False identità e abusi sui social network: scatta il reato di sostituzione di persona

9 Marzo 2020

Il Sole 24 Ore 17 FEBBRAIO 2020 di Marisa Marraffino

DIRITTO PENALE

Il web ha rinverdito l’illecito, in passato contestato nei matrimoni per procura

Esclusa la punibilità per tenuità del fatto se la condotta è isolata

I social network hanno rivitalizzato il reato di sostituzione di persona, nato per punire condotte ben lontane dal mondo del digitale. Il reato, previsto dall’articolo 494 del Codice penale, ha dato luogo nel passato a una curiosa giurisprudenza che configurava l’illecito in tutti i casi di matrimoni per procura in cui uno dei due coniugi mentiva sul proprio status sociale o addirittura sulla propria identità.

Per questo ha fatto discutere la sentenza della Corte di cassazione 652 del 10 gennaio scorso, che ha considerato di lieve entità il fatto di creare un falso profilo social, attribuendosi quindi l’identità di un’altra persona, se il fatto è isolato.

In realtà la pronuncia non afferma che il fatto non sussiste ma che, pur costituendo reato, se commesso una volta soltanto può non essere punibile in base all’articolo 131-bis del Codice penale, che ha introdotto proprio una particolare causa di esclusione della punibilità quando la condotta nel suo complesso viene considerata lieve.

L’esimente viene concessa in genere per i furti e le truffe di lieve entità. Di recente la giurisprudenza ha allargato le maglie dell’esimente, configurandola ad esempio anche nei casi più lievi di guida in stato di ebbrezza (Cassazione, 44171 del 17 ottobre 2019).

Il cambio di fattispecie

Nel 2016 la Cassazione aveva stabilito che il marito che si finge single per conquistare l’amante commette il reato di sostituzione di persona. Si trattava del caso di un uomo che per prolungare la relazione con l’amante le aveva anche mostrato un finto atto di annullamento del matrimonio per poi frequentare insieme a lei un corso prematrimoniale. Senza dubbio in questo caso sussiste l’attività ingannatoria che, per pacifica giurisprudenza, sta alla base del reato.

Da qui a configurare la fattispecie anche nel caso in cui l’utente di Facebook menta sul proprio “status” del profilo web definendosi “single”, il passo è breve e scontato. Spesso la creazione di fake sui social network viene contestata insieme ad altri reati, come la diffamazione, le molestie o gli atti persecutori. Gli autori, infatti, usano i falsi profili per vendicarsi delle vittime, offenderle o perseguitarle. In questi casi, ovviamente, non c’è clemenza da parte dei giudici. Determinante è anche il contesto.

Così viene condannato chi crea un falso profilo per molestare minorenni o per denigrare la vittima. In questi casi non vengono concesse neppure le attenuanti generiche (Cassazione, sentenza 38911 del 12 giugno 2018). Il bene giuridico protetto dalla norma è la fede pubblica, quindi anche la pluralità indistinta degli utenti, considerazione che giustifica la sua procedibilità d’ufficio. Quando si creano false identità virtuali o falsi profili Facebook non si lede soltanto la fiducia del singolo utente ma si turba un equilibrio più ampio, quello della comunità intera degli utenti che devono poter fare affidamento sulla lealtà delle identità con le quali intrattengono rapporti virtuali. Per questo non vanno sottovalutate le condotte che però devono essere opportunamente pesate caso per caso.

Attenzione, perché anche la falsa attribuzione di una qualifica professionale può integrare il reato. La norma punisce infatti anche le attribuzioni di qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici. Si pensi alle false identità su skype o su social network di chi millanta posizioni professionali di prestigio per corteggiare le vittime, invitarle a falsi colloqui di lavoro o per aumentare i propri follower.

