Invio esterometro, i punti da chiarire prima del 30 aprile

8 March 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 18 FEBBRAIO 2019 di Giampaolo Giuliani

ADEMPIMENTI

Dal concetto di operazioni «transfrontaliere» ai soggetti esonerati

L’annunciata proroga al 30 aprile dell’invio dell’esterometro dà un po’ di respiro agli operatori. In ogni caso, sarebbe bene sfruttare il tempo in più per puntualizzare alcuni aspetti critici di questa comunicazione (che prevede la trasmissione telematica dei dati Iva delle operazioni transfrontaliere, ex articolo 1, comma 3-bis, del Dlgs 127/2015). Anche perché in questo modo l’esterometro andrà a coincidere con la scadenza della presentazione della dichiarazione annuale Iva, e bisognerà arrivare preparati.
Pur presentando diverse similitudini con lo spesometro, l’esterometro ha comunque numerose peculiarità che ne rendono insidiosa la predisposizione.
Sotto questo profilo, il primo equivoco che è opportuno chiarire riguarda l’uso improprio del termine “transfrontaliero”, poiché l’esterometro riguarda tutte le operazioni in cui viene emessa una fattura cartacea e sono coinvolti soggetti non residenti. Si pensi, solo per fare un esempio, all’ipotesi in cui un’impresa di ristrutturazione sia chiamata da un privato inglese per recuperare il proprio casale acquistato in Toscana.
Premesso ciò, per quel che attiene la delimitazione del perimetro soggettivo, ci si chiede se debbano comunque compilare l’esterometro i cosiddetti soggetti passivi “minori” o che operano in franchigia – minimi e forfettari su tutti – e non sono tenuti a emettere fattura elettronica. Anche se il dato letterale potrebbe far sorgere qualche dubbio, si può ritenere che la risposta sia negativa. Altrimenti, avremmo il paradosso di soggetti esclusi dalla fatturazione elettronica, ma obbligati all’esterometro.
Al di là delle esclusioni di tipo soggettivo, poi, non dev’essere trasmesso l’esterometro per tutte quelle operazioni, realizzate tra soggetti passivi stabiliti e soggetti passivi non stabiliti o privati non residenti, nel caso in cui sia stata emessa fattura elettronica oppure bolletta doganale di esportazione o di importazione.
Un altro argomento meritevole di un chiarimento è quello legato alle fatturazioni per operazioni fuori campo Iva per carenza del presupposto territoriale. L’articolo 21, comma 6-bis, lettere a) e b), del Dpr 633/72 richiede l’emissione della fattura per tutte le operazioni fuori campo Iva, con esclusione di quelle finanziarie e assicurative che intervengono tra soggetti passivi stabiliti nella Ue. Ne dovrebbe conseguire che quelle escluse non hanno l’obbligo di essere indicate nell’esterometro.
Si consideri, ad esempio, il pagamento di interessi in favore di un soggetto passivo stabilito in Italia da parte di un operatore tedesco o di un operatore svizzero. Nel primo caso non dev’essere emessa fattura nei confronti dell’operatore tedesco, per esplicita previsione della lettera a) del citato comma 6-bis; mentre, al contrario, va emessa fattura all’operatore svizzero, in base alla successiva lettera b). Ne consegue che solo questa seconda operazione dev’essere indicata nell’esterometro.
È ammessa, comunque, l’emissione di una fattura elettronica nei confronti di soggetti non stabiliti, indicando nel codice destinatario sette «X» o sette «0», a seconda che l’intestatario della fattura elettronica sia, rispettivamente, il rappresentante fiscale o – tramite identificazione diretta – il soggetto non stabilito. Emettendo la fattura elettronica, non è più obbligatorio compilare l’esterometro.
Un ulteriore elemento degno di nota riguarda l’individuazione delle operazioni da rilevare in ogni singolo mese, che si basa sulla data del documento emesso o su quella di ricezione del documento comprovante l’operazione. Per data di ricezione deve intendersi la data di registrazione dell’operazione ai fini della liquidazione Iva.
Pertanto, nei rapporti con soggetti non residenti, l’assolvimento dell’imposta richiede spesso da parte del cessionario/committente stabilito in Italia il meccanismo dell’inversione contabile, anche con la predisposizione di un’autofattura; e dunque, il termine di riferimento per la compilazione dell’esterometro non può che essere il termine ultimo per la predisposizione di tale documento.
Diversamente, negli acquisti effettuati presso un operatore comunitario, la data di riferimento è la data di ricezione della fattura da cui derivano tutti gli adempimenti Iva per assolvere l’imposta.

