Il Cda fuori dall’Italia esclude l’esterovestizione

11 June 2019

Il Sole 24 Ore 29 MAGGIO 2019 di Laura Ambrosi

HOLDING

Conta la disponibilità di locali per gestione e amministrazione

I consigli di amministrazione e le assemblee dei soci tenute in territorio estero, dove la società dispone materialmente di locali necessari per la gestione di partecipazioni, escludono la residenza in Italia della holding estera, ed impongono un’approfondita valutazione dei giudici di merito prima di ritenere sussistente un’ipotesi di esterovestizione.

A fornire queste indicazioni è la Cassazione con la sentenza 14527 depositata ieri. Ad una holding olandese veniva negato il rimborso delle ritenute operate in Italia in sede di distribuzione di dividendi da parte dalla propria controllata. L’agenzia delle Entrate, infatti, a seguito di un controllo sostanziale riteneva che la società olandese fosse stata fittiziamente costituita in Olanda allo scopo di beneficiare del regime agevolato di tassazione dei dividendi previsto dalla Convenzione tra Italia e Paesi Bassi sulle doppie imposizioni e del regime di esenzione dei dividendi delle imposte vigente in Olanda.

L’impresa, pertanto, non possedeva i requisiti per ottenere il rimborso delle ritenute sui dividendi. L’ufficio emetteva conseguentemente provvedimento di diniego dell’esenzione con richiesta di restituzione del rimborso delle ritenute. La società impugnava l’atto davanti alla Commissione tributaria provinciale, che accoglieva il gravame per intervenuta decadenza del potere di recupero dell’ufficio. L’agenzia appellava la decisione di primo grado. I giudici di appello ritenevano innanzitutto tempestiva la pretesa dell’ufficio e poi affermavano la fondatezza della tesi dell’effettiva residenza in Italia della società olandese.

In particolare, evidenziavano che dalle indagini svolte era emersa la residenza in Italia e nel Regno Unito degli amministratori della società estera. Essa, inoltre, non svolgeva alcuna attività economica e non aveva la sede di direzione effettiva in Olanda. A questo scopo, non risultava sufficiente che la società fosse stata costituita secondo le leggi di uno Stato estero.

La contribuente ricorreva per cassazione lamentando, tra l’altro, l’insufficiente motivazione in ordine all’asserita esterovestizione della società, trascurando gli elementi contrari forniti dalla difesa. La Cassazione ha accolto il ricorso, rilevando che i giudici di appello si siano limitati a sostenere l’effettiva sede in Italia sulla base della residenza nel nostro Paese e nel Regno Unito degli amministratori e sull’attività svolta dalla società, consistente nella mera gestione di pacchetti azionari.

Secondo la Corte, la residenza italiana o inglese degli amministratori della holding non è di per sé sintomatica dell’ubicazione della sede dell’amministrazione effettiva in Italia più di quanto non lo sia l’ubicazione della sede amministrativa effettiva in territorio inglese. Inoltre, lo svolgimento della mera attività di gestione dei pacchetti azionari è connaturata alla natura di holding della società,

La sentenza rileva così che i giudici di secondo grado non hanno esaminato le allegazioni difensive in ordine all’effettiva amministrazione in Olanda della società, dove peraltro avevano luogo sia i consigli di amministrazione, sia le assemblee dei soci. Inoltre nei Paesi Bassi la società aveva la materiale disponibilità dei locali necessari per lo svolgimento dell’attività di amministrazione e gestione. Da qui l’accoglimento del ricorso e il rinvio per un nuovo giudizio alla Ctr.

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Exit tax non solo sui cambi di residenza delle imprese

11 June 2019

Il Sole 24 Ore 22 MAGGIO 2019 di Marco Piazza

STABILI ORGANIZZAZIONI

Tassa dovuta anche per spostamenti in caso di fusioni e scissioni

Fanno eccezione i trasferimenti di aziende in neutralità fiscale

L’imposizione in uscita (exit tax) delle plusvalenze latenti nel momento in cui un’impresa residente o una stabile organizzazione di impresa non residente trasferisce all’estero, senza corrispettivo, aziende o rami d’azienda o singoli beni d’impresa, trova una sua organica disciplina nel nuovo articolo 166 del Testo unico, di attuazione dell’articolo 5 della direttiva 2016/1164.

La norma, ora, non riguarda più solo il trasferimento all’estero della residenza della società, ma anche:

gli eventuali trasferimenti di attività in occasione di fusione o scissione di una società residente in Italia in una società non residente o di conferimento di una stabile organizzazione all’estero a società non residente;

i trasferimenti di attivi a una stabile organizzazione all’estero in regime di «branch exemption» (ex articolo 168-ter del Testo unico);

i trasferimenti all’estero di attivi di una stabile organizzazione in Italia oppure dell’intera stabile organizzazione.

