La Ue mette all’angolo i sei paradisi fiscali europei
9 Giugno 2020
Il Sole 24 Ore 21 maggio 2020 di Roberto Galullo e Angelo Mincuzzi
Raccomandazioni. Il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni: «Non può esserci spazio per pianificazioni aggressive nell’Europa della solidarietà e dell’equità»
In Lussemburgo la quantità di società per numero di abitanti è da Guinness dei primati: una ogni 4,6 cittadini del Granducato. In Olanda ce n’è una ogni 7,4 abitanti e sono attive 55 società per ogni chilometro quadrato, spiagge e corsi d’acqua compresi. Per fare un paragone, in Italia sono solo 20 ogni mille metri quadrati e in Germania appena dieci.
Sembrano distorsioni senza conseguenze ma ogni anno – insieme a quelle che si verificano in Irlanda – provocano un danno di almeno 70 miliardi di euro alle entrate fiscali degli altri Paesi dell’Unione europea. «Alcuni elementi nei sistemi fiscali di alcuni Stati Ue sono ancora usati dalle aziende per fare pianificazioni aggressive. Non può esserci spazio per simili pratiche nell’Europa della solidarietà e dell’equità», ha rimarcato ieri il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, durante la presentazione delle raccomandazioni per i Paesi della Ue. Il riferimento è a sei Stati dell’Unione: Olanda, Lussemburgo, Irlanda, Malta, Cipro e Ungheria.
Nonostante già nel 2018 la Commissione Ue abbia messo sotto osservazione questi Paesi per la loro politica fiscale aggressiva, Bruxelles ha deciso di elevare il livello di allarme sulla concorrenza fiscale sleale all’interno della Ue. Del resto, anche nel recente accordo franco-tedesco sulla ripresa economica dopo l’epidemia da coronavirus l’obiettivo primario espressamente indicato è quello di «migliorare il quadro Ue per una fiscalità equa introducendo un’imposizione minima effettiva e una tassazione equa dell’economia digitale».
Nei rapporti sui singoli Paesi pubblicati ieri dalla Commissione europea, l’occhio cade sull’Olanda, che è al centro di polemiche politiche legate alla sua intransigenza sull’emissione di bond europei per la ripresa economica.
«Sebbene l’Olanda abbia preso provvedimenti per affrontare le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva, l’elevato livello di dividendi, royalty e pagamenti di interessi effettuati attraverso il Paese suggerisce che le norme fiscali nazionali sono utilizzate dalle società che si impegnano nella pianificazione fiscale aggressiva», scrivono gli esperti della Commissione. Uno studio del 2019 del Bureau for economic policy analysis olandese mostra che tra il 2014 e il 2016 circa il 25% dei pagamenti dei dividendi e il 45% dei pagamenti di interessi dai Paesi Bassi ha avuto per destinazione giurisdizioni a bassa imposizione fiscale o veri e propri paradisi fiscali. Per i pagamenti di royalty questo rapporto ha raggiunto il 75% tra il 2008 e il 2010.
Per il Lussemburgo, la Commissione evidenzia che – secondo il Fondo monetario internazionale – è il primo Paese al mondo nel quale gli investimenti esteri diretti vengono effettuati attraverso “special purpose entities”, cioè società veicolo senza dipendenti né attività reali. Grazie alla sua politica fiscale, il Lussemburgo attrae investimenti per oltre il 5.766% del Pil, contro il 19% dell’Italia.
Anche l’Irlanda ha un campionario di elementi distorsivi della concorrenza all’interno della Ue. Tra tutti spicca, come scrive nel rapporto la Commissione europea, «l’elevata concentrazione delle imposte sulle società, con le prime dieci imprese che rappresentano il 45% del totale». Tra queste società ci sono tutte le più importanti web companies della Silicon Valley, come Apple, Google e Facebook. La Commissione sottolinea che è un rischio fare affidamento principalmente su queste 10 società per finanziare le spese correnti irlandesi.
Se Cipro è la patria dei passaporti venduti a ricchi investitori extracomunitari e Malta è invece il Paese dove c’è la possibilità di una «doppia non imposizione fiscale» su società e persone fisiche, l’Ungheria amplifica altri strumenti di distorsione. I grandi stock di capitale straniero – scrive la Commissione – insieme all’assenza di ritenuta alla fonte sui pagamenti di royalty, interessi e dividendi, «possono indicare rischi di una pianificazione fiscale aggressiva». Non solo. L’assenza di ritenute alla fonte sui redditi che escono dall’Ungheria e sono diretti verso i centri finanziari offshore, potrebbe fornire una via di fuga per profitti che lasciano l’Unione europea senza pagare la giusta quota di tasse.