Trasferimenti all’estero e fiscalità, rebus residenza per chi ha legami con più Paesi

8 Aprile 2022

Il Sole 24 Ore  21 Marzo 2022 di Alberto Crosti e Stefano Vignoli

A oltre due anni dall’inizio della pandemia da Covid-19 riparte il trend di crescita della mobilità delle persone fisiche e dei lavoratori, che comporta però complicazioni fiscali legate al trasferimento di residenza spesso non adeguatamente analizzate.
L’individuazione della residenza è infatti di fondamentale importanza: sulla base del worldwide principle taxation (articolo 3, comma 1, del Tuir), il residente fiscale italiano è tenuto a dichiarare, oltre a redditi e patrimonio in Italia, anche quanto prodotto o detenuto all’estero.

Per molti contribuenti con interessi diffusi in Italia e in altro Paese, la determinazione della residenza presenta ampi margini di incertezza, che non possono essere risolti attraverso istanze di interpello (Circolare 9/E/2016) ma richiedono un’analisi differenziata a seconda della presenza di Convenzioni contro le doppie imposizioni o dell’eventuale trasferimento in “paradisi fiscali”.

Fiscalità e requisiti per la residenza

La prima verifica richiede di individuare se ricorre uno dei tre criteri alternativi previsti dall’articolo 2, comma 2, del Tuir per determinare la residenza in Italia:
1.
 iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente,
2.
 domicilio
3.
 o residenza nel territorio dello Stato, ex articolo 43 del Codice civile.

Quando per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni, 184 se anno bisestile) è presente almeno uno dei tre requisiti, il contribuente è fiscalmente residente in Italia.

Così, chi ha legami con un Paese non legato all’Italia da accordo internazionale dovrà necessariamente assoggettare a imposizione il reddito mondiale a prescindere dall’eventuale utilizzo concomitante di tale criterio da parte dello Stato estero, con evidenti rischi di doppia tassazione.

Inoltre, sugli italiani che hanno trasferito la residenza in uno Stato non white list, grava l’onere di provare l’effettiva residenza estera (articolo 2, comma 2-bis, Tuir).

Nel caso invece, più frequente, in cui il contribuente risieda fiscalmente – in virtù delle legislazioni locali – in due Paesi “convenzionati”, opera il divieto di dual residence previsto dall’articolo 4 del modello Ocse. L’accordo pattizio è infatti norma speciale, sovraordinata alla legge nazionale: pertanto, le disposizioni concernenti le imposte sul reddito si applicano «fatti salvi gli accordi internazionali» (articolo 75 del Dpr 600/1973) e le disposizioni del Tuir si applicano in luogo dell’accordo internazionale soltanto se più favorevoli al contribuente (articolo 169 del Tuir).

Le regole con i Paesi convenzionati

In presenza di una Convenzione occorre infatti applicare la tie break rule per determinare l’unica residenza del contribuente sulla base di quest’ordine gerarchico:
● disposizione di abitazione permanente;
● centro degli interessi vitali;
● luogo di soggiorno abituale;
● nazionalità;
● accordo tra Stati.

Tenuto conto del tie break, il contribuente sarà residente nel Paese dove dispone di un’abitazione, e soltanto quando dispone di almeno un’abitazione in entrambi i Paesi si ricorrerà al criterio degli interessi vitali, siano essi di natura economica o sociale/affettiva/familiare. Questi ultimi tendono ad avere un peso maggiore nell’individuazione della residenza, secondo la prevalente giurisprudenza in Italia e nella Ue (Cgue C-262/99, Louloudakis).

Nell’ordine convenzionale emerge come il criterio del soggiorno per almeno 183 giorni, considerato preminente nel “sentire comune” di molti contribuenti, è determinante solo al terzo livello, quando gli interessi vitali sono diffusi in entrambi i Paesi convenzionati.
In presenza di Convenzione, infatti, la legge nazionale deve lasciare il passo e occorre determinare la residenza sulla base dell’accordo pattizio.

Il freno del requisito formale anagrafico

In quest’ottica lascia perplessi il filone giurisprudenziale che individua erroneamente la residenza italiana attribuendo presunzione assoluta alla mancata cancellazione all’anagrafe, a prescindere dall’effettivo trasferimento in un altro Stato convenzionato (da ultimo, ordinanza Cassazione 1355/2022).

Se la norma interna viene comparata alla regola convenzionale, sono evidenti i disallineamenti, in particolare in riferimento alla rilevanza dell’iscrizione all’anagrafe, requisito non richiesto in ambito convenzionale e sconosciuto a molti Paesi (si veda anche l’articolo «Residenza all’estero, Convenzione in campo se manca l’iscrizione all’Aire»).

Pertanto, alla luce delle ondivaghe sentenze di legittimità e della sempre più accentuata mobilità personale in ambito internazionale, sarebbe auspicabile una rivisitazione normativa che elimini o riduca la rilevanza del requisito formale anagrafico, come peraltro già avvenuto in tema di accesso ai regimi degli impatriati e dei ricercatori.

Doing business in San Marino

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