Tassazione come valute estere tutta in salita per bitcoin e token

6 Marzo 2021

Il Sole 24 Ore 22 febbraio 2021 di Dario Deotto

DICHIARAZIONI

La tesi del Fisco contrasta con le norme antiriciclaggio ed è di difficile attuazione

Il richiamo alla norma «di chiusura» impedisce di far valere le minusvalenze

La forte accelerazione che, negli ultimi tempi, hanno avuto le criptovalute e determinati token impone di ritornare sulle questioni giuridiche e fiscali che li riguardano. Anche se il problema dell’inquadramento giuridico e tributario si pone per molti altri fenomeni della digitalizzazione dell’economia, che ormai prescindono da un luogo fisico (sono cioè a-territoriali). Così che si ritiene che la dimensione “spaziale”, più che territoriale, di molti fenomeni digitali potrà essere regolata soltanto con regole uniformi in seguito ad un accordo globale tra Stati.

Uno di questi fenomeni a-territoriali è proprio quello delle criptovalute, per le quali non esiste un preciso inquadramento giuridico.

La nozione antiriciclaggio

Il legislatore italiano ha regolato il fenomeno esclusivamente ai fini della disciplina antiriciclaggio definendo le valute virtuali «la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente» (articolo 1, comma 2, lettera qq), del Dlgs 231/2007).

Si tratta di una definizione che, a nostro avviso, coglie nel segno in quanto, in primo luogo, riconosce la rilevanza delle criptovalute come mezzo di scambio e non di pagamento. Il “mezzo di scambio” non ha una dimensione temporale: è l’utilizzo che se ne fa “ora e adesso”. La funzione di mezzo di pagamento consente invece di estinguere il debito che è stato contratto.

Inoltre, la disciplina del Dlgs 231/2007 individua – correttamente – la “funzione multiforme” delle criptovalute: quest’ultime possono risultare sia mezzo di scambio che strumento d’investimento, così come viene stabilito – sempre giustamente – che le criptovalute non risultano necessariamente collegate a una valuta avente corso legale.

Il corretto inquadramento della disciplina antiriciclaggio stride tuttavia con la rilevanza tributaria che, in alcuni documenti di prassi, è stata attribuita dall’agenzia delle Entrate (risoluzione 72/E/2016 e interpello 956-39/2018). Quest’ultima, infatti, ha assimilato le criptovalute alle valute estere. Occorre rilevare che una valuta si può considerare tale quando ha un legame con un territorio. Le criptovalute non hanno, evidentemente, questo legame.

Così è senz’altro da disconoscere la connotazione delle criptovalute come valute estere che porterebbe ad applicare, per le persone fisiche “private” – sempre secondo l’Agenzia – la specifica disciplina prevista dagli articoli 67 e 68 del Tuir.

La tassazione secondo il Fisco

L’articolo 67, comma 1, lettera c-ter) del Tuir, in particolare, ritiene espressivo di un’attività di investimento, come presunzione assoluta di legge, anche il (semplice) prelievo delle valute estere da depositi e conti correnti.

Tale previsione viene in parte attenuata dal successivo comma 1-ter) dell’articolo 67, con il quale viene stabilito che le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere derivanti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che, nel periodo d’imposta in cui esse sono realizzate, la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente presso gli intermediari, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui.

Tale previsione non può, evidentemente, essere applicata a un fenomeno “vivace” e multiforme come le criptovalute. I sette giorni lavorativi continui risultano, ad esempio, un concetto che mal si concilia con il “cryptomondo”, così come il riferimento al cambio al 1° gennaio del periodo di riferimento e ai «depositi e conti correnti» dimostrano tutta l’inadeguatezza dell’accostamento delle criptovalute (molte nascono in corso d’anno e, comunque, il “cambio” tra inizio d’anno e qualche mese dopo può mutare notevolmente) alle valute estere.

Il prelievo come redditi diversi

Con la conseguenza che il trattamento di eventuali plusvalenze derivanti da un loro impiego come strumento di investimento, escludendosi l’assimilazione alle valute estere, deve essere ricercato nelle altre disposizioni dell’articolo 67 del Tuir. La soluzione più plausibile, a nostro avviso, è che eventuali plusvalenze debbano essere assoggettate a tassazione come redditi diversi ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-quinquies), dello stesso Tuir, posta la funzione di “chiusura” di tale disposizione. Anche se questa conclusione non piace a molti perché comporta l’irrilevanza di eventuali minusvalenze.

