Legge italiana inapplicabile per le imprese che trasferiscono la sede in un altro Stato Ue

9 Maggio 2024

Il Sole 24 Ore 27 aprile 2024 di Maria Castellaneta

L’applicazione della legge italiana nel caso di trasferimento di società in un altro Stato membro ostacola la libertà di stabilimento nello spazio Ue. È la Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza depositata il 25 aprile (causa C-276/22), a stabilirlo, chiarendo che, in forza del diritto alla libertà di stabilimento, gli atti di gestione di una società che si sia trasferita da uno Stato membro (Italia) a un altro (Lussemburgo) non possono essere regolati dalla legge italiana. E questo anche nei casi in cui l’attività sia svolta, in via principale, nel primo Stato.

La vicenda

La vicenda riguarda una società italiana, impegnata nella gestione di un immobile di pregio, che aveva cambiato denominazione e trasferito la sede sociale in Lussemburgo, trasformandosi in una società lussemburghese. In base al diritto di quel Paese era stata nominata un’amministratrice unica che, a sua volta, aveva designato un mandatario generale con il compito di svolgere tutti gli atti e le operazioni necessarie. La proprietà dell’immobile era stata ceduta e poi trasferita a una società italiana.

La società lussemburghese aveva chiesto al Tribunale di Roma l’annullamento del trasferimento ritenendo che l’attribuzione dei poteri al mandatario fosse illegittima in base al diritto italiano. L’istanza era stata respinta, ma la Corte di appello l’aveva accolta e così la società che aveva acquistato l’immobile si era rivolta in Cassazione che, prima di decidere, ha chiesto l’intervento degli eurogiudici in particolare per accertare se sia possibile applicare il diritto nazionale agli atti di gestione di una società stabilita in un altro Paese Ue, ma che svolge l’attività in Italia.

La sentenza

Chiarita l’applicazione dell’articolo 49 del Trattato, che assicura la libertà di stabilimento e dell’articolo 54, la Corte ha precisato che la costituzione e la gestione di una società sono definite dalla legislazione dello Stato membro di stabilimento anche quando svolgano la propria attività in un altro Stato Ue. In questi casi, il collegamento all’ordinamento giuridico di uno Stato è fornito dalla localizzazione della sede sociale, dell’amministrazione centrale o del centro di attività principale e, di conseguenza, gli atti di gestione rientrano nell’ambito della libertà di stabilimento. Pertanto, l’articolo 25 della legge 218/1995 che porta ad applicare la legge italiana agli atti di gestione della società trasferitasi in altro Stato membro per il solo fatto che una parte principale dell’attività è svolta in Italia è incompatibile con il Trattato Ue perché incide negativamente sulla libertà di stabilimento e rende «meno attrattivo l’esercizio» di questa libertà fondamentale.

La Corte, inoltre, non ritiene che le autorità italiane abbiano dimostrato l’esistenza di motivi imperativi di interesse generale che possano giustificare tale restrizione. È vero che sono ammissibili, in via eccezionale, limitazioni per tutelare gli interessi dei creditori, dei soci di minoranza e dei lavoratori nei casi in cui la parte principale delle attività sia svolta nel territorio nazionale, ma la restrizione non deve andare al di là di quanto necessario per raggiungere l’obiettivo.

L’applicazione della legge italiana – precisa la Corte – era dovuta unicamente al fatto che l’attività si svolgeva in Italia, ma non è stata fornita alcuna prova sull’eventuale rischio di creditori o lavoratori. Bocciata anche la tesi basata sulla necessità di reprimere frode ed evasione fiscale perché il solo trasferimento di sede non è di per sé prova di un abuso, anche se l’attività della società viene svolta nel primo Stato membro.

Non conta mantenere l’attività in Italia

Il Sole 24 Ore  27 Aprile 2024 di Marco Piazza

Anche se la vicenda oggetto della sentenza C-276/2022 (si veda l’articolo sopra) risale al 2010, il giudizio della Corte Ue è ancora attuale perché riguarda una disposizione – l’articolo 25, commi 1 e 2, della legge 218/1995 – ancora vigente nonostante la riforma del regime civilistico delle operazioni societarie internazionali (Dlgs 19/2023 di recepimento della direttiva 2019/2121/UE). La direttiva ha armonizzato la materia, dato che la Corte Ue è stata più volte chiamata a giudicare sulla conformità del diritto privato internazionale di diversi Stati membri con il principio di libertà di stabilimento.

Le principali sentenze sugli effetti dei trasferimenti di sede sono quelle nei casi Cartesio (causa C-210/06); Vale (causa C-378/10) e Polbud (causa C-106/16) i cui esiti sono sintetizzati nella circolare Assonime 16/2023, nel senso che:

il trasferimento di sede legale è il mezzo per cambiare legge applicabile in continuità giuridica, anche senza il trasferimento della sede effettiva né di alcuna attività economica; sotto questo aspetto, il nuovo articolo articolo 2510-bis del Codice civile stabilisce che il trasferimento della sede statutaria implica il mutamento di legge applicabile;

è anche possibile trasferire la sede (effettiva) senza mutamento della lex societatis. Le società, cioè, possono trasferire la loro sede in un altro Stato, mantenendo la legge regolatrice dello Stato di partenza; il trasferimento di sede senza mutamento della legge regolatrice non è però realizzabile quando lo Stato di partenza adotta il criterio della sede effettiva o reale; ne consegue che lo Stato di costituzione non può impedire il trasferimento della sede effettiva di una società, ma può prevedere che tale trasferimento determini la perdita della nazionalità della società.

In questo contesto, i commi 1 e 2 dell’articolo 25 del Dlgs 218/1995 presentano aspetti di criticità in quanto prevedono che, se la società ha la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale in Italia resta assoggettata alla legge italiana. Nel caso in cui, quindi, una società italiana intenda trasferire la sede legale all’estero, assoggettandosi alla legge dello Stato di destinazione, ma mantenendo in Italia la sede dell’amministrazione o l’oggetto dell’attività, il trasferimento non è impedito dalla legge italiana, ma la società resta soggetta sia alla legge dello Stato di destinazione sia alla legge italiana. Una norma che pare in contrasto soprattutto con la sentenza Polbud che è esplicita nel senso che il diritto di mutare ordinamento giuridico in continuità giuridico-soggettiva, è protetto dalla libertà di stabilimento anche laddove la società trasferisca la sola sede legale, ma non la sede effettiva. La Cassazione (ordinanza 11600/2022) ha quindi sollevato la questione pregiudiziale presso la Corte di giustizia che ha dato origine alla sentenza in commento. La Corte Ue dichiara la norma nazionale illegittima nella misura in cui eccede – parrebbe per la sua genericità – quanto necessario per raggiungere l’obiettivo di tutela degli interessi dei creditori, dei lavoratori e dei soci di minoranza che figurano tra i motivi imperativi d’interesse generale che potrebbero giustificare una restrizione della libertà di stabilimento.

 

 

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