Il prestanome «paga» insieme all’amministratore di fatto

12 Maggio 2017

Il Sole 24 Ore 21 Aprile 2017 di Laura Ambrosi

Cassazione/2. Chi accetta la carica di rappresentante legale si assume i rischi connessi

Il prestanome risponde insieme all’amministratore di fatto dei reati tributari posti in essere a meno che non provi di essere privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione dell’impresa. A fornire questa interessante interpretazione è la Corte di cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 18924 depositata ieri.
A seguito di indagini svolte dalla Guardia di Finanza su una frode Iva perpetrata da alcune società estere e italiane, attraverso cui veniva detratta l’imposta per l’acquisto di beni senza che il venditore (fittizio) la versasse, venivano denunciati per false fatturazioni e altri delitti tributari sia gli amministratori di fatto, sia i rappresentanti legali (ancorché ritenuti in alcuni casi dei semplici prestanome) delle aziende coinvolte. Dopo la condanna nei due gradi di giudizio, gli imputati ricorrevano in cassazione. Tra le eccezioni sollevate, chi era stato ritenuto amministratore di fatto rilevava l’assenza della formale rappresentanza legale dell’azienda, mentre chi era stato indicato quale prestanome eccepiva il mancato coinvolgimento nella gestione imprenditoriale.
La Suprema Corte ha ricordato, innanzitutto, che il dato fattuale della gestione sociale deve prevalere sulla qualifica formalmente rivestita, con la conseguente equiparazione degli amministratori di fatto a quelli formalmente investiti dalla carica. Tale interpretazione è confermata dall’articolo 2639 del Codice civile che, per i reati societari, dispone l’equiparazione al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge, di chi esercita in materia continuativa e significativa i poteri inerenti alla qualifica o funzione. Nonostante riguardi i reati societari, tale norma, rileva la sentenza, è la codificazione di un principio generale applicabile ad altri settori dell’ordinamento. Si configura così non solo il concorso dell’amministratore di fatto nei reati commissivi, ma anche in quelli omissivi propri nel senso che l’autore principale del reato è proprio l’amministratore di fatto.
La responsabilità penale dei prestanome è invece radicata nell’articolo 40, comma 2, del Codice penale, secondo cui non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Infatti, il prestanome, assumendo consapevolmente la veste di rappresentante legale, copre attraverso la violazione del dovere di vigilanza che incombe su di lui le condotte illecite del reale amministratore. Nella specie, secondo i giudici di legittimità, la difesa si era concentrata sull’insussistenza di elementi probatori in ordine ai rapporti tra prestanome e società, mentre aveva tralasciato il mancato esercizio del dovere di controllo che competeva per legge all’amministratore di diritto per provare di essere privo di qualunque potere di ingerenza nella gestione della società nonostante ne fosse formalmente l’amministratore.
Ne consegue che il prestanome, accettando la carica, assume anche i rischi a questa connessi esponendosi alle conseguenze dell’operato dei gestori reali e dunque alla possibilità che questi compiano operazioni legali attraverso la copertura ricevuta. Da qui il rigetto del ricorso e l’affermazione della responsabilità anche dell’amministratore di diritto a titolo di concorso con quello di fatto non solo in virtù della posizione formale rivestita, ma anche per la condotta omissiva consistente nel non aver impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire e cioè il mancato esercizio dei poteri gestori e di controllo sull’operato dell’amministratore di fatto.

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