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Il reato prescritto obbliga a revocare il sequestro di beni

8 March 2019

Il Sole 24 Ore 19 FEBBRAIO 2019 di Laura Ambrosi

Corte di Cassazione

Il provvedimento deve essere contestuale alla pronuncia del giudice

Se il reato tributario è prescritto, il giudice che rileva l’estinzione del delitto deve revocare anche il sequestro o la confisca per equivalente disposta sui beni riconducibili all’imprenditore.
A confermare questo principio è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza 7260 depositata ieri.
Alcuni imprenditori ritenuti amministratori di fatto e di diritto di una società venivano condannati in primo grado per dichiarazione infedele dei redditi e occultamento di scritture contabili. Conseguentemente era disposta la confisca per equivalente dei beni precedentemente sequestrati.
La corte di appello, adita dagli imputati, riformava la pronuncia in quanto rilevava l’intervenuta prescrizione del reato di dichiarazione infedele e quindi diminuiva la pena precedentemente irrogata, ma confermava la confisca disposta sui beni in sequestro appartenenti a uno dei due imprenditori.
Era così proposto ricorso per cassazione lamentando tra l’altro che stante la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, essa non poteva essere confermata, come aveva erroneamente affermato la corte territoriale, una volta esclusa la rilevanza penale del fatto per intervenuta prescrizione.
I giudici di legittimità hanno accolto questo motivo di impugnazione: dichiarando il proscioglimento dell’imputato per il reato di dichiarazione infedele stante l’intervenuta estinzione per prescrizione del delitto, la corte di Appello oltre a rideterminare la pena da irrogare doveva anche revocare l’avvenuta confisca dei beni sequestrati
In altre parole il giudice nel momento in cui rileva l’intervenuta prescrizione non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che hanno costituito il prezzo o il profitto del reato.
Di conseguenza se dichiara l’estinzione del reato per prescrizione deve contestualmente revocare la confisca per equivalente, essendo venuto meno il sequestro cautelare per effetto della decisione, e disporre la restituzione all’avente diritto dei beni erroneamente vincolati
La sentenza è interessante perché i procedimenti per reati tributari si caratterizzano di sovente sia per il sequestro per equivalente, nella fase delle indagini preliminari, nei confronti dell’imprenditore di un importo pari al profitto del reato, sia per la loro (non rara) estinzione per intervenuta prescrizione.
In queste ipotesi la Cassazione chiarisce in modo netto che la confisca, e quindi il precedente sequestro, diventa illegittima e deve essere disposta la restituzione dei beni.

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Licenziamento esteso ai fatti extra-lavoro