È chiaro che sarebbe meglio che il diritto positivo si stancasse di rincorrere questi fenomeni, e li disciplinasse in modo organico e ragionevole

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Sotto torchio amministratori e organi di controllo

6 Marzo 2021

Il Sole 24 Ore 24 febbraio 2021 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

GLI OBBLIGHI

La proprietà diretta con una partecipazione di oltre il 25%

L’approvazione del decreto sulla titolarità effettiva di imprese dotate di personalità giuridica, di persone giuridiche private, di trust per finalità antiriciclaggio e la connessa istituzione di un’apposita sezione del Registro delle imprese comporterà nuovi obblighi degli amministratori e dell’organo di controllo eventualmente presente in questi enti.

Le imprese con personalità giuridica e le persone giuridiche private devono acquisire per un periodo non inferiore a 5 anni informazioni sulla propria titolarità effettiva e le forniscono ai soggetti obbligati agli adempimenti antiriciclaggio (intermediari finanziari, professionisti ecc.) in occasione dell’adeguata verifica della clientela.

Nel caso di società costituisce indicazione di proprietà:

  1. a)diretta: la titolarità di una partecipazione superiore al 25% del capitale del cliente, detenuta da una persona fisica;
  2. b)indiretta: la titolarità di una percentuale di partecipazioni superiore al 25% del capitale del cliente, posseduto per il tramite di società controllate, fiduciarie o per interposta persona.

Se dall’assetto proprietario non è possibile individuare univocamente la persona fisica cui attribuibire la proprietà diretta o indiretta dell’ente, il titolare effettivo coincide con la persona fisica cui, in ultima istanza, è attribuibile il controllo del medesimo in forza:

  1. a)del controllo della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria;
  2. b)del controllo di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante in assemblea ordinaria;
  3. c)dell’esistenza di particolari vincoli contrattuali che consentano di esercitare un’influenza dominante.

Nel caso invece di persona giuridica privata rilevano:

  1. a)i fondatori, ove in vita;
  2. b)i beneficiari, quando individuati o facilmente individuabili;
  3. c)i titolari di funzioni di direzione e amministrazione.

Qualora l’applicazione dei citati criteri non consenta l’univoca individuazione di uno o più titolari effettivi, il titolare effettivo coincide con i titolari di poteri di amministrazione o direzione della società. L’individuazione del beneficiario compete agli amministratori. Questi, in prima battuta, acquisiscono le informazioni sulla base delle scritture contabili e dei bilanci, dal libro dei soci, dalle comunicazioni relative all’assetto proprietario o al controllo dell’ente, nonché dalle comunicazioni ricevute dai soci e da ogni altro dato a loro disposizione. Se dovessero permanere dubbi sulla titolarità effettiva, gli amministratori devono richiedere specifici chiarimenti ai soci.

Analoghi adempimenti incombono:

sui fondatori se in vita o su chi ha rappresentanza e amministrazione delle persone giuridiche private;

sul fiduciario di trust e istituti giuridici affini tenuti all’iscrizione nella sezione speciale, delle informazioni sulla titolarità effettiva del trust o dell’istituto giuridico affine, e sulle relative variazioni.

L’inerzia o il rifiuto del socio ovvero l’indicazione di informazioni palesemente fraudolente rendono inesercitabile il relativo diritto di voto e comportano l’impugnabilità delle deliberazioni assunte con il loro voto determinante.

A questo punto, stante le potenziali conseguenze dannose che potrebbero derivare in presenza di inerzia o rifiuto di fornire informazioni o di dichiarazioni mendaci da parte del socio, quali l’impossibilità di esercitare il diritto di voto, l’impugnabilità delle deliberazioni ecc. appaiono evidenti le responsabilità anche dell’organo di controllo della società.

Per tali ragioni, l’organo di controllo dovrà svolgere un’attenta vigilanza sia sugli adempimenti da porre in essere da parte degli amministratori, sia su eventuali condotte omissive del socio a seguito delle richieste degli amministratori stessi.

