Sanzioni alla società se non si prova il ruolo di amministratore di fatto
7 Marzo 2023
Il Sole 24 Ore 27 febbraio 2023 Marcello Maria De Vito
Mancando la dimostrazione della «gestione», il singolo risponde a titolo personale
Se un individuo ha usato l’ente come mero schermo viene punito «in proprio»
Qualora l’autore della violazione non abbia agito nell’interesse della società, ma abbia perseguito un interesse proprio o diverso da quello sociale, in tema di sanzioni tributarie non si applica l’articolo 7 del Dl 269/03, bensì la regola generale sulla responsabilità personale dell’autore della violazione. Sono questi i principi riaffermati dalla Cgt Lombardia con la sentenza n.411/11/2023 depositata lo scorso 3 febbraio (presidente Bonomi, relatore De Rentiis).
L’agenzia delle Entrate notificava a un contribuente un atto di contestazione per sanzioni riferibili a violazioni commesse da una cooperativa, ritenendo che fosse amministratore di fatto dell’ente. Il contribuente ricorreva alla Ctp che rigettava il ricorso. Impugnava quindi la sentenza eccependo che l’articolo 7 del Dl 269/03 pone le sanzioni esclusivamente a carico dell’ente, in assenza di prova della qualifica di amministratore di fatto.
La Corte rammenta che, secondo la regola generale, la sanzione colpisce la persona fisica autrice dell’illecito. L’articolo 7 del Dl in questione dispone che le sanzioni relative al rapporto fiscale della società sono esclusivamente a carico della persona giuridica. Il collegio osserva però che la norma eccezionale postula che l’autore della violazione abbia agito nell’interesse della società. Solo tale condizione giustifica la riferibilità della sanzione in via esclusiva all’ente. Qualora, invece, l’amministratore, di diritto o di fatto, abbia agito nel proprio interesse utilizzando la società quale schermo, viene meno la ratio giustificatrice dell’articolo 7 e si applica la regola generale sulla responsabilità personale dell’autore della violazione.
Precisato il quadro giuridico, la Corte puntualizza che se l’ufficio invoca la responsabilità dell’amministratore di fatto deve provare l’esercizio, in modo continuativo e significativo dei poteri tipici della qualifica. Come sottolineato dal collegio, nelle controdeduzioni d’appello l’Agenzia ha affermato che il ricorrente ha posto in essere atti gestori senza produrre però alcuna documentazione. Né dagli esiti dell’indagine penale poteva desumersi l’esercizio significativo dei poteri di amministratore. Pertanto, la Corte accoglie l’appello e annulla l’atto di contestazione.
Sul punto, recentemente, è intervenuta la Cassazione con la sentenza n.1358/2023 del 17 gennaio. La Suprema corte ha espresso il principio secondo il quale si considera soggetto interponente il soggetto che abbia gestito uti dominus una società di capitali e quest’ultima si considera soggetto interposto. Ne derivano conseguenze in tema di responsabilità sia per le imposte, sia per le sanzioni.
Sotto il primo profilo, si determina, ex articolo 37, comma 3, Dpr 600/73, la traslazione del reddito d’impresa al soggetto interponente e delle relative imposte da quest’ultimo dovute in quanto effettivo possessore del reddito. In tema di sanzioni, invece, i giudici di legittimità hanno puntualizzato che non ha rilievo il rapporto fiscale della società, bensì ha rilievo il rapporto fiscale che fa capo al soggetto interponente. Ne consegue che la fattispecie esula dal disposto dell’articolo 7 del Dl n. 269/03 che pone a carico della persona giuridica, esclusivamente le sanzioni relative al rapporto fiscale proprio della società .