Con la Dac 7 obbligo di informazioni esteso alle piattaforme online e royalties

9 Novembre 2020

Il Sole 24 Ore lunedì 26 ottobre 2020

SCAMBI AUTOMATICI

La Ue prepara la nuova direttiva per una tassazione equa e semplice pro-ripresa

Proseguono le iniziative per promuovere la cooperazione e la trasparenza fiscale all’interno dell’Unione europea. Anche se in molti Paesi, Italia compresa, non sono ancora scattati gli obblighi previsti dalla Dac 6, l’Ue sta già lavorando alla Dac 7. Lo scorso 15 luglio la Commissione europea ha infatti proposto nuove modifiche alla direttiva sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale 2011/16/Ue, promuovendo l’adozione di un pacchetto di riforme per una tassazione equa e semplice a sostegno della ripresa dell’Ue. La Dac 7 rappresenta una parte di un’ampia e ambiziosa agenda fiscale dell’Ue per i prossimi anni. Le principali proposte di modifica alla direttiva sono le seguenti.

Piattaforme digitali

Una delle modifiche più importanti proposte dalla Dac 7 prevede l’estensione dell’obbligo di scambio automatico di informazioni agli operatori delle piattaforme digitali residenti, localizzati o costituiti secondo le leggi dell’Ue. Le norme si applicheranno anche alle piattaforme non comunitarie che facilitano vendite effettuate da soggetti Ue o locazioni di immobili ivi localizzati.

L’emendamento proposto impone ai gestori delle piattaforme digitali l’obbligo di comunicare alle amministrazioni fiscali di ciascuno Stato membro il reddito percepito dai rispettivi utenti. Le attività commerciali (“attività pertinenti”) coperte dagli obblighi di comunicazione sono l’affitto di beni immobili, i servizi personali, la vendita di beni, l’affitto di qualsiasi mezzo di trasporto, gli investimenti e i prestiti nell’ambito del crowdfunding.

La definizione di piattaforma è molto ampia in quanto comprende qualsiasi software, compresi i siti web accessibili agli utenti che consentono ai venditori di essere collegati con altri utenti allo scopo di svolgere le attività pertinenti. Sono esclusi i software che consentono esclusivamente pagamenti, catalogazione o la pubblicità di attività pertinenti e la possibilità di reindirizzare o trasferire utenti verso una piattaforma.

Verifiche fiscali

I controlli multilaterali tra Stati avranno una sempre maggiore importanza per evitare la doppia tassazione sui temi di fiscalità internazionale, quali ad esempio i prezzi di trasferimento. In Italia l’articolo 31-bis del Dpr 600/73 prevede la possibilità di controlli simultanei dell’amministrazione finanziaria con altri stati membri, ciascuno nel proprio territorio al fine di scambiare informazioni, e disciplina la presenza nelle indagini di funzionari stranieri in base alla direttiva 2011/16/Ue. Vi sono poi accordi specifici con altre amministrazioni: convenzioni contro le doppie imposizioni, «Tax Exchange Information Agreement» e l’accordo con l’amministrazione bavarese per le verifiche congiunte.

La Dac 7 propone di rafforzare i meccanismi esistenti al fine di garantirne l’effettiva applicazione, prevedendo che le risposte alle richieste della presenza di funzionari o di svolgimenti di controlli simultanei vengano fornite in 30 giorni.

Viene inoltre inserito un nuovo articolo (n.12 bis) sui controlli congiunti su attività transfrontaliere, ovvero indagini amministrative condotte congiuntamente dalle autorità competenti di due o più Stati membri, per esaminare casi legati a una o più persone di interesse comune. È previsto che le autorità debbano concordare sui fatti e sulle circostanze del caso ed adoperarsi per raggiungere una posizione fiscale condivisa. Non sembra tuttavia esservi un obbligo di accordo, il che potrebbe essere fonte di notevole incertezza per i contribuenti. Le conclusioni della verifica sono inserite in una relazione finale che ha un valore giuridico equivalente a quello degli strumenti nazionali (es. Pvc in Italia).

Scambio di informazioni

Viene inserita la possibilità per le amministrazioni di fare richieste collettive di informazioni in base ad un insieme comune di caratteristiche dei soggetti per cui è fatta la richiesta. Per garantire l’efficacia dello scambio di informazioni ed evitare ingiustificati rifiuti è previsto che l’autorità richiedente fornisca le motivazioni ed il fine fiscale per cui le informazioni sono richieste (cosiddetta “prevedibile pertinenza”). La prevedibile pertinenza non si applica nei casi in cui la richiesta sia inviata in seguito allo scambio di informazioni su ruling transfrontalieri o accordi preventivi sui prezzi di trasferimento, Apa (già disciplinati dalla direttiva).

