica per le imprese. Le principali novità riguardano l’eliminazione del blocco tra i codici Ateco e la  coerenza con l’oggetto sociale della licenza,  facilitazioni nel caso di apertura di sedi secondarie e la possibile titolarità di più licenze. Vengono eliminati i permessi alle manutenzioni estere sui beni strumentali  e accessori dell’impresa e, per le nuove costituzioni, la normativa delle società  prevede un allungamento del termine di versamento di metà del Capitale Sociale anziché entro 60gg a 120gg, termine in cui dovrà essere versata anche la prima tassa di licenza.

DD069-2019

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Piattaforme digitali: da luglio solo invio dati, soggetti passivi dal 2021

8 Maggio 2019

Il Sole 24 Ore 25 APRILE 2019 di  Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

vendite a distanza

Entro luglio 2019 primo invio dei dati relativi a ciascun fornitore da parte delle piattaforme digitali, comprese le informazioni delle vendite a distanza di telefoni cellulari, console da gioco, tablet pc e laptop; contestuale differimento al 1° gennaio 2021 del ruolo di soggetti passivi di imposta per i “marketplace” in concomitanza con l’avvio della operatività della direttiva 2017/2455/Ue; obbligo di fatturazione elettronica anche nei rapporti commerciali con San Marino: queste alcune delle misure di contrasto all’evasione e di semplificazione per i contribuenti contenute nel Dl crescita approvato dal Consiglio dei ministri.

Considerata la necessità di procedere al completo recepimento della direttiva 2017/45 sulle vendite a distanza, è stata differita al 1° gennaio 2021 l’efficacia delle previsioni di cui all’articolo 11-bis del Dl semplificazioni 135/18, con cui è stato attribuito il ruolo di soggetti passivi d’imposta alle piattaforme digitali che vendono cellulari, tablet, pc e console. Tuttavia, per favorire l’emersione della base imponibile Iva, con il Dl crescita in capo a tutte le piattaforme digitali, a prescindere dalla tipologia di beni ceduti, sono stati imposti obblighi di natura informativa. Infatti, entro il mese successivo a ogni trimestre i soggetti passivi marketplace che facilitano, attraverso piattaforme digitali, le vendite a distanza di beni importati o di beni già all’interno della Ue dovranno trasmettere, secondo le modalità che verranno individuate con provvedimento direttoriale delle Entrate, una serie di dati per ciascun fornitore, e in particolare denominazione, residenza, domicilio e indirizzo di posta elettronica, numero totale di unità vendute in Italia e, a scelta dell’obbligato, l’ammontare totale dei prezzi di vendita ovvero il prezzo medio delle unità cedute nel territorio nazionale. Il primo invio dei dati deve essere effettuato a luglio 2019. Il soggetto passivo che non trasmette i dati o lo fa in maniera incompleta sarà responsabile dell’imposta dovuta a meno che non dimostri che la stessa è stata assolta dal fornitore. Sempre entro luglio 2019 i marketplace dovranno trasmettere gli stessi dati per le transazioni relative a tablet, pc e console realizzate tra il 13 febbraio 2019, data di conversione del Dl 135/18, e la data di entrata in vigore del Dl crescita.

Semplificazione degli adempimenti certificativi, sia per le operazioni attive che per quelle passive, per gli operatori economici italiani che hanno rapporti commerciali con San Marino, attraverso la previsione dell’obbligo di fatturazione elettronica analogamente a quanto già previsto per le operazioni realizzate con soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato italiano e con le medesime esclusioni soggettive e oggettive.

Questa misura richiede la modifica del Dm del 24 dicembre 1993 il quale disciplina ai fini Iva i rapporti di scambio tra i due Paesi imponendo, tra gli altri, l’emissione di una fattura cartacea in quattro esemplari nei confronti di operatori aventi sede, residenza o domicilio a San Marino. Le modifiche al Dm saranno adottate in attuazione di un accordo tra i due Stati e le relative specifiche tecniche verranno individuate con provvedimento direttoriale delle Entrate.

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Il sindaco percepisce compensi non votati: è omessa vigilanza

