Nel mirino della Gdf le banche di San Marino

9 Aprile 2019

Il Sole 24 Ore 22 MARZO 2019 di Alessandro Galimberti

DOPO LA VOLUNTARY

Attese le notifiche I questionari inviati a 250 banche nel mondo

Svizzera, Principato di Monaco, Bahamas, Singapore, Lussemburgo, San Marino, Liechtenstein ,Austria, Antigua e Barbuda, Panama , Dubai, Isole Vergini Britanniche, Hong Kong. Sono oltre 250 le banche sparse in tre continenti e raggiunte – a partire dalla fine di gennaio scorso – dai questionari della Guardia di finanza e dell’agenzia delle Entrate. L’elenco dei Paesi e degli istituti finanziari individuati dal fisco – sulla base del Dpr 600/1973, articolo 32 «Poteri degli uffici in materia di accertamento delle imposte sui redditi» – è frutto della rielaborazione dei dati della prima voluntary disclosure (2015) da cui sono emersi i rapporti finanziari ora al centro dell’attenzione erariale. Partita dalla Svizzera e dal Principato monegasco (si veda «Il Sole 24 Ore» del 14 febbraio scorso), la campagna contro gli ex paradisi si è poi allargata a San Marino – dove sono attese le prime notifiche – e si accinge a sfondare dall’Atlantico al Far East, con pieno ecumenismo impositivo.
L’obiettivo dell’amministrazione è collegato alla risoluzione 89/E/2018 , con la quale l’Agenzia aveva stabilito che la «fonte italiana di produzione del reddito determina l’imponibilità del provento in capo al soggetto non residente. In linea generale, tutti i redditi di capitale percepiti da soggetti non residenti, compresi quelli realizzati nell’esercizio di attività commerciale senza stabile organizzazione in Italia, sono assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta». Tradotto, significa sostanzialmente che le banche sono tenute a trattenere alla fonte l’imposta per l’attività svolta su redditi che hanno «una fonte italiana di produzione», cioè di fatto un’origine tricolore. Nel mirino ci sono le commissioni (per esempio su mutui e gestione patrimoniale) trattenute a clienti “fiscalmente” italiani (che a giudizio dell’Agenzia generano perciò una tassazione “italiana”) e – soprattutto – le modalità di gestione della clientela italiana e quelle di utilizzo dei dipendenti sul mercato italiano. Evidente in questo senso le finalità dell’operazione – non a caso resa pubblica per la prima volta nel novembre scorso dal procuratore milanese Francesco Greco – che punta a dimostrare la «stabile organizzazione» societaria lungo la Penisola, soprattutto in Lombardia, per individuare nuovi importanti e stabili “contribuenti”. In questo senso è da leggere anche l’invito alle 250 banche estere ad inviare i bilanci di esercizio o documenti equivalenti ed esplicativi degli anni 2013/2017.
Vale la pena di sottolineare che la campagna di fiscalizzazione delle banche degli ex paradisi si fonda sull’analisi degli oltre 130mila conti “consegnati” spontaneamente e dettagliatamente da chi ha aderito alla prima voluntary disclosure.
Non irrilevante, sotto questo profilo, la circostanza che meno di un quarto dei 60 miliardi di euro ufficialmente emersi (70% dalla Svizzera, 7,7% da Monaco, 3,6% da Bahamas, 2,2% da Singapore, 2,1% da Lussemburgo, 1,9% dal Liechtenstein) è effettivamente rientrato in Italia, il resto è rimasto dov’era e generalmente sbloccato per operazioni immobiliari e finanziarie, sulle quali scatta l’imponibilità fiscale italiana, almeno ad opinione dell’Agenzia.
L’impegnativa partita internazionale è tutt’altro che chiusa. Dall’estero le prime reazioni sono state soprattutto di nervosismo – la Svizzera registra ovattate fibrillazioni anche per gli importi in ballo; di acque agitate si racconta anche a Monaco – ma ignorare le lettere, come si legge nell’articolo in basso, potrebbe provocare movimenti tellurici anche fuori dal solco fiscale.

Doing business in San Marino

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