Royalties

La proposta prevede di aggiungere le royalties tra le categorie di reddito di cui all’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva, che sono soggette a scambio automatico obbligatorio di informazioni tra gli Stati membri. Viene in tal modo ribadita l’importanza di attenzionare i redditi derivanti dallo sfruttamento della proprietà intellettuale, in quanto facilmente si prestano ad accordi per il trasferimento degli utili da una giurisdizione ad un’altra per via della elevata mobilità delle attività sottostanti.

Qualora la proposta venisse approvata l’entrata in vigore delle disposizioni sarebbe il 1 gennaio 2022.

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Antieconomicità valutata sull’intera operazione

12 Ottobre 2020

Il Sole 24 Ore 1 ottobre 2020 di Antonio Iorio

CASSAZIONE

Ai fini dell’indeducibilità non conta neppure il compimento effettivo

La valutazione di antieconomicità relativa ad un costo ritenuto indeducibile dall’amministrazione finanziaria in quanto esoso, deve considerare l’intera operazione cui è riferito, ancorchè poi, in tutto o in parte, non si sia conclusa. È questo, in estrema sintesi, il principio espresso dalla Cassazione nella sentenza numero 20859 depositata ieri.

A una società immobiliare era disconosciuto il costo di una provvigione di sei milioni di euro corrisposta ad una società per la vendita di una porzione di immobile (valore 18 milioni) con opzione sulla restante parte (valore totale 65 milioni. La provvigione doveva essere corrisposta per metà alla sottoscrizione del preliminare di vendita e per metà al rogito. Tuttavia il preliminare regolarmente stipulato era risolto con restituzione della caparra. Nonostante la mancata conclusione del contratto definitivo, alla società, che aveva svolto l’intermediazione, venivano corrisposti tre milioni (metà della pattuita provvigione).

Secondo l’Agenzia, tale costo era del tutto sproporzionato ed esoso e quindi assolutamente contrario ai canoni economici . Ritenendo corretta invece una provvigione calcolata su una percentuale del 3%, l’ufficio riconosceva il costo per 540mila euro (3% dei 18 milioni) e riprendeva a tassazione la somma restante indebitamente dedotta. Mentre la Ctp accoglieva il ricorso presentato dalla contribuente, la Commissione regionale riformava la decisione di primo grado, confermando la legittimità dell’accertamento dell’Ufficio. Secondo i giudici dell’appello, la rettifica doveva ritenersi fondata in ragione della antieconomicità dell’operazione assolutamente contraria ai canoni dell’economia. Era eccessivo, in sostanza, il pagamento di un importo superiore alla percentuale del 3% risultante dagli usi e consuetudini di cui alla Camera di commercio per le intermediazioni immobiliari. Nel ricorso per Cassazione la contribuente lamentava, tra l’altro, che i giudici al pari dell’Ufficio, non avessero opportunamente motivato le ragioni circa la correttezza di una percentuale del 3% per l’intermediazione, senza poi considerare l’operazione nel suo complesso ricomprendente anche un’opzione di acquisto dell’intero immobile.

La Suprema corte, condividendo la tesi difensiva, ha evidenziato la necessità di ricomprendere anche l’opzione di vendita dell’intero immobile (per un prezzo di circa 65 milioni di euro) ai fini del conseguimento del giudizio di antieconomicità del costo sostenuto, rispetto alla complessiva operazione economica.

Stante un evidente vizio motivazionale rispetto a tali circostanze, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso della contribuente.

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Sulle criptovalute l’anonimato agevola il rischio criminalità

12 Ottobre 2020

Il Sole 24 Ore domenica 20 settembre 2020 di Valerio Vallefuoco

ALLARME INTERNAZIONALE SUL MOLTIPLICARSI DELLA TIPOLOGIA DI OPERAZIONI CHE UTILIZZANO LE MONETE DIGITALI PER SCHERMARE I PROVENTI OTTENUTI DA VARIE FATTISPECIE DI REATO, DALL’EVASIONE FISCALE AL TRAFFICO DI DROGA

IL DOSSIER DEL GRUPPO D’AZI0NE FINANZIARIA VALUTE VIRTUALI E RICICLAGGIO

Tracciabilità.  La confusione tra monete diverse risulta determinante nel aumentare il filtro di opacità.

Continua il forte impegno internazionale del Gruppo d’azione finanziaria (Gafi) alla lotta al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo attraverso i cosidetti virtual asset. Dopo la revisione dell’implementazione dei suoi standard riveduti sulle valute virtuali e sui fornitori di servizi di valuta virtuale, avvenuta il 7 luglio 2020, il Gafi ha completato la sua analisi del nuovo fenomeno pubblicando lo scorso 14 settembre 2020 un Report sugli indicatori di anomalia sulle valute virtuali.