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Decreto Delegato 27 gennaio 2021 nr 7 – Disposizioni transitorie per la presentazione del bilancio degli operatori economici

9 Febbraio 2021

Si allega il testo completo del  Decreto Delegato 27 gennaio 2021 nr 7 nel quale vengono stabilite alcune norme transitorie per l’anno 2021 relativamente alla presentazione dei bilanci.

La nota integrativa può essere ancora redatta  in formato PDF o PDF/A.

Le persone giuridiche diverse dalle società sono esentate dalla redazione del bilancio in formato elettronico XBRL  anche per  il bilancio 2020. 

DD 7-2021

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Decreto Legge 26 gennaio 2021 nr 6 – Interventi straordinari in ambito economico a supporto dell’emergenza economica causata da COVID-19

9 Febbraio 2021

Si allega il testo completo del Decreto Legge 26 gennaio 2021 nr 6 a ratifica del precedente D.L. 31/12/2020 nr 224 già illustrato nella precedente newsletter. Si  ricordano nuovamente i punti salienti:

DL 6-2021

  • CIG 2021(Capo I): contiene la nuova disciplina della Cassa Integrazione Guadagni  in vigore dal  1 febbraio 2021
  • OPERATORI IN STATO DI CRISI (Capo II): introduce alcuni interventi speciali per l’anno 2021 rivolti ad operatori in stato di crisi presentando una apposita istanza entro il 20 gennaio 2021: :
  • L’articolo 13 prolunga al 30 giugno 2021 l’attuale sospensione delle procedure per l’assunzione nominativa di personale non iscritto alle liste di avviamento al lavoro, con esclusione nei riguardi di amministratori e soci di società, personale stagionale già assunto in anni precedenti, eventuale distacco e/o trasferimento di dipendenti all’interno di società del gruppo.
  • L’articolo 14 consente ai lavoratori autonomi, che avevano nel 2019 un reddito pari o inferiore al reddito minimoe che nel 2020 hanno subito una contrazione del fatturato al 31 dicembre 2020 pari o superiore al 60% rispetto la media degli esercizi 2018 e 2019, un’abbattimento del 60% del reddito minimo per il 2021.
  • L’articolo 15 prevede una norma speciale per l’assunzione di CO.PRO: gli operatori economici che nel corso del 2020 abbiano avviato i licenziamenti collettivi, o che lo faranno nel 2021, potranno procedere all’avvio di nuovi CO.CO.PRO oppure il rinnovo degli esistenti previa autorizzazione dalla Commissione per il Lavoro.

 

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Decreto-Legge 29 gennaio 2021 nr 15 – Proroga e modifica delle disposizioni per il contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19

9 Febbraio 2021

Si allega testo completo del Decreto Legge 29 gennaio 2021 nr 15 evidenziando i punti di seguito elencati:

DL 15-2021+All

Le misure restrittive (art. 1)  già in vigore precedentemente continuano ad essere applicate fino alle ore 23:59 del 12 febbraio p.v. (chiusura alle 18 di bar e ristoranti, coprifuoco alle ore 22, ecc).

– Benefici art. 73 L. n.166/2013 e DD n. 72/2018 (artt. 2 e 3)

Le società di capitali che hanno richiesto l’accesso ai benefici di cui all’articolo 73 della L. n.166/2013 ma che non  hanno soddisfatto o mantenuto i requisiti occupazionali nel 2021, conservano i benefici a condizione che provvedano a soddisfare tali vincoli entro il 31 dicembre 2021. Inoltre, fino al 31 dicembre 2021 il mancato soddisfacimento del requisito occupazionale non non comporta la decadenza dei benefici acquisiti in relazione al credito agevolato concesso all’impresa.

 Ingresso a San Marino (art. 4)

L’ingresso in Repubblica, per coloro che provengano da paesi diversi da Italia e Città del Vaticano, o che abbiano soggiornato al di fuori di questi due paesi nei 14 giorni precedenti, è consentito a fronte della presentazione:
a) di apposito certificato di avvenuta vaccinazione anti-SARS-CoV-2;
b) di apposito certificato che attesti la negatività al coronavirus.

