Giganti del web, tassa al 3% del fatturato

11 April 2018

Il Sole 24 Ore 22 Marzo 2018 di Beda Romano

La proposta della Commissione: l’aliquota sarà applicata nei Paesi europei a livello nazionale

Bruxelles
A dispetto delle critiche degli uni e dello scetticismo di altri, la Commissione europea ha presentato ieri qui a Bruxelles nuove soluzioni per affrontare la questione della tassazione dell’industria digitale. Il pacchetto di proposte prevede tra le altre cose la controversa tassazione del fatturato delle imprese digitali a livello nazionale. La strada del provvedimento è tutta in salita. La stessa Business Europe è critica dell’iniziativa, così come alcuni stati membri.
«Le regole attuali non permettono ai Paesi membri di tassare correttamente le imprese digitali in Europa quando queste non hanno presenze fisiche – ha spiegato il commissario agli affari monetari Pierre Moscovici –. Questa situazione rappresenta un buco nero per gli stati membri, buco nero che aumenta sempre più poiché si riduce la base imponibile. Ecco il motivo per cui oggi proponiamo una nuova norma giuridica e una tassa provvisoria applicabile a tutte le attività digitali».
Due quindi le proposte, come anticipato dalle informazioni circolate nei giorni scorsi qui a Bruxelles (si veda Il Sole 24 Ore del 16 marzo). La prima struttuale di lungo termine. La seconda di breve termine e temporanea, in attesa di una intesa internazionale. Cominciamo dalla prima. Per decenni, la tassazione societaria è avvenuta sulla base dei profitti generati in un dato paese per via della presenza fisica dell’azienda in quello Stato. Per sua natura, l’industria digitale non ha frontiere.
Di conseguenza, la Commissione propone tre criteri in alternativa l’uno all’altro per giudicare la presenza fisica di una azienda digitale: almeno sette milioni di euro di fatturato annuale in un paese membro; almeno 100mila utilizzatori in un paese membro durante un dato esercizio fiscale; almeno 3.000 contratti commerciali sempre in un dato paese membro. «Le nuove regole modificherebbero il modo in cui i profitti aziendali sono attribuiti ai paesi membri», spiega la Commissione.
In attesa che questo paradigma sia accettato a livello globale, Bruxelles propone fin da ora di tassare nell’Unione il fatturato nazionale delle singole imprese digitali, generato dalla vendita pubblicitaria, dalle attività di intermediazione, dalla vendita di dati personali. Tassate sarebbero le imprese con un fatturato di 750 milioni di euro o più a livello mondiale e di 50 milioni di euro o più a livello europeo. Il commissario Moscovici ha smentito che la nuova tassa sia diretta contro i giganti Internet americani.
Fredda Emma Marcegaglia, presidente di Business Europe: «È importante avere un accordo internazionale sulla tassazione delle imprese digitali, l’Europa non può procedere su questo da sola (…) Noi non vogliamo difendere nessuno in particolare, ma se stiamo (…) alle pratiche internazionali, a essere tassati sono i profitti non il fatturato. È questa regola che dobbiamo difendere». Viceversa il gruppo parlamentare dei Verdi a Strasburgo ha detto di «sostenere gli sforzi» di Bruxelles.
Secondo l’esecutivo comunitario, la nuova imposta – con una aliquota del 3% – potrebbe generare fino a cinque miliardi di euro di gettito fiscale. Bruxelles spiega che la proposta non viola regole sulla doppia tassazione e permette di evitare la segmentazione del mercato unico attraverso l’emergere di iniziative unilaterali (come in Italia, in Slovacchia e in Ungheria). Attualmente, in Europa, le imprese digitali vengono tassate con una aliquota media del 9,5%, rispetto al 23,2% di una società tradizionale.
In Europa, il tema fiscale è spesso fonte di tensioni. I progetti legislativi in questo campo richiedono l’unanimità dei Ventotto. «In mancanza di un consenso globale (…) dobbiamo avanzare a livello europeo, trovando un accordo su un approccio coordinato per garantire l’integrità del mercato unico», hanno scritto in un comunicato Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito. Altri paesi, come l’Irlanda, sono contrari. Si fa già strada l’idea di una cooperazione rafforzata; con quanto successo non è chiaro.

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Soglia «mondiale» per chi opera in Svizzera

11 April 2018

Il Sole 24 Ore lunedì 19 Marzo 2018 di Davide Cagnoni e Angelo D’Ugo

La novità. Dal 1° gennaio 2018 le imprese estere sono soggetti passivi se il fatturato globale supera i 100mila franchi

A partire dal 1° gennaio 2018 tutte le imprese estere, comprese quindi anche le italiane, che svolgono attività in Svizzera sono ivi considerate soggetti passivi Iva se il loro fatturato annuo, inteso come fatturato realizzato sia in Svizzera sia nel resto del mondo supera i 100.000 franchi (circa 85.500 euro).
Non rileva più, quindi, come accadeva fino al 31 dicembre 2017, il volume d’affari realizzato sul territorio elvetico, ma quello prodotto a livello mondiale, con l’evidente conseguenza che saranno molto più numerose le imprese tenute a identificarsi come contribuenti e versare l’Iva in Svizzera mediante la nomina di un rappresentante fiscale.
L’obbligo riguarda sia le prestazioni eseguite in Svizzera tramite contratti d’appalto sia le fattispecie nelle quali, al di fuori di un contratto d’appalto, il fornitore consegni il bene solo dopo la lavorazione sul territorio svizzero (ad esempio consegna, dopo il montaggio, di macchinari, finestre o di impianti di areazione o, più in generale, consegna di beni importati con montaggio sul territorio svizzero in occasione di lavori di manutenzione di edifici).
La partita Iva in Svizzera si ottiene con la nomina, mediante procura scritta, di un rappresentante fiscale (persona fisica o giuridica) con domicilio o sede in Svizzera.

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