Stabile organizzazione, non rileva il conto intestato
3 Agosto 2018
Il Sole 24 Ore lunedì 16 LUGLIO 2018 di Stefano Mazzocchi
FISCO INTERNAZIONALE
A fare la differenza è «il concreto e abituale svolgimento dell’attività»
Non rileva la residenza in Italia o meno del rappresentante dell’impresa estera ai fini della stabile organizzazione. A fare la differenza, invece, è la sua presenza sul territorio nazionale e «il concreto e abituale svolgimento dell’attività» per conto della società straniera. Lo afferma la Ctr Emilia Romagna 217/11/2017 (presidente Pugliese, relatore Chierici).
A definire i contorni della stabile organizzazione in Italia dell’impresa estera sono i criteri definiti dell’articolo 162 del Tuir, che a sua volta distingue tra l’ipotesi «materiale» (commi da 1 a 5) e quella «personale» (commi da 6 a 8). Con riferimento a quest’ultima, in particolare, la norma prescrive i seguenti requisiti:
il soggetto presente in Italia – anche se non residente – conclude contratti in nome dell’impresa nel territorio dello Stato;
l’esercizio di tale attività deve risultare abituale;
i contratti conclusi devono essere diversi da quelli di acquisto di beni;
il soggetto non dev’essere un mediatore, un commissionario generale o un altro intermediario che goda di uno status indipendente.
Secondo i giudici emiliani la residenza rappresenta un elemento neutro, mentre è importante il «concreto e abituale svolgimento dell’attività» per conto della società estera, in linea con quanto indicato dal sesto comma del richiamato articolo 162, laddove si prevede che il soggetto in questione possa essere indifferentemente residente o non residente in Italia.
Inoltre, il fatto che una parte dei pagamenti effettuati dai clienti dell’impresa estera avvenga mediante accrediti sui conti italiani intestati al suo amministratore non è idonea a dimostrare lo svolgimento in Italia da parte di quest’ultimo di una effettiva attività “stabile”.
In linea con un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la Ctr ha infine affermato che in sede di verifica della sussistenza dei requisiti richiesti, occorre non soltanto adottare criteri di natura formale, ma anche analizzare questi aspetti sul piano sostanziale. La Cassazione 7682/2002 ha esteso il principio appena illustrato anche alla verifica dei requisiti relativi alla dipendenza e alla partecipazione alla conclusione di contratti in nome della società estera.
L’approccio è stato confermato anche nella recente sentenza 12237, depositata lo scorso 18 maggio, in cui la Suprema corte ha avuto modo di sottolineare che affinché si possa configurare una stabile organizzazione in Italia, occorre che un’entità sia in grado di produrre beni o prestare servizi, e quindi è richiesta una dotazione minima di personale e beni materiali. La pronuncia si fonda sull’articolo 5 del modello di convenzione contro le doppie imposizioni, sottoscritto in ambito Ocse, dedicato appunto al concetto di stabile organizzazione. Conclusione, questa, accolta anche dalla Corte di giustizia Ue.