Come è ormai sempre più noto infatti gli asset virtuali utilizzano una tecnologia innovativa per trasferire rapidamente il valore in tutto il mondo e hanno molti potenziali vantaggi, tra cui la possibilità di effettuare pagamenti più veloci e meno costosi. Ma l’anonimato ad essi associato attira anche i criminali, che hanno utilizzato le criptovalute per riciclare i proventi di una serie di reati come il traffico di droga, il contrabbando illegale di armi, la frode, l’evasione fiscale, gli attacchi informatici, l’evasione delle sanzioni, ed addirittura lo sfruttamento dei minori e la tratta di esseri umani. Anche alcuni gruppi terroristici hanno utilizzato questo strumento per finanziare le proprie azioni.

Il documento si evidenzia nel panorama internazionale per la sua praticità ed accuratezza: in particolare sono presenti casistiche dedicate dove i soggetti obbligati sono vivamente consigliati di alzare la cosidetta bandierina rossa (red flag indicators) sulle operazioni sospette. Tale casistica dal taglio pratico si confronta con diversi precedenti e ricerche di cui alcune italiane per far capire agli operatori come certe pratiche sono da considerarsi sospette al verificarsi di alcune condizioni predeterminate.

Gli indici di anomalia

Il rapporto è stato basato su oltre 100 casi di studio raccolti dai membri della rete globale del Gafi ed evidenzia i più importanti indicatori di anomalia che potrebbero suggerire un comportamento criminale. Gli indicatori chiave dello studio si concentrano essenzialmente sulle caratteristiche tecnologiche che aumentano l’anonimato, come l’uso di siti web di scambio peer-to-peer, servizi di mixing o tumbling o criptocurrencies potenziate per l’anonimato. Queste pratiche denominate Bitcoin tumbling, note anche come Bitcoin mixing o Bitcoin laudering, consistono nel processo di utilizzo di un servizio di terze parti per interrompere la connessione tra un indirizzo Bitcoin di invio di monete virtuali e gli indirizzi a cui vengono inviate.

Dal momento che la blockchain Bitcoin è una sorta di libro mastro pubblico che registra ogni transazione, la miscelazione di monete è fondamentale per tutti colo che non voglia rendere pubblico dove inviano e memorizzano il loro BTC, o da dove lo ricevono. In cambio della miscelazione di valute digitali, i servizi prendono una commissione che va dall’1% al 5% del valore delle valute digitali che vengono mescolate. I mixer incanalano le valute digitali attraverso centinaia di portafogli e le dividono in modo che il tracciamento sia difficile e dispendioso in termini di tempo.

Rischio geografico

Sempre il Rapporto Gafi ha posto l’attenzione sui rischi geografici, evidenziando che i criminali possono sfruttare Paesi con misure nazionali deboli o assenti proprio sugli asset virtuali. Sono considerati sospetti anche alcuni modelli di transazione irregolari, insoliti o non comuni che possono suggerire un’attività criminale. Nel Report sono state poste in risalto le dimensioni delle operazioni-transazioni, in particolare se l’importo e la frequenza non hanno una spiegazione logica di business.

Sono stati inoltre analizzati nello specifico alcuni profili di mittente o di destinatario delle operazioni evidenziando che alcuni specifici comportamenti insoliti possano suggerire un’attività criminale. Sono stati considerati anomali, tra l’altro, i casi in cui un cliente fornisca le credenziali di identificazione o le credenziali dell’account (per esempio un indirizzo IP non standard o i flash cookie) condivisi da un altro account, ovvero siano sorte delle discrepanze tra gli indirizzi IP associati al profilo del cliente e gli indirizzi IP da cui venivano avviate le transazioni.

Indirizzi sotto esame

Sotto esame anche il fatto che l’indirizzo di provenienza delle valute virtuali appartenesse ad un cliente che appariva su forum pubblici associati ad attività illegali ovvero che il cliente fosse conosciuto attraverso informazioni pubblicamente disponibili alle forze dell’ordine a causa di precedenti associazioni criminali.

Infine sono state analizzate specifiche origini dei fondi e delle ricchezze che possono essere collegati ad attività criminali. In questo senso dovrebbero destare sospetto secondo il Gafi tutte quelle transazioni con indirizzi di valuta virtuale o carte di credito che sono collegate a carte di credito note per frode, estorsione, o schemi di ricatto informatico, indirizzi sanzionati, darknet mercati, o altri siti web illeciti. Dovrebbero, per esempio, essere considerate anomale quelle transazioni in criptovalute provenienti da o destinate ai servizi di gioco d’azzardo online.

Carte di credito sospette

Attenzionato anche l’uso di una o più carte di credito e/o di debito collegate a un portafoglio virtuale per ritirare grandi quantità di valuta legale (operazioni cripto-to-plastic), o fondi per l’acquisto di bitcoin provengono da depositi in contanti in carte di credito. Ovvero anche i depositi su un conto o un indirizzo di portafoglio virtuale che siano significativamente più alti del normale con una fonte di fondi sconosciuta, seguita dalla conversione in valuta legale. La mancanza di trasparenza o informazioni insufficienti sull’origine e sui proprietari dei fondi è sempre considerata sospetta, come ad esempio le operazioni che prevedono l’utilizzo di società fittizie o di tali fondi inseriti in un’offerta di monete iniziali (Ico) in cui i dati personali degli investitori possono non essere disponibili o transazioni in entrata dal sistema di pagamento online attraverso carte di credito/prepagate seguite da prelievo immediato.