I cittadini, i residenti e i soggiornanti in territorio che tornano da tali Paesi hanno l’obbligo di contattare prima del loro rientro il Centro Unico Prenotazioni dell’ISS, al fine di sottoporsi a tampone molecolare o antigenico entro le 48 ore.

– CIG ed assunzioni (art. 5)

Fino al 31 dicembre 2021, in deroga al comma 2 lettera c) dell’articolo 16 della Legge 29 settembre 2005 n.131, è consentito il contratto di lavoro a tempo determinato anche qualora l’operatore economico, nel mese precedente l’assunzione, abbia fatto ricorso alla CIG, ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 6 del Decreto – Legge 26 gennaio 2021 n.6.

– Attività sportiva (art. 6)

È consentita, nelle strutture pubbliche, ai minori di 14 anni la pratica di attività sportiva extrascolastica svolta sia all’aperto, sia in strutture al chiuso, ad esclusione degli sport di contatto. Gli impianti sportivi al chiuso e all’aperto, le piscine, le palestre e le scuole di danza e similari hanno l’obbligo di chiusura entro le ore 21:30.

– Astensione anticipata (art.7)

L’astensione anticipata dal lavoro per le lavoratrici gestanti  non può protrarsi oltre l’ottavo mese di gravidanza.

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Circolare Ufficio Tributario del 26 gennaio 2021 -Disposizioni applicative per la rideterminazione dei valori di acquisto di partecipazioni e strumenti finanziari.

9 Febbraio 2021

Si allega Circolare dell’Ufficio Tributario del 26 gennaio 2021 contenente le disposizioni applicative per la rideterminazione dei valori di acquisto di partecipazioni e strumenti finanziari. Nel caso si effettui la rivalutazione si ricorda che entro il 30/04/2021 scade il termine per il pagamento dell’imposta sostitutiva del 2%.

Lettera Circolare_art_75_L 223-2020

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Accertamento da transfer pricing fondato sul divario dal valore normale

9 Febbraio 2021

Il Sole 24 Ore 13 gennaio 2021 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

CASSAZIONE

Non bastano per la rettifica l’antieconomicità o il risparmio d’imposta

Il contribuente è poi tenuto a dimostrare la normalità delle condizioni concordate

Nel trasfer pricing l’antieconomicità o il risparmio di imposta non sono elementi sufficienti per fondare l’accertamento: occorre infatti che l’ufficio provi lo scostamento del prezzo rispetto al valore normale.

Il contribuente è poi tenuto a dimostrare la “normalità” delle condizioni economiche concordate.

Ad affermarlo è la Corte di cassazione con l’ordinanza 230/2021 depositata ieri 12 gennaio.

La vicenda trae origine dalla contestazione dell’Agenzia di alcuni costi di marketing, partecipazione a fiere estere, promozione aziendale e pubblicità sostenuti e dedotti da una società controllante anche nell’interesse delle partecipate estere.

L’Agenzia, contestando la violazione dei prezzi di trasferimento, recuperava tali costi nel presupposto che fossero privi di una valida giustificazione economica e avessero in concreto consentito un cospicuo risparmio di imposta.

Infatti, poiché anche le società estere avevano beneficiato dei servizi acquistati dalla controllante nazionale, avrebbero dovuto partecipare al relativo costo.

La società impugnava il provvedimento ed entrambi i giudizi di merito confermavano l’illegittimità della pretesa.

L’ufficio ricorreva così in Cassazione lamentando, sul punto, un’errata applicazione della norma.

I giudici di legittimità hanno innanzitutto ricordato che la contestazione del transfer pricing introduce una presunzione secondo la quale i componenti di reddito con società estere controllate da un ente residente sono valutati in base al valore normale.

La definizione di valore normale (articolo 9 del Tuir) va individuata nel prezzo praticato per analoghi beni o servizi, in regime di libera concorrenza e nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti.

In proposito, la Cassazione ha precisato che in caso di operazioni infragruppo, l’Ufficio deve provare l’esistenza dell’operazione stessa, della pattuizione di un corrispettivo inferiore e lo scostamento di tale valore rispetto ai normali prezzi di mercato.

