Smart working oltreconfine, il fisco segue la residenza
11 Settembre 2023
In linea con i chiarimenti forniti nei recenti documenti di prassi, l’agenzia delle Entrate nella circolare 25/2023 di ieri, conferma che, ai fini dell’individuazione della residenza fiscale e dell’imponibilità dei redditi dei lavoratori in smart working, si devono applicare i criteri ordinari contenuti negli articoli 2 e 3 del Tuir.
Al contempo si devono ritenere superate le regole transitorie valide nel periodo emergenziale del Covid-19 in cui, solo con riferimento agli specifici accordi amministrativi interpretativi delle disposizioni contenute nell’articolo 15 del modello Ocse e a condizione di reciprocità, era possibile, in via eccezionale e provvisoria, considerare i giorni di lavoro svolti nello Stato di residenza come giorni lavorati nello Stato in cui ordinariamente era prestata l’attività lavorativa. Si tratta degli accordi Italia-Austria (concluso il 24/26 giugno 2020, applicabile alle attività lavorative svolte tra l’11 marzo 2020 e il 30 giugno 2022), Italia-Francia (concluso il 16/23 luglio 2020, applicabile dal 12 marzo 2020 fino al 30 giugno 2022), e dell’accordo Italia-Svizzera (concluso il 18/19 giugno 2020, applicabile ai lavoratori subordinati e frontalieri dal 24 febbraio 2020 al 31 gennaio 2023).
Dunque, ordinariamente, la modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, anche se in smart working, non incide sui criteri di determinazione della residenza fiscale. Secondo l’articolo 2, comma 2, del Tuir, ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti fiscalmente le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno o 184 giorni se anno bisestile) soddisfano anche una sola delle seguenti condizioni: sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio e/o la propria residenza, secondo quanto stabilito dal Codice civile.
L’accertamento dei presupposti diversi dal dato formale dell’iscrizione anagrafica, richiede un riscontro fattuale da svolgere caso per caso, al fine di poter valutare concretamente gli elementi che consentono di verificare il luogo di domicilio (quello in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi) o di residenza (la sua dimora abituale).
Pertanto è fiscalmente residente in Italia un lavoratore straniero che per la maggior parte dell’anno solare vive con la famiglia in Italia e da qui lavora in smart working per un datore di lavoro estero. Ciò, nonostante non risulti iscritto nelle anagrafi della popolazione residente. Analogamente, rimane residente la cittadina italiana trasferita all’estero, dove lavora in modalità agile, che abbia mantenuto l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta.
Con riferimento all’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni, l’Agenzia sottolinea che l’articolo 15 del modello Ocse, sostanzialmente recepito nelle convenzioni negoziate dall’Italia, prevede la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del contribuente, salvo l’attività lavorativa venga svolta nell’altro Stato contraente, nel qual caso l’imposizione è concorrente in entrambi i Paesi.
In coerenza con l’articolo 23 comma 1, lettera c), del Tuir, che considera prodotti in Italia «i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato», anche la disposizione convenzionale prevede che il lavoro dipendente si considera svolto nel luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente quando svolge la prestazione per cui è remunerato, a prescindere dalla circostanza che la manifestazione di tale lavoro abbia effetti nell’altro Stato contraente.