In generale secondo il report sono da verificare tutte quelle operazioni la cui fonte di ricchezza di un cliente derivi dagli investimenti in criptovalute , Ico, o Ico fraudolente. Da ultimo vanno segnalate le operazioni in cui le fonti di ricchezza di un cliente vengano attinte in modo sproporzionato da portafogli virtuali provenienti da altri prestatori di servizi per asset virtuali (Vasp) che non dispongono di controlli antiriciclaggio e antiterrorismo adeguati agli standard Gafi.

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Cliente identificato con i dati provenienti da una fonte affidabile

12 Ottobre 2020

Il Sole 24 Ore 17 settembre 2020 di Valerio Vallefuoco

ANTIRICICLAGGIO

Il decreto semplificazioni denominato “misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione” convertito in legge lo scorso 11 settembre , interviene anche sulla vigente legge antiriciclaggio. Le novità riguardano gli obblighi di adeguata verifica della clientela e potrebbero comportare un alleggerimento degli oneri in capo ai soggetti obbligati.

Con la riforma, cambia, infatti, parzialmente il contenuto di tali obblighi per la parte relativa all’identificazione del cliente e dell’esecutore, ossia del soggetto delegato ad operare in nome e per conto del cliente stesso. In particolare, la norma così come riformulata, consente che l’identificazione del cliente e dell’esecutore e la verifica della loro identità avvenga sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente. Pertanto, non dovrà più trattarsi necessariamente di un documento d’identità o di altro documento di riconoscimento equipollente ma di qualsiasi documento che offra un sufficiente grado di attendibilità.

Novità anche per l’identificazione dei clienti in possesso di un’identità digitale. La nuova norma nel ribadire la validità di questo tipo di identificazione ne estende le possibilità applicative a tutti i casi in cui i clienti siano in possesso di un’identità digitale, con un livello di garanzia almeno significativo, in luogo del livello massimo di sicurezza prima richiesto.

Viene poi introdotta una nuova modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica senza la presenza fisica del cliente. Il decreto semplificazioni ha, infatti, aggiunto all’articolo 19, del decreto antiriciclaggio, il nuovo comma 4 bis, per cui l’obbligo di identificazione si considera assolto anche senza la presenza fisica «per i clienti che, previa identificazione elettronica basata su credenziali che assicurano i requisiti previsti dall’articolo 4 del Regolamento Delegato (Ue) 2018/389 della Commissione del 27 novembre 2017, dispongono un bonifico verso un conto di pagamento intestato al soggetto tenuto all’obbligo di identificazione». Tuttavia, questa modalità di identificazione e verifica dell’identità, per espressa previsione, può essere utilizzata solo per i rapporti relativi a carte di pagamento e dispositivi analoghi, nonché a strumenti di pagamento basati su dispositivi di telecomunicazione, digitali o informatici, con esclusione dei casi in cui tali carte, dispositivi o strumenti siano utilizzabili per generare l’informazione necessaria a effettuare direttamente un bonifico o un addebito diretto verso e da un conto di pagamento.

Infine, la riforma limita la verifica dell’identità del cliente, del titolare effettivo e dell’esecutore da effettuarsi mediante riscontro della veridicità dei dati identificativi contenuti nei documenti e delle informazioni acquisiti all’atto dell’identificazione, solo alle ipotesi in cui in relazione ad essi, sussistano dubbi, incertezze o incongruenze.

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Bonus 110% residente all’estero iscritto all’AIRE

12 Ottobre 2020

Il Sole 24 Ore 11 settembre 2020 di Alessandro Borgoglio

DOMANDE E RISPOSTE

Risiedo all’estero, sono iscritto all’Aire e avevo intenzione di acquistare una casa di vacanza in Italia. Non essendo contribuente fiscale in Italia, mi chiedevo se posso approfittare del 110%, cedendo il credito d’imposta.

La risposta è positiva. Il superbonus riguarda tutti i contribuenti, residenti e non residenti, che sostengano le spese per l’esecuzione degli interventi agevolati. Questi, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione, possono optare per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto o per la cessione di un credito d’imposta di importo corrispondente alla detrazione ad altri soggetti, ivi inclusi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari. Se la persona fisica non residente non ha imposta dovuta in Italia, potrà comunque scegliere una di queste opzioni. 

