Vendite in nero, non va tralasciato il test sulle giacenze

7 Settembre 2020

Il Sole 24 Ore  24 agosto 2020 di Stefano Mazzocchi

CONTROLLI

Il giudice ha valorizzato anche il parere di una società di revisione

Qualora ritenga che siano state poste in essere vendite “in nero”, l’ufficio dovrebbe preoccuparsi anche di svolgere una verifica sulle movimentazioni fisiche intervenute sulle merci in giacenza: lo ha sottolineato la Ctr Lombardia con la sentenza 1222/6/2020, depositata il 24 giugno scorso (presidente Catania, relatore Chiametti).

Al riguardo occorre rimarcare la posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «la presunzione di cessione imponibile deve ritenersi operante non soltanto quando non sia rinvenuto il bene ma altresì nell’ipotesi di divergenza fra la consistenza riscontrata e quella dichiarata laddove anche, secondo l’id quod plerumque accidit, è ragionevole ritenere avvenuta la monetizzazione degli elementi patrimoniali non ulteriormente rientranti nella disponibilità del soggetto verificato» (sentenza 8852/2008).

L’assunto che precede appare confermato dalla quinta sezione tributaria della Suprema corte con la sentenza 22563/2012, secondo cui «il riscontro di differenze di magazzino, in sede di verifica, è idoneo a far presumere l’esistenza di ricavi corrispondenti alle merci non giacenti, indipendentemente dalla modestia o meno della differenza, in mancanza di normativa che preveda una soglia minima per l’esercizio del potere dell’ufficio di accertare una pretesa fiscale maggiore di quella dichiarata». Di tenore analogo anche la Cassazione 5869/2013, che ha confermato il principio secondo cui «le eventuali differenze quantitative, derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino (Dpr 600 del 1973, articolo 14, comma 1, lettera d)) o da altra documentazione obbligatoria e le consistenze delle rimanenze registrate, costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo (Cassazione 9628/2012)».

Sull’argomento giova ripercorrere altresì un passaggio della circolare 31/E/2006, laddove l’agenzia delle Entrate chiarì che, in presenza di differenze inventariali, «il verificatore è sempre chiamato a un’analisi complessiva della posizione economica, patrimoniale e gestionale dell’azienda controllata. Conseguentemente, se nel corso del controllo dovessero riscontrarsi le rettifiche contabili sopra descritte, sarà cura del verificatore non limitarsi alla ripresa a tassazione sic et simpliciter degli importi corrispondenti al valore delle predette differenze, ma esaminare il processo di formazione delle stesse e la loro natura fisiologica o patologica in relazione all’attività in concreto svolta dall’impresa e in relazione agli elementi e alle informazioni eventualmente forniti dal contribuente».

In altre parole: se è vero che le differenze in questione possono essere rilevate dal Fisco sulla base di un semplice controllo cartolare, è indubbio che non di rado la giurisprudenza di legittimità sembra essere andata oltre il dettato normativo, prescrivendo di fatto la necessità di una verifica “fisica” dei beni costituenti le rimanenze.

La pronuncia della Ctr in commento appare importante anche perché nell’occasione i giudici lombardi hanno respinto l’appello formulato dall’ufficio anche sulla base di un parere predisposto da una società di revisione: si tratta di un documento che – spiega la Ctr – anche se «può essere considerato di parte», «risulta essere completo ed esaustivo in quanto ha verificato parte della contabilità che andava ad interessare l’annualità (…)». Di conseguenza, «il contenuto contabile di tale elaborato peritale va a confermare le operazioni poste in essere dalla società stessa».

La pronuncia, quindi, rafforza quell’orientamento secondo cui il giudice tributario è tenuto a valorizzare anche le perizie tecniche di parte (Cassazione 11632/2017). Al riguardo si rammenta anche la Cassazione 31274/2018, secondo cui «la perizia di parte (tanto più nel processo tributario, nel quale esiste un maggiore spazio per le prove cosiddette atipiche), può (…) costituire fonte di convincimento del giudice, il quale può porla a fondamento della decisione, a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente».

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