8 March 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 25 FEBBRAIO 2019 di Marcello Floris

CONTENZIOSO

Il comportamento estraneo alla prestazione può ledere la fiducia del datore

Contano anche le azioni commesse in passato o in altri periodi professionali

Le condotte estranee all’attività lavorativa che il lavoratore ha tenuto persino prima dell’assunzione possono essere tali da giustificare il licenziamento per giusta causa. È quanto ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 428 del 10 gennaio 2019. Nel caso specifico, un dipendente, già licenziato in seguito a un procedimento penale, era stato riassunto dopo un accordo conciliativo, ma poi era stato raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare per fatti differenti, sempre commessi prima del nuovo rapporto. Il lavoratore è stato dunque licenziato di nuovo e il suo ricorso è stato infine respinto dalla Corte.
Analogamente, con la sentenza 4804 del 19 febbraio 2019, la Corte ha ritenuto che una condotta gravemente lesiva delle norme dell’etica e del vivere civile possa costituire giusta causa di licenziamento, anche se il riflesso sul rapporto di lavoro è solo potenziale.
La lesione del vincolo fiduciario
Da sempre la giusta causa di licenziamento si verifica quando è irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario che è alla base del rapporto di lavoro. La fiducia è quindi condizione per la permanenza del rapporto e può essere compromessa non solo da specifici inadempimenti contrattuali, ma anche da condotte extralavorative che, non riguardanti direttamente l’esecuzione della prestazione, possano comunque ledere il vincolo fiduciario, qualora abbiano un riflesso sulla funzionalità del rapporto e compromettano le aspettative di un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa.
I comportamenti passati
Sulla base di questo ragionamento – secondo la Corte – a maggior ragione ha rilevanza la condotta tenuta dal lavoratore in un precedente rapporto, tanto più se omogeneo a quello in cui il fatto viene in considerazione. In questo caso, può essere riconosciuta una giusta causa di licenziamento, poiché essa non si riferisce solo alla condotta disciplinare, ma anche a quella che, estranea al rapporto lavorativo, si riveli incompatibile con il permanere di quel vincolo fiduciario sul quale lo stesso si fonda.
Le condotte extralavorative che possono essere rilevanti ai fini dell’integrazione della giusta causa di licenziamento riguardano tutti gli ambiti nei quali si esplica la personalità del lavoratore e non devono essere necessariamente successive all’instaurazione del rapporto, sempre che si tratti di comportamenti appresi dal datore dopo la conclusione del contratto e non compatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate.
Il rilievo disciplinare
Con la sentenza 21958 del 10 settembre 2018, la Cassazione aveva ritenuto che anche una condotta illecita extralavorativa del prestatore potesse avere rilievo disciplinare, e pertanto anche dar luogo alla più grave delle sanzioni, poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche a evitare, fuori dell’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da compromettere il rapporto fiduciario. Tuttavia, in quel caso, la Corte ha ritenuto che tali principi non fossero applicabili nel caso di maltrattamenti nei confronti di familiari da parte del dipendente, anche se accertate con sentenze penali di condanna, poiché costui non aveva mai tenuto comportamenti aggressivi o violenti in ambito lavorativo.
Con la sentenza 30328 del 18 dicembre 2017, invece, la Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento di un lavoratore, condannato penalmente per avere indotto alla prostituzione una sua collega di lavoro in condizioni di minorazione psichica. I principi applicati sono simili a quelli già illustrati.
La condotta illecita extralavorativa può avere rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non mettere in atto, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso. Nel caso specifico, la condotta complessiva del lavoratore era stata ritenuta di gravità tale da rescindere con effetto immediato il vincolo fiduciario.
Come si vede da questo rapido excursus la giurisprudenza ha applicato con costanza, sostanzialmente, gli stessi parametri interpretativi.
Gli esiti però sono variati in modo significativo, in seguito alla differente valutazione che i giudici hanno dato della condotta di ciascun lavoratore e dell’impatto che la stessa ha avuto sul vincolo fiduciario e, conseguentemente, sul rapporto di lavoro.

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Circolare 1 e Circolare 2 – 2019 Ufficio Attività Economiche – Disposizione in materia di e-commerce – Modifiche alla L 58 del 29 maggio 2013

13 February 2019

Si ricorda che  entro il 1 Marzo 2019 gli operatori economici titolari di attività commerciali condotte tramite comunicazioni elettroniche, devono rimuovere dal proprio sito di E-commerce il marchio identificativo (logo E-Commerce) come stabilito dalla Circolare nr 1/2019 Ufficio Attività Economiche

e dalla Circolare nr 2/2019 Ufficio Attività Economiche

che si allegano. Il mancato rispetto della norma  comporta una sanzione pari a € 500,00 e trascorsi ulteriori 30 giorni dal termine di cui sopra, l’inibizione alla vendita a mezzo commercio elettronico.

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Legge 25 Gennaio 2019 nr 15

13 February 2019

– Norme in materia di imprese e settori innovativi, di residenza semplificata, di residenza per motivi economici, di permesso di soggiorno per motivi imprenditoriali, di facilitazione delle attività economiche ed in materia di attività varie d’impresa.

Si allega il testo completo

Legge 25 Gennaio 2019 nr 15

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Triangolazione Iva, non imponibilità a maglie più larghe

