Se la società è un mero schermo risponde l’amministratore di fatto

8 Febbraio 2023

Il Sole 24 Ore 19 gennaio 2023 di Antonio Iorio

L’interpretazione rigida della Cassazione rischia però di violare il ne bis in idem

L’amministratore di fatto risponde delle maggiori imposte e delle relative sanzioni contestate alla società quando l’impresa è un mero schermo e la persona fisica ha un diretto interesse nei redditi percepiti.

A ribadire questa rigorosa interpretazione è la Corte di cassazione con la sentenza n 1358 depositata ieri.

In estrema sintesi all’amministratore di fatto di una srl ritenuta una mera cartiera veniva notificato quale autore delle violazioni l’accertamento di maggiori imposte emesso nei confronti della società.

Il giudice di primo grado e quello di secondo grado confermavano la legittimità della pretesa.

Nel ricorso per cassazione, l’amministratore di fatto lamentava tra l’altro la violazione dell’articolo 7 del Dl 269/1993 in base al quale le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica.

Secondo la Suprema Corte, che ha respinto il ricorso, l’applicazione di tale norma presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata. Solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore della violazione ma sia posta a carico in via esclusiva del diverso soggetto giuridico (società) quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore

Al contrario se il rappresentante o l’amministratore della società abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio viene meno la ratio giustificatrice del ripetuto articolo 7.

Secondo la sentenza anche ai fini della responsabilità del tributo è possibile, a determinate condizioni imputare i maggiori redditi (e anche l’Iva) all’amministratore di fatto.

Troverebbero, infatti applicazione le regole sull’interposizione fittizia a condizione che il ruolo dell’amministratore di fatto sia di tale rilevanza da comportare la traslazione del reddito realizzato dalla società alla persona fisica come se fosse stato prodotto da quest’ultimo

In tale contesto la prova che incombe sull’Amministrazione ha ad oggetto il totale asservimento della società all’interponente per dimostrare: a) la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte del reddito del soggetto imprenditoriale interposto; b) che il primo sia l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società.

La sentenza non affronta però un aspetto molto rilevante che conseguirebbe ad una simile interpretazione.

Attribuendo alla persona fisica maggiori imposte e soprattutto sanzioni riferibili alla società, essendo quest’ultima un mero schermo dell’amministratore, nella maggior parte dei casi si applicherebbe, allo stesso soggetto, per la medesima violazione, una doppia sanzione: tributaria e, di sovente, penale. Non a caso, la giurisprudenza, per escludere, in queste ipotesi, il divieto di ne bis in idem, ha dato rilevanza al differente soggetto colpito dalla sanzione: la tributaria alla società e la penale alla persona fisica. Applicando, invece in futuro, il principio contenuto nella sentenza la persona fisica verrebbe sanzionata due volte.

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