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La tassa fissa decolla: quadruplicati i nuovi residenti in Italia

7 Settembre 2020

Il Sole 24 Ore 27 agosto 2020 di Cristiano Dell’Oste

REDDITI ESTERI

Nel 2019, terzo anno di applicazione, sfruttata da 421 nuovi residenti

Sono 421 i “Paperoni” che hanno trasferito la residenza in Italia per sfruttare la tassa fissa da 100mila euro introdotta con la manovra 2017. Il dato è riferito all’anno d’imposta 2019 ed è quadruplicato rispetto ai 99 beneficiari del primo anno di applicazione.

I loro nomi sono un segreto ben custodito dai consulenti che ne hanno curato le pratiche, ma il regime agevolato è disegnato per attrarre soprattutto ricchi rentier stranieri e qualche italiano “di ritorno” dopo un lungo periodo all’estero (servono, infatti, almeno nove anni di residenza al di fuori del nostro Paese nei dieci periodi d’imposta precedenti l’opzione).

Spesso impropriamente definita flat tax, quella prevista per i Paperoni è in realtà un’imposta fissa, pari appunto a 100mila euro all’anno. Dura fino a un massimo di 15 anni e sostituisce l’Irpef sui redditi prodotti all’estero, e questo spiega perché sia particolarmente appetibile per chi mantiene oltreconfine patrimoni, imprese e attività. Non sempre rientrano nel target della tassa fissa, invece, i calciatori e gli altri sportivi professionisti stranieri che vengono a giocare in Italia: se non hanno molti redditi esteri, per loro può essere più vantaggiosa la detassazione del 50% introdotta dal decreto Crescita del 2019 (Dl 34), applicabile per cinque anni dal trasferimento nel nostro Paese e rinnovabile a certe condizioni per altri cinque anni.

L’imposta fissa può essere applicata anche ai familiari del beneficiario, che pagano 25mila euro a testa. Tecnicamente, la scelta avviene nella dichiarazione dei redditi riferita al periodo d’imposta in cui il familiare trasferisce la residenza fiscale in Italia o in quella successiva. Ma c’è anche un’istanza preventiva di interpello probatorio alle Entrate, per verificare se si ha diritto al regime.

Il gettito per l’Erario riferito al 2019 è di almeno 42,1 milioni (più la quota dei familiari, il cui numero non è noto). Si tratta di una cifra tutto sommato modesta, ma l’obiettivo della tassa fissa non è mai stato quello di fare cassa, quanto piuttosto quello di far arrivare in Italia “super-consumatori” ad alta capacità di spesa, con effetti positivi sull’Iva e sull’indotto, in particolare del lusso. Effetti, comunque, ancora tutti da misurare e che potrebbero essere stati duramente ridotti dal lockdown dei mesi scorsi.

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Amazon risponde per i danni causati dai prodotti venduti

7 Settembre 2020

Il Sole 24 Ore 21 agosto 2020 di Alessandro Galimberti e Andrea Monti

DIRITTO DELLA RETE

Rivoluzionaria sentenza su e-commerce della Corte d’Appello della California

Amazon responsabile per la difettosità (e per i danni) del prodotto venduto sul suo marketplace. Con una sentenza destinata a condizionare molte giurisdizioni, la Corte d’appello della California (Cal. Ct. App., 4th Dist., No. D075738 – Bolger vs Amazon.com Inc.) rompe il tabù della intangibilità degli Ott digitali.

Il caso, semplice nello sviluppo dei fatti (una batteria per laptop esplosa in faccia all’acquirente mesi dopo l’acquisto), ha comportato però un lungo excursus del giudice – che peraltro ha ribaltato il primo grado – nella regolamentazione nazionale, e di riflesso europea, sugli intermediari digitali.

Nella prospettiva “italiana” tre sono i punti interessanti. Il primo è di puro merito: i criteri per l’imputazione dei danni da responsabilità da prodotto definiti dalla giurisprudenza statunitense sono analoghi a quelli stabili dal Codice del consumo. I principi sono quindi traslabili nel nostro sistema.Il secondo punto è che, diversamente da quanto potrebbe sembrare, la sentenza riafferma la non responsabilità (“neutralità”) degli operatori e-commerce, ma, nel caso specifico, Amazon.com non può avvalersene. È vero infatti che il gestore di una piattaforma non può essere responsabile di ciò che fanno gli utenti, ma, se diventa parte della loro attività, assume oneri e onori. Amazon.com, scrive il giudice Usa, è a tutti gli effetti un elemento (fondamentale) della catena verticale del processo di vendita produttore-utente finale: gestisce in via esclusiva la comunicazione con il cliente, la messa a disposizione del prodotto, la logistica della consegna, il pagamento e la “garanzia dalla A alla Z”. Dunque è evidente che il suo ruolo implica un’autonoma responsabilità (peraltro, conformemente ai principi espressi dalla direttiva e-commerce dell’Ue).

