La cessione estero su estero è fuori campo dell’Iva italiana

8 Febbraio 2023

Il Sole 24 Ore 27 gennaio 2023 di Raffaele Rizzardi

MERCI

Un quesito di interesse generalizzato per le imprese italiane che hanno merce in deposito all’estero è stato presentato in occasione della giornata di Telefisco e ha ricevuto una risposta dettagliata.

Non si tratta del call-off stock, in cui il cliente deve essere individuato sin dal momento in cui la merce esce dall’Italia, con particolari procedure nel caso in cui i beni dovessero poi andare ad un successivo diverso soggetto.

La questione riguarda invece chi ha merce all’estero, destinata alla vendita a una possibile pluralità di clienti del Paese di deposito.

Questa modalità di consegna è particolarmente interessante in termini commerciali, in quanto la cessione al cliente finale non è più una cessione intracomunitaria, con tutti i relativi adempimenti, ma una cessione interna con l’imposta di quel Paese. Se poi lo Stato membro, come l’Italia (articolo 17, secondo comma, della legge sull’Iva) ha recepito la facoltà dell’articolo 194 della vigente direttiva 2006/112/Ce, il cliente non deve nemmeno finanziare l’Iva da pagare al fornitore, in quanto l’assolvimento del tributo avviene in regime di reverse charge.

La cessione intracomunitaria è solo quella che l’impresa fa a se stessa, dalla partita Iva italiana a quella di cui deve dotarsi nello Stato di deposito (in alcuni si può utilizzare l’identificazione del depositario), come previsto dall’articolo 41, comma 2, lettera c).

Per questa operazione viene emessa una fattura, che quindi è caricata nello SdI, con la natura N3.2, non imponibili – cessioni intracomunitarie – con partita Iva estera e codice destinazione dell’emittente, e che quindi confluirà nella dichiarazione annuale al codice VE30-3, concorrente al volume d’affari.

La cessione estero su estero è fuori campo dell’Iva italiana. La risposta dell’agenzia delle Entrate ipotizza la fatturazione ex articolo 21, comma 6-bis, lettera a), legge Iva, che peraltro riguarda solo clienti domiciliati nella Unione e solo se quel Paese ha recepito la facoltà – non obbligo – dell’articolo 194 della direttiva.

Il tema deve essere approfondito se lo Stato estero non ha recepito la norma sopra ricordata, e quindi la fatturazione è in questo caso imponibile solo nell’Iva locale. Per la merce depositata in territorio extra-unionale, il riferimento è sempre al comma 6-bis, ma nella lettera b).

A questo punto si aggancia il tema dell’esterometro – articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 127/2015 – che obbliga a comunicare tutte le operazioni con una controparte non residente.

La risposta riconosce l’inesistenza di obblighi di fatturazione secondo le disposizioni della legge Iva, ma occorre emettere la fattura solo per poter caricare l’importo nello SdI con mera funzione di esterometro.

L’emissione di questa fattura – anche se “fuori campo” – trasferisce l’importo nel quadro VE della dichiarazione – nella specie VE34 – e quindi raddoppia lo stesso volume d’affari già esposto in VE30. Questo anomalo incremento deve essere corretto, ed al riguardo c’è una strada molto semplice, che va ovviamente convalidata dall’agenzia delle Entrate.

Cos è la fatturazione a se stessi per il rifornimento del deposito estero? Evidentemente quella di un passaggio interno. Queste operazioni devono essere espunte dal volume d’affari, come dispone l’articolo 20 della legge Iva, che al momento fa esplicito riferimento a queste operazioni solo nel caso di contabilità separata (articolo 36 legge Iva).

Al riguardo si potrebbe utilizzare la voce VE40, che porta in sottrazione i passaggi interni. Un’interpretazione sistematica, in attesa di una modifica normativa sul punto, dovrebbe essere considerata possibile.

Doing business in San Marino

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