Scambio dati con filtro del giudice

8 Giugno 2017

Il Sole 24 Ore 17 Maggio 2017 di Stefano Oliva, Riccardo Padovan e Benedetto Santacroce

Corte Ue. Il vaglio giurisdizionale si può indirizzare sulla «prevedibile pertinenza» delle domande con l’indagine tributaria in corso

Ammissibile il controllo sulle richieste di informazioni fiscali provenienti da altri Stati

L’attivazione di una richiesta di cooperazione fiscale deve contenere gli elementi che consentano allo Stato richiesto di comprendere se la stessa rispetta tutti i vincoli di legittimità imposti dalle regole convenzionali; se ciò non risulta chiaro il diritto europeo deve garantire una reale tutela del contribuente. Questo principio è stato fissato dalla Corte di giustizia con la sentenza C-682/15 di ieri.
Il giudizio trae origine da una richiesta di informazioni inoltrata, in forza della direttiva 2011/16, dall’amministrazione finanziaria francese verso quella lussemburghese, conseguente ad una verifica circa la sussistenza dei requisiti previsti per l’esenzione della ritenuta alla fonte su un dividendo pagato da una società transalpina alla sua controllante lussemburghese.
A seguito di tale richiesta il fisco lussemburghese ingiungeva alla società controllante di fornire talune informazioni richieste dall’amministrazione francese; la società rispondeva omettendo i dati relativi ai propri soci ritenendo che tali informazioni non fossero «prevedibilmente pertinenti» – nell’accezione della direttiva 2011/16 – alla verifica fiscale posta in essere dalle autorità francesi.
A fronte del diniego, l’autorità fiscale lussemburghese irrogava una sanzione amministrativa, avverso la quale la società ricorreva al tribunale amministrativo; all’esito del quale i giudici di prime cure riducevano parzialmente la sanzione, respingendolo nel merito non ritenendo di doversi pronunciare sulla domanda di annullamento.
La società proponeva allora appello alla corte amministrativa di secondo grado adducendo il motivo che il diniego opposto dal tribunale amministrativo (in base alla norma interna lussemburghese) di verificare la fondatezza della decisione di ingiunzione, fosse lesivo del diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo, così come garantito dall’articolo 6 della Cedu. I giudici amministrativi hanno ritenuto di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte di giustizia la questione, sulla base del presupposto della rilevanza anche in tale ambito dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, che riflette i medesimi principi espressi dall’articolo 6 della Cedu.
La Corte, con la sentenza, ha in primo luogo ricondotto, ai sensi dell’articolo 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, le misure coercitive irrogate tra quelle che gli Stati membri adottano per assicurare il buon funzionamento della cooperazione amministrativa all’attuazione degli obblighi della Direttiva 2011/16.
La Corte ha altresì statuito che l’articolo 47 della Carta va interpretato nel senso che un soggetto, cui è stata inflitta una sanzione – per non aver ottemperato ad un’ingiunzione di fornire informazioni nel contesto dell’assistenza amministrativa in forza della Direttiva 2011/16 – ha diritto a contestare la legittimità della stessa con un ricorso giurisdizionale effettivo.
La Corte prosegue ricordando che tale decisione di ingiunzione può essere legittima (articolo 1, paragrafo 1, e articolo 5 della Direttiva 2011/16) qualora le informazioni richieste dall’autorità fiscale estera sono «prevedibilmente pertinenti», riflettendo, in tal modo, la medesima nozione utilizzata dall’articolo 26 del modello di convenzione Ocse.
Da ultimo la sentenza evidenzia che, per assicurare l’effettività di tale rimedio, il giudice nazionale deve essere competente sia a modificare quantitativamente la sanzione inflitta, sia a verificare la legittimità di tale decisione; per questo dovrà aver accesso completo alla richiesta di informazioni, indipendentemente dal suo carattere di segretezza. Viceversa il soggetto destinatario della richiesta non disporrà di un diritto di accesso completo, ma solamente alle informazioni minime previste dall’articolo 20, paragrafo 2, della Direttiva 2011/16, ovvero all’identità del contribuente coinvolto e al fine fiscale delle informazioni richieste.

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