Le conseguenze

Vecchie e nuove falsificazioni finiscono in tribunale con esiti spesso diversi. Così c’è chi preferisce chiedere la sospensione del processo penale con la messa alla prova, cancellando il reato con lavori socialmente utili; oppure chi paga decreti penali di condanna o sceglie la via del patteggiamento. Ma, anche se il fatto viene considerato tenue, non c’è troppo da rallegrarsi: il reato in realtà c’è, viene iscritto nel casellario, e può dar luogo in sede civile al risarcimento del danno, come ha stabilito la Cassazione con la sentenza 32010 dell’8 marzo 2018.

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Autoriciclaggio per chi riceve contanti frutto di fatture false

9 Marzo 2020

Il Sole 24 Ore 19 FEBBRAIO 2020 di Antonio Iorio

CASSAZIONE

È del tutto irrilevante che le operazioni fossero simulate e non effettive

Commette il delitto di autoriciclaggio l’imprenditore che riceve per contanti le somme precedentemente bonificate a seguito della contabilizzazione di false fatture.

A fornire questa indicazione è la Corte di Cassazione con la sentenza 6397 depositata ieri.

Ad un imprenditore, indagato per il delitto di autoriciclaggio, veniva sequestrata una somma di denaro.

In dettaglio la società a lui riconducibile aveva ricevuto fatture per operazioni inesistenti da una impresa olandese. Tali fatture erano state pagate con bonifici bancari e successivamente le somme venivano restituite per contanti all’imprenditore italiano.

Il sequestro era confermato dal tribunale del riesame. L’interessato proponeva così ricorso per Cassazione, lamentando, che l’autoriciclaggio (articolo 648 ter1 del Codice penale) prevede l’impiego di beni derivanti da illeciti in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative. Nella specie i soldi dall’azienda olandese – precedentemente ricevuti con bonifico dall’Italia- venivano restituiti per contanti all’imprenditore e quindi erano chiaramente destinati ad uso personale. Mancava, in sostanza, un elemento costitutivo della condotta illecita rappresentato dal (necessario) impiego in attività economiche, finanziarie eccetera. Nella specie si era verificata soltanto una destinazione delle somme a uso personale.

Infatti, in base al comma 4 dell’articolo 648 ter1, non sono punibili nell’ambito dell’autoriciclaggio, le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. La Cassazione ha rigettato il ricorso.

Secondo i giudici di legittimità, non vi è dubbio che l’autoriciclaggio si caratterizza per il successivo impiego in attività differenti dall’uso personale in modo da ostacolare l’accertamento della provenienza delittuosa dei beni.

Tuttavia la non punibilità ricorre soltanto quando l’utilizzo o il godimento dei beni ricevuti sia avvenuto direttamente e senza compiere nessuna operazione volta a ostacolare concretamente l’identificazione della predetta provenienza delittuosa dei beni.

Nel caso concreto per la Cassazione, ricorrono tutti i presupposti del delitto di autoriciclaggio poiché il provento della frode fiscale è stato trasferito con bonifici a un’impresa olandese simulando operazioni commerciali con causali fittizie.

Il soggetto olandese, a sua volta, ha restituito agli italiani le somme in contanti. È stata così portata a compimento un’operazione mediante il trasferimento dei proventi illeciti in attività economiche diretta a “ripulire” il denaro in questione.

Del tutto irrilevante poi, secondo i giudici, che le operazioni fossero simulate e non effettive.

Il delitto di autoriciclaggio è finalizzato proprio a impedire qualsiasi forma di reimmissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all’interno del circuito economico legale onde ottenere un concreto effetto dissimulatorio. Detto effetto costituisce il “quid pluris” che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di occultamento del profitto illecito e pertanto punibile.

