Web tax all’italiana con una platea ampia

16 Gennaio 2018

Il Sole 24 Ore 13 Dicembre 2017 di Marco Mobili e Marco Rogari

Il fronte interno. Il principio della stabile organizzazione è il cardine della norma in legge di Bilancio

Roma
La territorializzazione di Facebook ai fini fiscali non spiazza la nuova web tax spinta dal Parlamento italiano con la legge di Bilancio. Proprio il principio della stabile organizzazione è il cardine dell’emendamento “Mucchetti” che è stato approvato al Senato e che ora la Camera punta a rendere ancora più efficace.
Stabile organizzazione che nel testo licenziato da Palazzo Madama è in linea con quanto deciderà l’Ocse e con il progetto Beps che ha visto tra i suoi promotori proprio l’amministrazione finanziaria e il governo italiano. Già la scorsa primavera, poi, il Parlamento aveva introdotto nella manovrina correttiva una sorta di web tax transitoria che poggiava tutta sul riconoscimento per opzione della stabile organizzazione in Italia. Era però il momento in cui la procura di Milano aveva acceso i riflettori sui big della digital economy come Google, Apple e Amazon. Per Sergio Boccadutri (Pd) è «corretto affrontare la questione sotto il profilo della stabile organizzazione, diversamente ogni formula di digital tax che discrimini tra on line e off line ha il solo effetto di penalizzare utenti e imprese».
Con l’emendamento che la maggioranza, e in particolare il relatore della legge di Bilancio e presidente della Commissione, Francesco Boccia (Pd), potrebbe depositare nelle prossime ore alla Camera, è da rivedere soprattutto la platea dei soggetti che, privi di una territorializzazione nel nostro Paese, saranno chiamati comunque a versare nelle casse dell’Erario italiano la cedolare 6% sui ricavi. L’obiettivo dichiarato è quello di estendere la web tax made in Italy a tutte le prestazioni: da quelle di servizi alle cessioni di beni, e-commerce incluso. Un ampliamento della base imponibile che potrebbe far lievitare gli incassi per lo Stato anche tagliando drasticamente l’aliquota del prelievo. Dalle simulazioni effettuate su una estensione anche alle transazioni di beni e all’e-commerce, una web tax all’1% garantirebbe oltre 600 milioni di euro contro i 114 milioni stimati dalla Ragioneria con l’attuale versione di web tax uscita dal Senato.
L’estensione all’e-commerce, inoltre, sarebbe in linea con le nuove regole su cui i 27 Paesi dell’Europa sarebbero pronti a sottoscrivere un’intesa in materia di Iva e del suo adeguamento alle evoluzioni del commercio elettronico, così come sull’estensione dell’utilizzo dello sportello unico e sull’esonero mirato per start-up e micro-imprese. Il tutto secondo un filo conduttore: tagliare gli spazi di elusione e le frodi.
Il vero nodo da sciogliere resta la decorrenza della nuova web tax. Il Senato ha fissato la data di decollo dal 1° gennaio 2019. Boccia dal canto suo non ha mai nascosto di voler anticipare il debutto della cedolare sul web quanto meno a partire dal secondo semestre del 2018. Il Governo dal canto suo, però, frena e non solo per adeguare e organizzare la macchina amministrativa chiamata a gestire un’imposta su centinaia di milioni di transazioni, ma anche perché tra indicazioni Ocse e decisione dell’Europa la data di partenza dovrebbe essere fissata al 2020. Un anno di anticipo è ritenuto più che sufficiente .

Doing business in San Marino

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