In tale contesto, non è necessario che l’Amministrazione finanziaria fornisca la prova che l’operazione sia priva di una valida giustificazione o abbia comportato un risparmio di imposta. Si tratta, infatti, di presupposti della diversa fattispecie dell’abuso del diritto.

La Suprema corte ha così concluso che in mancanza della prova a carico dell’ufficio dello scostamento del prezzo rispetto alla “normalità” non ci sono i presupposti per la contestazione di trasfer pricing.

La decisione è interessante poiché riguarda una situazione che si verifica di frequente.

Di prassi gli uffici contestano i prezzi infragruppo (in realtà anche relativi a società interamente nazionali) nell’unico presupposto che si tratti di operazioni asseritamente antieconomiche ovvero alla presunta esistenza di un risparmio indebito di imposte.

Secondo il principio affermato dalla Cassazione, il provvedimento così motivato è illegittimo poiché ai fini della sua validità, l’ufficio deve provare lo scostamento del prezzo applicato dalla contribuente rispetto al valore normale.

Esemplificando, è verosimile ritenere che una prova in tal senso potrebbe essere l’indicazione nel provvedimento dei prezzi di analoghi prodotti/servizi desunti da listini prezzo, ricerche sul web, eccetera.

Dinanzi a tali prove, il contribuente è poi tenuto a dimostrare che il corrispettivo convenuto corrisponda ai normali valori economici attribuiti dal mercato. Ove invece, manchi il corrispettivo specifico, occorre dimostrare che i servizi/beni di cui le società estere hanno usufruito è stato remunerato attraverso altri accordi (ad es. maggiorazione del prezzo del bene finito.

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Chi posta sui social commenti offensivi rischia la diffamazione aggravata

9 Febbraio 2021

Il Sole 24 Ore lunedì 11 gennaio 2021 – Giustizia e Sentenze

DIRITTO E WEB

Carcere fino a tre anni o multa: il punto sui confini della rilevanza penale

Si configura anche il reato di sostituzione di persona se si usa un falso profilo

Attenzione a lasciarsi coinvolgere in battibecchi sui social perché lanciare in rete post offensivi può costare una condanna per diffamazione aggravata dall’uso del mezzo di pubblicità.

Il reato è quello previsto dall’articolo 595, comma 3, del Codice penale che punisce (con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa minima di 516 euro) chi offenda l’altrui reputazione comunicando con un mezzo di pubblicità. Per i giudici, infatti, anche un messaggio postato a un gruppo limitato di amici ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone.

Così, uno sfogo rischia di sconfinare in crimine se – per tenore letterale o contenuto – sfori i limiti del rispetto delle persone coinvolte.

A stabilire i confini tra commenti solo inopportuni e le fattispecie di reato è la giurisprudenza.

Le pronunce

Scatta la diffamazione aggravata, ad esempio, per chi con un post visibile a tutti i suoi contatti offenda l’ex accusandolo di non contribuire al mantenimento dei figli (Tribunale di Torino, 299/2020).

Stessa sorte per la moglie separata che in bacheca, considerata luogo aperto al pubblico poiché fruibile dagli iscritti al social, insulti il marito qualificandolo come «un miserabile» bisognoso di cure psichiatriche (Corte d’appello di Cagliari, 257/2020) o per chi, nella spasmodica ricerca di «giustizia nel placet di un esercito virtuale di utenti», denigri una professoressa sul piano familiare, privato e lavorativo (Tribunale di Ascoli Piceno, 90/2020).

Condannato anche chi – riferendosi alla vicenda di un operaio di uno stabilimento siderurgico tragicamente morto sul lavoro – pubblichi sul suo profilo pesanti offese a un sindacalista definendolo «viscido e senza spina dorsale» (Tribunale di Taranto, 123/2020).

Diffamatorio, inoltre, il commento che marchi un giornalista come uno «pseudo giornalaio (…) pagato per blaterare» per infangarne la reputazione e offuscarne il patrimonio intellettuale, politico, religioso, sociale e ideologico (Tribunale di Campobasso, 43/2020).

