Perdite su crediti deducibili
8 Giugno 2018
Il Sole 24 Ore 05 Maggio 2018 di Laura Ambrosi
Accertamenti. Nessun peso alle cause che le hanno generate
L’Amministrazione non può disconoscere la deduzione della perdita su crediti solo perché l’imprenditore avrebbe dovuto agire diversamente per recuperare le proprie spettanze: il Legislatore, infatti, non ha subordinato la deducibilità a seconda delle cause che l’hanno generata, ma alla sussistenza di elementi certi e precisi sul valore dedotto. Così la Cassazione con l’ordinanza n. 10643 depositata ieri.
L’agenzia delle Entrate notificava a una società un avviso di accertamento con il quale disconosceva la deduzione di una perdita su crediti. Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario che per entrambi i gradi confermava le ragioni della contribuente. In particolare, la Ctr riteneva che tale perdita fosse stata legittimamente dedotta poiché la società aveva fornito la prova documentale delle azioni legali intraprese per il recupero di quanto dovuto, in esito alle quali era stato incassato solo un decimo del credito originario.
La Cassazione ha ricordato che per la deducibilità delle perdite sui crediti, non è necessario che il contribuente fornisca la prova di essersi attivato per conseguire una dichiarazione giudiziale dell’insolvenza del debitore e quindi l’assoggettamento a procedura concorsuale. Secondo la norma, infatti, è sufficiente che le perdite siano documentate in modo certo e preciso.
I giudici di legittimità hanno così precisato che la scelta imprenditoriale di transigere con un proprio cliente non rende indeducibile la perdita stessa, poiché il legislatore non ha posto alcun vincolo in relazione alla causa che l’ha determinata (Cassazione 10256/2013). Nella specie, la valutazione del giudice di merito era fondata su fatti oggettivi dai quali era stato confermato l’incasso di una somma inferiore rispetto al credito originario.
La decisione si uniforma all’orientamento della Cassazione secondo cui gli uffici non possono spingersi alla verifica oggettiva circa l’opportunità delle scelte assunte dal contribuente. Il controllo, infatti, attingerebbe a valutazioni di strategia commerciale riservate all’imprenditore (Cassazione 21405/2017). È così auspicabile che gli uffici si adeguino, poiché non di rado disconoscono un costo solo perché ritenuto un «cattivo affare», ventilando possibili ipotesi alternative, in realtà astratte e poco concrete. In tale contesto, peraltro, occorre quanto meno considerare che in ogni caso la valutazione dei verificatori avviene in un momento successivo a quando l’imprenditore ha assunto le decisioni. Non a caso, il rischio «cattivo affare» è parte dell’attività di impresa.