Sono però effettuati in regime di neutralità fiscale (ex articolo 179 del Tuir):

i trasferimenti di attivi, aziende e rami d’azienda che, in occasione di operazioni di fusioni e scissione fra società Ue non appartenenti a uno stesso Stato, confluiscono in una stabile organizzazione in Italia (già esistente o neo costituita) di una beneficiaria residente nella Ue o in una società residente in Italia;

i trasferimenti di aziende e rami d’azienda che, in occasione di operazioni di conferimento fra società Ue non appartenenti a uno stesso Stato, confluiscono in una stabile organizzazione in Italia (già esistente o neo costituita) di una beneficiaria residente nella Ue o in una società residente in Italia.

Peraltro, la neutralità dei trasferimenti di attivi riguarda anche:

le fusioni e scissioni non disciplinate dall’articolo 179 (fra società residenti in uno stesso Stato Ue o con beneficiaria extraUe) sempreché, secondo la legge regolatrice dell’operazione, il beneficiario «succeda a titolo universale» nella titolarità dei diritti e degli obblighi già facenti capo alla società fusa o scissa e, gli attivi confluiscano in una stabile organizzazione in Italia della società beneficiaria (articoli 172 e 173 del Tuir e Dre Emilia Romagna, 21 febbraio 2000, n. 8996; Assonime, circolare 51 del 2008, paragrafo 32; risoluzioni 42 e 470 del 2008)

trasferimenti di aziende o rami d’azienda in occasione di conferimenti non disciplinati dall’articolo 179 (fra società residenti in uno stesso Stato Ue oppure alcuna delle quali sia extraUe) sempreché il conferimento abbia ad oggetto aziende situate in Italia (articolo 176 del Tuir).

Il caso di trasferimento di una stabile organizzazione all’estero da una società residente a una società non residente che avvenga nell’ambito di un trasferimento di residenza all’estero o di una fusione, scissione o conferimento presenta una particolarità: se la beneficiaria risiede nella Ue e anche la stabile organizzazione si trova nella Ue, il dante causa, pur essendo soggetto all’imposizione in uscita, beneficia del cosiddetto notional tax credit di cui all’articolo 179, commi 3 e 5, del Testo unico (interpello 73 del 2018 conforme alla sentenza della Corte di giustizia Ue C-292/16). Il notional tax credit non spetta, invece, quando la stabile organizzazione non si trovi nella Ue o sia trasferita a un soggetto extraUe (Assonime, circolare 51 del 2008, paragrafi 1.3.3 e 2.4).

Nel caso in cui – nell’ambito di una fusione, scissione o conferimento – una stabile organizzazione all’estero venga trasferita da una società residente a altra società residente, la neutralità del trasferimento è assicurata dagli articoli 172, 173 e 176 del Testo unico che si applicano a prescindere dalla localizzazione dell’azienda (Assonime, circolare 51 del 2008, paragrafo 1.3.3).

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Crolla l’appeal per i capitali esteri

11 June 2019

Il Sole 24 Ore 11 MAGGIO 2019 di Morya Longo

l’indice aibe-censis

Per il 60% degli investitori l’Italia nel corso del 2018 è diventata meno attraente

L’asfissiante peso della burocrazia e dell’apparato normativo. I tempi biblici della giustizia civile. L’efficacia dell’azione di Governo. Per gli investitori internazionali – ascoltati dall’Aibe con il Censis – sono soprattutto questi nodi a rendere l’Italia poco “sexy”, ai loro occhi, per gli investimenti industriali. Così poco da relegare il Paese all’ottavo posto tra le maggiori economie mondiali per la capacità di attirare gli investitori. Dopo la Spagna, meglio solo di Brasile e Russia. «Il Paese è poco attraente per chi vuole fare investimenti perché ha problemi strutturali che lo penalizzano», osserva il presidente dell’Associazione italiana banche estere, Guido Rosa. «Problemi che l’Italia si trascina da anni». Problemi che andrebbero affrontati.

Mentre in tanti guardano ai mercati finanziari e allo spread tra BTp e Bund per misurare l’opinione che gli investitori hanno dell’Italia, l’Aibe Index è andato a censire uno «spread» ancora più importante: quello degli investimenti industriali. Quello che spinge le industrie estere ad aprire uno stabilimento, un ufficio o un sito produttivo in un Paese piuttosto che in un altro. Ebbene: l’Italia, tra i principali Paesi del mondo, è quasi il fanalino di coda. L’indicatore di attrattività Aibe-Censis è infatti sceso quest’anno a 42,9 (su una scala che va da zero a 100), rispetto a 43,3 del 2018. Se si confronta il sondaggio di quest’anno con quello del 2018, si scopre infatti che diminuisce dal 31% al 6,3% la percentuale di investitori industriali che ritiene più attraente l’Italia, mentre aumenta in maniera clamorosa (dal 16,7% al 60,4%) la percentuale di chi ritiene che il Paese sia diventato meno attraente.

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