11 May 2018

Il Sole 24 Ore 20 Aprile 2018 di Anna Abagnale e Benedetto Santacroce
Corte Ue. La tassazione degli scambi interni
Si resta nell’ambito di una triangolazione comunitaria qualora il primo cessionario risieda e sia identificato ai fini Iva nello Stato membro dal quale i beni siano spediti o trasportati ma utilizzi, ai fini dell’acquisto intraUe, un numero di identificazione Iva di un altro Stato membro. Inoltre, non può venir meno la non imponibilità dell’acquisto intraUe realizzato ai fini di una successiva cessione verso un altro Stato membro, per una presentazione non tempestiva dell’Intrastat.
La pronuncia di ieri della Corte di giustizia Ue (sentenza 19 aprile 2018, causa C-580/16), ripassando all’esame la corretta tassazione degli scambi interni all’Unione, è il sintomo di come tale disciplina non sia stata ancora interiorizzata appieno dagli ordinamenti degli Stati membri.
Al riguardo, è fuori discussione che se, ad esempio, un operatore italiano acquista beni da un soggetto passivo residente in Olanda, dando incarico a quest’ultimo di consegnarli direttamente al proprio cliente residente in Grecia, l’italiano rispetto al fornitore olandese pone in essere un acquisto intraUe non imponibile Iva, in quanto i beni acquisiti sono oggetto di una cessione intraUe. Il salto della tassazione in capo al soggetto intermedio (primo cessionario/secondo cedente) è quindi ammesso a condizione che il secondo (e ultimo) cessionario abbia l’obbligo di tassare nel proprio territorio l’operazione.
Ma cosa succede se il primo e il secondo cedente coincidono? Ovvero, cosa succede se l’operazione non coinvolge tre diversi soggetti registrati ai fini Iva in tre diversi Stati membri, ma due partite Iva della stessa società ed un terzo? Può parlarsi ancora di triangolare comunitaria con gli effetti sopra menzionati?
È esattamente questo il caso posto all’attenzione dei giudici europei, che hanno colto l’occasione per sottolineare come spesse volte occorre andare oltre la lettera della norma ed analizzarla nell’intero complesso e secondo gli scopi perseguiti dal diritto dell’Unione.
Se così non fosse, la semplice lettura dell’articolo 141, lettera c) della direttiva Iva impedirebbe la detassazione della prima operazione della triangolare descritta, in quanto la norma richiede che i beni oggetto dell’acquisto intraUe siano trasportati a partire da un Stato membro diverso da quello in cui il soggetto passivo è identificato, a destinazione del soggetto nei cui confronti questi effettui la cessione successiva.
Al contrario – conclude la Corte – attraverso un’interpretazione sistematica ed in linea con lo scopo di semplificazione delle disposizioni sul tema, la non imponibilità in capo al primo acquirente non può essere negata, senza generare disparità di trattamento e limitazioni all’esercizio delle attività economiche, per il solo motivo che tale soggetto sia identificato anche nello stato di partenza del trasferimento intraUe.

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Il segreto bancario non può coprire l’evasione fiscale

10 October 2017

Il Sole 24 Ore 19 Settembre 2017 di Alessandro Galimberti

LISTA FALCIANI? SENTENZA DEL TRIBUNALE FEDERALE

«Il segreto bancario non ha lo scopo di proteggere l’evasione fiscale commessa all’estero». Se a vergare questa sentenza è un tribunale svizzero – quello Federale, massima istanza del paese, l’equivalente della nostra Cassazione – significa che il vento lassù è davvero cambiato.
La causa che segna il punto di non ritorno tra il vecchio mondo alpino e il nuovo è quella che opponeva una signora argentina e i figli, tutti con domicilio fiscale in Italia, e banca Hsbc, quella diventata famosa per il furto + vendita di file al fisco francese da parte dell’ex dipendente Hervè Falciani (condannato per questo a 5 anni di carcere dal tribunale di Bellinzona). Nei primi due gradi mamma e figli avevano ottenuto «parziale ragione» dal pretore di Lugano e poi dall’appello ticinese: banca responsabile della mancata protezione dei dati, quindi clienti risarciti per la mancata adesione allo scudo fiscale-ter (i fatti accadono nel 2010) e per le imposte, sanzioni e interessi pagati alle Entrate, 40mila euro.
Ora però la cassazione svizzera inverte l’ordine causale: se i ricorrenti hanno versato quell’amaro importo, peraltro piccola frazione dei loro depositi in Hsbc, è perché – e solo perché – hanno scelto di non pagare le tasse là dove avrebbero dovuto, in Italia. Quindi c’è stato certamente un danno, ma chi è causa del suo mal non guardi alla banca, appunto perché il segreto bancario non tutela l’evasore, sicut dixi.
La sentenza (per la cronaca la 4A_21/2017 dell’udienza 29 giugno 2017) farà la storia del costume, prima ancora che della giurisprudenza, ma va letta anche per i riflessi che potrà avere sulle cause gemelle, centinaia, aperte a Lugano per le polizze Credit Suisse Life Bermuda (si veda da ultimo Il Sole 24 Ore del 1° settembre scorso). Qui i clienti lamentano la “stangata” per non aver potuto accedere alla voluntary disclosure/1 dopo che la Gdf aveva trovato i loro nomi (13mila) in un ufficio di Milano, e gli interessati non erano stati avvisati. Ma non è detto che Credit Suisse meriterà la clemenza riservata dalla corte a Hsbc: «La vicenda è parzialmente diversa – dice l’avvocato ticinese Paolo Bernasconi, che patrocina decine di clienti “Life Bermuda” – perchè non puntiamo a dimostrare la mancata custodia dei dati, ma piuttosto la erronea e cattiva consulenza: agli investitori veniva detto che quelle polizze erano sostanzialmente fuori dall’imponibile, cioè fiscalmente esenti. Così invece non era», come hanno scoperto i tanti che a Natale di 3 anni fa vennero raggiunti dagli avvisi di accertamento velocemente notificati dalla Gdf e dalle Entrate: il 1° gennaio infatti apriva la sanatoria vd/1, che fu invece impedita a molti dei 13 mila “Life Bermuda”.