«Dato il suo ruolo -dice la Corte – Amazon è parte integrante della catena di produzione e marketing e deve sostenere i costi dei danni provocati da prodotti difettosi». Particolarmente rilevante è il punto nel quale la Corte supera il concetto di responsabilità come legato al produttore o al venditore (e dunque, sostiene Amazon, non al fornitore dei servizi associati alla vendita) affermando che «la dottrina della stretta responsabilità in California supera queste tecnicalità e risarcisce l’attore per i danni provocati da prodotti difettosi». Questa è una differenza sostanziale con il Codice del consumo italiano che, invece, limita le azioni appunto nei confronti dei soli venditori e produttori. Sarà interessante vedere, se un contenzioso simile dovesse nascere anche in Italia, se la giurisprudenza seguirà quella statunitense interpretando estensivamente la nozione di “seller”.

Il terzo punto è la rilevanza dell’affidamento generato da Amazon.com nel cliente finale. Poco importa il titolo giuridico della relazione commerciale: «I prodotti venduti su Amazon godono di una “implicita dichiarazione di sicurezza”, che rende applicabile la previsione di una stretta responsabilità». In altri termini, e anche questo principio è spendibile davanti alle nostre corti, non è il solo (unilaterale) contratto a disciplinare i rapporti con il contraente debole, ma anche l’affidamento generato dalla condotta complessiva dell’operatore di e-commerce.

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La chance delle obbligazioni per pagare i fornitori della Spa

7 Settembre 2020

Il Sole 24 Ore 10 agosto 2020 di Angelo Busani

OPERAZIONI FINANZIARIE

È possibile emettere titoli per strutturare il debito contratto per le commesse

La delibera societaria deve prevedere i tempi di restituzione del capitale

L’idea di strutturare il debito verso i fornitori con il loro collettivo coinvolgimento in un’operazione di finanza straordinaria – come raccontato nel servizio qui a destra – può essere un’intelligente soluzione per far fronte alle emergenze e alle turbolenze provocate da questo particolare periodo.

Le differenze fra Spa e Srl

L’emissione di obbligazioni da parte di una società per azioni è una soluzione tutto sommato abbastanza semplice. Una strategia più articolata può essere quella dell’emissione, sempre da parte di una Spa, di obbligazioni convertibili in azioni oppure di strumenti finanziari partecipativi (Sfp): in quest’ultimo caso, oltre a organizzare il rimborso del debito, si può giungere a coinvolgere i creditori nella governance stessa della società emittente, ad esempio mediante la nomina da parte dei titolari degli Sfp, di un membro del suo consiglio di amministrazione.

Più complicata è, invece, l’adozione di soluzioni analoghe nelle società a responsabilità limitata, in quanto, in questo caso, è bensì possibile l’emissione di titoli di debito: essi però possono essere destinati solo alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale» (articolo 2483, comma 2, del Codice civile).

Tornando alle obbligazioni emesse da una Spa, la delibera di emissione deve essere adottata dall’organo amministrativo (e cioè il consiglio di amministrazione o, nel sistema dualistico, il consiglio di gestione) a meno che lo statuto stabilisca, sul punto, la competenza dell’assemblea (in ogni caso, il verbale che reca la deliberazione deve essere redatto in forma notarile). La scelta della legge di affidare la competenza all’emissione di obbligazioni all’organo amministrativo dipende dal fatto che si tratta di un’operazione di finanziamento della società e, quindi, di una decisione che attiene alla gestione della società, materia dunque estranea alla competenza dei soci.

I limiti

La legge pone alcuni limiti all’emissione delle obbligazioni:

la società può emettere obbligazioni (necessariamente nominative) per una somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato;

il predetto limite può essere superato se le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale (in questa ipotesi, in caso di successiva circolazione delle obbligazioni, chi le trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali);

non è soggetta al limite della somma di capitale e riserve l’emissione di obbligazioni che siano garantite da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del valore degli immobili medesimi; né l’emissione di obbligazioni destinate ad essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione ovvero di obbligazioni convertibili.

La sottoscrizione dei fornitori

Quando si tratta di emettere obbligazioni destinate alla sottoscrizione dei fornitori della società emittente, al fine di incorporare i loro crediti relativi alle forniture effettuate, la delibera di emissione deve appunto prevedere che la sottoscrizione delle obbligazioni avvenga mediante compensazione del debito derivante dalla sottoscrizione con il credito derivante dalle forniture.

Inoltre la delibera di emissione:

deve prevedere i tempi di restituzione del capitale (il che può avvenire in un’unica soluzione oppure in una pluralità di tranches);

deve stabilire se le obbligazioni conferiscano il diritto al percepimento di interessi e, in caso positivo, stabilirne l’entità (in misura variabile o in misura fissa); tra l’altro, i tempi e l’entità del pagamento degli interessi possono variare in dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all’andamento economico della società;

può prevedere che il diritto degli obbligazionisti alla restituzione del capitale ed agli interessi può essere, in tutto o in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società.