Il reato si configura se le espressioni adoperate sono tali da gettare una luce oggettivamente negativa sulla vittima. Sfuggirà a responsabilità penale, pertanto, chi – interagendo sulla piattaforma di Youtube – auguri a un dottore che aveva rilasciato un’intervista critica sull’omosessualità che le figlie siano lesbiche e sposino dei gay, eventualità che nella realtà non riveste un connotato spregievole (Cassazione, 17944/2020).

Del resto, il bene protetto è l’onore “sociale”, ossia la reputazione di qualcuno in un certo gruppo e in un particolare contesto storico.

Prova e risarcimento

Per inchiodare il colpevole di un post offensivo e dimostrarne la paternità, puntualizza la Corte di Cassazione con sentenza 9105/2020, è superfluo ricorrere alla macchinosa procedura della rogatoria internazionale nella sede americana di Facebook se l’imputato non solo ha firmato e diffuso lo scritto su siti di libero accesso ma – diffidato dalla persona offesa – ha provveduto a rimuoverlo.

La persona diffamata può quindi costituirsi parte civile nel processo penale o rivolgersi direttamente al giudice civile per ottenere il risarcimento del danno morale da calcolare in via equitativa (Tribunale di Vicenza, 1673/2020).

Falso profilo

Una fattispecie diversa si configura se si “ruba” l’immagine di una persona per creare una falsa identità digitale associata a un nickname di fantasia e da lì si fanno partire delle offese. È infatti configurabile il reato di sostituzione di persona, insieme con la diffamazione aggravata a mezzo stampa qualora con l’acquisizione degli screenshot si appuri che le offese siano state divulgate con post visibili agli “amici” del profilo e non con l’invio di messaggi in privato (Cassazione, 22049/2020).

Per scovare l’autore dei contenuti infamanti occorre individuare con gli indirizzi IP (Internet Protocol address) il numero del datagramma che identifica univocamente un dispositivo (host).

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Dichiarazione fraudolenta anche senza avere benefici

9 Febbraio 2021

Il Sole 24 Ore 21 gennaio 2021 di Antonio Iorio

CASSAZIONE

Coinvolto il responsabile amministrativo con delega a firmare le dichiarazioni

Anche il responsabile amministrativo della società risponde del reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di false fatture se ha la delega alla sottoscrizione delle dichiarazioni. A nulla rileva che non sia socio dell’impresa e che quindi non abbia tratto beneficio diretto dall’evasione in quanto il suo coinvolgimento può essere provato anche sotto altri profili. A fornire questa rigorosa interpretazione è la Corte di Cassazione con la sentenza 2270 depositata ieri.

Nei confronti del direttore amministrativo di una società che aveva sottoscritto la dichiarazione dell’impresa veniva effettuato un sequestro preventivo in considerazione di un ipotizzato reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di false fatture. La misura cautelare veniva confermata dal competente tribunale del riesame. L’interessato ricorreva per cassazione, evidenziando, in estrema sintesi, che era direttore amministrativo, anche se dotato di poteri di firma delle dichiarazioni fiscali. In sostanza era un semplice dipendente della società, senza poteri di rappresentanza che non aveva tratto alcun beneficio dalla violazione contestata.

In ogni caso non vi era prova che avesse presentato le dichiarazioni fiscali oggetto di contestazione: nella società si erano avvicendati vari amministratori che avrebbero potuto procedere a tale adempimento. Infine veniva rilevato che si era anche insinuato nel fallimento della società per retribuzioni non ricevute

La Corte di cassazione ha respinto il ricorso confermando la misura cautelare.

Secondo i giudici di legittimità l’interessato non aveva considerato che il tribunale del riesame aveva in realtà valutato anche altre circostanze.

Innanzitutto egli in ambito societario impartiva le direttive ai fini della registrazione e del pagamento delle fatture, inoltre era presente ad incontri nei quali uno dei partecipanti ammetteva che i lavori pagati non corrispondevano a quelli eseguiti e veniva indicato da un testimone quale responsabile della falsità in sede di approvazione dei bilanci

La cassazione ha così ritenuto irrilevante la circostanza lamentata dall’interessato che non vi fosse prova dell’apposizione della firma dell’indagato sulle dichiarazioni fiscali in quanto non presenti in atti

La pronuncia della Suprema corte, che evidentemente attiene una misura cautelare e quindi non è un’affermazione della colpevolezza dell’indagato, tuttavia deve far riflettere sulla circostanza, spesso non ben ponderata, che in prima battuta nei reati dichiarativi la responsabilità dell’illecito penale ricade su colui che ha sottoscritto la dichiarazione.