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La società svizzera «paga» l’inerzia del rappresentante

10 July 2017

Il Sole 24 Ore 26 Giugno 2017  di Ferruccio Bogetti e Gianni Rota

Imposte indirette. Se il mandatario italiano omette dichiarazioni e liquidazioni Iva

Per inadempienze e mancato ricorso contro gli avvisi risponde la società

La società svizzera risponde delle imposte accertate con atti notificati al rappresentante fiscale italiano. Questi è destinatario di tutti gli atti tributari quale mandatario, nonché solidamente responsabile. Né rilevano per il giudice eventuali responsabilità interne al rapporto fiduciario tra la società estera e il suo rappresentante, se quest’ultimo non impugna gli avvisi e li lascia diventare definitivi. Queste le conclusioni della sentenza 1863/01/2017 della Ctr Lombardia (presidente Labruna, relatore Aondio).
Il 9 marzo 2010 il Fisco eleva un Pvc a una società svizzera con rappresentante fiscale in Italia. Dal 2005 al 2010 tramite il rappresentante, la società avrebbe svolto nel nostro Paese operazioni Iva senza tenere i registri, effettuare le liquidazioni e presentare le dichiarazioni Iva.
Il 29 aprile 2011 le Entrate notificano al solo rappresentante alcune rettifiche Iva, che questi non impugna. In seguito, il 7 novembre 2011 la società comunica la cessazione del rapporto di rappresentanza fiscale.
La società riceve poi in Svizzera i ruoli definitivi e impugna contro le Entrate e il concessionario della riscossione, spedendo il ricorso in busta anziché plico. Queste le ragioni del ricorso:
nessuna notizia della verifica;
ricezione degli atti non presso la sede legale, ma solo presso il rappresentante fiscale;
violazioni solo formali, perché l’effettuazione dei vari adempimenti Iva avrebbe fatto scaturire un credito anziché un debito Iva;
in ogni caso, violazioni imputabili all’inadempienza del rappresentante.
Il Fisco resiste e il concessionario chiede l’inammissibilità del ricorso presentato in busta chiusa anziché in plico. Tesi accolta dalla Ctp, mentre la Ctr pur confermando nel dispositivo la sentenza di primo grado, nella parte alta della decisione ammette che il ricorso possa anche essere spedito in busta chiusa, purché sia provata la data di invio.
La ragione per cui la Ctr dichiara inammissibile il ricorso è che il ruolo e la cartella non sono stati impugnati per vizi in senso proprio (ad esempio, la decadenza della formazione del ruolo o l’incompetenza territoriale del concessionario), ma solo per un vizio in senso lato, cioè l’omessa notificazione dell’atto presupposto. Ed è proprio questa presunta omissione che i giudici non considerano tale, e questo per due ragioni:
il Fisco italiano deve poter contare su un interlocutore nazionale quando il soggetto passivo è stabilito all’estero e il rappresentante è l’unico destinatario di tutti gli atti dell’amministrazione: è un mandatario sempre obbligato a identificare in Italia il soggetto estero rappresentato, che diventa responsabile in solido per i debiti tributari;
al giudice tributario non interessano le responsabilità interne al rapporto fiduciario tra società estera e il suo rappresentante fiscale, da far valere in altra sede.
In conclusione l’accertamento è ritualmente notificato e i ruoli definitivi notificati in Svizzera sono legittimi.

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