Pubblicità, deduzione in salvo
12 Maggio 2017
Il Sole 24 Ore 07 Aprile 2017 di Laura Ambrosi
Accertamento. La Cassazione accoglie il ricorso per le spese di sponsorizzazione a un’associazione sportiva dilettantistica
Stop al recupero se il costo sostenuto dalla società non supera i 200mila euro
È illegittimo il recupero del costo di pubblicità inferiore a 200mila euro poiché la deducibilità di questi oneri è prevista espressamente dalla norma con una presunzione assoluta. A chiarirlo è l’ordinanza 8981/2017 della Cassazione depositata ieri.
L’agenzia delle Entrate ha emesso un avviso di accertamento nei confronti di una società disconoscendo, tra l’altro, anche la deducibilità delle spese di pubblicità sostenute. Si trattava di somme corrisposte a un’associazione sportiva dilettantistica affinché promuovesse il marchio in occasione degli eventi organizzati.
La contribuente ha proposto ricorso contro il provvedimento impositivo, ma sia la commissione provinciale, sia i giudici di appello confermavano la legittimità dell’operato dell’ufficio. In particolare, la Ctr ha osservato che mancava la prova da parte della società in merito alla certezza e all’inerenza dei costi contestati.
L’impresa ha presentato così ricorso in Cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, un’errata interpretazione della norma in tema di sponsorizzazione.
I giudici di legittimità hanno innanzitutto richiamato l’articolo 90, comma 8, della legge 289/2002, secondo il quale il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni riconosciute dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva, costituisce per il soggetto erogante e fino al limite di 200mila euro annui, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti. Tale somma è così deducibile nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio.
La Suprema corte ha così rilevato che la norma disciplina una «presunzione legale di inerenza/deducibilità» di tali spese. Occorre pertanto solo verificare che:
il soggetto sponsorizzante sia una compagine sportiva dilettantistica;
sia rispettato il limite quantitativo di 200mila euro;
la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor;
il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale come, ad esempio, l’apposizione del marchio sulle divise, l’esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo da gioco, eccetera.
Nel caso esaminato, tali circostanze erano incontestate con la conseguenza che l’ufficio non poteva disconoscere la deducibilità delle somme.
La Cassazione ha poi chiarito che risultano del tutto irrilevanti eventuali considerazioni sull’antieconomicità del costo pubblicitario, legate ad un’asserita irragionevole sproporzione tra l’entità della spesa sostenuta rispetto al fatturato/utile di esercizio del contribuente.
Nella pronuncia è infatti chiarito che la norma ha introdotto una «presunzione assoluta» oltre che della natura di «spesa pubblicitaria», anche dell’inerenza fino alla soglia di 200mila euro, con la conseguenza che nessuna diversa valutazione è consentita agli uffici.
La decisione assume rilievo poiché l’amministrazione a volte in assenza di contestazioni sulla veridicità della sponsorizzazione, si limita a disconoscere il costo dedotto nel presupposto dell’inutilità dello stesso rispetto al volume di affari conseguito o, ancora lo ritiene sproporzionato, procedendo così al recupero rispettivamente dell’intera deduzione operata o di quella ritenuta eccessiva ovvero antieconomica.