Nella specie dalla lettura della sentenza sembra emergere che l’interessato avesse effettivamente la delega per tale atto ancorché poi si sia difeso rilevando che l’accusa non avesse allegato tali dichiarazioni ponendo così in dubbio verosimilmente anche la stessa sottoscrizione.

Secondo l’orientamento della Suprema corte colui che sottoscrive la dichiarazione è in prima battuta il responsabile del reato, in quanto si presume la consapevolezza di quanto dichiarato, tanto più se da altri elementi (dichiarazioni testimoniali di terzi e sua partecipazione a riunioni) era confermata la sua consapevolezza.

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Utili esteri, per il Fisco vale l’anno di maturazione

9 Febbraio 2021

Il Sole 24 Ore 13 gennaio 2021 di Alessandro Germani

PAESI WHITE LIST

Dal 2018 i dividendi ordinari sono tassati a titolo d’imposta al 26%

Alessandro Germani

In caso di utili distribuiti da una società estera, occorre verificare se nel periodo di formazione dell’utile la stessa si qualifichi residente in uno Stato a fiscalità ordinaria o meno, secondo le regole vigenti nelle rispettive annualità di imposta.

La società, residente in Svizzera, ha versato le imposte sui redditi, sia a livello federale che a livello cantonale e comunale, nella misura ordinaria, senza beneficiare di alcun regime speciale.

A seguito di una scissione a favore di una società Alfa il socio persona fisica riceve degli utili, prodotti fra il 2012 e il 2019 e vuole conoscerne la tassazione, ovvero se debbono intendersi provenienti da paesi a fiscalità privilegiata o a tassazione ordinaria.

Per gli utili di fonte estera, l’articolo 47 del Tuir stabilisce un regime fiscale differente a seconda che la società emittente sia residente in un paese a fiscalità privilegiata oppure ordinaria. Nel primo caso l’utile concorre integralmente alla formazione del reddito imponibile del socio residente, a meno che non sia stato già imputato al socio per trasparenza concorrendo a formare il reddito.

La ritenuta alla fonte sarà a titolo d’acconto (salvo per la partecipazione quotata) e verrà poi indicata dal contribuente nel quadro RL del Modello Redditi PF. Gli utili derivanti da paesi a fiscalità ordinaria fino al 2017 erano assoggettati parzialmente a tassazione, mentre dal 2018 sia per le partecipazioni qualificate sia per le non qualificate è prevista la tassazione a titolo d’imposta con aliquota del 26per cento.

Ciò vale anche per gli utili di fonte estera derivanti da soggetti residenti in Paesi che non sono considerati a regime fiscale privilegiato. Per tali utili occorre individuare dunque la provenienza, considerato che la norma sui paesi a fiscalità privilegiata si è modificata più volte (attualmente articolo 47-bis comma 1 del Tuir a seguito del recepimento della direttiva Atad). In più la legge di bilancio 2018 ha stabilito che non si considerano provenienti da un paradiso fiscale i dividendi distribuiti da una società a fiscalità privilegiata che corrispondono a utili “formati” in annualità in cui la società estera era considerata a fiscalità ordinaria, secondo le regole vigenti nel medesimo periodo di “formazione” dell’utile. Il contribuente dovrà dunque verificare se nel periodo di “formazione” dell’utile, ovvero dal 2012 al 2019, la società si qualifica residente in uno Stato a fiscalità ordinaria secondo le regole vigenti nelle rispettive annualità di imposta, nel quale caso gli utili sono assoggettati a ritenuta d’imposta. Ad esempio, per il triennio 2016-2018 si deve verificare che il livello nominale di tassazione della Svizzera non fosse inferiore al 50% di quello italiano. Idem per il 2019 va effettuato lo stesso check sulle aliquote nominali, unitamente alla verifica del requisito del controllo (articolo 2359 del Codice civile), a in base all’articolo 167 comma 2 del Tuir. Per tutti e sette gli anni la Svizzera non è a fiscalità privilegiata.

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