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I conti italiani di un cittadino estero non provano la stabile organizzazione

9 Marzo 2020

Il Sole 24 Ore del 19 Febbraio 2020 di Alessandro Borgoglio

In breve

Gli elementi costitutivi della stabile organizzazione sono quello materiale e oggettivo della sede fissa di affari e quello dinamico dell’esercizio in tutto o in parte della sua attività. Secondo la Cassazione, dunque, i versamenti sui conti correnti intestati al soggetto non sono abbastanza

Il fatto che un cittadino estero sia titolare di conti correnti presso istituti bancari italiani, e su di essi abbia ricevuto accreditamenti da parte di operatori italiani del settore di attività nel quale opera la società estera di cui è rappresentante legale, non integra i requisiti richiesti per la sussistenza di una stabile organizzazione. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 32389/2019. L’articolo 162 del Dpr 917/1986 (Tuir) definisce il concetto di “stabile organizzazione” con una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato; la stabile organizzazione comprende, tra l’altro, una sede di direzione, una succursale, un ufficio, una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato. Nella giurisprudenza di legittimità la normativa di riferimento è stata interpretata con la formulazione di un principio di diritto ormai ampiamente consolidato, secondo cui, per il requisito della stabile organizzazione di un soggetto non residente in Italia, la cui sussistenza è necessaria ai fini dell’imponibilità del reddito d’impresa, è necessaria una presenza del soggetto non residente che sia incardinata nel territorio dello Stato dotata di una certa stabilità in quanto caratterizzata, appunto, da una stabile organizzazione, i cui elementi costitutivi sono quello materiale e oggettivo della sede fissa di affari e quello dinamico dell’esercizio in tutto o in parte della sua attività (Cassazione 30033/2018, 28059/2017).Nel caso oggetto della sentenza qui commentata, erano state esperite dal Fisco le indagini finanziarie sui conti correnti di un cittadino egiziano, da cui era risultato che i versamenti effettuati erano riconducibili ad una stabile organizzazione in Italia di una società egiziana, della quale il cittadino in questione era l’amministratore delegato, e che si occupava di vendere pacchetti turistici per viaggi in Egitto ad agenzie di viaggio italiane.
I giudici di merito, però, avevano bocciato l’operato del Fisco, atteso che l’Ufficio non aveva dimostrato che il cittadino egiziano si fosse occupato abitualmente in Italia della conclusione di contratti aventi a oggetto la prestazione di servizi turistici; inoltre il cittadino egiziano aveva documentato di aver soggiornato in Italia pochissimi giorni. Da qui la conferma della decisione da parte della Cassazione, secondo cui non poteva in effetti dedursi la stabile organizzazione in Italia solo dalla circostanza che sui conti correnti italiani intestati al cittadino egiziano confluissero somme di denaro che venivano accreditate dalle agenzie di viaggio italiane, non potendosi ritenere provata la circostanza che questi fosse fisicamente presente in Italia con una certa continuità e svolgesse in Italia una effettiva attività di contrattazione con le agenzie di viaggio per la somministrazione dei servizi turistici. Qualche tempo fa, invece, i giudici di legittimità avevano stabilito che l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia è desumibile, insieme ad altri elementi, dal rinvenimento di un conto corrente, intestato a una società estera, aperto presso un istituto italiano, che invia la relativa documentazione presso la sede di una società italiana con cui quella estera intrattiene rapporti (Cassazione Penale 38027/2014).

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DECRETO DELEGATO 7 febbraio 2020 nr 22 – Modifiche all’art.32 del D.D. 25 giugno 2018 nr 72- Disposizioni in materia di credito agevolato a supporto delle imprese

9 Marzo 2020

Si allega il testo completo del Decreto Delegato nr 22  in materia di credito agevolato alle imprese.

DD022-2020

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DECRETO DELEGATO 20 febbraio 2020 nr 27 – Determinazione della retribuzione annua massima di cui all’art. 32, sesto comma della Legge 11/2/1983 nr 15 e succ. mod.

9 Marzo 2020

Nel Decreto in oggetto si evidenzia la retribuzione annua massima da prendere come base di calcolo per la pensione 2020.

DD027-2020

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