Il rischio Brexit sul riciclaggio globale

12 Maggio 2017

Il Sole 24 Ore Plus 8 Aprile 2017 di Stefano Elli

L’uscita dell’Inghilterra dall’Ue e il potenziale dumping normativo della Gran Bretagna e del Commonwealth

Hanno sempre funzionato a pieno regime. A dispetto delle quattro direttive antiriciclaggio emanate dalla Ue (l’ultima dovrà essere recepita entro il giugno 2017) a dispetto dei continui moniti dei vari organismi internazionali (Gafi, Ocse, Moneyval). I paradisi fiscali legati al governo di Sua Maestà britannica hanno continuato imperterriti a cubare denaro di incerta provenienza, fornendo teste di legno, società anonime, caselle postali e, soprattutto, segretezza. Ma senza allontanarci troppo, anche Londra appare un luogo privilegiato e gettonatissimo da chi vuole accumulare ingenti risorse senza figurare in prima persona. Non c’è inchiesta italiana sul white collar crime che non veda coinvolte pattuglie di società britanniche dalla proprietà oscurata.
E questo è accaduto fino a questo momento: cioè con la Gran Bretagna membro effettivo dell’Unione Europea. E poi? Quando ne sarà uscita? Quando si sarà sottratta ai vincoli imposti dalla partecipazione alla Comunità?
Il rischio concreto è che a fronte di una migrazione in territori comunitari delle maggiori insegne bancarie britanniche, per nulla intenzionate a perdere quote di mercato nel business del risparmio gestito, sulla piazza di Londra si concentrino operazioni e operatori sottratti a ogni tipo di controllo. Che il problema sia serissimo lo testimonia, per fare un solo esempio, il venir meno dell’obbligo, in capo all’Uk, di recepire le norme europee. «La quarta direttiva antiriciclaggio -spiega Fabrizio Vedana, vicedirettore generale di Unione Fiduciaria – prevede, per gli intermediari comunitari l’obbligo di istituire e alimentare il registro dei titolari effettivi delle società e dei trust. Del tutto evidente che l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue fa cadere sul nascere ogni ragionamento sul punto». Rischio potenziale? Nessun obbligo a carico delle società britanniche e prevedibile migrazione di massa verso Londra di soggetti a rischio riciclaggio. Il secondo problema è di natura fiscale. A spiegarlo è di nuovo Vedana: «La direttiva Ue 107 del 2014 è stata recepita dall’Italia dalla legge 95 del 2015: si chiama Common reporting standard. Che cosa prevede? Che gli intermediari finanziari comunitari comunichino subito alle rispettive amministrazioni fiscali i dati di cittadini stranieri che aprano rapporti economici (conti correnti e altro) sul loro territorio. Le amministrazioni fiscali, dal canto loro, allertano in automatico i loro omologhi nei Paesi di provenienza dei cittadini stranieri». Nel dopo Brexit non vi sarà alcun obbligo di comunicare alcunché a chicchessia. Rischio potenziale? Afflusso di massa a Londra di capitali in evasione fiscale. «Di certo la fame di “tane” sicure, con il venire meno della copertura della sicura Svizzera e di San Marino, fiaccate dal combinato disposto dei tre scudi fiscali e della voluntary disclosure, rende indispensabile alle organizzazioni criminali la ricerca di basi sicure dove potere appoggiare il denaro, metterlo al riparo e reimpiegarlo – spiega Gian Gaetano Bellavia, commercialista e consulente tecnico di molte procure della Repubblica -. Quello britannico è un sistema tradizionalmente efficiente, radicato, ramificato, ben collegato e socialmente accettato. Assolutamente perfetto per i riciclatori di tutto il mondo che già da tempo lo stanno utilizzando a prescindere dalla Brexit. Figuriamoci dopo».

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica
Get in touch
x
x

Share to:

Copy link:

Copied to clipboard Copy