La tutela degli obbligazionisti verso la società emittente è affidata a un “rappresentante comune” che essi debbono nominare, una volta riuniti in un’apposita assemblea. L’assemblea degli obbligazionisti, inoltre, delibera sulle materie nelle quali gli obbligazionisti abbiano un interesse comune e, in particolare, sulle modificazioni delle condizioni del prestito che siano proposte dalla società emittente.

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La società trasferita all’estero deve pagare il dovuto al Fisco

7 Settembre 2020

Il Sole 24 Ore 7 agosto 2020 di Laura Ambrosi

CASSAZIONE

L’obbligazione sui debiti tributari resta anche dopo l’uscita dal registro imprese

Se la società si trasferisce all’estero, la cancellazione dal registro imprese non equivale alla perdita della personalità giuridica con la conseguenza che l’ente rimane obbligato anche dei debiti tributari. Ad affermarlo è la Corte di cassazione con l’ordinanza 16775 depositata ieri.

Una società, trasferitasi all’estero, impugnava tardivamente un avviso di accertamento per asseriti vizi di notifica. In particolare la contribuente lamentava che l’atto fosse stato notificato al legale rappresentante della società nonostante si fosse cancellata dal registro imprese italiano. Inoltre, proprio in conseguenza della citata cancellazione, l’ente doveva comunque considerarsi estinto.

Entrambi i giudici di merito dichiaravano l’inammissibilità del gravame perché tardivo.

La società ricorreva così in Cassazione lamentando, in estrema sintesi, un’errata interpretazione della norma.

I giudici di legittimità hanno innanzitutto rilevato che in tema di notifica l’articolo 145 del Codice di procedura civile consente alla parte interessata di scegliere, alternativamente, nel caso di persona giuridica, di eseguire la notificazione presso la sede sociale ovvero presso il suo legale rappresentante. Ne conseguiva così la correttezza della notifica nella specie.

Con riferimento invece alla cancellazione della società, la Suprema corte ha rilevato che il trasferimento all’estero non può essere equiparato alla cessazione e quindi all’estinzione del soggetto. La società, infatti, sia pure in altro stato, continua lo svolgimento della propria attività. La Cassazione ha rilevato che conferma in tal senso si ravvisa anche dal Codice civile (articoli 2347, comma primo lett. c) e 2473 comma primo) che attribuisce ai soci il diritto di recesso nel caso di trasferimento della sede all’estero.

È evidente quindi, che tale trasferimento rappresenti solo una continuazione della personalità giuridica, nonostante la cancellazione dal registro imprese italiano.

In conclusione, è stato affermato che tale cancellazione a seguito del trasferimento all’estero non determina alcun effetto estintivo e per i rapporti tributari rimangono ferme sia la titolarità passiva delle obbligazioni, sia la capacità processuale della persona giuridica.

La decisione è particolarmente interessante perché individua una sorta di deroga alla valenza costitutiva della cancellazione dal registro imprese. Dalla pronuncia, infatti, emerge che il trasferimento all’estero, pur comportando in senso formale la cancellazione dal registro imprese, non equivale all’estinzione dell’ente, il quale comunque rimane responsabile anche nell’ambito dei debiti tributari. In sostanza, quindi, il trasferimento all’estero è equiparabile ad un mero cambio di sede.

Tale conclusione induce a un’ulteriore riflessione: non di rado, il trasferimento estero è stato configurato dagli investigatori quale reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

Alla luce dei principi ora affermati, quindi, salvo che sussistano altre condotte, difficilmente può configurarsi tale reato, atteso che l’ente è comunque tenuto a rispondere dei propri debiti così come se il trasferimento fosse avvenuto in Italia.

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I paradisi fiscali UE minacciano la stabilità dei mercati globali

7 Settembre 2020

Il Sole 24 Ore 8 agosto 2020 di Antonio Coppola e Matteo Maggiori (PhD Candidate, Harvard University, Department of Economics; Associate Professor, Stanford University, Graduate School of Business)

I paradisi fiscali UE minacciano la stabilità dei mercati globali

I Paesi Bassi e l’Irlanda sono nuovamente al centro dell’attenzione per il loro ruolo di paradisi fiscali europei. Entrambe le giurisdizioni attraggono le sedi legali di società che in realtà hanno scarsa presenza sul territorio nazionale. Il loro modello economico attira enormi capitali esteri, tassandoli poco o nulla in percentuale. Queste piccole percentuali generano comunque notevoli introiti quando applicate a imponibili molto alti. Il resto del ricavo viene dai servizi legali e finanziari offerti localmente alle società internazionali.

Questi regimi fiscali hanno reso i Paesi Bassi e l’Irlanda veicoli di “capitale fantasma”, ovvero capitale che ha questi Paesi come destinazione solo nominalmente. Gli Stati Uniti ufficialmente investono 449 miliardi di dollari in obbligazioni e azioni emesse da compagnie irlandesi e 518 miliardi in quelle olandesi. In realtà queste compagnie non sono né irlandesi né olandesi, ma semplicemente scatole legali vuote. In un recente studio con Brent Neiman della University of Chicago e Jesse Schreger della Columbia University abbiamo rintracciato questi capitali in giro per il mondo, passando dalle Isole Vergini Britanniche alle Cayman e oltre.