8 Maggio 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 8 APRILE 2019 Claudio Ceradini

ORGANI DI CONTROLLO

Serve una delibera ad hoc che può anche riferirsi alle tariffe professionali

La percezione di compensi non deliberati da parte dell’assemblea dei soci costituisce per il collegio sindacale violazione dell’obbligo di vigilanza. È quanto emerge dalla sentenza della corte d’appello di Milano 944/2019, pubblicata il 1° marzo scorso. La vicenda interessa l’organo di controllo di società quotata, e riguarda quindi le disposizioni del Dlgs 58/1998 (Tuf), ma di fatto la Corte d’appello propone un’interpretazione applicabile anche alle società soggette unicamente al Codice civile.
Tutto inizia nel 2014, quando la Consob sanziona con propria delibera la condotta del collegio sindacale, che avrebbe omesso di vigilare sulla osservanza della legge e dello statuto, per aver trascurato di verificare che l’adeguamento del proprio compenso fosse correttamente deliberato dall’assemblea. Nel concreto il collegio sindacale aveva beneficiato di un incremento del compenso sulla base di un (contestato) riferimento alle tariffe professionali contenuto nella originaria delibera assembleare, che secondo la Consob non rispettava l’articolo 2402 del Codice civile. La Corte d’appello di Milano inizialmente accoglie le eccezioni procedurali dei sindaci. Ricorre la Consob e la Cassazione rinvia (sentenza 9254/18) l’esame alla Corte d’appello, che sposa nel merito le tesi di Consob: proprio per salvaguardare la sua indipendenza e terzietà il collegio sindacale avrebbe dovuto pretendere che l’assemblea assumesse una specifica delibera di rideterminazione del compenso.
Dalla lettura della sentenza non si desume l’inadeguatezza in senso assoluto del riferimento alle tariffe professionali, cosicché la delibera ben avrebbe potuto ancorarvi la determinazione dei compensi, a patto però che vi trovassero adeguato dettaglio le modalità di calcolo, anche per successivi adeguamenti.
Secondo la Corte d’appello non rileva il fatto che l’assemblea o l’organo amministrativo abbiano indirettamente preso atto dell’aumento, approvando documenti inclusivi a vario titolo del riferimento al maggior compenso, come la relazione sulla remunerazione: sarebbe servita invece una precisa, puntuale ed esplicita presa di posizione, che lo stesso collegio sindacale avrebbe dovuto pretendere.
Viceversa, il collegio sindacale che in presenza di elementi di incertezza sui contenuti o sulla concreta applicazione della delibera, provveda autonomamente ad adeguare i propri compensi, non può dedurre dal comportamento inerte o ricettivo della società l’adempimento dell’articolo 2402 del Codice civile.
La condotta dei sindaci, per non essere contraddistinta da colpa, deve quindi prevedere il ricorso a tutti i poteri che la legge riconosce loro, tra cui la richiesta di chiarimenti all’organo amministrativo o di inclusione nell’ordine del giorno dell’assemblea della precisazione della misura del proprio compenso. In difetto, la determinazione autonoma costituisce violazione colposa dell’obbligo di vigilanza sull’osservanza delle legge e dello statuto, suscettibile di generare in capo ai sindaci la responsabilità corrispondente al danno causato, specie in condizione di crisi aziendale e conseguente accesso ad uno degli strumenti di relativa soluzione.

 

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Il leasing dell’imbarcazione da diporto non è abuso del diritto

8 Maggio 2019

Il Sole 24 Ore 16 Aprile 2019 – Quotidiano del Fisco – di Giacomo Albano

Non c’è abuso del diritto nella scelta di acquisire un’imbarcazione da diporto attraverso un contratto di leasing nautico in luogo della compravendita, anche quando alcuni parametri contrattuali (maxicanone, durata, riscatto) appaiono atipici rispetto ad altri comparti del leasing.

Il principio – già rinvenibile in numerose sentenze di merito – è stato accolto dalla quinta sezione della Cassazione che, con la sentenza 9591/2019 dello scorso 5 aprile, ha respinto il ricorso dell’Avvocatura dello Stato, confermando la sentenza della Ctr Veneto. Si tratta della prima pronuncia della Suprema Corte sull’applicazione dell’abuso del diritto nel leasing nautico, che interviene su un contenzioso che va avanti da circa 10 anni e che ha finora visto l’amministrazione finanziaria quasi sempre soccombente nei giudizi di merito.
Il contenzioso sull’abuso del diritto nel leasing nautico trae origine da una verifica generalizzata operata dalle Direzioni Regionali nel 2008 sulle operazioni di leasing su imbarcazioni da diporto. Ad esito della verifica, le Entrate hanno proceduto alla riqualificazione di tutti quei contratti di leasing nautico le cui previsioni contrattuali presentassero degli “indicatori di anomalia” tali da far presupporre un intento elusivo e, quindi, legittimare la riqualificazione del leasing, ai fini tributari, in una compravendita.

Gli indicatori di anomalia erano identificabili in:
•maxicanone troppo elevato,
•durata contrattuale eccessivamente breve,
•prezzo di riscatto estremamente ridotto,
•presenza di garanzie tali da annullare o ridurre eccessivamente il rischio creditizio.

A giudizio delle Entrate, la presenza di tali parametri contrattuali portava a ritenere che le parti avessero “mascherato” secondo lo schema del leasing una cessione di bene, qualificata come locazione finanziaria unicamente in base alla convenienza fiscale legata al meccanismo dell’Iva forfettaria; questa prevedeva (e tuttora prevede) per le operazioni di leasing nautico l’assoggettamento ad Iva solo in proporzione all’utilizzo della barca nelle acque comunitarie. Tenuto conto della difficoltà a seguire gli spostamenti delle imbarcazioni, le stesse Entrate avevano stabilito delle percentuali presuntive di utilizzo al di fuori della Ue basate sul principio per cui più è lunga l’imbarcazione, maggiore è l’utilizzo presunto della stessa al di fuori dei mari europei e minore è l’Iva dovuta (meccanismo, peraltro, oggi oggetto di una procedura di infrazione Ue).

 

 

 

 

In tale contesto, si innesta anche la sentenza qui in commento. I giudici della Ctr avevano riconosciuto che la presenza di un maxicanone elevato, di una durata ridotta e di un prezzo di riscatto esiguo non configurano comportamenti abusivi, ma sono giustificabili nel leasing nautico, anche in virtù delle esigenze delle società di leasing di limitare il rischio creditizio.
Le motivazioni dei giudici regionali sono state ritenute esaustive dalla Suprema corte, che ha altresì ritenuto inammissibile l’altro motivo del ricorso, ovvero la richiesta di interpretare il negozio giuridico quale compravendita dell’imbarcazione anziché leasing nautico.

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