Oltre 800mila italiani all’estero finiscono nel mirino del Fisco

6 Ottobre 2022

Il Sole 24 Ore 4 settembre 2022 di Alessandro Galimberti

Caccia agli evasori. Sotto la lente delle Entrate le residenze fittizie nei Paesi black list delle persone fisiche che non hanno mai aderito alla voluntary disclosure. Richiesta la collaborazione dei Comuni

A cinque anni esatti dalla chiusura della seconda finestra di voluntary disclosure (tiepidissimo bis della prima versione del 2015) per i contribuenti ribattezzati «recalcitranti dell’emersione» dal nero internazionale è tempo di bilanci e di carte bollate.

L’agenzia delle Entrate ha infatti aperto sottotraccia un triplo fronte d’attacco per recuperare lo stock di capitali non dichiarati che molti indici (indiretti) ritengono ancora incagliati all’estero. Quello che emerse “spontaneamente” nella prima finestra del 2015 (60 miliardi, solo 15 rimpatriati fisicamente, di cui 4 miliardi versati all’erario) e nella seconda (spiccioli mai quantificati) potrebbe essere solo la punta dell’iceberg in mari che però, dal 2015 ad oggi, hanno chiuso molti porti e aperto molte metaforiche dogane.

Non bastassero infatti i due programmi di emersione volontaria di capitali, la rete internazionale si è stretta a partire dal 2017/18 con l’entrata in vigore dello scambio automatico di informazioni fiscali, arrivato come suggello alle collaborazioni “a richiesta” tra amministrazioni fiscali. Oggi le Entrate stanno dragando tutti questi canali vecchi e nuovi per scovare dove siano finiti i capitali fuggiti dai vecchi paradisi.

La prima lista di contribuenti tecnicamente sospetti è quella degli italiani residenti all’estero. Non tutti, però. L’anagrafe Aire dice che, dati 2021, 5,8 milioni di connazionali risiedono altrove nel mondo: di questi, 839 mila vivono in Stati che il nostro fisco considera ancora “paradiso fiscale” per persone fisiche (si veda tabella sottostante). A carico di ognuno di questi “expat” vale per l’agenzia fiscale il seguente principio (presunzione legale): per noi resti un contribuente italiano fittiziamente trasferito all’estero, dimostra – se riesci – che non è così. Per stanare i finti “expat”, l’agenzia sta chiedendo la collaborazione investigativa degli ultimi comuni di residenza – che, legge alla mano, vengono remunerati in percentuale in caso di riuscita – commissionando verifiche, analizzando forniture, bollette e spostamenti: in sostanza, è lo schema utilizzato negli anni scorsi per le indagini su famosi contribuenti “esterovestiti” dello sport e dello spettacolo.

La parte numericamente grossa di questa lista di expat è rappresentata dalla Svizzera, dove sono registrati 648mila italiani Aire. Caso singolare e molto contestato, quello della Confederazione, perché dal 2015 è diventata un paese pienamente collaborativo e nonostante ciò resta nell’elenco black per le persone fisiche.

Ma a preoccupare chi vive fuori dai patrii confini sono anche, se non soprattutto, altri due filoni di indagine avviati dall’Ucifi (ufficio contrasto illeciti internazionali dell’Agenzia fiscale).

Il primo riguarda le domande di assistenza amministrativa “di gruppo” tra Paesi. Le Entrate hanno puntato i fari sul periodo 2015-2017 (dopo le voluntary e prima dell’entrata a regime dello scambio automatico), chiedendo alle autorità fiscali di vari ex paradisi (Svizzera e Principato di Monaco tra i primi, ma non solo) le liste complete di compatrioti che in quegli anni spostarono o svuotarono o trasferirono da lì i propri conti o i propri soldi. Nonostante le molte resistenze (gli accordi internazionali prevedono l’informazione preventiva al contribuente sotto indagine) e i numerosi ricorsi giudiziari (si veda l’articolo a lato) tutti gli ex paradisi stanno dando corso alle richieste, la cui utilizzabilità processuale – tra l’altro – in Italia è piena e garantita.

Ultimo fronte, non certo però per impatto e importanza, è lo scambio automatico di informazioni fiscali, un flusso semestrale di milioni di dati finanziari iniziato nel 2017 su impulso dell’Ocse e che oggi viaggia attraverso i data base di 110 Paesi, dall’Albania a Vanuatu, (in ordine rigorosamente alfabetico, Usa però auto-esclusi), passando per quasi tutti gli antichi paradisi di vicinato o di mari lontani. Mantenersi offshore, oggi, è diventato avventuroso e soprattutto rischioso. Non ci sono più i paradisi di una volta. E il Fisco lo sa.

 

Doing business in San Marino

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