Il capitale investito in obbligazioni emesse da società olandesi finisce in destinazioni sorprendenti. Solo la metà rimane nei Paesi Bassi. Il 29% finisce altrove nell’Eurozona, il 4% negli Stati Uniti e il 3,5% in Brasile. Consideriamo il caso di Petrobras, il colosso petrolifero brasiliano che ha una controllata nei Paesi Bassi per l’emissione di debito. L’azienda ha scarsa presenza sul territorio olandese, ma pressoché la totalità dei capitali che attira da investitori esteri vengono raccolti da due controllate, una a Rotterdam e una nelle Isole Cayman.

La situazione irlandese è simile, ma i capitali sono più strettamente legati agli Stati Uniti. Il 58% del valore delle azioni esistenti sul mercato ed emesse da società irlandesi è in realtà da considerarsi emesso da imprese statunitensi. Molte multinazionali americane, come Medtronics, eseguono un’esterovestizione societaria, registrando la sede legale della società capogruppo in Irlanda per ridurre la tassazione dell’intero gruppo. Paradossalmente, gli investimenti nelle azioni di queste società da parte degli investitori statunitensi non vengono considerati investimenti domestici negli Stati Uniti, come lo sono in realtà, ma piuttosto come investimenti all’estero, in Irlanda. Di conseguenza, Dublino sembra attirare dagli Stati Uniti grandi investimenti azionari per 385 miliardi di dollari.

Per capire quanto speciali siano i Paesi Bassi e l’Irlanda in questo ambito, basta un confronto con la Germania e l’Italia. In entrambi i casi, la quasi totalità delle obbligazioni societarie emesse, ovvero il 97%, appartiene a compagnie nazionali. Queste statistiche delineano un modello economico molto differente.

L’opzione di abbassare le tasse societarie e le ritenute su obbligazioni e azioni è disponibile in teoria a tutti i Paesi. Uno sguardo al sistema finanziario globale rivela che i paradisi fiscali tendono a essere Paesi piccoli e con poche industrie a eccezione di quella finanziaria. Una possibile spiegazione è che un Paese più piccolo trova vantaggioso specializzarsi nell’attirare capitali fantasma tramite una tassazione bassa. Per Paesi più grandi questa tattica è più difficile perché il tentativo di attirare capitali esteri comporterebbe degli squilibri interni con i settori non-finanziari dell’economia. I paradisi fiscali scelgono di focalizzare l’economia verso il settore finanziario. Non è una scelta per tutti.

Molto si è scritto in questi giorni sulla perdita di ricavi fiscali che Paesi come Olanda e Irlanda causano al resto dell’Eurozona. Questo è un argomento importante, ma vogliamo soffermarci qui su altri due aspetti: l’impatto sulla stabilità finanziaria e quello sulla regolamentazione.

Nel cercare di minimizzare la tassazione, le multinazionali e gli investitori hanno creato una rete intricata di posizioni finanziarie. Basti pensare all’esempio di un fondo d’investimento italiano che compra le obbligazioni emesse dalla controllata di Petrobras nei Paesi Bassi. Questa a sua volta passa il capitale ad altre società del gruppo, in Brasile o altrove. Questo è solo un esempio, senz’altro non il più intricato, ma che permette di comprendere la distanza tra la società che emette il debito e le attività produttive che producono i ricavi che lo ripagheranno. Se si verificasse un’ondata di fallimenti societari globali, come potrebbe accadere nella scia della pandemia di Covid, non è chiaro con che facilità gli investitori potranno rifarsi sulle società. Specialmente viste le multiple giurisdizioni coinvolte.

Le società usano questi complessi flussi finanziari anche per aggirare la regolamentazione finanziaria. Un esempio è l’entrata in vigore nel 2016 del regolamento sugli abusi di mercato dell’Unione europea mirato a una maggiore trasparenza del mercato obbligazionario. Appena introdotta la nuova regolamentazione, diverse società particolarmente esposte alle nuove regole, come per esempio Aston Martin, hanno spostato l’emissione delle proprie obbligazioni nell’isola di Jersey. Jersey, anzi, ha attivamente promosso queste nuove emissioni, vantando la maggiore permissività della propria regolamentazione.

Le tensioni finanziarie rischiano di aggravarsi ulteriormente nello scenario post-Brexit. Londra potrebbe volere competere al ribasso con l’Eurozona, sia in termini di tassazione che di regolamentazione finanziaria. L’ascesa di una costellazione di paradisi fiscali dentro l’Eurozona o poco al di fuori è un rischio che le istituzioni comunitarie devono arginare. Un fallimento della politica economica in questo senso comporterebbe mercati finanziari sempre più iniqui e scarsamente controllabili.

Doing business in San Marino

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